Regressione (da La sfida a Né a Dio né al Diavolo)
Inviato: martedì 6 novembre 2018, 11:31
Regressione
di Marco Travaglini
Cristiano posteggiò la sua C3 sul bordo del pianoro, dopo essere passato sopra almeno un paio di grosse radici sporgenti.
«La potevi lasciare anche sulla strada, non si sarebbe lamentato nessuno» disse Rebecca sganciandosi la cinta.
«E perché? Con un paio di manovre siamo perfettamente allineati al ciglio della strada, dove è previsto che vengano lasciate le auto» rispose Cristiano, fermando con la mano il crocifisso che ancora ballava sotto lo specchietto.
«Vabbè Cri, lasciamo perdere. Guarda un po’ qui invece.» Prese una ciocca da dietro l’orecchio destro e la mise in mostra.
«L’hai colorata? I tuoi non ti faranno storie?»
«Bah, chi se ne frega, tanto a loro non va bene mai niente di quello che faccio. Ma speravo che almeno a te sarebbe piaciuta. A Bologna ero l’unica a non aver mai tinto i capelli, volevo provare, anche se questo rosso andrà via con tre o quattro lavaggi.»
Si fece improvvisamente seria in volto e si accostò a Cristiano.
«Sai che succede se la guardi da vicino?»
«In che senso?»
«Guardala bene.»
Un po’ titubante, Cristiano si avvicinò alla ciocca. All’improvviso la ragazza girò la testa e lui si sentì qualcosa di umido dentro l’orecchio. Un brivido di piacere gli percorse tutta la spina dorsale. Rebecca si lasciò andare ad un risolino di soddisfazione, poi continuò a girare la lingua nel suo orecchio, mentre con una mano gli accarezzava il braccio. I peli, dritti per la pelle d’oca, si abbassavano al passaggio del palmo della ragazza, solo per scattare sull’attenti subito dopo. Cristiano non pensava a niente, si godeva quella piccola trasgressione. Rebecca staccò la mano dal suo braccio e la posò sulla gamba destra, cominciando a risalire. Cristiano iniziò a sentirsi a disagio. La ragazza arrivò a sfiorare la sua erezione.
«No, basta così» disse scostandole la mano.
«Perché?»
«Lo sai che non dobbiamo.»
Rebecca lo squadrò. Indicò l’escrescenza in mezzo ai pantaloni. «A lui non dispiaceva, però.»
«Dai Rebe, non voglio. E poi che succederebbe se ci vedesse qualcuno e la voce arrivasse in parrocchia?»
«Ma chi vuoi che passi qui, nel bel mezzo del nulla, a quest’ora di notte?»
«Per favore, dai. Non passiamo il poco tempo che abbiamo a litigare, che da quando sei andata all’università non ci vediamo mai.»
«Va bene, va bene, bacchettone. Allora visto che non ci vediamo da un po’ ti ho portato una cosa» disse porgendogli un pacchetto infiocchettato.
Cristiano prese il regalo. «Ma io non ti ho preso niente.»
«E allora? Dai aprilo, aprilo!»
Cristiano tolse la carta argentata e si ritrovò tra le mani un CD. Dream Theater, Metropolis pt.2: scenes from a memory.
«Che musica è?»
«Progressive Metal.»
«Ma Rebe, lo sai che i miei non vogliono che io ascolti questa roba, perché mi vuoi sempre mettere nei guai?»
«Perché vorrei che aprissi un po’ la mente ogni tanto» rispose sospirando. «Questa “roba” è uno dei migliori concept album di sempre. Inoltre parla di regressione, lo sai che è un argomento che mi sta molto a cuore.»
«E tu, invece, sai che ciò che ha a che fare con la reincarnazione va contro tutto quello in cui credo,» la guardò di sottecchi, «e in cui dovresti credere anche tu.»
«Ma perché devi essere sempre così… quadrato» disse mimando la figura con le mani. «Sembra di sentir parlare i tuoi genitori. “È peccato, è proibito, e la parrocchia e il credo.” E che palle!» Si girò dalla parte opposta a braccia conserte.
Cristiano la guardava indeciso. Le voleva bene, erano praticamente cresciuti insieme, ma con gli anni lei si era allontanata dalla vita parrocchiale. Doveva sempre provare cose diverse, mettere in dubbio tutto. Perché non poteva semplicemente fare come gli altri e avere fede nella Chiesa? No, lei era come San Tommaso, doveva infilare le sue dita dentro ogni piaga, e ogni volta sembrava divertirsi a metterlo in difficoltà.
Però, in fondo, era sempre la sua Rebe. Non avevano mai modo di vedersi ultimamente e se gli aveva fatto quel regalo magari per lei era importante.
Cristiano aprì la custodia e inserì il CD nell’autoradio.
Rebecca si girò di scatto regalandogli il più splendido dei sorrisi e prese il libricino dalla custodia del CD.
«Allora senti qui,» disse indicando la prima pagina, «in questo brano Nicholas, il protagonista, si reca da un ipnoterapeuta perché è tormentato dagli incubi e si ritrova a rivivere episodi di una vita passata.»
«Pure l’ipnosi.»
«Vabbè tu fai finta di crederci e goditi questo capolavoro, ok?»
«Ci provo» rispose Cristiano, mentre il ticchettio di un orologio cominciava a diffondersi dagli altoparlanti. Si ritrovò a chiudere gli occhi.
«Sono sicura che ti piacerà» gli sussurrò Rebecca vicino all’orecchio.
Di nuovo la pelle d’oca. Cristiano si abbandonò alla musica con una strana sensazione di benessere.
Apro gli occhi: mura di pietra intorno a me, umidità e odore di incenso. Mi appoggio con una mano a una colonna. Indosso delle vesti raffinate, antiche. Sento di dover cercare qualcosa. No, qualcuno. Sì ora è tutto chiaro. Mi sporgo a guardare.
