Trecentocinquantasei - Giulio Marchese (Francesca Bertuzzi Edition)
Inviato: sabato 6 giugno 2020, 0:32
Trecentocinquantasei - Giulio Marchese
354.
Rebecca pensò si trattasse di un terremoto. Il lampadario oscillava come un pendolo; aveva un che di ipnotico. La foto accanto al telefono cadde in avanti. Nel rimetterla apposto si scoprì a fissarla malinconica; le sembrava una vita fa, tre ragazzi sorridenti uniti contro il mondo. Si maledisse per aver raccontato ad Alfredo di Paolo.
Si sentì un forte boato proveniente dal piano di sotto. La donna scese velocemente le scale che portavano alla cantina. Alfredo stava armeggiando con uno dei suoi marchingegni.
«Al, cos’è successo stavolta? Al!»
Dal marito nessuna risposta, provò ancora con voce decisa.
«Alfredo!»
«Sì, Eccomi! Non ti ho sentita arrivare.»
«Per forza, dopo quel botto... cos’è successo?»
«Credo di aver sovraccaricato il sistema, niente di grave, devo solo resettare alcuni parametri, ma dovrebbe aver funzionato, almeno in parte.»
Sembrava stesse rispondendo a lei ma Rebecca sapeva che stava parlando a sé stesso. Mi ignora, di nuovo.
«Cos’è che ha funzionato? Per favore, spiegami a cosa stai lavorando.»
Senza risponderle Alfredo si lanciò su per le scale, Rebecca si spostò da un lato per evitare che le finisse addosso. Sono come un fantasma per lui.
Lo seguì sbuffando, e lo ritrovò a fissare la foto che, poco prima, le aveva suscitato tanti ricordi. Sorrise pensando che, anche lui, in fondo, stesse rimpiangendo quei momenti.
«Bei tempi quelli, non trovi?»
Alfredo la fulminò con lo sguardo e tornò in cantina borbottando.
Ancora una volta lei lo seguì, digrignando i denti.
«Al» L’uomo aveva ripreso il suo lavoro «per favore, spiegami a cosa stai lavorando. Non ignorarmi.»
«Dai, non fare così. Quando capirò come far funzionare questo affare al cento per cento ti spiegherò tutto, giuro. Per ora fidati di me.»
Già, fidati, sempre la stessa storia, e intanto gioca all’inventore qui sotto. Lo amava, ma non poteva vivere così. Dai Reb, non farti intimorire.
«Alfredo, voglio il divorzio.»
Lo sguardo di lui la fulminò ancora una volta, Rebecca si sentì trafiggere da migliaia di spilli.
«Dannazione, è successo di nuovo. Eppure i miei calcoli erano esatti, maledizione!»
«Al, sei serio?»
Alfredo armeggiò nuovamente con l’aggeggio che aveva davanti, pigiò un grosso tasto su cui era stampato uno strano ghirigoro, poi tutto divenne bianco.
355.
Le stoviglie vibrarono nella credenza, il lampadario oscillava, BOOM, il boato veniva dal piano di sotto. Rebecca scese le scale più velocemente che poteva.
«Al!»
«Allora Reb, ha funzionato?»
«Cosa?»
«Paolo? Cosa mi dici di Paolo?»
«Ancora? Basta Al! Sono passati più di vent’anni! Quella tra me e Paolo è stata una ragazzata! Tra l’altro è stato lui a presentarci, a quei tempi nemmeno ti conoscevo…»
«Non capisci!?»
Rebecca s’irrigidì, il cuore pulsava a un ritmo forsennato; poteva sentirne i battiti in gola, nella voce di Alfredo c’era qualcosa di strano, di folle.
«Mi conoscevi, ed è successo. Non mi conoscevi, ed è successo comunque. Non conoscevi lui e succedeva per caso a una festa.»
Rebecca era letteralmente senza parole, l’uomo continuò a parlare a un volume sempre più alto, la ragazza stringeva i denti per forzarsi a non tremare.
«Tutto. Tutte le possibilità, i calcoli sono esatti; evidentemente la matematica è una scienza sopravvalutata.»
Le urla la colpivano come una sassaiola, non devi lasciarti intimorire, non puoi lasciarti intimorire!
«Voglio il divorzio.»
Alfredo la guardò paonazzo, ma la donna ricambiò lo sguardo, non devo lasciarmi intimorire.
«No! No, no e no»
Urlò lui sbattendo i pugni sul tavolo, poi si mise ad armeggiare con l’apparecchio, premette il grosso tasto e tutto divenne bianco.
