Training Day (Film) - Incipit
Inviato: sabato 25 luglio 2020, 21:08
(Introduzione al brano)
Questo non è un racconto originale, ma la trasposizione della scena di apertura di Training Day, un film che ho visto di recente e che mi è piaciuto molto. Una specie di allenamento, insomma. Che ne pensate? Avreste voglia di andare avanti nella lettura?
Grazie
Training Day - Incipit
Quando apro gli occhi sono le quattro e cinquantanove, e nel display della sveglia c'è anche il mio riflesso. Un momento dopo comincia a suonare, e la spengo come per schiacciare una zanzara che ne stava appollaiata là sopra. Sto fermo ancora un momento. Ora di alzarsi.
Mi tiro su e resto seduto sul bordo del letto. — È ora. — Mi volto verso mia moglie, ma l'altra metà del letto è vuota.
— Buongiorno.
Lisa è in un angolo della stanza sulla sedia a dondolo. Ha le spalline del pigiama abbassate e porta in grembo un fagotto di coperte.
— Che ci fai in piedi?
— Muu. — risponde a bassa voce.
Mi alzo dal letto e la raggiungo. Lisa dà un’occhiata al comodino delle foto che è diventato il comodino per appoggiarci su un po’ di tutto. Tre ceri di Maria. Un orsacchiotto. Un piccolo libro per bambini. Io la guardo dalla foto più grande indossando la divisa. Non è passato tanto tempo e sono quasi uguale. Nel frattempo ho solo scoperto che la barba sulle guance non mi cresce per niente.
— È papà, quello?
— Ciao, cowgirl, — le faccio.
— Oggi fa un po’ i capricci.
— I bambini a quest’ora dovrebbero dormire, — rispondo. Ho ancora troppo sonno per capire davvero quello che sto dicendo. Avvolta dalla coperta, è mia figlia che mi guarda.
— Ho fame e non me ne importa niente, — dice mia moglie parlando al posto della bambina.
La guardo un momento e cerco di raccogliere le idee. Ma mi esce solo: — Vado a prepararmi.
Sto lucidando il distintivo, anche se non è che ne avrebbe proprio bisogno. Sopra c’è scritto Dipartimento di Polizia di Los Angeles e il numero in fondo indica un’immatricolazione recente. Lisa si schiarisce la gola e appare riflessa nello specchio. Mi dà la divisa ritirata dalla tintoria. — Non è il giorno adatto a dimenticarsi le cose. Ascolta, non fanno che dire quanto sei fortunato. Cerca di non fare casini, okay?
— Okay. D’accordo, — rispondo prendendo la divisa. Poi le do un bacio e raggiungo il tavolo. — È tornata a letto?
— Dopo aver mangiato come un maiale.
— So di essere fortunato, — rispondo infilando il caricatore nella Beretta. — Oggi faccio il mio dovere e si aprono le porte del dipartimento. Poi un giorno mi danno il mio reparto. Dovresti vedere le loro case.
Mi sto infilando l’orologio quando squilla il telefono e Lisa va a rispondere. — Pronto? — e dopo un momento abbozza un sorriso. — Sì. Certo. Lo farò.
Aspetto.
— Sì. Sì, è qui, — risponde, mi guarda e smette di sorridere. Con le labbra mi dice: “Alonzo.”
La raggiungo alla porta e prendo la cornetta.
— Hoyt?
Alonzo, l’uomo a capo della divisione antidroga e responsabile di altri sei agenti: la persona che mi seguirà tutto il giorno.
— Sissignore.
— Oggi sei tu di pattuglia?
— Sissignore. Sto per uscire.
— Hoyt.
— Signore?
— Le fatine del dipartimento sono di pattuglia. Noi non facciamo pattuglia.
— Sissignore. Buono a sapersi.
— Ascolta, c’è un coffee shop tra la settima e Whitman. Ci vediamo lì alle 10. Vieni in abiti civili, scarpe comode. Ce l’hai una pistola che ti puoi mettere in tasca?
— Nossignore. Solo la Beretta del dipartimento.
— Quella va bene. Porta anche le manette. Ce ne staremo in ufficio tutto il giorno, magari però riusciamo a combinare qualcosa. Siamo un’unità d’assalto.
— Sissignore. È il motivo per cui l’ho scelta. Volevo solo dirle quanto ci tengo a ringraziarla, e…
Riattacca. Resto qualche momento con la cornetta in mano che fa tuuuu. Dalla cucina, Lisa mi guarda. Attacco il telefono e faccio un lungo sospiro.
— Che hai? — mi chiede.
— Mi sento come ai provini della squadra di football. Vorrei che fosse già domani per sapere se sono entrato in squadra.
— Ascoltami. Domani non c’entra niente, l’importante è oggi e sono sicura che andrà tutto bene. — Mi prende il viso fra le mani.
— Lo sai davvero?
— Certo.