Eccoli lì, i due viscidi. Infami. INFAMI! Oggi farete la comunione col diavolo.
Si avvicina un ragazzo. «Mia signora, abbiamo controllato tutta la cripta,» mi sussurra, «ci sono solo due mercanti nella navata laterale, ma non sono guelfi, non si intrometteranno. Il priore e suo fratello sono assorti nella preghiera davanti ai resti del patrono e non hanno né servi né bastoni con loro.»
«Molto bene Branca, molto bene. Andiamo a prendere i nostri strumenti.»
Mi infilo nel buio nelle catacombe. Odore di muffa e putrefazione. Uno, due, tre, quattro. Il cunicolo dovrebbe essere questo. Tasto all’altezza del terzo cubicolo dal basso. Ecco, lo stemma inciso: le spighe e gli elmi. Provo a tirare la pietra: si smuove.
«Aiutami Branca, adagio» bisbiglio.
A tentoni segue il mio braccio e riusciamo a togliere la pietra. Rumore di passi furtivi. Sono arrivati anche gli altri. Mi sembrano pochi.
«Chi manca?»
«Cecco, non se l’è sentita. Aveva paura di avere l’anima dannata quando ha saputo che li avremmo attaccati dentro il duomo.»
Bene, magari gli farà piacere diventare un martire allora.
Branca ci passa gli stiletti.
«Lascia quello di Cecco al suo posto.»
«Come desiderate, madonna.»
Ci avviamo alla cappella centrale. I due fratelli sono in ginocchio, separati. Oddo è dietro, sulla destra. I miei si piazzano alle sue spalle. Branca si mette dietro al priore. Lentamente vado a mettermi davanti, in piedi, la lama celata sotto la veste. Mi abbasso il cappuccio. Passano pochi istanti. Si alza e mi sento afferrare il braccio.
«Come osi, donna, metterti a pregare davanti al priore di San Marco?» C’è irritazione nella sua voce.
Mi volto, accennando un sorriso all’angolo della bocca. «Melchiorre.»
Con una mossa repentina, la mano grassoccia che mi tratteneva da padrona diventa schiava. Do uno strattone e il priore è di nuovo in ginocchio. Dall’altra parte i miei uomini immobilizzano suo fratello. Sfodero la lama. Melchiorre ansima, si rialza in piedi. Branca prontamente gli agguanta le braccia, bloccandolo. Gli afferro i capelli e punto lo stiletto sotto la mandibola.
Melchiorre mi guarda. I nostri volti non sono mai stati così vicini. Nei suoi occhi non c’è più la sicurezza del nobile contro una donna indifesa. No, ora c’è paura. La paura del vigliacco contro il guerriero.
«Flavia, nemmeno tu puoi arrivare a tanto.» Deglutisce. «Dentro una chiesa, al cospetto di Dio e Sant’Emidio, tu non puoi...»
«Taci, infame!» Aumento la pressione dello stiletto, una goccia di sangue inizia a colare sulla lama. «Taci! Lurido, viscido cane. Non ti importa delle donne e dei bambini che hai fatto morire, vero? Non hai sentito le loro urla, mentre il mio palazzo bruciava per un tuo ordine. Ma stasera… stasera sarai tu a bruciare tra le fiamme dell’inferno!»
Spingo con forza la lama verso l’alto e la conficco nelle sue carni. Un fiotto di sangue mi imbratta mano e veste, rendendo scivolosa la presa. Dall’altra parte Oddo urla, i miei uomini lo zittiscono per sempre. Mi pulisco la mano sulla veste, strappo lo stiletto di mano a Branca e lo infilzo con violenza nell’occhio di Melchiorre ormai steso al suolo, esanime.
Muori, infame. Questa città non sarà mai vostra.
«Oddio, oddio, oddio!»
«Non imprecare, Rebe.»
«Ma ti rendi conto?» La ragazza gesticolava in preda all’esaltazione. «Hai avuto una regressione spontanea! Tu, razza di un… quadrato scettico.»
«Non so, forse stavo solo parlando nel sonno.» Cristiano era confuso, continuava a stropicciarsi gli occhi. In sottofondo un assolo di chitarra che non riconosceva.
«Ma dai Cri, non dire scemenze, ma ti sei sentito mentre parlavi? Tutto quell’odio, tutta quella rabbia. Non eri tu. Era una tua vita passata! E credo anche di sapere chi. Portavano vestiti rinascimentali?»
«Eh?»
«Quelli che hai assassinato.»
«Oh, oh. Ma che cazzo dici? Io non ho assassinato nessuno!»
«Uh, addirittura tu che dici una parolaccia? Devi essere proprio scosso. Allora ce li avevano o no?»
«Non lo so. Sembravano vestiti medievali, ma molto sfarzosi.»
«Oddio!»
«Rebe...»
«Dai è palese: in una vita precedente eri Flavia Guiderocchi!»
«Chi?»
«Ma non l’hai studiata un po’ di storia della tua città? Ma certo, sei un uomo, cosa te poteva fregare della donna guerriera di Ascoli.» Si prese il mento tra le mani, pensierosa. «Sì sì, ha tutto un senso. Lo vedi che ora sei l’esatto opposto? Sei tutto casa e chiesa. Devi espiare l’omicidio di quei… come si chiamavano?»
«Sgariglia» Cristiano pronunciò quel nome con odio.
Rebecca lo guardava dritto negli occhi. «Lo sai, vero, che non avevi mai detto il loro cognome durante quello che tu chiami sogno?»
Cristiano ora era completamente disorientato. Si voltò verso il finestrino, cercando di far sbollire rabbia e adrenalina che gli scorrevano ancora in corpo. Doveva capire. Doveva parlarne con qualcuno che lo rassicurasse.