356.
La lampada in cantina oscillò. Alfredo, con le orecchie che fischiavano per il boato, guardò le scale per qualche minuto. Nessuna traccia di sua moglie.A questo punto di solito scende, questa è nuova. Salì le scale barcollando.
Accanto al telefono la foto che li ritraeva in compagnia di Paolo. Era rimasto nella loro vita: per l’ennesima volta, non aveva funzionato.
«Reb? Rebecca?»
Si guardò intorno, nessuno. Poi sentì una voce alle sue spalle.
«Fermo lì! Stia fermo e non le accadrà niente, si volti lentamente e con le mani alzate.»
Alfredo ubbidì e vide di fronte a sé un giovane uomo in giacca scura; era armato.
«La dichiaro in arresto per violazione retroattiva del protocollo VST, lei è accusato di aver viaggiato trecentocinquantasei volte indietro nel tempo per modificare il suo presente, sarà applicata la legge VST più vicina al suo tempo. Adesso mi segua.»
Alfredo era confuso, chi era quell’uomo? Com’era entrato? Aveva fatto qualcosa a Rebecca?
Il suo sguardo esaminò la figura che aveva davanti; al polso c’era uno strano orologio, al posto del quadrante c’era un grosso tasto con stampato uno strano ghirigoro.
«Ma quello è?»
«Un dispositivo VST» l’uomo aveva sollevato il polso per mostrarglielo meglio «fin ora le abbiamo lasciato il beneficio del dubbio, vista la sua particolare situazione, ma non possiamo ignorare i suoi reati.»
Alfredo era impietrito, l’uomo parlava con estrema disinvoltura, evidentemente la situazione non gli sembrava assurda quanto a lui. Guardò ancora il polso, quel simbolo… Alzò lo sguardo di colpo.
«Grande quanto un orologio…» disse, ma l’uomo lo interruppe.
«Ha diritto alla difesa tecnica di un avvocato, se non ne ha uno di fiducia gliene verrà assegnato uno d’ufficio...»
Alfredo non lo stava più ascoltando, allora ci riuscirò? Funzionerà? Cancellerò quel Paolo dal passato di Reb? Il pensiero lo fece sussultare.
«Rebecca?» disse con voce più acuta di quanto desiderasse «Mia moglie?»
«Mi spiace» rispose l’uomo «lei risulta celibe.»
354.
Rebecca pensò si trattasse di un terremoto. Il lampadario oscillava come un pendolo; aveva un che di ipnotico. La foto accanto al telefono cadde in avanti. Nel rimetterla apposto si scoprì a fissarla malinconica; le sembrava una vita fa, tre ragazzi sorridenti uniti contro il mondo. Si maledisse per aver raccontato ad Alfredo di Paolo.
Si sentì un forte boato proveniente dal piano di sotto. La donna scese velocemente le scale che portavano alla cantina. Alfredo stava armeggiando con uno dei suoi marchingegni.
«Al, cos’è successo stavolta? Al!»
Dal marito nessuna risposta, provò ancora con voce decisa.
«Alfredo!»
«Sì, Eccomi! Non ti ho sentita arrivare.»
«Per forza, dopo quel botto... cos’è successo?»
«Credo di aver sovraccaricato il sistema, niente di grave, devo solo resettare alcuni parametri, ma dovrebbe aver funzionato, almeno in parte.»
Sembrava stesse rispondendo a lei ma Rebecca sapeva che stava parlando a sé stesso. Mi ignora, di nuovo.
«Cos’è che ha funzionato? Per favore, spiegami a cosa stai lavorando.»
Senza risponderle Alfredo si lanciò su per le scale, Rebecca si spostò da un lato per evitare che le finisse addosso. Sono come un fantasma per lui.
Lo seguì sbuffando, e lo ritrovò a fissare la foto che, poco prima, le aveva suscitato tanti ricordi. Sorrise pensando che, anche lui, in fondo, stesse rimpiangendo quei momenti.
«Bei tempi quelli, non trovi?»
Alfredo la fulminò con lo sguardo e tornò in cantina borbottando.
Ancora una volta lei lo seguì, digrignando i denti.
«Al» L’uomo aveva ripreso il suo lavoro «per favore, spiegami a cosa stai lavorando. Non ignorarmi.»
«Dai, non fare così. Quando capirò come far funzionare questo affare al cento per cento ti spiegherò tutto, giuro. Per ora fidati di me.»
Già, fidati, sempre la stessa storia, e intanto gioca all’inventore qui sotto. Lo amava, ma non poteva vivere così. Dai Reb, non farti intimorire.
