Semifinale Giuseppe Rotondo

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Spartaco
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Semifinale Giuseppe Rotondo

Messaggio#1 » mercoledì 17 maggio 2017, 10:17

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I Mille e uno giorni di terrore e di morte, di Marco Roncaccia
Vs
La Città tra il Bianco e il Nero, di Francesco Capozzi
Vs
Garzone e le quaranta mangione, di Diego Ducoli


Eccoci alla seconda parte de La Sfida a Guiscardi senza gloria.
In risposta a questa discussione, gli autori hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare al loro SPONSOR un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che hanno passato il girone.
Quindi, Marco Roncaccia, Francesco Capozzi e Diego Ducoli, possono sfruttare i due giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: giovedì 18 maggio alle 23:59
Limite battute: 21.313

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 18 maggio. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione, state sicuri che il vostro avversario starà già pensando a come migliorarsi!



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Francesco Capozzi
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Re: Semifinale Giuseppe Rotondo

Messaggio#2 » giovedì 18 maggio 2017, 2:27

Probabilmente era notte nella Città Sacra, ma non né sarei cosi sicuro a essere sincero.
Il bagliore delle mille lampade ad olio poste lungo le strade, si spandeva nell’etere con una solidità quasi papabile; come se prendendo un coltello, si potesse tagliare quella porzione di luce bianca che contrasta cosi tanto con il color nero del cielo.
Tutto inizia con una donna che cammina per strada a piedi nudi, la lampada che porta in mano sparge la luce tutto intorno a sé, disegnando una strada bianca in quel mondo ormai troppo nero.
È quel tipo di donna dalla bellezza pericolosa, una bellezza che arriva dalla sua purezza, vestita senza pretese ne necessità di apparenza. I lunghi capelli neri legati in una treccia, scendono sulla schiena fino quasi a sfiorare le caviglie, tranne per due ciocche che le contornavano il viso, come una cornice posta su una tela dove un pittore aveva disegnato i lineamenti più belli mai visti a memoria d’uomo.
Eppure sul suo volto c’era inquietudine.
Dietro di lei, centinaia di occhi indagatori la seguivano come a voler penetrare nella sua testa, scrutare la sua anima e leggere i suoi pensieri alla ricerca di qualcosa. Ma le sentinelle non giudicano, non parlano e nemmeno camminano: se le guardi sono li, altrimenti per quanto ne si sa, potrebbero anche non esserci.
Stanno ferme a fissarti, loro e i loro maledetti occhi grigi come la cenere.
La cenere, cosi leggera da essere soffiata via, è stata l’unica cosa abbastanza forte da non perdere la propria essenza.
Ma dimentichiamo per un momento questi strani personaggi e torniamo alla donna, che continua ad avanzare con passo lento e sicuro tra le strade della città portando un cesto in vimini sulla testa. Fino a qualche tempo prima quelle strade erano le più belle di tutta l’India. Ma che dico? Di tutto il mondo!
Il padre della donna le parlava spesso di quei colori, strade lastricate in oro zecchino, palazzi di quarzo rosa e vetrate di zaffiri blu, le raccontava dell’azzurro del cielo e del fiume, del verde delle foglie e dei prati tutto intorno alla città, il giallo del sole, il rosso del fuoco. Colori che Sada Cokhe, la donna scalza, non aveva mai visto. In effetti Sada non aveva mai visto nulla se non il buio, e quando Lui arrivò e li portò via, l’unica a non accorgersene fu proprio lei, che nel buio viveva e nel buio rimase.
Ma procediamo con ordine, e cerchiamo di capire perché una donna cieca vaga per una città con una lampada, circondata da figure grigie che la fissano immobili.
Semplicemente un giorno arrivò la notte, ma quando tornò il sole, i colori erano spariti. Il cielo e i fiumi erano ancora li, ma non più azzurri, bensì grigi. Come l’erba, i palazzi e le strade lastricate d’oro. Tutto grigio.
Si dice che non ci siano solo il bianco e il nero, ma che tra essi esistano migliaia di sfumature, e quella città era diventata l’esempio lampante delle infinite tonalità che quel colore poteva assumere.
I giorni passavano veloci e i colori non tornavano al loro posto, ma non fu solo il mondo esterno a perdere tono.
Lo sappiamo tutti che anche le emozioni hanno dei colori, e quella notte sparirono anche quelle, trasformando le persone in cose prive di vita che, come delle sentinelle che scrutano la notte cercando di avvistare qualcosa, si limitavano a guardarsi intorno alla ricerca di un colore, sia fuori, che dentro gli altri.
E tutto tacque, finché un giorno Lui non si fece vedere.
Vestiva con una tunica rosso cremisi, sulla quale cadevano lunghi capelli viola che mettevano in risalto un volto olivastro, con la bocca aperta in un sorriso quasi surreale, dove si rifletteva il sole grigio sopra la quale risaltavano due occhi completamente bianchi.
Il suo arrivo ruppe il silenzio: le sentinelle iniziarono a urlare come se fossero state toccate da un pezzo di metallo incandescente, evocando dalle loro gole grida rauche e grottesche, avevano finalmente trovato quello che da tempo desideravano, eppure nessuno di loro ebbe il coraggio di muoversi per andare a prendersi quello che tanto bramavano.
