Come Kurt Cobain

Un passato che ritorna, che ci portiamo dietro per tutta la vita, che è sempre dentro di noi, nei nostri ricordi. Terzo classificato nella Quarta Edizione della Quinta Era con Francesco Troccoli come guest star, un racconto di Claudio Tamburrino.

 
Quando ero in II liceo dicevo alla mia amica Claudia che non sarei invecchiato mai: sarei morto a 28 anni.
Un po’ era per essere come Kurt Cobain, un po’ era che avevo appena finito “Un uomo” della Fallaci e mi aveva colpito la figura di Panagulis e del destino sotto forma di auto verde che lo rincorre. La morte, in definitiva, mi sembrava una cosa da grandi uomini. Oppure, come diceva Claudia, ero solo un coglione.
Ora penso semplicemente che quello era un periodo spensierato e neanche la morte era ancora carica di angoscia definitiva.
 
Tutto sarebbe cambiato per me e quelli della mia classe l’anno successivo, nella maniera più drammatica possibile, come un treno in corsa. Letteralmente un treno in corsa che si è portato via, per lo scherzo di un destino infame, Carlo e Sara, i nostri Romeo e Giulietta a cui abbiamo innalzato da quel giorno una statua d’oro nel deserto della nostra gioventù per una morte tanto sanguinosa e definitiva da non avere assolutamente niente in comune con la mia profezia di fine del tutto personale, leggera, incosciente e immatura: forse anche per quello sono stato costantemente in difetto di maturità e concretezza, come se con quella morte il destino mi avesse già deluso.
 
Il giorno del mio 29esimo compleanno fu evidente che la profezia non si sarebbe avverata, ma d’altra parte non me ne ricordavo già più: erano anni spensierati, in cui non c’era posto neanche per una morte così immatura.
Giocavo tanto e studiavo poco; dormivo tanto e sognavo poco.
 
Mi ritornò in mente la notte in cui compì 35 anni. Accanto a me una 18 culo-alto-e-cosce-tornite: probabilmente io amavo il suo culo e lei la mia barba sale e pepe e in comune avevamo solo i problemi di maturità. Esiste una relazione più perfetta? No, almeno a giudicare dal sesso incredibile di quella notte.
Lei sotto, io sopra;
poi gira e al contrario;
poi gira e un angolo che non pensavo un corpo potesse raggiungere;
poi gira e giro in tondo, casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra…
 
«Non ci siamo proprio» dissero insieme Carlo e Sara «cosa stai facendo?»
«Del gran sesso, come minimo.»
«E tutto quello che avevi paura di perdere con una morte prematura?»
«Nella mia lista di cose da fare il sesso c’era sicuramente…»
«Parlavamo di altro insieme. Ti ricordi l’ambizione, la musica?»
«Scrivevamo canzoni davvero brutte.»
«Erano punk, non brutte» disse Carlo, «ma non c’entra questo» puntualizzò Sara. «Devi ricordarti l’ambizione, la curiosità e la voglia» dissero insieme.
«Sono felice, sono sereno, non ho problemi.»
«Io volevo essere un medico» disse Carlo, «io un magistrato» continuò Sara. «Tu volevi diventare un giornalista.»
«Bé fare il cameriere paga molto di più…»
«Sei davvero felice? Devi svegliarti, sul serio.»
«Ma smettetela.»
«No sul serio, devi svegliarti.»
 
Le pieghe del cuscino sul viso non sono gli unici segni che ritrovai al risveglio. Quello più persistente fu il ricordo, una sensazione di malinconia e rimpianto. E la voglia di tornare a vivere i sogni che avevo.