Eros
Inviato: martedì 21 febbraio 2017, 0:58
Eros tagliò il tappetino a pezzetti piccoli e li fece soffriggere nella casseruola grande, quella che usavano per cuocere il riso quando erano in casa tutti e undici. Aggiunse un po’ d’acqua, mise il coperchio e si preparò ad ascoltare un’oretta di sfrigolii mentre meditava su come procurarsi gli altri ingredienti.
Gli serviva del radicchio rosso, il tè ce l’aveva già, poi dei nasturzi. Non lo sapeva mica cosa fossero i nasturzi, l’italiano ancora lo masticava a fatica. Prese lo smartphone e scoprì che erano dei fiori. Li avrebbe chiesti l’indomani mattina alla signora che gli vendeva le rose. L’ultimo ingrediente era un sampietrino che avesse assistito alla nascita di un amore vero. Ah, e doveva pure pensare a come tritarlo.
Dopo aver finito di cuocere il tappeto a fiamma bella alta spense il fornello e uscì a cercare il sampietrino. Dov’è che la gente si innamora? Boh. E aveva anche scelto “Eros” come nome falso per espatriare. Era ovvio che sarebbe finito a vendere rose. O, meglio, a cercare di venderle. All’inizio era fiducioso, pensava di essere solo arrivato in un periodo infelice. Poi si era convinto che fosse la sua tecnica a essere imperfetta: i colleghi vendevano e lui no, quindi era evidente che sbagliava qualcosa. Poi quando anche a San Valentino non aveva ricevuto altro che rifiuti dalle otto di sera alle quattro di notte, si era rassegnato e aveva telefonato ai suoi, in Bangladesh. Inaspettatamente, sua madre sembrava intendersene di queste cose, ed era sicura che si trattasse di una maledizione. Diceva che con suo padre le cose non andavano molto bene, ed era probabilmente colpa loro se gli innamorati non compravano le sue rose. Tuttavia, a sentire lei, sua la prospettiva di riavvicinarsi a suo padre era molto più sgradevole di quella di un figlio disperato a migliaia di kilometri di distanza. Ragion per cui Eros si era rassegnato a chiedere aiuto a una vecchia che viveva in zona stazione e, a quanto dicevano, era una fattucchiera niente male. Ed è così che era finito a vagabondare lungo il fiume. Guardò a destra e a sinistra la strada illuminata dai lampioni, le spallette piene di ragazzi seduti, gli edifici antichi che si riflettevano nell’acqua come signore vezzose vestite a festa intente a controllarsi allo specchio, con bugnati e fastigi come abiti da ballo e baldanzosi cappelli, fregi e stucchi come collane e orecchini. Lì. Lì qualcuno doveva essersi innamorato. Sarebbe tornato di notte a prendere il suo sampietrino, avrebbe evocato il suo divino omonimo, e gliene avrebbe dette quattro. Gli prudevano le mani al solo pensiero.
Eros rientrò all’alba. In camera dormivano tutti, ma lui era scalzo e in quella topaia c’era una moquette che risaliva agli anni ’70 ma qualche lato positivo tutto sommato ce l’aveva. Mise l’arco e le frecce in un borsone di plastica sottile, avvolti nella giacca che usava in inverno. Infilò il borsone sotto al suo letto, si coricò e si mise a dormire, sorridendo. I greci. Avevano ragione i greci.
Gli serviva del radicchio rosso, il tè ce l’aveva già, poi dei nasturzi. Non lo sapeva mica cosa fossero i nasturzi, l’italiano ancora lo masticava a fatica. Prese lo smartphone e scoprì che erano dei fiori. Li avrebbe chiesti l’indomani mattina alla signora che gli vendeva le rose. L’ultimo ingrediente era un sampietrino che avesse assistito alla nascita di un amore vero. Ah, e doveva pure pensare a come tritarlo.
Dopo aver finito di cuocere il tappeto a fiamma bella alta spense il fornello e uscì a cercare il sampietrino. Dov’è che la gente si innamora? Boh. E aveva anche scelto “Eros” come nome falso per espatriare. Era ovvio che sarebbe finito a vendere rose. O, meglio, a cercare di venderle. All’inizio era fiducioso, pensava di essere solo arrivato in un periodo infelice. Poi si era convinto che fosse la sua tecnica a essere imperfetta: i colleghi vendevano e lui no, quindi era evidente che sbagliava qualcosa. Poi quando anche a San Valentino non aveva ricevuto altro che rifiuti dalle otto di sera alle quattro di notte, si era rassegnato e aveva telefonato ai suoi, in Bangladesh. Inaspettatamente, sua madre sembrava intendersene di queste cose, ed era sicura che si trattasse di una maledizione. Diceva che con suo padre le cose non andavano molto bene, ed era probabilmente colpa loro se gli innamorati non compravano le sue rose. Tuttavia, a sentire lei, sua la prospettiva di riavvicinarsi a suo padre era molto più sgradevole di quella di un figlio disperato a migliaia di kilometri di distanza. Ragion per cui Eros si era rassegnato a chiedere aiuto a una vecchia che viveva in zona stazione e, a quanto dicevano, era una fattucchiera niente male. Ed è così che era finito a vagabondare lungo il fiume. Guardò a destra e a sinistra la strada illuminata dai lampioni, le spallette piene di ragazzi seduti, gli edifici antichi che si riflettevano nell’acqua come signore vezzose vestite a festa intente a controllarsi allo specchio, con bugnati e fastigi come abiti da ballo e baldanzosi cappelli, fregi e stucchi come collane e orecchini. Lì. Lì qualcuno doveva essersi innamorato. Sarebbe tornato di notte a prendere il suo sampietrino, avrebbe evocato il suo divino omonimo, e gliene avrebbe dette quattro. Gli prudevano le mani al solo pensiero.
Eros rientrò all’alba. In camera dormivano tutti, ma lui era scalzo e in quella topaia c’era una moquette che risaliva agli anni ’70 ma qualche lato positivo tutto sommato ce l’aveva. Mise l’arco e le frecce in un borsone di plastica sottile, avvolti nella giacca che usava in inverno. Infilò il borsone sotto al suo letto, si coricò e si mise a dormire, sorridendo. I greci. Avevano ragione i greci.