Il suo nome è Raἣa Kha’Oya, ed è un demone che si nutre dei colori. E la Città Sacra, la più bella del mondo, fu il pasto migliore della sua vita.
Forse per colpa della sua ingordigia quel pasto durò solo poche lune, quindi doveva andarsene al più presto per trovare una nuova fonte di cibo, ma un attimo prima di uscire dalla città vide Sada, che a differenza delle sentinelle non urlava ne lo guardava, e incuriosito si avvicinò a lei.
Era paura quella che sentiva? Com’era possibile che in quella donna albergassero ancora le emozioni? Come mai non era diventata come tutti gli altri esseri viventi in quella città? Quella donna aveva sicuramente qualcosa di diverso, e più si avvicinava, più notava un particolare che non aveva mai visto in un essere umano: lei aveva i suoi stessi occhi bianchi.
Era anch’essa un demone? No, osservandola bene notò che anche lei come tutto il resto aveva perso i colori, e questo a un demone non sarebbe accaduto. Forse semplicemente era un curioso scherzo del destino.
Ah, Sada Cokhe, nella nostra lingua, vuol dire “Occhi Bianchi”
Cosi si incontrarono Sada e Raἣa Kha’Oya, ed è proprio da lui che si stava dirigendo quando abbiamo fatto la sua conoscenza. Il demone era attratto morbosamente da questa donna poiché lei vedeva l’unico colore che lui non poteva possedere, e Sada passava intere ore a raccontandogli di come vuol dire vivere vedendo solo il nulla, dando forma solo all’immaginazione, sapendo che finché lui non fosse stato soddisfatto, lei sarebbe rimasta in vita.
Le giornate trascorrevano veloci, e il tempo che quei due passavano insieme era sempre di più, lui bramando il suo mondo e lei desiderando di rimanere in vita. Lui le raccontava le storie dei demoni, lei le raccontava come aveva imparato a vivere solo toccando. In quelle ceste ogni giorno portava oggetti diversi, poi lo bendava e con le mani lo guidava a immaginare cosa stesse toccando, cercando di portare ogni volta oggetti sempre più difficili da indovinare. In cambio lui, ogni sera, le leggeva un capitolo di qualche libro. Insomma, un perfetto inizio di magnifica storia d’amore.
E purtroppo per il demone, si stava innamorando veramente di Sada, senza capire che l’unico motivo che la spingeva a stargli accanto, era il desiderio di restare viva. Anzi, si innamorò di lei al punto che inizio a raccontargli le storie che mai un demone dovrebbe rivelare a un essere umano.
Una sera Raἣa Kha’Oya sedeva davanti al fuoco grigio di uno dei camini dello sfarzoso palazzo che una volta era appartenuto alla famiglia reale della Città Sacra, e che ormai aveva eletto a sua abitazione. Sada invece si trovava nella libreria del palazzo, intenta a scegliere un libro da farsi leggere, scegliendoli in base al peso, al profumo della carta e al materiale con il quale era rilegato.
Quando la ruota del destino inizia a girare, non c’è nulla che possa fermarla, ed un demone che si innamora di un essere umano non è degno di essere un demone.
Vi racconto in breve cosa accadde:
Sada camminando urtò una pila di libri, che di riflesso cadde contro uno scaffale, riportando alla luce scritti che non venivano letti da secoli. La donna, che era caduta insieme ai libri, rialzandosi posò la mano su uno strano volume che la attirò subito per il materiale della rilegatura, allo stesso tempo squamoso ma morbido come velluto, e se solo avesse potuto vedere si sarebbe accorta che il libro era rosso e che diverse pagine si erano staccate da quello strano volume, rimanendo inerti ai suoi piedi.
Come tutti sappiamo esistono diversi modi per uccidere un demone, ma il peggiore era raccontato in quel libro, scritto mille anni prima che Sada nascesse.
Incuriosita portò il volume a Raἣa Kha’Oya, il quale riconobbe subito il materiale di cui era ricoperto: pelle di un demone.
Sada aveva riesumato un libro che mai e poi mai avrebbe dovuto trovarsi in quella casa, eppure era li.
Il destino gli diede un’ultima opportunità: se non avesse letto quel libro, sarebbe sopravvissuto.
Ovviamente non volle leggerglielo, ripugnato dall’idea che fosse rilegato con la pelle di un suo simile, ma vista l’insistenza di Sada ed i sentimenti che lo tormentavano, dopo pochi giorni si convinse e firmò la sua condanna.
Il libro raccontava di un demone che innamoratosi di una umana, la eleva al suo stesso rango per donarle i poteri e la longevità che solo noi possediamo. Nel momento stesso in cui un demone si lega ad un essere umano crea con esso un legame spirituale tale per cui, se il desiderio è abbastanza forte, parte dei suoi poteri vengono trasferiti all'umano. La storia si interrompeva li e nessuno si accorse del capitolo mancante.
Per Sada fu come se un raggio di luce rompesse il suo buio: se avesse convinto Raἣa Kha’Oya a trasformarla, c’era una piccola possibilità di scappare dalla cecità che la accompagnava sin dalla nascita, cosi nei giorni seguenti smise di assecondarlo per la sua sopravvivenza, ma a compiacerlo per ottenere ciò che più desiderava.
Lui si accorse che qualcosa era cambiato, ma la cecità della sua anima non gli permise di vedere cosa realmente stesse accadendo, anzi era sempre più convinto che lei si fosse infatuata di lui, e godendosi quelle notti di passione, inizio a valutare seriamente di donarle i poteri.
E così accadde: una mattina Raἣa Kha’Oya stava...

