Transizione
Inviato: mercoledì 29 novembre 2017, 0:47
La porta si schiuse, recalcitrante, e un vento polare introdusse un rigido profilo inchiodato sull’uscio.
Dalle sue spalle una densa luce invase la piccola stanza, facendo appena in tempo ad aprire una finestra di sangue sulla parete antistante, prima che l’uomo richiudesse il mondo dietro di sè.
Celati dalle tenebre, i suoi occhi emanavano un ghigno divertito, le mani strette a soffocare una lucida borsa in pelle marrone.
Di fronte a lui, uno scampolo di esistenza recisa dalla vita ormai da anni. Anni spesi ad ascoltare il proprio corpo inseguire vanamente il meritato riposo.
Aveva imparato a conoscere bene la proprio ineluttabile fisiologia trascinarsi senza ragione, ogni singolo giorno.
Aveva uno sguardo contratto e madido di sudore, dietro cui si nascondeva solo il vuoto, vicario terminale di una mente malata di dolore.
Solo una flebile perturbazione dava una collocazione temporale a quel momento: l’aveva sondata a fondo ultimamente.
Forse quella sarebbe stata la volta buona.
L’uomo si avvicinò con passo flemmatico, consumando in poche parole tese tra due avide labbra un consunto rituale:
“Ciao Piergiorgio, sei pronto per la lezione di oggi?”
Ma Piegiorgio non sentiva né vedeva più niente al di fuori della proiezione interiore del suo corpo. Anche perché confrontarsi visivamente con quel fisico, meticolosamente martoriato in ogni distretto con la finalità esclusiva di raggiungere un perfetto bilancio tra distruzione e sopravvivenza non sarebbe stato tollerabile. Neppure le catene, neppure il tavolo che lo confinavano in quel limbo infernale avevano più alcuna valenza. Stava spremendo ogni residuo centimetro delle sue membra nella disperata ricerca di una conferma.
Nel frattempo il suo aguzzino aveva già disposto delicatamente i ferri del mestiere sul tavolo, mentre con estrema concentrazione pianificava nella sua mente gli interventi da svolgere. Dunque riprese parola, con la sua classica voce compìta che preludeva l’inferno:
“Oggi ci aspetta una lezione molto interessante, dissezioneremo i muscoli del canale inguinale. Non temere, non sarà nulla di particolarmente complesso.” Chiosò penetrando con il bisturi tra le migliaia di cicatrici che costellavano la parte inferiore del suo addome.
Ma Piergiorgio non emise neppure un grido, il dolore atroce era ormai un ordinario sfondo alla sua ricerca esistenziale, un lacerante ponte che lo collegava alla realtà, sotto cui scorreva in impetuoso silenzio il flusso della biologia, quell’architettura perfetta di equilibri che custodiscono la vita, anche quando questa non esiste più.
Fu il cuore ad avvertirlo.
Un lampo, una sensazione di sconfinato potere lo pervase; e quella frazione di secondo che coronava il traguardo colpì come una frustata anche il suo aguzzino.
Terrorizzato, l’uomo perse il controllo.
“Non può finire sempre così!” latrò ebbro di follia; il suo corpo era già scattato, come in un riflesso condizionato, infierendo bestialmente su quel minuscolo corpo non ancora adolescente. Ma ormai solo un sorriso beffardo era rimasto scolpito tra le righe della morte che lo fissava. Eppure l’uomo non si fermò, non riusciva a fermarsi, e materializzando brandelli di carne, zampilli di sangue e lacrime tra le sue mani, implorava senza requie di non lasciarlo. Non poteva finire così, non un’altra volta.
Si svegliò urlando, le mani disinibite si muovevano riprendendo contatto con l’intero corpo, la mente fulminata provava a focalizzare il ritratto che ogni mattina fronteggiava i suoi risvegli.
Quella mattina ci volle non poco per calmarsi.
Un nuovo giorno incombeva, doveva solo arrivare fino alla prossima notte, fino alla prossima vittima.
Scese rapidamente dal letto senza darsi ulteriore tempo di pensiero, e diede via alla routine del quotidiano. Bagno, colazione, armadio e fuori dal proprio incubo.
Mentre varcava la soglia, riprese contatto con il mondo. E subito un pensiero lo colse.
Tornò sui suoi passi, raggiunse la scrivania e si appropriò del plico di verifiche da riconsegnare ai ragazzi.
Un ultimo sguardo di fronte al letto al ritratto di sua madre, ultima testimonianza di una vita lasciata crudelmente annegare in semplice esistenza tra le sorde pareti di un ospedale. Con un sospiro, l’uomo imboccò l’uscio.
