Il muratore moldavo - SQUALIFICATO
Inviato: martedì 18 aprile 2017, 1:02
Spalanco gli occhi e nella poltrona gialla all’angolo siede lui, come sempre. Si gratta le mani, le unghie da madama; mi fissa, ha la pazienza dei fiumi e delle montagne. Con gli artigli si strappa la pelle dalle nocche, scrat scat, si lecca dove sanguina e succhia avido. Sorride, io non riesco a muovermi.
Ha un volto lungo, più lo guardo e più cresce. Occhi grigi, labbra rosse, si china in avanti su di me e io smetto di respirare. Non riesco a muovere le mani, non posso muovere i piedi. Gli lancio un’occhiata che grida pietà e le sue mani diventano ancora più grandi, ancora più lunghe.
Chiudo gli occhi, conto i secondi, uno e due e tre, riapro gli occhi e ora è di fronte a me. Inalo il suo alito, marlboro rosse e clementine. Il suo naso è sul mio, apre la bocca, sorride. Sugge il sangue, assapora.
Il suo sguardo si abbassa sul mio collo, respira e sputa fuori aria, la sua saliva calda mi cade sulla fronte.
Chiudo gli occhi, non lo devo guardare. Non lo devo fissare.
Sudo freddo, apro la bocca per urlare; silenzio. Il cuore mi pulsa in gola e lui lo sente bene, schiocca la lingua color pece. Scrat scrat, si lecca le mani, smangiucchia le pelli.
Con gli occhi serrati non so cosa faccia. Aspetto. Silenzio. Il mio sudore è sempre più gelido.
Aspetto.
Affonda il peso sulle mie cosce e si siede sul mio petto. Sento le sue natiche sul mio grembo, le sue mani di cartapesta si serrano attorno al mio collo.
Muoversi è un ricordo, mani e piedi sono marmo. Respiro poco e respiro fumo e mandarini, la sua stretta si fa più forte. Mi dimeno, i polmoni di fuoco. E poi smetto. Di provare a respirare, di dimenarmi. Lui è più forte.
Più smetto di lottare e più la sua presa si allenta. Apro gli occhi e il suo orrendo volto si fa sempre più piccolo.
Chiudo gli occhi, sono pronto per morire. Riapro e lui non c’è più. Finalmente posso controllare i piedi e le mani.
Il sole della mattina, il profumo di prato appena tagliato e pioggia di Settembre sono qui. Accanto a me Manila russa e sbava sul cuscino.
Le lenzuola sono zuppe di sudore. Per terra e sulla poltrona nulla. Il collo ancora mi fa male.
Ha un volto lungo, più lo guardo e più cresce. Occhi grigi, labbra rosse, si china in avanti su di me e io smetto di respirare. Non riesco a muovere le mani, non posso muovere i piedi. Gli lancio un’occhiata che grida pietà e le sue mani diventano ancora più grandi, ancora più lunghe.
Chiudo gli occhi, conto i secondi, uno e due e tre, riapro gli occhi e ora è di fronte a me. Inalo il suo alito, marlboro rosse e clementine. Il suo naso è sul mio, apre la bocca, sorride. Sugge il sangue, assapora.
Il suo sguardo si abbassa sul mio collo, respira e sputa fuori aria, la sua saliva calda mi cade sulla fronte.
Chiudo gli occhi, non lo devo guardare. Non lo devo fissare.
Sudo freddo, apro la bocca per urlare; silenzio. Il cuore mi pulsa in gola e lui lo sente bene, schiocca la lingua color pece. Scrat scrat, si lecca le mani, smangiucchia le pelli.
Con gli occhi serrati non so cosa faccia. Aspetto. Silenzio. Il mio sudore è sempre più gelido.
Aspetto.
Affonda il peso sulle mie cosce e si siede sul mio petto. Sento le sue natiche sul mio grembo, le sue mani di cartapesta si serrano attorno al mio collo.
Muoversi è un ricordo, mani e piedi sono marmo. Respiro poco e respiro fumo e mandarini, la sua stretta si fa più forte. Mi dimeno, i polmoni di fuoco. E poi smetto. Di provare a respirare, di dimenarmi. Lui è più forte.
Più smetto di lottare e più la sua presa si allenta. Apro gli occhi e il suo orrendo volto si fa sempre più piccolo.
Chiudo gli occhi, sono pronto per morire. Riapro e lui non c’è più. Finalmente posso controllare i piedi e le mani.
Il sole della mattina, il profumo di prato appena tagliato e pioggia di Settembre sono qui. Accanto a me Manila russa e sbava sul cuscino.
Le lenzuola sono zuppe di sudore. Per terra e sulla poltrona nulla. Il collo ancora mi fa male.