Un urlo ruppe il silenzio che albergava nell’aula, segnando la fine della lezione di Narrativa Demoniaca, accompagnato da un coro di disappunto dei giovani demoni che ascoltavano la storia del professore.
«Bene, domani riprenderemo da dove siamo arrivati oggi»
Subito parti un nuovo coro di disappunto dalla classe.
«La prego professore, ci dica almeno come finisce! Sada tornò a vedere? E che ne fu di Raἣa Kha’Oya? » A parlare era stata Ragnama, una giovane ragazza della prima fila dalla pelle viola e ispidi capelli verdi dai quali spuntavano due deliziose corna adornate da nastrini rosa.
«Preferirei di no, è una storia che merita giustizia e vorrei rendergli omaggio»
Le voci dei giovani demoni lanciarono grida di protesta, finché il professore non si convinse a finire il racconto, era la prima volta che una storia aveva tutto questo successo e forse l’indomani non sarebbe riuscito ad avere la loro attenzione come oggi, meglio battere il ferro finché era caldo.
«E va bene, ma state calmi! » sentenziò. «Sada convinse Raἣa Kha’Oya a farla diventare un demone, ma, oltre al desiderio, nessuno sa come possa avvenire esattamente questo processo. Il problema è che che non possono esistere due demoni con lo stesso potere, quindi nel momento stesso in cui lei si trasformò, lui divenne un normale uomo, il quale non potendo reggere il peso della sua età, mori in pochissimi istanti.
Per Sada andò un pochino meglio, i poteri di Raἣa Kha’Oya le permisero di percepire i colori e di vederli nella sua testa e ciò le consentì di distinguere le forme degli oggetti, anche se non potette mai vedere veramente.
Nessuno sa che fine fecero Sada e il libro rosso; probabilmente lei si tolse la vita dopo aver spinto alla morte l’unica persona che l’aveva amata, inoltre si dice che lei portasse nel suo grembo il frutto di un'unione maledetta tra uomo e demone. Il destino si era servito di loro per farsi una risata, per poi abbandonarli come fanno i cuccioli di uomo con i loro giochi.»
«Professore, come mai se Sada era cieca, girava con una lampada in mano?»
«Lampada? Perché mai io dovrei aver detto una cosa simile? Avrai capito male.» Un pallido rossore si diffuse sugli zigomi del professore, che ignorando completamente gli scherni dei ragazzi, si dileguò dall'aula.

