Zenzero e cannella
Inviato: martedì 21 febbraio 2017, 0:06
Ti odio. Così quanto ti amo.
Da quel primo abbraccio lungo il fiume di una città dimenticata nel tempo, dopo la nostre chiacchierate durante le quali capivo la metà di quello che dicevi, per colpa di quel tuo fottuto modo di mangiare le lettere insieme alla voce roca e bassa per le troppe sigarette. Pronunciavi il mio nome come se lo incidessi sulla pelle nuda, con un pennino da calamaio antico e cesellato.
Ho amato anche quello. Così come l'ho odiato.
Sai, amavo il mare, anche più di te.
Ne amavo l’odore, la risacca, il sale, la spuma, le maree.
L'ho amato fino a quando ho sbattuto la faccia nel blu screziato dei tuoi occhi, rapiti dallo stesso colore di quello stesso mare dove ci bagnavamo insieme i piedi. Quel mare che cambiava tonalità a seconda della luce, nel tuo caso anche dell'umore.
Vedi, gli incontri alchemici come i nostri sono i più pericolosi, perché ti regalano schianti inevitabili. È inutile dire che in questi casi il dolore quasi lo brami. Perché te ne piace il sapore e il retrogusto è irrinunciabile. Il fatto è che c’era amore, tanto amore, sempre vincolato con identica proporzione ad altrettanto odio.
Amore di zenzero e cannella per tutto quello che provavo, e odio velenoso perché sentivo di non poterne farne a meno. La passione spesso è un oblio senza fine dalla quale non si esce in alcun modo.
Anche oggi, malgrado siano passate tante altre stagioni, quel brivido è ancora inciso a pelle, vivido più che mai.
Ancora amo e odio i sogni che mi hai lasciato come eredità scomoda, perché sono vividi nell’inconscio. Lo sono al punto tale da sembrare tangibili, e nel cuore delle notti mi fanno serrare le cosce alle lenzuola bianche di cotone ruvido, mi fanno strusciare come una plebea affamata e stanca, sporca di voglia e di parole da non sussurrare.
Ricordo bene a ogni sogno quel tuo trattarmi da puttana, bagnata di desideri ansimanti.
Nessun uomo che mi ha avuta dopo ha saputo coglierli come facevi tu, nel fondo di quel duello d’estasi velenosa dove ci siamo spinti.
Amavo e odiavo il tuo modo di fottermi anima e corpo, lasciandomi dentro e fuori i segni del tuo possesso; amavo e odiavo il tuo pompare duro dentro la mia carne, un supplizio così bello da regalarmi il piacere delle lacrime, fino a quando non diventavano amare.
Amavo e odiavo quel tuo girarmi a faccia sotto per montarmi, per fottermi. Dove finivi per lasciare i tuoi umori caldi che io accettavo come nettare di cui nutrirmi. Era poesia pura, una lirica inedita, mai cantata.
E in questa notte di pensieri sparsi ovunque, con le mani che ripercorrono veloci sulla tastiera quel sentimento di amore-odio che ci ha unito e diviso, a occhi chiusi ripercorro la marque che sento ancora e sempre in rilievo sulla schiena, quella dove hai inciso la colonna sonora del nostro viverci, e un lieve sentore di zenzero e cannella mi avvolge nuovamente, carico di poetica sensualità.
Da quel primo abbraccio lungo il fiume di una città dimenticata nel tempo, dopo la nostre chiacchierate durante le quali capivo la metà di quello che dicevi, per colpa di quel tuo fottuto modo di mangiare le lettere insieme alla voce roca e bassa per le troppe sigarette. Pronunciavi il mio nome come se lo incidessi sulla pelle nuda, con un pennino da calamaio antico e cesellato.
Ho amato anche quello. Così come l'ho odiato.
Sai, amavo il mare, anche più di te.
Ne amavo l’odore, la risacca, il sale, la spuma, le maree.
L'ho amato fino a quando ho sbattuto la faccia nel blu screziato dei tuoi occhi, rapiti dallo stesso colore di quello stesso mare dove ci bagnavamo insieme i piedi. Quel mare che cambiava tonalità a seconda della luce, nel tuo caso anche dell'umore.
Vedi, gli incontri alchemici come i nostri sono i più pericolosi, perché ti regalano schianti inevitabili. È inutile dire che in questi casi il dolore quasi lo brami. Perché te ne piace il sapore e il retrogusto è irrinunciabile. Il fatto è che c’era amore, tanto amore, sempre vincolato con identica proporzione ad altrettanto odio.
Amore di zenzero e cannella per tutto quello che provavo, e odio velenoso perché sentivo di non poterne farne a meno. La passione spesso è un oblio senza fine dalla quale non si esce in alcun modo.
Anche oggi, malgrado siano passate tante altre stagioni, quel brivido è ancora inciso a pelle, vivido più che mai.
Ancora amo e odio i sogni che mi hai lasciato come eredità scomoda, perché sono vividi nell’inconscio. Lo sono al punto tale da sembrare tangibili, e nel cuore delle notti mi fanno serrare le cosce alle lenzuola bianche di cotone ruvido, mi fanno strusciare come una plebea affamata e stanca, sporca di voglia e di parole da non sussurrare.
Ricordo bene a ogni sogno quel tuo trattarmi da puttana, bagnata di desideri ansimanti.
Nessun uomo che mi ha avuta dopo ha saputo coglierli come facevi tu, nel fondo di quel duello d’estasi velenosa dove ci siamo spinti.
Amavo e odiavo il tuo modo di fottermi anima e corpo, lasciandomi dentro e fuori i segni del tuo possesso; amavo e odiavo il tuo pompare duro dentro la mia carne, un supplizio così bello da regalarmi il piacere delle lacrime, fino a quando non diventavano amare.
Amavo e odiavo quel tuo girarmi a faccia sotto per montarmi, per fottermi. Dove finivi per lasciare i tuoi umori caldi che io accettavo come nettare di cui nutrirmi. Era poesia pura, una lirica inedita, mai cantata.
E in questa notte di pensieri sparsi ovunque, con le mani che ripercorrono veloci sulla tastiera quel sentimento di amore-odio che ci ha unito e diviso, a occhi chiusi ripercorro la marque che sento ancora e sempre in rilievo sulla schiena, quella dove hai inciso la colonna sonora del nostro viverci, e un lieve sentore di zenzero e cannella mi avvolge nuovamente, carico di poetica sensualità.