«Alfredo, voglio il divorzio.»
Lo sguardo di lui la fulminò ancora una volta, Rebecca si sentì trafiggere da migliaia di spilli.
«Dannazione, è successo di nuovo. Eppure i miei calcoli erano esatti, maledizione!»
«Al, sei serio?»
Alfredo armeggiò nuovamente con l’aggeggio che aveva davanti, pigiò un grosso tasto su cui era stampato uno strano ghirigoro, poi tutto divenne bianco.
355.
Le stoviglie vibrarono nella credenza, il lampadario oscillava, BOOM, il boato veniva dal piano di sotto. Rebecca scese le scale più velocemente che poteva.
«Al!»
«Allora Reb, ha funzionato?»
«Cosa?»
«Paolo? Cosa mi dici di Paolo?»
«Ancora? Basta Al! Sono passati più di vent’anni! Quella tra me e Paolo è stata una ragazzata! Tra l’altro è stato lui a presentarci, a quei tempi nemmeno ti conoscevo…»
«Non capisci!?»
Rebecca s’irrigidì, il cuore pulsava a un ritmo forsennato; poteva sentirne i battiti in gola, nella voce di Alfredo c’era qualcosa di strano, di folle.
«Mi conoscevi, ed è successo. Non mi conoscevi, ed è successo comunque. Non conoscevi lui e succedeva per caso a una festa.»
Rebecca era letteralmente senza parole, l’uomo continuò a parlare a un volume sempre più alto, la ragazza stringeva i denti per forzarsi a non tremare.
«Tutto. Tutte le possibilità, i calcoli sono esatti; evidentemente la matematica è una scienza sopravvalutata.»
Le urla la colpivano come una sassaiola, non devi lasciarti intimorire, non puoi lasciarti intimorire!
«Voglio il divorzio.»
Alfredo la guardò paonazzo, ma la donna ricambiò lo sguardo, non devo lasciarmi intimorire.
«No! No, no e no»
Urlò lui sbattendo i pugni sul tavolo, poi si mise ad armeggiare con l’apparecchio, premette il grosso tasto e tutto divenne bianco.
356.
La lampada in cantina oscillò. Alfredo, con le orecchie che fischiavano per il boato, guardò le scale per qualche minuto. Nessuna traccia di sua moglie.A questo punto di solito scende, questa è nuova. Salì le scale barcollando.
Accanto al telefono la foto che li ritraeva in compagnia di Paolo. Era rimasto nella loro vita: per l’ennesima volta, non aveva funzionato.
«Reb? Rebecca?»
Si guardò intorno, nessuno. Poi sentì una voce alle sue spalle.
«Fermo lì! Stia fermo e non le accadrà niente, si volti lentamente e con le mani alzate.»
Alfredo ubbidì e vide di fronte a sé un giovane uomo in giacca scura; era armato.
«La dichiaro in arresto per violazione retroattiva del protocollo VST, lei è accusato di aver viaggiato trecentocinquantasei volte indietro nel tempo per modificare il suo presente, sarà applicata la legge VST più vicina al suo tempo. Adesso mi segua.»
Alfredo era confuso, chi era quell’uomo? Com’era entrato? Aveva fatto qualcosa a Rebecca?
Il suo sguardo esaminò la figura che aveva davanti; al polso c’era uno strano orologio, al posto del quadrante c’era un grosso tasto con stampato uno strano ghirigoro.
«Ma quello è?»
«Un dispositivo VST» l’uomo aveva sollevato il polso per mostrarglielo meglio «fin ora le abbiamo lasciato il beneficio del dubbio, vista la sua particolare situazione, ma non possiamo ignorare i suoi reati.»
Alfredo era impietrito, l’uomo parlava con estrema disinvoltura, evidentemente la situazione non gli sembrava assurda quanto a lui. Guardò ancora il polso, quel simbolo… Alzò lo sguardo di colpo.
«Grande quanto un orologio…» disse, ma l’uomo lo interruppe.
«Ha diritto alla difesa tecnica di un avvocato, se non ne ha uno di fiducia gliene verrà assegnato uno d’ufficio...»
Alfredo non lo stava più ascoltando, allora ci riuscirò? Funzionerà? Cancellerò quel Paolo dal passato di Reb? Il pensiero lo fece sussultare.
«Rebecca?» disse con voce più acuta di quanto desiderasse «Mia moglie?»
«Mi spiace» rispose l’uomo «lei risulta celibe.»