«Racconto interessante quello del vecchio, no? »
Erano passate diverse ore dalla fine della lezione, e come di consueto Ragnama e i suoi compagni si erano incontrati per passare del tempo insieme.
Mentre parlava porse un cilindro di creta carico di erba mefistofelica ad un giovane demone tutto nero, che prima di risponderle fece un lungo tiro facendo uscire il fumo dalle orecchie.
«Era una storia sdolcinata e priva di senso, nessun demone si potrebbe mai innamorare di un umano.. e comunque era come se facesse il tifo per lei!»
«Secondo te era tutto inventato?» Chiese la giovane cornuta
«Non si è mai sentito parlare di demoni innamorati di esseri umani, non siamo mica come quegli idioti dei vampiri che abitano dietro la collina! Il professore è vecchio anche per i nostri standard, probabilmente sarà la demenza demoniaca che avanza! Ciechi che si fanno luce con delle lampade, bha..» E fece un altro tiro.

L’erba mefistofelica iniziò a fare effetto, i discorsi divennero sempre più confusi e le risate sempre più insensate, finché il gruppo di demoni non si alzò per incamminarsi barcollando verso le proprie case.
Fu solo per un istante: Lungo il sentiero nel bosco dove si nascondevano per fumare, Ragnama poso il suo sguardo su una foglia grigia e quando tornò indietro per ritrovarla, venne subito richiamata dai suoi amici che ormai la stavano distanziando, così li raggiunse convincendosi che fosse solo una allucinazione dovuta all’erba mefistofelica troppo forte.
Decisamente fumare non faceva per lei.

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marco.roncaccia
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Mille e uno giorni di terrore e morte di Marco Roncaccia

Messaggio#3 » giovedì 18 maggio 2017, 7:33

«Il Califfo ha un senso dell’umorismo del cazzo!»
Sei al bancone del Vegan bar, con una Stout a metà e devi torcere parecchio il collo per vedere da dove arriva una affermazione così forte.
Da un tavolo con 3 persone, 2 uomini con la regolamentare barba da hipster, uno moro e uno castano e una donna, capelli corti rossi occhiali da vista con montatura nera, T-shirt dei Ramones gonnellina a scacchi e calze a rete nere.
Passabile.
Sbocconcellano uno Tzatziki fatto con yogurt di soia e un pinzimonio di sedano e carote.
La ragazza ti vede e dice qualcosa all’orecchio del barbuto castano.
«Ehi amico, vieni a festeggiare con noi» urla questo.
Prendi il tuo bicchiere e ti siedi nel posto libero di fronte alla ragazza.
«Cosa festeggiate?»
«La fine del periodo del terrore. Sono quasi tre anni che la bandiera nera del califfato sventola su San Pietro. Comunque piacere, mi chiamo Mario, lui è Andrea e lei è Giulia» fa il moro porgendoti una mano che stringi con vigore. Poi tocca agli altri due.
«Il mio nome è George e sono inglese, sono qui a Roma per affari»

Andrea, il castano riprende la conversazione.
«Parli molto bene l’Italiano. Stavamo dicendo dei festeggiamenti. I mille e uno giorni di terrore e di morte promessi dal Califfo sono finiti, basta con i suoi scherzi del cazzo, oggi è il giorno uno zero zero due del califfato. Tra un brindisi e l’altro ci siamo resi conto di avere tre punti di vista completamente diversi sulla natura di Abu Bakr II, il Califfo. Ognuno è suffragato da una delle leggende che su di lui si raccontano. Abbiamo fatto una scommessa. Un estraneo dovrà decidere quale è quello più verosimile e decretare il vincitore. Ti va di fare da giudice?»
«Ma certo!» fai tu «esponetemi le teorie e raccontatemi le storie. Permettetemi però di offrire il prossimo giro. Vedo che anche voi apprezzate la birra scura.
Cameriere! 4 Stout a questo tavolo »
«Ottimo! Grazie George. Se non hai niente in contrario inizio io. La mia versione è che il califfo sia un vero imbranato e che si sia trovato a dover sostenere un ruolo in funzione di un errore fatto da lui stesso. Tutto è iniziato la prima notte di occupazione … »