Mise in moto la macchina.
Un’idea si fece strada improvvisa nella sua testa.
«Dimmi solo una cosa, Rebe. Questa storia non è vera, non deve, non può essere vera», guardò la ragazza dritta negli occhi. «Ma se lo fosse, potrei» Cristiano non riusciva quasi a dirlo, quel pensiero andava contro ogni precetto della sua religione. «Forse, con un po’ di prove, potrei rivivere al tempo di Cristo? Magari durante la resurrezione, così da poter finalmente dimostrare che...»
Rebecca gli afferrò il braccio. «No Cri, non hai capito niente. Non è una macchina del tempo in cui tu decidi la destinazione, non è così che funziona. Guardami Cri. Rivivi solo le tue vite passate, e lo fai solo se c’è stato qualche trauma che ti porti dietro anche in questa vita, come nel caso di Flavia e della sua orrenda vendetta. È già stupefacente che in una tua vita passata tu fossi qualcuno di vagamente famoso. Probabilmente al tempo di Cristo eri un contadino in qualche paesino sperduto. Non ci pensare per niente di andare alla ricerca di qualcosa di preciso, capito?»
«Ma se io rimettessi questa traccia del CD e mi concentrassi su quel periodo magari...»
«No, no e no! Sai che succederebbe se ci provassi? La tua mente inventerebbe tutto di sana pianta. Fabbricherebbe un falso ricordo, le sensazioni sarebbero diverse, meno reali, insomma non sarebbe come il ricordo che hai appena vissuto, in cui credevi veramente di essere lì, in quel tempo. Sarebbe più tipo un sogno. Non devi farlo da solo. Se proprio vuoi rifarlo, proviamoci insieme, così riuscirò a farti capire la differenza, capito?» Rebecca ora lo guardava preoccupata. «Mi hai capito?»
«Va bene,» rispose Cristiano poco convinto, «ora ti riporto a casa.»
Don Bastiano lo guardava con occhi severi. Seduto, i gomiti appoggiati sul tavolo, con una mano si copriva la bocca. Cristiano, seduto dirimpetto, si sfogava nervosamente contro una pellicina sul suo indice: raccontare tutto non aveva avuto il solito effetto benefico della confessione.
«Cristiano, figliolo mio,» esordì finalmente il sacerdote, «tutti ad un certo punto veniamo messi alla prova dal Signore. Tutti.» Si massaggiava l’anello che portava all’anulare mentre parlava.
Si alzò in piedi e si girò di spalle, le mani intrecciate dietro la schiena.
«Mi chiedevo, sinceramente, se questo momento sarebbe mai arrivato per te. Sei sempre stato molto diligente, i tuoi genitori ti hanno sempre guidato sul cammino del Signore.»
Si voltò e tornò a guardarlo.
«Ed era proprio questa la mia paura, hai mai davvero riflettuto su cosa sia la fede? O ti sei limitato a imboccare la via che gli altri ti indicavano?»
Cristiano distolse lo sguardo, mettendosi a fissare una mattonella del pavimento della casa canonica. Aveva trovato un accusatore là dove aveva cercato sicurezza e ora non aveva la forza di incrociare i suoi occhi.
«Quando il sentiero è smarrito, è la fede a farcelo ritrovare. E tu hai smarrito il sentiero, questo è evidente. Non è tanto il tarlo del tuo dubbio a farmi paura, ma il trasporto con cui me ne hai parlato. Lo sai che la reincarnazione per noi cattolici non esiste, per noi sacerdoti è addirittura proibito parlarne. Solo Cristo, solo lui è risorto.»
«Certo padre, lo so. Ma la resurrezione è una cosa diversa da quello che...»
«No! Ti ascolti? Nelle tue parole, quando mi hai raccontato tutto, c’era convinzione che quegli avvenimenti fossero addirittura veri. Questa è blasfemia.»
Cristiano si sentì rosso di vergogna. Nemmeno quando veniva sgridato da bambino aveva sentito tanta contrarietà nel tono di Don Bastiano.
«In queste condizioni, io sono… costretto» allargò le braccia in un gesto di impotenza. «Devo sospenderti dal corso di teologia. Lo capisci vero?»
Cristiano annuì.
«Ora vai in chiesa a riflettere, raccogliti in preghiera e partecipa al Santo Rosario quando inizierà. Domani parleremo di nuovo.»
«Grazie, Don Bastiano» rispose Cristiano, senza avere ancora il coraggio di alzare lo sguardo.
Era combattuto. Da una parte voleva e doveva considerare tutto questo nulla più di un sogno. L’unica resurrezione era quella di Cristo, su questo non aveva alcun dubbio. Ma le sensazioni che aveva provato erano così reali, così profonde. Quando provava ad afferrare la vastità di ciò che aveva vissuto la notte precedente, si sentiva mancare la terra sotto i piedi.
Entrò nel Duomo di Sant’Emidio e si fece il segno della croce. Si diresse come suo solito verso la Cappella del Sacramento, per adempiere alle indicazioni di Don Bastiano, ma lungo il tragitto incrociò le scale che portavano verso la cripta. Il richiamo fu troppo forte. Senza guardare nessuno le scese velocemente. Un cordone sbarrava l’uscio. Cristiano si fermò e fece per andarsene, ma la sensazione di vita e paura avvampò dentro di lui. Sganciò il cordone ed entrò, nonostante il divieto, dirigendosi verso le catacombe. Quarto cunicolo, terzo cubicolo dal basso. Uno stemma consumato dal tempo: su due quadranti un elmo, sugli altri due le spighe di grano. Lo stemma dei Guiderocchi, l’aveva visto su Wikipedia. Cristiano toccò la pietra: non si muoveva. Il suo respiro rallentò, l’universo ritornò al suo posto. Provò un secondo strattone, più forte, per sicurezza. La pietra si mosse. Il cuore gli salì in gola. Si aggrappò con tutte le sue forze a quel pezzo di mondo, smuovendolo a destra e a sinistra, graffiando la terra intorno, ferendosi e tirando, come se dietro quella pietra ci fosse celato il segreto della vita stessa. La pietra cadde a terra. Cristiano si avvicinò alla cavità e tastò al suo interno: vuoto.