Annuisce e per un po’ la guardo. Poi mi sporgo a baciarla.
Questo non è un racconto originale, ma la trasposizione della scena di apertura di Training Day, un film che ho visto di recente e che mi è piaciuto molto. Una specie di allenamento, insomma. Che ne pensate? Avreste voglia di andare avanti nella lettura?
Grazie
Training Day - Incipit
Quando apro gli occhi sono le quattro e cinquantanove, e nel display della sveglia c'è anche il mio riflesso. Un momento dopo comincia a suonare, e la spengo come per schiacciare una zanzara che ne stava appollaiata là sopra. Sto fermo ancora un momento. Ora di alzarsi.
Mi tiro su e resto seduto sul bordo del letto. — È ora. — Mi volto verso mia moglie, ma l'altra metà del letto è vuota.
— Buongiorno.
Lisa è in un angolo della stanza sulla sedia a dondolo. Ha le spalline del pigiama abbassate e porta in grembo un fagotto di coperte.
— Che ci fai in piedi?
— Muu. — risponde a bassa voce.
Mi alzo dal letto e la raggiungo. Lisa dà un’occhiata al comodino delle foto che è diventato il comodino per appoggiarci su un po’ di tutto. Tre ceri di Maria. Un orsacchiotto. Un piccolo libro per bambini. Io la guardo dalla foto più grande indossando la divisa. Non è passato tanto tempo e sono quasi uguale. Nel frattempo ho solo scoperto che la barba sulle guance non mi cresce per niente.
— È papà, quello?
— Ciao, cowgirl, — le faccio.
— Oggi fa un po’ i capricci.
— I bambini a quest’ora dovrebbero dormire, — rispondo. Ho ancora troppo sonno per capire davvero quello che sto dicendo. Avvolta dalla coperta, è mia figlia che mi guarda.
— Ho fame e non me ne importa niente, — dice mia moglie parlando al posto della bambina.
La guardo un momento e cerco di raccogliere le idee. Ma mi esce solo: — Vado a prepararmi.
Sto lucidando il distintivo, anche se non è che ne avrebbe proprio bisogno. Sopra c’è scritto Dipartimento di Polizia di Los Angeles e il numero in fondo indica un’immatricolazione recente. Lisa si schiarisce la gola e appare riflessa nello specchio. Mi dà la divisa ritirata dalla tintoria. — Non è il giorno adatto a dimenticarsi le cose. Ascolta, non fanno che dire quanto sei fortunato. Cerca di non fare casini, okay?
— Okay. D’accordo, — rispondo prendendo la divisa. Poi le do un bacio e raggiungo il tavolo. — È tornata a letto?
— Dopo aver mangiato come un maiale.
— So di essere fortunato, — rispondo infilando il caricatore nella Beretta. — Oggi faccio il mio dovere e si aprono le porte del dipartimento. Poi un giorno mi danno il mio reparto. Dovresti vedere le loro case.
Mi sto infilando l’orologio quando squilla il telefono e Lisa va a rispondere. — Pronto? — e dopo un momento abbozza un sorriso. — Sì. Certo. Lo farò.
Aspetto.
— Sì. Sì, è qui, — risponde, mi guarda e smette di sorridere. Con le labbra mi dice: “Alonzo.”
La raggiungo alla porta e prendo la cornetta.
— Hoyt?
Alonzo, l’uomo a capo della divisione antidroga e responsabile di altri sei agenti: la persona che mi seguirà tutto il giorno.
— Sissignore.
— Oggi sei tu di pattuglia?
— Sissignore. Sto per uscire.
— Hoyt.
— Signore?
— Le fatine del dipartimento sono di pattuglia. Noi non facciamo pattuglia.
— Sissignore. Buono a sapersi.
— Ascolta, c’è un coffee shop tra la settima e Whitman. Ci vediamo lì alle 10. Vieni in abiti civili, scarpe comode. Ce l’hai una pistola che ti puoi mettere in tasca?
— Nossignore. Solo la Beretta del dipartimento.
— Quella va bene. Porta anche le manette. Ce ne staremo in ufficio tutto il giorno, magari però riusciamo a combinare qualcosa. Siamo un’unità d’assalto.
— Sissignore. È il motivo per cui l’ho scelta. Volevo solo dirle quanto ci tengo a ringraziarla, e…
Riattacca. Resto qualche momento con la cornetta in mano che fa tuuuu. Dalla cucina, Lisa mi guarda. Attacco il telefono e faccio un lungo sospiro.
— Che hai? — mi chiede.
— Mi sento come ai provini della squadra di football. Vorrei che fosse già domani per sapere se sono entrato in squadra.
— Ascoltami. Domani non c’entra niente, l’importante è oggi e sono sicura che andrà tutto bene. — Mi prende il viso fra le mani.
— Lo sai davvero?
— Certo.
Annuisce e per un po’ la guardo. Poi mi sporgo a baciarla.