La versione di Andrea

Caro George, prova a tornare con la mente ai primi giorni dopo il contagio.
L’acquedotto contaminato dai terroristi. Il virus che si diffonde. I primi casi di decessi e i morti che si rianimano. La stampa che monta una campagna contro la sindaca.
Le manifestazioni contro di lei sotto al Campidoglio che non fanno altro che alimentare l’epidemia.
La cellula dormiente di Daesh che si attiva e dichiara di disporre di una terapia antiretrovirale in grado di far regredire la malattia fino alla mera sieropositività, condizione che, se si assume il farmaco con regolarità, può perdurare fino alla morte naturale del soggetto. Il farmaco viene concesso a chi si converte all’Islam e fa una congrua donazione in denaro o in natura per finanziare la jihad globale.
I non abbienti e una parte della classe media decaduta a causa della crisi vanno ad ingrandire le fila dei morti viventi. Chi ha la possibilità di pagare si converte.
I soldati neri di Daesh, invece, dispongono di un vaccino sia per il virus sia per il contagio dai morsi dei morti viventi.
La popolazione è spaventata e il Califfo Abu Bakr II si insedia.
Vuole ristabilire una sorta di normalità e allora che fa?
Per prima cosa dichiara il rione Monti, dove siamo ora, zona franca. Intimando ai locali notturni di riaprire.
Poi lui e la sua guardia del corpo Hasan si travestono con abiti occidentali e si avventurano per la città per rendersi conto della situazione. Nessuno ha mai visto il loro volto. Parlano ambedue un buon Italiano e, se è vero come si dice, che sono di origine europea, non hanno grosse difficoltà a nascondere la loro identità.
Il Califfo, ha un’idea. Prima di uscire, chiede ad Hasan di prendere il necessario per narcotizzare qualcuno. Questi cerca tra i preparati chimici e i farmaci a disposizione e il massimo che riesce a trovare è una fiala in grado di generare in chi l’assume una morte apparente.
Le strade sono deserte, coloro che si sono salvati dall’epidemia se ne stanno rintanati nelle loro case.
Nonostante questo i due trovano un bar aperto.
C’è un unico avventore, tale Ascanio Perozzi, mezzo sbronzo a un tavolino. Il Califfo e Hasan si fingono avventori e si siedono con lui, gli offrono da bere e cominciano a fargli delle domande.
Del tipo, cosa ne pensi della situazione, cosa faresti tu se fossi al posto di Abu Bakr II, insomma, roba così, per sondare il terreno.
Il tipo ha la parlantina sciolta.
«Secondo me il califfo dovrebbe indire un periodo di festeggiamenti pubblici. Mille giorni di giochi e festa per i romani. Anzi, mille e uno. Con banchetti, trasporto gratuito e tante partite di calcio. Fosse per me farei giocare subito un Derby straordinario tra Lazio e Roma. La Caliph’s Cup!
A Roma la strategia del Panem et circenses ha sempre funzionato. Io ci aggiungerei la fica! Fica come se piovesse. Non dico le 72 vergini, che quelle nemmeno in paradiso le trovi più, però ecco, dare una immagine diversa, capisci cosa intendo? Cioè del tipo "finora vi abbiamo fatto soffrire, avete tutti passato un periodo del cazzo, però è per una buona causa, ora le cose stanno cambiando e ci sarà per tutti da divertirsi." Sono sicuro che dopo una settimana avrebbe una folla ad acclamarlo che nemmeno il papa…».
Abu Bakr II e Hasan si scompisciano dalle risate. Poi il Califfo guarda il suo compare, e lui capisce al volo.
Si alza, con la scusa di prendere un altro drink, si dirige al bancone, ordina e, prima di tornare al tavolo versa il contenuto della fiala nel bicchiere di Ascanio.
Dopo il brindisi, Ascanio crolla.
Hasan lo prende e lo porta al Quirinale dove sono gli appartamenti di Abu Bakr II.
Viene vestito come se fosse lui stesso il Califfo e vengono convocate tutte le Tv Nazionali ed estere per trasmetterne in diretta il risveglio.
Il Califfo pensa all’effetto che avrà sul pubblico vedere questo tipo con i suoi abiti addosso parlare in romanesco e indire mille e uno giorni di festeggiamenti e di fica.
Cosa c’è di più distensivo al mondo che non una sana risata in diretta internazionale?
Non ha considerato una cosa, fai attenzione caro George, perché ora ti sembrerà evidente quanto il Califfo sia stato maldestro.
Immagina i microfoni, le telecamere e i giornalisti al capezzale di un sontuoso letto a baldacchino tutto d’oro e pietre preziose ad attendere il risveglio di quello che credono sia il grande capo di Daesh, ma che in realtà è Ascanio Perozzi.
Tutto potrebbe andare come previsto da Abu Bakr, se non ci fosse un convitato di pietra
Il virus. Dove lo mettiamo il virus, mio caro George?
Tutti siamo contagiati, incluso Ascanio Perozzi. Possiamo vivere una vita normale finché prendiamo i farmaci, ma una volta morti siamo destinati a risvegliarci come zombie e a cibarci degli umani ancora vivi.
La domanda che il Califfo, quello vero, non si è fatto è la seguente.
Il virus è in grado di distinguere tra morte reale e morte apparente?
La risposta arriva in diretta TV. Ascanio Perozzi si risveglia e stacca il naso con un morso a un giornalista della CNN. Reazione a catena. Una strage.
A quel punto il Califfo non può dire di essersi sbagliato. Deve continuare su quella linea e, mentre un drappello di soldati neri guidati da Hasan stermina l’orda di giornalisti zombie, di fronte alle telecamere non può fare altro che decretare in diretta globali i mille e uno giorni di morte e terrore.
Questa è la mia teoria. Il Califfo è vittima del suo stesso pressapochismo».