L’aria entrava dal finestrino aperto, mentre Cristiano percorreva la strada verso il pianoro del colle San Marco. Il terrore e la sensazione di vuoto gli opprimevano il petto. Non c’era nessuna lama all’interno dello scomparto segreto, ma la pietra e lo stemma erano esattamente là dove dovevano essere.
I discorsi che Rebecca gli aveva fatto sulla reincarnazione nei mesi precedenti, adesso, non sembravano più sciocchezze campate per aria. Le parole di Don Bastiano invece, erano le stesse che avrebbe usato lui, se non avesse vissuto quell’esperienza. Ma l’aveva vissuta, e ora non era sicuro più di niente.
Parcheggiò nello stesso punto della notte precedente, sotto la stessa luna. Chiuse il finestrino e accese l’autoradio, facendo partire la prima traccia. Si sforzava di concentrarsi nonostante l’ansia. Il freddo, che era entrato nell’abitacolo, gli faceva battere i denti. Chiuse gli occhi, serrandoli. La voce narrante della canzone aveva terminato il conto alla rovescia, una voce chiara iniziò a cantare. Cristiano aprì gli occhi e fece ripartire la traccia dall’inizio. Le sue dita tamburellavano nervosamente sul bracciolo. Una civetta su un albero vicino iniziò a cantare. Cristiano scese dalla macchina, prese una pietra e gliela scagliò contro, facendola volare via. Di nuovo in macchina, di nuovo traccia uno. Reclinò il sedile e si stese. Provò con dei respiri profondi. Dieci, nove, otto…
Sì, stavolta aveva funzionato. Se lo sentiva, era nell’epoca giusta, nonostante quello che diceva Rebecca. Magari era un soldato romano. Come si chiamava quello che trafisse il costato di Cristo? Sì, sarebbe potuto essere Cassio Longino. Ecco, riusciva a sentire l’elmo sul suo capo e il gladio al suo fianco.
Il commilitone arrivò di corsa alle sue spalle, fermandosi con le mani sulle ginocchia per il fiatone. I ladri erano scappati, irraggiungibili ormai. Cassio Longino scalciò via una pietra, con un gesto di stizza. Fece segno al suo compagno di seguirlo mentre tornava verso il sepolcro. Si lasciò cadere al suo interno, premendosi i palmi contro gli occhi.
Quella maledetta civetta era di nuovo tornata a cantare sull’albero lì vicino e gli faceva scoppiare le tempie.
Il prefetto li avrebbe fatti fustigare, nella migliore delle ipotesi. Asciugò il sudore sul volto con la sindone che giaceva ai suoi piedi. Si alzò e andò a controllare la pietra. Guardò di nuovo il sudario che aveva lasciato per terra, lo sporco e il sudore avevano creato uno strano effetto sulla tela, riusciva quasi a distinguere i lineamenti del suo volto.
La musica gli ronzava in testa, un assolo di chitarra che aveva già sentito.
«Publio Terenzio, procurati altre funi, possiamo rifare il sigillo. Il prefetto non dovrà mai sapere che i giudei hanno aperto il sepolcro e trafugato il corpo del nazareno.»
Cristiano si svegliò in un bagno di sudore. Non riusciva a rialzarsi. Gli sembrava di cadere dentro sé stesso, senza più nulla a cui aggrapparsi. Quella maledetta civetta era di nuovo tornata a cantare sull’albero lì vicino e gli faceva scoppiare le tempie. L’intestino aveva smesso di rispondere ai suoi comandi e gli procurava fitte lancinanti. Aprì il finestrino per prendere aria. Cercò di tirarsi su, aggrappandosi al volante della macchina. Le mani tremavano. Il crocifisso, appeso allo specchietto retrovisore, dondolava. Cristiano lo fissò: tutta la sua vita era stata costruita intorno a quel simbolo, e, forse, anche le vite precedenti. Lo strappò con violenza e lo gettò dal finestrino. Come avrebbe potuto continuare guardare i suoi genitori in faccia? Come avrebbe potuto continuare a frequentare la chiesa o parlare di teologia? Ora che sapeva, ora che tutto era chiaro, ora che la grande menzogna della resurrezione era rivelata. Ed era su di lui, su una sua vita passata che ricadeva la responsabilità di un inganno di duemila anni. Era tutta colpa sua, di Cristiano Traini, di Flavia Guiderocchi, di Cassio Longino: tanti nomi, una sola anima dannata.
Mise in moto la macchina. La musica non si era mai fermata. Maledisse quel CD e maledisse Rebecca. Andassero al diavolo, o chi per lui a questo punto.
Affrontò il primo tornante a velocità sostenuta, mentre scendeva dal colle.
Quanto sarebbe stato meglio non sapere, vivere nell’ignoranza. Forse per quello la reincarnazione era argomento tabù. Forse era davvero tutto un percorso di espiazione di quel peccato originale.
Il cartello indicava il secondo tornante, velocità massima trenta chilometri orari. Cristiano accelerò. La curva arrivò velocemente, la macchina prese il volo sopra la scarpata. Tutto rimandato alla prossima vita.
di Marco Travaglini
Cristiano posteggiò la sua C3 sul bordo del pianoro, dopo essere passato sopra almeno un paio di grosse radici sporgenti.
