Il Cedro (dalla VETRINA)
Inviato: giovedì 18 giugno 2020, 9:42
Del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino
Dio ha detto: «Non dovete mangiarlo e non lo dovete toccare,
altrimenti morirete»
Genesi 3,14
«Non avresti dovuto!» Seduto ai piedi del cedro, Leo guardava in su, oscillando la testa sotto i rami.
«Dici così solo perché non sei capace». Nevio era appollaiato sul ramo più alto. La camicia di iuta gli si gonfiava come una vela con il vento in poppa. «Sapessi che vista c'è quassù». Distese la schiena, mise un braccio dietro la testa e annusò il frutto smeraldo che aveva appena raccolto.
«Lo avevo visto prima io.»
«I cagasotto devono stare muti.»
«Lo sai che è proibito arrampicarsi lassù, Nevio.»
«Bravo, corri da mammina, allora.»
Leo si sollevó di scatto e tirò un calcio a un ciuffo d'erba.
«Non sei manco buono a cercarti l'uccello, tu». Nevio sghignazzò. «Di' un po', gliel'hai messa la lingua in bocca ad Alice?»
Il sole in faccia, Leo strizzó gli occhi.
«Non sarai mica finocchio?»
«Non lo sono! » Ruggí Leo, battendo i piedi.
«Giuro che prima o poi ti spacco la testa.»
«Ma mo' che c'entra 'sta storia? Perché mi dici 'ste cose?»
«I finocchi mi fanno schifo. Punto. Anzi, sai cosa ti dico? Appena scendo gliela vado a mettere io la lingua in bocca ad Alice»
«Non ci provare!»
«Se no che fai?»
«Lo dico a mamma.»
«E io ti rompo il grugno.»
Una raffica di vento scosse la chioma. Con un colpo di ventre, Nevio alzò il busto e afferrò il ramo su cui era seduto.
«Paura, eh?». A Leo scappó una risata.
«Io? Ma quando mai. Tu, piuttosto, sali su o preferisci prendere sberle?»
Leo si guardò in torno. Le fronde, lucide di resina, cominciavano ad allungare l'ombra della sera sulla terra arsa. «Lo sai che è proibito...» Sospirò, si guardò i palmi e ci sputò sopra.
«Bravo, fratellino!»
Il piede destro sul ramo più basso, un colpo di reni e afferrò il ramo mezzano; il ginocchio sinistro sul ramo meno scosceso, e col braccio destro in presa sul ramo più alto. Leo era a una spanna dalla cima. «Ahi! Mi sono sbucciato il ginocchio». Leo ansimava.
«Svelto, che qui facciamo notte». Nevio lo afferrò per la cintura dei pantaloni, mettendolo a cavalcioni sul suo ramo con la schiena rivolta a lui.
Leo grondava come un cencio bagnato. Inspirò la brezza che veniva dal mare, ancora tremante per lo sforzo, e lanciò un urlo. «Mi darai ancora del finocchio?»
Nevio lo afferrò per le spalle. Cominciò a dondolare, imitando un pellerossa lanciato al galoppo.
«Non fare il grullo». Leo sbiancò. Ma quello continuava.
«Smettila, Nevio!»
Il ramo cedette.
Nevio mollò il fratello e si aggrappò alla fronda alle spalle, prima di sentire un croc. Scomposto come una bambola di pezza, Leo era al suolo, immobile.
Nevio fissò il viso bluastro, gli occhi sbarrati. Nel pugno, un lembo della sua camicia. Lo aveva tenuto stretto fino alla fine, il fratellino.
Nevio - le mani incollate al ramo - sentì il vento freddo dell'imbrunire sferzargli le reni. Due lacrime gli rigarono gli zigomi bruciati dal sole. Stretto in gola, come se gli avessero cacciato a forza un rotolo di carta abrasiva, solo un lamento strozzato: «Leo»
Dio ha detto: «Non dovete mangiarlo e non lo dovete toccare,
altrimenti morirete»
Genesi 3,14
«Non avresti dovuto!» Seduto ai piedi del cedro, Leo guardava in su, oscillando la testa sotto i rami.
«Dici così solo perché non sei capace». Nevio era appollaiato sul ramo più alto. La camicia di iuta gli si gonfiava come una vela con il vento in poppa. «Sapessi che vista c'è quassù». Distese la schiena, mise un braccio dietro la testa e annusò il frutto smeraldo che aveva appena raccolto.
«Lo avevo visto prima io.»
«I cagasotto devono stare muti.»
«Lo sai che è proibito arrampicarsi lassù, Nevio.»
«Bravo, corri da mammina, allora.»
Leo si sollevó di scatto e tirò un calcio a un ciuffo d'erba.
«Non sei manco buono a cercarti l'uccello, tu». Nevio sghignazzò. «Di' un po', gliel'hai messa la lingua in bocca ad Alice?»
Il sole in faccia, Leo strizzó gli occhi.
«Non sarai mica finocchio?»
«Non lo sono! » Ruggí Leo, battendo i piedi.
«Giuro che prima o poi ti spacco la testa.»
«Ma mo' che c'entra 'sta storia? Perché mi dici 'ste cose?»
«I finocchi mi fanno schifo. Punto. Anzi, sai cosa ti dico? Appena scendo gliela vado a mettere io la lingua in bocca ad Alice»
«Non ci provare!»
«Se no che fai?»
«Lo dico a mamma.»
«E io ti rompo il grugno.»
Una raffica di vento scosse la chioma. Con un colpo di ventre, Nevio alzò il busto e afferrò il ramo su cui era seduto.
«Paura, eh?». A Leo scappó una risata.
«Io? Ma quando mai. Tu, piuttosto, sali su o preferisci prendere sberle?»
Leo si guardò in torno. Le fronde, lucide di resina, cominciavano ad allungare l'ombra della sera sulla terra arsa. «Lo sai che è proibito...» Sospirò, si guardò i palmi e ci sputò sopra.
«Bravo, fratellino!»
Il piede destro sul ramo più basso, un colpo di reni e afferrò il ramo mezzano; il ginocchio sinistro sul ramo meno scosceso, e col braccio destro in presa sul ramo più alto. Leo era a una spanna dalla cima. «Ahi! Mi sono sbucciato il ginocchio». Leo ansimava.
«Svelto, che qui facciamo notte». Nevio lo afferrò per la cintura dei pantaloni, mettendolo a cavalcioni sul suo ramo con la schiena rivolta a lui.
Leo grondava come un cencio bagnato. Inspirò la brezza che veniva dal mare, ancora tremante per lo sforzo, e lanciò un urlo. «Mi darai ancora del finocchio?»
Nevio lo afferrò per le spalle. Cominciò a dondolare, imitando un pellerossa lanciato al galoppo.
«Non fare il grullo». Leo sbiancò. Ma quello continuava.
«Smettila, Nevio!»
Il ramo cedette.
Nevio mollò il fratello e si aggrappò alla fronda alle spalle, prima di sentire un croc. Scomposto come una bambola di pezza, Leo era al suolo, immobile.
Nevio fissò il viso bluastro, gli occhi sbarrati. Nel pugno, un lembo della sua camicia. Lo aveva tenuto stretto fino alla fine, il fratellino.
Nevio - le mani incollate al ramo - sentì il vento freddo dell'imbrunire sferzargli le reni. Due lacrime gli rigarono gli zigomi bruciati dal sole. Stretto in gola, come se gli avessero cacciato a forza un rotolo di carta abrasiva, solo un lamento strozzato: «Leo»