«Molto originale, questo punto di vista, e molto convincente l’esposizione» dici, battendo le mani.
«Ma no, ma no, questo modo di ragionare fa acqua da tutte le parti! Ascolta la mia teoria!»

La Teoria di Mario

Amico, sono sicuro, che non potrai non essere d’accordo con me.
Immagina di aver passato tutta la vita in clandestinità, con una doppia identità, aver pianificato attentati in tutto il mondo, esecuzioni dimostrative e aver curato personalmente la regia dei video cruenti che le mostravano la grande pubblico. Poi hai visto tutti i tuoi progetti realizzarsi, lo Stato Islamico concretizzarsi giorno dopo giorno fino all’epidemia dei morti viventi e alla presa di Roma. Insomma una tensione adrenalinica continua.
A questo punto la tua vita cambia. Sei un monarca assoluto è vero, ma, come dice Spiderman, da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Mettici pure che Roma non è certo una città facile da gestire con i suoi problemi cronici di smaltimento dei rifiuti, del traffico, dei trasporti pubblici. A questo si aggiunge la rogna dei morti viventi che ancora girano fuori dal Grande Raccordo Anulare. I tuoi soldati e tu stesso siete immuni, ma tutti i convertiti sono soggetti alla trasformazione post mortem e controllare i focolai di contagio non è sempre facile. Insomma una vita piena di impegni, di problemi e di stress.
E poi la noia! Nessuna delle attività di Governo e di rappresentanza ti coinvolge veramente. Ti rompi il cazzo e la depressione incombe su di te.
Per tornare a sorridere devi assolutamente riprendere contatto con la tua natura e ridiventare, almeno una volta al giorno, sotto mentite spoglie il feroce Saladino di un tempo.
Ed ecco spiegata la leggenda del morto vivente che rideva.

Siamo a circa un anno dall’avvento del califfato e la vita ha ripreso una parvenza di normalità. È domenica e, come sempre, a Porta Portese c’è un grosso viavai per il mercato.
Un anziano accusa un malore e si accascia. Una giovane donna accorre in suo aiuto cercando di sostenerlo.
L’anziano in un primo momento dà qualche segno di ripresa, si rialza facendo leva sulla spalla della ragazza , poi però, le sue pupille scompaiono sotto le palpebre e inizia a emettere strani gorgoglii. La ragazza capisce e si divincola, ma quello, con uno scatto rabbioso le addenta un seno cavandogli via il capezzolo.
«Si è trasformato, il vecchio è diventato un morto vivente!» Basta che qualcuno urli questa frase e scoppia un parapiglia, tutti cercano una via di fuga in mezzo agli stretti vicoli tra le file di bancarelle. Qualcuno viene travolto, calpestato in maniera letale. Subito si trasforma e divampano nuovi focolai di terrore. I soldati neri impiegano tutta la giornata per riportare la situazione sotto controllo.
Bilancio, oltre cento morti.
Il fatto singolare è che al Pronto Soccorso del Fatebenefratelli viene refertata una ragazza con un capezzolo asportato da un morso ma senza traccia alcuna di contagio.
Molti raccontano di aver visto lo zombie di un vecchio sbellicarsi dalle risate.
Capisci, mio caro George? Il vecchio altri non era che Abu Bakr II sotto mentite spoglie.
La mia teoria, in parole povere è la seguente: il Califfo si è rotto il cazzo di fare il Califfo e i mille e uno giorni di terrore e di morte sono un diversivo per la noia a cui la sua attuale posizione lo costringe.»

«O mio Dio! Come darti torto?» dici, appena riesci a riprendere fiato dalle risate.