«La potevi lasciare anche sulla strada, non si sarebbe lamentato nessuno» disse Rebecca sganciandosi la cinta.
«E perché? Con un paio di manovre siamo perfettamente allineati al ciglio della strada, dove è previsto che vengano lasciate le auto» rispose Cristiano, fermando con la mano il crocifisso che ancora ballava sotto lo specchietto.
«Vabbè Cri, lasciamo perdere. Guarda un po’ qui invece.» Prese una ciocca da dietro l’orecchio destro e la mise in mostra.
«L’hai colorata? I tuoi non ti faranno storie?»
«Bah, chi se ne frega, tanto a loro non va bene mai niente di quello che faccio. Ma speravo che almeno a te sarebbe piaciuta. A Bologna ero l’unica a non aver mai tinto i capelli, volevo provare, anche se questo rosso andrà via con tre o quattro lavaggi.»
Si fece improvvisamente seria in volto e si accostò a Cristiano.
«Sai che succede se la guardi da vicino?»
«In che senso?»
«Guardala bene.»
Un po’ titubante, Cristiano si avvicinò alla ciocca. All’improvviso la ragazza girò la testa e lui si sentì qualcosa di umido dentro l’orecchio. Un brivido di piacere gli percorse tutta la spina dorsale. Rebecca si lasciò andare ad un risolino di soddisfazione, poi continuò a girare la lingua nel suo orecchio, mentre con una mano gli accarezzava il braccio. I peli, dritti per la pelle d’oca, si abbassavano al passaggio del palmo della ragazza, solo per scattare sull’attenti subito dopo. Cristiano non pensava a niente, si godeva quella piccola trasgressione. Rebecca staccò la mano dal suo braccio e la posò sulla gamba destra, cominciando a risalire. Cristiano iniziò a sentirsi a disagio. La ragazza arrivò a sfiorare la sua erezione.
«No, basta così» disse scostandole la mano.
«Perché?»
«Lo sai che non dobbiamo.»
Rebecca lo squadrò. Indicò l’escrescenza in mezzo ai pantaloni. «A lui non dispiaceva, però.»
«Dai Rebe, non voglio. E poi che succederebbe se ci vedesse qualcuno e la voce arrivasse in parrocchia?»
«Ma chi vuoi che passi qui, nel bel mezzo del nulla, a quest’ora di notte?»
«Per favore, dai. Non passiamo il poco tempo che abbiamo a litigare, che da quando sei andata all’università non ci vediamo mai.»
«Va bene, va bene, bacchettone. Allora visto che non ci vediamo da un po’ ti ho portato una cosa» disse porgendogli un pacchetto infiocchettato.
Cristiano prese il regalo. «Ma io non ti ho preso niente.»
«E allora? Dai aprilo, aprilo!»
Cristiano tolse la carta argentata e si ritrovò tra le mani un CD. Dream Theater, Metropolis pt.2: scenes from a memory.
«Che musica è?»
«Progressive Metal.»
«Ma Rebe, lo sai che i miei non vogliono che io ascolti questa roba, perché mi vuoi sempre mettere nei guai?»
«Perché vorrei che aprissi un po’ la mente ogni tanto» rispose sospirando. «Questa “roba” è uno dei migliori concept album di sempre. Inoltre parla di regressione, lo sai che è un argomento che mi sta molto a cuore.»
«E tu, invece, sai che ciò che ha a che fare con la reincarnazione va contro tutto quello in cui credo,» la guardò di sottecchi, «e in cui dovresti credere anche tu.»
«Ma perché devi essere sempre così… quadrato» disse mimando la figura con le mani. «Sembra di sentir parlare i tuoi genitori. “È peccato, è proibito, e la parrocchia e il credo.” E che palle!» Si girò dalla parte opposta a braccia conserte.
Cristiano la guardava indeciso. Le voleva bene, erano praticamente cresciuti insieme, ma con gli anni lei si era allontanata dalla vita parrocchiale. Doveva sempre provare cose diverse, mettere in dubbio tutto. Perché non poteva semplicemente fare come gli altri e avere fede nella Chiesa? No, lei era come San Tommaso, doveva infilare le sue dita dentro ogni piaga, e ogni volta sembrava divertirsi a metterlo in difficoltà.
Però, in fondo, era sempre la sua Rebe. Non avevano mai modo di vedersi ultimamente e se gli aveva fatto quel regalo magari per lei era importante.
Cristiano aprì la custodia e inserì il CD nell’autoradio.
Rebecca si girò di scatto regalandogli il più splendido dei sorrisi e prese il libricino dalla custodia del CD.
«Allora senti qui,» disse indicando la prima pagina, «in questo brano Nicholas, il protagonista, si reca da un ipnoterapeuta perché è tormentato dagli incubi e si ritrova a rivivere episodi di una vita passata.»
«Pure l’ipnosi.»
«Vabbè tu fai finta di crederci e goditi questo capolavoro, ok?»
«Ci provo» rispose Cristiano, mentre il ticchettio di un orologio cominciava a diffondersi dagli altoparlanti. Si ritrovò a chiudere gli occhi.
«Sono sicura che ti piacerà» gli sussurrò Rebecca vicino all’orecchio.
Di nuovo la pelle d’oca. Cristiano si abbandonò alla musica con una strana sensazione di benessere.
Scene One: Regression
Chiudi gli occhi e rilassati
Immagina una luce intensa
e bianca sopra di te,
e mettila a fuoco mentre
attraversa il tuo corpo.
Lascia che i tuoi pensieri fluttuino
mentre cadi sempre più
profondamente in uno stato mentale di completa rilassatezza.
Ora mentre conto alla rovescia da dieci a
uno, ti sentirai più in pace e calmo.
Dieci, nove, otto...