E in un attimo fu di nuovo tra noi.
Dalle sue spalle una densa luce invase la piccola stanza, facendo appena in tempo ad aprire una finestra di sangue sulla parete antistante, prima che l’uomo richiudesse il mondo dietro di sè.
Celati dalle tenebre, i suoi occhi emanavano un ghigno divertito, le mani strette a soffocare una lucida borsa in pelle marrone.
Di fronte a lui, uno scampolo di esistenza recisa dalla vita ormai da anni. Anni spesi ad ascoltare il proprio corpo inseguire vanamente il meritato riposo.
Aveva imparato a conoscere bene la proprio ineluttabile fisiologia trascinarsi senza ragione, ogni singolo giorno.
Aveva uno sguardo contratto e madido di sudore, dietro cui si nascondeva solo il vuoto, vicario terminale di una mente malata di dolore.
Solo una flebile perturbazione dava una collocazione temporale a quel momento: l’aveva sondata a fondo ultimamente.
Forse quella sarebbe stata la volta buona.
L’uomo si avvicinò con passo flemmatico, consumando in poche parole tese tra due avide labbra un consunto rituale:
“Ciao Piergiorgio, sei pronto per la lezione di oggi?”
Ma Piegiorgio non sentiva né vedeva più niente al di fuori della proiezione interiore del suo corpo. Anche perché confrontarsi visivamente con quel fisico, meticolosamente martoriato in ogni distretto con la finalità esclusiva di raggiungere un perfetto bilancio tra distruzione e sopravvivenza non sarebbe stato tollerabile. Neppure le catene, neppure il tavolo che lo confinavano in quel limbo infernale avevano più alcuna valenza. Stava spremendo ogni residuo centimetro delle sue membra nella disperata ricerca di una conferma.
Nel frattempo il suo aguzzino aveva già disposto delicatamente i ferri del mestiere sul tavolo, mentre con estrema concentrazione pianificava nella sua mente gli interventi da svolgere. Dunque riprese parola, con la sua classica voce compìta che preludeva l’inferno:
“Oggi ci aspetta una lezione molto interessante, dissezioneremo i muscoli del canale inguinale. Non temere, non sarà nulla di particolarmente complesso.” Chiosò penetrando con il bisturi tra le migliaia di cicatrici che costellavano la parte inferiore del suo addome.
Ma Piergiorgio non emise neppure un grido, il dolore atroce era ormai un ordinario sfondo alla sua ricerca esistenziale, un lacerante ponte che lo collegava alla realtà, sotto cui scorreva in impetuoso silenzio il flusso della biologia, quell’architettura perfetta di equilibri che custodiscono la vita, anche quando questa non esiste più.
Fu il cuore ad avvertirlo.
Un lampo, una sensazione di sconfinato potere lo pervase; e quella frazione di secondo che coronava il traguardo colpì come una frustata anche il suo aguzzino.
Terrorizzato, l’uomo perse il controllo.
“Non può finire sempre così!” latrò ebbro di follia; il suo corpo era già scattato, come in un riflesso condizionato, infierendo bestialmente su quel minuscolo corpo non ancora adolescente. Ma ormai solo un sorriso beffardo era rimasto scolpito tra le righe della morte che lo fissava. Eppure l’uomo non si fermò, non riusciva a fermarsi, e materializzando brandelli di carne, zampilli di sangue e lacrime tra le sue mani, implorava senza requie di non lasciarlo. Non poteva finire così, non un’altra volta.
Si svegliò urlando, le mani disinibite si muovevano riprendendo contatto con l’intero corpo, la mente fulminata provava a focalizzare il ritratto che ogni mattina fronteggiava i suoi risvegli.
Quella mattina ci volle non poco per calmarsi.
Un nuovo giorno incombeva, doveva solo arrivare fino alla prossima notte, fino alla prossima vittima.
Scese rapidamente dal letto senza darsi ulteriore tempo di pensiero, e diede via alla routine del quotidiano. Bagno, colazione, armadio e fuori dal proprio incubo.
Mentre varcava la soglia, riprese contatto con il mondo. E subito un pensiero lo colse.
Tornò sui suoi passi, raggiunse la scrivania e si appropriò del plico di verifiche da riconsegnare ai ragazzi.
Un ultimo sguardo di fronte al letto al ritratto di sua madre, ultima testimonianza di una vita lasciata crudelmente annegare in semplice esistenza tra le sorde pareti di un ospedale. Con un sospiro, l’uomo imboccò l’uscio.
E in un attimo fu di nuovo tra noi.