«Stronzate!» fa Giulia rimasta in silenzio fino ad ora.
Senti qualcosa premere sull’inguine. Butti un occhio e vedi il piede di Giulia inguainato nella rete della calza. È scalzo e si muove morbido strusciando sui tuoi pantaloni e massaggiandoti.
«Ora, se vuoi sapere la verità, mi devi prestare attenzione»
«Ahem … non saprei negartela» fai con voce tremolante.

La Verità di Giulia

La verità è che il Califfo è un sadico di merda.
Come spiegheresti altrimenti quello che è successo a Sharon Zard?

Era da poco trascorso il secondo anno dalla presa di Roma e si era sparsa la voce che Abu Bakr II volesse ogni sera una ragazza giovane e bella. Quale fosse la sorte di queste ragazze era un mistero. Si diceva che nessuna sopravvivesse ai suoi capricci erotici e che, una volta risvegliatesi dalla morte, queste venissero rinchiuse e collezionate in una apposita zona delle stalle del Quirinale.
Sharon, la nota presentatrice televisiva, famosa per la perfezione del suo fisico, si offrì al Califfo. Era convinta che, con il suo curriculum televisivo avrebbe saputo intrattenerlo. Conosceva a memoria tutte le stagioni di The Walking Dead, House of cards e Game of Thrones e mille altre serie visto che aveva lavorato per la rete TV che le aveva trasmesse ed era convinta che, raccontando un episodio a sera, avrebbe intrattenuto il suo amante per molto e molto tempo e sarebbe così stata risparmiata.

Non aveva tutti i torti.
Il Califfo, dopo essersela trombata a sangue in tutte le salse le chiedeva una storia della buona notte e lei iniziò dalla prima puntata della prima stagione di The Walking Dead.
Ogni sera il racconto finiva con un colpo di scena e Abu Bakr II si vedeva costretto a procrastinare la data dell’esecuzione di Sharon.
Questo espediente salvò la vita a Sharon per più di venti sere di fila.
Ovvero durante il racconto di tutta la prima (6 episodi) e seconda stagione (13 episodi).
A partire dalla terza stagione le trame iniziarono a ripetersi e si capiva chiaramente che alcuni episodi erano pura fuffa messa lì per allungare il brodo.

Il venticinquesimo giorno lo zombie di Sharon con indosso solo un paio di autoreggenti venne esposto in Piazza San Pietro in un recinto costruito nel posto dove in passato a Natale veniva messo il presepe.
La verità è che il Califfo è solo porco sadico.

Questa ultima frase genera una contrazione del piede di Giulia che percepisci direttamente sul tuo pene.



Silenzio. I tre ti guardano aspettando il verdetto.
Ti schiarisci la voce e inizi a parlare.
«Devo dire che i vostri racconti e le vostre considerazioni sulla natura del Califfo hanno tutti, a mio avviso un fondamento. E’ possibile che un grossolano errore sia stato all’origine dei mille e uno giorni di terrore e di morte, come è anche molto probabile che il califfo trovi noioso governare questa città la cui conquista ha avuto un forte valore simbolico ma la cui arretratezza a volte fa cadere le braccia e che si conceda ogni tanto qualche distrazione. Possiamo dare anche per assodato che un certo sadismo sia un tratto della personalità di Abu Bakr II. Mi sento però di dire che tutti e tre avete torto su una cosa»
«Su cosa? » dicono i tre in coro.
Lasciate che vi racconti una storia.

Ali, Abdi, Rashid e il diluvio Universale.