Apro gli occhi: mura di pietra intorno a me, umidità e odore di incenso. Mi appoggio con una mano a una colonna. Indosso delle vesti raffinate, antiche. Sento di dover cercare qualcosa. No, qualcuno. Sì ora è tutto chiaro. Mi sporgo a guardare.
Eccoli lì, i due viscidi. Infami. INFAMI! Oggi farete la comunione col diavolo.
Si avvicina un ragazzo. «Mia signora, abbiamo controllato tutta la cripta,» mi sussurra, «ci sono solo due mercanti nella navata laterale, ma non sono guelfi, non si intrometteranno. Il priore e suo fratello sono assorti nella preghiera davanti ai resti del patrono e non hanno né servi né bastoni con loro.»
«Molto bene Branca, molto bene. Andiamo a prendere i nostri strumenti.»
Mi infilo nel buio nelle catacombe. Odore di muffa e putrefazione. Uno, due, tre, quattro. Il cunicolo dovrebbe essere questo. Tasto all’altezza del terzo cubicolo dal basso. Ecco, lo stemma inciso: le spighe e gli elmi. Provo a tirare la pietra: si smuove.
«Aiutami Branca, adagio» bisbiglio.
A tentoni segue il mio braccio e riusciamo a togliere la pietra. Rumore di passi furtivi. Sono arrivati anche gli altri. Mi sembrano pochi.
«Chi manca?»
«Cecco, non se l’è sentita. Aveva paura di avere l’anima dannata quando ha saputo che li avremmo attaccati dentro il duomo.»
Bene, magari gli farà piacere diventare un martire allora.
Branca ci passa gli stiletti.
«Lascia quello di Cecco al suo posto.»
«Come desiderate, madonna.»
Ci avviamo alla cappella centrale. I due fratelli sono in ginocchio, separati. Oddo è dietro, sulla destra. I miei si piazzano alle sue spalle. Branca si mette dietro al priore. Lentamente vado a mettermi davanti, in piedi, la lama celata sotto la veste. Mi abbasso il cappuccio. Passano pochi istanti. Si alza e mi sento afferrare il braccio.
«Come osi, donna, metterti a pregare davanti al priore di San Marco?» C’è irritazione nella sua voce.
Mi volto, accennando un sorriso all’angolo della bocca. «Melchiorre.»
Con una mossa repentina, la mano grassoccia che mi tratteneva da padrona diventa schiava. Do uno strattone e il priore è di nuovo in ginocchio. Dall’altra parte i miei uomini immobilizzano suo fratello. Sfodero la lama. Melchiorre ansima, si rialza in piedi. Branca prontamente gli agguanta le braccia, bloccandolo. Gli afferro i capelli e punto lo stiletto sotto la mandibola.
Melchiorre mi guarda. I nostri volti non sono mai stati così vicini. Nei suoi occhi non c’è più la sicurezza del nobile contro una donna indifesa. No, ora c’è paura. La paura del vigliacco contro il guerriero.
«Flavia, nemmeno tu puoi arrivare a tanto.» Deglutisce. «Dentro una chiesa, al cospetto di Dio e Sant’Emidio, tu non puoi...»
«Taci, infame!» Aumento la pressione dello stiletto, una goccia di sangue inizia a colare sulla lama. «Taci! Lurido, viscido cane. Non ti importa delle donne e dei bambini che hai fatto morire, vero? Non hai sentito le loro urla, mentre il mio palazzo bruciava per un tuo ordine. Ma stasera… stasera sarai tu a bruciare tra le fiamme dell’inferno!»
Spingo con forza la lama verso l’alto e la conficco nelle sue carni. Un fiotto di sangue mi imbratta mano e veste, rendendo scivolosa la presa. Dall’altra parte Oddo urla, i miei uomini lo zittiscono per sempre. Mi pulisco la mano sulla veste, strappo lo stiletto di mano a Branca e lo infilzo con violenza nell’occhio di Melchiorre ormai steso al suolo, esanime.
Muori, infame. Questa città non sarà mai vostra.
«Oddio, oddio, oddio!»
«Non imprecare, Rebe.»
«Ma ti rendi conto?» La ragazza gesticolava in preda all’esaltazione. «Hai avuto una regressione spontanea! Tu, razza di un… quadrato scettico.»
«Non so, forse stavo solo parlando nel sonno.» Cristiano era confuso, continuava a stropicciarsi gli occhi. In sottofondo un assolo di chitarra che non riconosceva.
«Ma dai Cri, non dire scemenze, ma ti sei sentito mentre parlavi? Tutto quell’odio, tutta quella rabbia. Non eri tu. Era una tua vita passata! E credo anche di sapere chi. Portavano vestiti rinascimentali?»
«Eh?»
«Quelli che hai assassinato.»
«Oh, oh. Ma che cazzo dici? Io non ho assassinato nessuno!»
«Uh, addirittura tu che dici una parolaccia? Devi essere proprio scosso. Allora ce li avevano o no?»
«Non lo so. Sembravano vestiti medievali, ma molto sfarzosi.»
«Oddio!»
«Rebe...»
«Dai è palese: in una vita precedente eri Flavia Guiderocchi!»
«Chi?»
«Ma non l’hai studiata un po’ di storia della tua città? Ma certo, sei un uomo, cosa te poteva fregare della donna guerriera di Ascoli.» Si prese il mento tra le mani, pensierosa. «Sì sì, ha tutto un senso. Lo vedi che ora sei l’esatto opposto? Sei tutto casa e chiesa. Devi espiare l’omicidio di quei… come si chiamavano?»
«Sgariglia» Cristiano pronunciò quel nome con odio.
Rebecca lo guardava dritto negli occhi. «Lo sai, vero, che non avevi mai detto il loro cognome durante quello che tu chiami sogno?»