Si narra che ai tempi in cui Dio disse a Noè di costruire l’Arca per mondare la terra dagli empi con il diluvio Universale, del tutto ignari di questi avvenimenti, Ali, Abdi e Rashid, tre pescatori, se ne stessero felici e contenti a bordo della loro imbarcazione.
Amavano il mare più di loro stessi e scendevano dalla loro barca raramente, solo quando costretti a rifornirsi di acqua. Per il resto se ne stavano a largo.
Sembra che ogni sera, dopo cena, i tre, contrariamente a quanto avveniva durante il resto del giorno, amassero loro stessi più del mare.
Organizzavano voluttuosi festini per rinsaldare il loro sodalizio. I marinai dei pescherecci che li incrociavano sulla loro rotta, raccontavano di canti e risa sguaiate portati dal vento, in particolare riferivano di un coro senza senso che ripeteva la stessa parola su una melodia suadente e che faceva più o meno così «Pepe pepepepepe…».
Sembra che anche l’enigmatico nome della loro imbarcazione “MACB” fosse un inno occulto alle esuberanze notturne dei tre e che fosse l’acronimo di “Meo Amigo Charlie Brown” .
Insomma, fatto sta che quando la superficie terrestre fu sommersa dalla pioggia i tre ne furono molto felici. Potevano stare in mare, cibarsi del pesce che pescavano e bere l’acqua piovana.
Dio non era per niente contento.
Per portare a compimento il suo piano era necessario far annegare anche quei tre. Peraltro questo contrattempo stava dilatando i tempi del diluvio e, sull’unico altro natante ancora in giro Noè stava terminando il foraggio per gli unicorni.
Allora Dio disse alle nubi di ritirarsi da una piccola porzione del cielo e a una piccola isoletta di emergere. Per rendere il tutto ancora più allettante riempì la terra con un foresta di banani.
«Terra!» gridò Ali
«Sole!» constatò Abdi
«Banane!» giubilò Rashid, pensando alla dieta povera di vitamine e fibre degli ultimi mesi e non sottovalutando le potenzialità erotiche del frutto di cui l’isola era piena.
«Un’isola deserta in mezzo al mare! Potremmo stabilirci qui!» disse Ali
«Ma certo con il legno del MACB potremmo costruire una casa con un lettone a tre piazze!» Disse Abdì
«Sarà ma a me ‘sta storia puzza di omofobia» disse Rashid
Misero la cosa ai voti e, inutile dire, che Rashid dovette adeguarsi alla realizzazione del piano dei suoi amici.

Fai una lunga e studiata pausa finché Mario chiede
«E dopo?»
«Ricominciò a piovere. Ali, Abdi e Rashid furono spacciati come, del resto, anche gli unicorni»
«Ma perché hai raccontato questa storia e chi di noi ti ha convinto di più?» dice perplessa Giulia

The Winner is…

«Vedete, voi tre siete come Ali, Abdi e Rashid e questo posto è come l’isola delle banane. Siete qui a festeggiare, ma ignorate che dire mille e uno giorni di terrore, un po’ come dire mille e una notte, non è riferito al numero 1001, come si è portati a credere in occidente. In realtà "mille e uno … qualcosa" significa “un numero alto e indefinito”.
Venire stasera qui a festeggiare è stato un grosso sbaglio, per due motivi »
«due?» fa Giulia
«Esatto, il primo è che non c’è nulla da festeggiare, il secondo è che nei vostri bicchieri non c'era solo birra. Insomma, the winner is ... Abu Bakr II».
Nemmeno finisci la frase che i tre si stanno contorcendo dal dolore.
Ti alzi dal tavolo e ti avvicini all’uscita del locale.
Mentre apri la porta pensi: « È proprio vero che ho un senso dell’umorismo del cazzo»
Dietro di te i clienti, i baristi e il gestore del Vegan Bar si stanno sbranando l’un l’altro.

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Spartaco
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Re: Semifinale Giuseppe Rotondo

Messaggio#4 » sabato 20 maggio 2017, 22:59

Il vincitore scelto da Giuseppe Rotondo è: Mille e uno giorni di terrore e morte di Marco Roncaccia.

Mille e uno giorni di terrore e morte

Mille e uno giorni di terrore e morte si distingue per la struttura, capace di intrecciare micronarrazioni interne che accompagnano il lettore nel ricostruire quanto serve sapere del mondo della storia, che coniuga il contemporaneo, quotidiano, italiano, con l’imprevisto e bizzarro.
Le voci dei personaggi, assieme alla struttura e alla seconda persona della narrazione principale, creano un ritmo pulp fatto stacchi secchi, che richiama il parlato “realistico” concitato e il montaggio cinematografico più adrenalico.
Anche se non tutte le narrazioni interne sono allo stesso livello, la fulminante storia dell’isola delle banane e il twist finale che chiude il racconto gli valgono il turno

La Città del Bianco e del Nero
Un racconto nel racconto che gioca sulla narrazione esotica e straniante, mescolando simbolico e onirico. Personaggi ben delineati e che colpiscono. La voce narrante della prima e preponderante porzione del testo manca però di qualcosa per funzionare a pieno.

Garzone e le Quaranta Mangione
Scanzonato e improbabile mashup che finisce col richiamare l’ironia e il ritmo di Futurama, grazie anche a scene d’azione incalzanti e visive. Un intreccio più compiuto e coerente ne avrebbe fatto un gioiello.

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