Cristiano ora era completamente disorientato. Si voltò verso il finestrino, cercando di far sbollire rabbia e adrenalina che gli scorrevano ancora in corpo. Doveva capire. Doveva parlarne con qualcuno che lo rassicurasse.
Mise in moto la macchina.
Un’idea si fece strada improvvisa nella sua testa.
«Dimmi solo una cosa, Rebe. Questa storia non è vera, non deve, non può essere vera», guardò la ragazza dritta negli occhi. «Ma se lo fosse, potrei» Cristiano non riusciva quasi a dirlo, quel pensiero andava contro ogni precetto della sua religione. «Forse, con un po’ di prove, potrei rivivere al tempo di Cristo? Magari durante la resurrezione, così da poter finalmente dimostrare che...»
Rebecca gli afferrò il braccio. «No Cri, non hai capito niente. Non è una macchina del tempo in cui tu decidi la destinazione, non è così che funziona. Guardami Cri. Rivivi solo le tue vite passate, e lo fai solo se c’è stato qualche trauma che ti porti dietro anche in questa vita, come nel caso di Flavia e della sua orrenda vendetta. È già stupefacente che in una tua vita passata tu fossi qualcuno di vagamente famoso. Probabilmente al tempo di Cristo eri un contadino in qualche paesino sperduto. Non ci pensare per niente di andare alla ricerca di qualcosa di preciso, capito?»
«Ma se io rimettessi questa traccia del CD e mi concentrassi su quel periodo magari...»
«No, no e no! Sai che succederebbe se ci provassi? La tua mente inventerebbe tutto di sana pianta. Fabbricherebbe un falso ricordo, le sensazioni sarebbero diverse, meno reali, insomma non sarebbe come il ricordo che hai appena vissuto, in cui credevi veramente di essere lì, in quel tempo. Sarebbe più tipo un sogno. Non devi farlo da solo. Se proprio vuoi rifarlo, proviamoci insieme, così riuscirò a farti capire la differenza, capito?» Rebecca ora lo guardava preoccupata. «Mi hai capito?»
«Va bene,» rispose Cristiano poco convinto, «ora ti riporto a casa.»
Don Bastiano lo guardava con occhi severi. Seduto, i gomiti appoggiati sul tavolo, con una mano si copriva la bocca. Cristiano, seduto dirimpetto, si sfogava nervosamente contro una pellicina sul suo indice: raccontare tutto non aveva avuto il solito effetto benefico della confessione.
«Cristiano, figliolo mio,» esordì finalmente il sacerdote, «tutti ad un certo punto veniamo messi alla prova dal Signore. Tutti.» Si massaggiava l’anello che portava all’anulare mentre parlava.
Si alzò in piedi e si girò di spalle, le mani intrecciate dietro la schiena.
«Mi chiedevo, sinceramente, se questo momento sarebbe mai arrivato per te. Sei sempre stato molto diligente, i tuoi genitori ti hanno sempre guidato sul cammino del Signore.»
Si voltò e tornò a guardarlo.
«Ed era proprio questa la mia paura, hai mai davvero riflettuto su cosa sia la fede? O ti sei limitato a imboccare la via che gli altri ti indicavano?»
Cristiano distolse lo sguardo, mettendosi a fissare una mattonella del pavimento della casa canonica. Aveva trovato un accusatore là dove aveva cercato sicurezza e ora non aveva la forza di incrociare i suoi occhi.
«Quando il sentiero è smarrito, è la fede a farcelo ritrovare. E tu hai smarrito il sentiero, questo è evidente. Non è tanto il tarlo del tuo dubbio a farmi paura, ma il trasporto con cui me ne hai parlato. Lo sai che la reincarnazione per noi cattolici non esiste, per noi sacerdoti è addirittura proibito parlarne. Solo Cristo, solo lui è risorto.»
«Certo padre, lo so. Ma la resurrezione è una cosa diversa da quello che...»
«No! Ti ascolti? Nelle tue parole, quando mi hai raccontato tutto, c’era convinzione che quegli avvenimenti fossero addirittura veri. Questa è blasfemia.»
Cristiano si sentì rosso di vergogna. Nemmeno quando veniva sgridato da bambino aveva sentito tanta contrarietà nel tono di Don Bastiano.
«In queste condizioni, io sono… costretto» allargò le braccia in un gesto di impotenza. «Devo sospenderti dal corso di teologia. Lo capisci vero?»
Cristiano annuì.
«Ora vai in chiesa a riflettere, raccogliti in preghiera e partecipa al Santo Rosario quando inizierà. Domani parleremo di nuovo.»
«Grazie, Don Bastiano» rispose Cristiano, senza avere ancora il coraggio di alzare lo sguardo.
Era combattuto. Da una parte voleva e doveva considerare tutto questo nulla più di un sogno. L’unica resurrezione era quella di Cristo, su questo non aveva alcun dubbio. Ma le sensazioni che aveva provato erano così reali, così profonde. Quando provava ad afferrare la vastità di ciò che aveva vissuto la notte precedente, si sentiva mancare la terra sotto i piedi.
Entrò nel Duomo di Sant’Emidio e si fece il segno della croce. Si diresse come suo solito verso la Cappella del Sacramento, per adempiere alle indicazioni di Don Bastiano, ma lungo il tragitto incrociò le scale che portavano verso la cripta. Il richiamo fu troppo forte. Senza guardare nessuno le scese velocemente. Un cordone sbarrava l’uscio. Cristiano si fermò e fece per andarsene, ma la sensazione di vita e paura avvampò dentro di lui. Sganciò il cordone ed entrò, nonostante il divieto, dirigendosi verso le catacombe. Quarto cunicolo, terzo cubicolo dal basso. Uno stemma consumato dal tempo: su due quadranti un elmo, sugli altri due le spighe di grano. Lo stemma dei Guiderocchi, l’aveva visto su Wikipedia. Cristiano toccò la pietra: non si muoveva. Il suo respiro rallentò, l’universo ritornò al suo posto. Provò un secondo strattone, più forte, per sicurezza. La pietra si mosse. Il cuore gli salì in gola. Si aggrappò con tutte le sue forze a quel pezzo di mondo, smuovendolo a destra e a sinistra, graffiando la terra intorno, ferendosi e tirando, come se dietro quella pietra ci fosse celato il segreto della vita stessa. La pietra cadde a terra. Cristiano si avvicinò alla cavità e tastò al suo interno: vuoto.
L’aria entrava dal finestrino aperto, mentre Cristiano percorreva la strada verso il pianoro del colle San Marco. Il terrore e la sensazione di vuoto gli opprimevano il petto. Non c’era nessuna lama all’interno dello scomparto segreto, ma la pietra e lo stemma erano esattamente là dove dovevano essere.
I discorsi che Rebecca gli aveva fatto sulla reincarnazione nei mesi precedenti, adesso, non sembravano più sciocchezze campate per aria. Le parole di Don Bastiano invece, erano le stesse che avrebbe usato lui, se non avesse vissuto quell’esperienza. Ma l’aveva vissuta, e ora non era sicuro più di niente.
Parcheggiò nello stesso punto della notte precedente, sotto la stessa luna. Chiuse il finestrino e accese l’autoradio, facendo partire la prima traccia. Si sforzava di concentrarsi nonostante l’ansia. Il freddo, che era entrato nell’abitacolo, gli faceva battere i denti. Chiuse gli occhi, serrandoli. La voce narrante della canzone aveva terminato il conto alla rovescia, una voce chiara iniziò a cantare. Cristiano aprì gli occhi e fece ripartire la traccia dall’inizio. Le sue dita tamburellavano nervosamente sul bracciolo. Una civetta su un albero vicino iniziò a cantare. Cristiano scese dalla macchina, prese una pietra e gliela scagliò contro, facendola volare via. Di nuovo in macchina, di nuovo traccia uno. Reclinò il sedile e si stese. Provò con dei respiri profondi. Dieci, nove, otto…
Sì, stavolta aveva funzionato. Se lo sentiva, era nell’epoca giusta, nonostante quello che diceva Rebecca. Magari era un soldato romano. Come si chiamava quello che trafisse il costato di Cristo? Sì, sarebbe potuto essere Cassio Longino. Ecco, riusciva a sentire l’elmo sul suo capo e il gladio al suo fianco.
Il commilitone arrivò di corsa alle sue spalle, fermandosi con le mani sulle ginocchia per il fiatone. I ladri erano scappati, irraggiungibili ormai. Cassio Longino scalciò via una pietra, con un gesto di stizza. Fece segno al suo compagno di seguirlo mentre tornava verso il sepolcro. Si lasciò cadere al suo interno, premendosi i palmi contro gli occhi.
Quella maledetta civetta era di nuovo tornata a cantare sull’albero lì vicino e gli faceva scoppiare le tempie.
Il prefetto li avrebbe fatti fustigare, nella migliore delle ipotesi. Asciugò il sudore sul volto con la sindone che giaceva ai suoi piedi. Si alzò e andò a controllare la pietra. Guardò di nuovo il sudario che aveva lasciato per terra, lo sporco e il sudore avevano creato uno strano effetto sulla tela, riusciva quasi a distinguere i lineamenti del suo volto.
La musica gli ronzava in testa, un assolo di chitarra che aveva già sentito.
«Publio Terenzio, procurati altre funi, possiamo rifare il sigillo. Il prefetto non dovrà mai sapere che i giudei hanno aperto il sepolcro e trafugato il corpo del nazareno.»
Cristiano si svegliò in un bagno di sudore. Non riusciva a rialzarsi. Gli sembrava di cadere dentro sé stesso, senza più nulla a cui aggrapparsi. Quella maledetta civetta era di nuovo tornata a cantare sull’albero lì vicino e gli faceva scoppiare le tempie. L’intestino aveva smesso di rispondere ai suoi comandi e gli procurava fitte lancinanti. Aprì il finestrino per prendere aria. Cercò di tirarsi su, aggrappandosi al volante della macchina. Le mani tremavano. Il crocifisso, appeso allo specchietto retrovisore, dondolava. Cristiano lo fissò: tutta la sua vita era stata costruita intorno a quel simbolo, e, forse, anche le vite precedenti. Lo strappò con violenza e lo gettò dal finestrino. Come avrebbe potuto continuare guardare i suoi genitori in faccia? Come avrebbe potuto continuare a frequentare la chiesa o parlare di teologia? Ora che sapeva, ora che tutto era chiaro, ora che la grande menzogna della resurrezione era rivelata. Ed era su di lui, su una sua vita passata che ricadeva la responsabilità di un inganno di duemila anni. Era tutta colpa sua, di Cristiano Traini, di Flavia Guiderocchi, di Cassio Longino: tanti nomi, una sola anima dannata.
Mise in moto la macchina. La musica non si era mai fermata. Maledisse quel CD e maledisse Rebecca. Andassero al diavolo, o chi per lui a questo punto.
Affrontò il primo tornante a velocità sostenuta, mentre scendeva dal colle.
Quanto sarebbe stato meglio non sapere, vivere nell’ignoranza. Forse per quello la reincarnazione era argomento tabù. Forse era davvero tutto un percorso di espiazione di quel peccato originale.
Il cartello indicava il secondo tornante, velocità massima trenta chilometri orari. Cristiano accelerò. La curva arrivò velocemente, la macchina prese il volo sopra la scarpata. Tutto rimandato alla prossima vita.