Se solo sapessero... - Viviana Tenga
Inviato: sabato 28 febbraio 2015, 16:22
“Ehi! Guarda quel tipo!”
Dario si gira. A pochi passi da lui, in mezzo alla folla del corteo, Michele accenna al marciapiede alla loro destra. Due ragazzi stanno sorreggendo un coetaneo che trema e piagnucola in maniera incontrollata.
“Dici che ha bisogno di aiuto?” chiede Dario, ma la sua domanda viene sommersa da un coro che grida slogan contro il governo e la crisi economica. Quando potrebbe ripetere la domanda, i tre ragazzi si sono già allontanati in una stradina laterale. Dario si dice che in fondo se avessero avuto bisogno avrebbero già chiesto a una qualsiasi delle persone nel corteo.
In punta di piedi, Mattia guarda dalla finestra la folla di ragazzi che sfila per strada. Seduto nella sua poltrona dall'altra parte del salotto, il nonno sbuffa.
“Stupidi giovani!”
“Papà, smettila” dice la mamma.
“Perché dici che sono stupidi?” chiede Mattia.
“Perché sanno solo lamentarsi” risponde il nonno. “Quando io ero giovane... Allora sì che c'era da protestare! Pensa che io sono stato messo in prigione perché l'ho fatto. Ma la prigione italiana non era comunque nulla, rispetto al posto dove poi ci hanno portato i tedeschi...”
Lo sguardo del nonno si perde nel vuoto.
“Papà, non vorrai mica metterti a raccontare del lager!” esclama la mamma. “Non ti pare che Mattia sia un po' piccolo per queste cose?”
Il nonno sbuffa. “Ho solo detto che questi giovani non dovrebbero lamentarsi, dopo tutto quello che abbiamo sofferto noi perché potessero essere liberi. Se solo sapessero...”
“Beh, ma è proprio questo il punto, no? Liberi di manifestare, di protestare contro un il governo. È questa la democrazia per cui avete lottato, no?”
Il nonno non risponde.
La manifestazione sta continuando, ma Dario deve tornare a casa. Sua zia l'ha chiamato per dirgli che c'è bisogno che passi a prendere la cuginetta all'uscita da scuola. Poco dopo aver superato la fine del corteo, vede un uomo sul lato della strada che lo fissa. C'è qualcosa di strano nel suo sguardo, in quegli occhi chiari, in tutta quella figura magra dall'aria dimessa.
“Non sei uno di quelli che manifestano, vero?” chiede l'uomo.
Dario lo guarda incerto.
“In realtà sì. Solo, ora devo andarmene.”
“E ti sembra che queste manifestazioni siano una bella cosa?”
“A te sembra una bella cosa il fatto che sono disoccupato?”
“Posso chiederti di avvicinarti un attimo? Voglio farti vedere una cosa.”
Dario esita. Cosa vuole quel tipo da lui? Ma, d'altra parte, se anche perde qualche minuto sarà comunque in orario per andare a prendere Emilia a scuola, cosa gli costa fermarsi?
Mattia ha quattordici anni, ed è furioso con sua madre per la decisione di mettere il nonno in un ospizio.
“Perché?” domanda. “Perché non può rimanere in casa con noi?”
Sua madre risponde in modo evasivo. Dice che negli ultimi anni stargli dietro è diventato sempre più faticoso e che lei non ce la fa più. Mattia si accorge che sta evitando di incrociare il suo sguardo. Ha l'impressione che da un po' di tempo sua madre sia a disagio ogni volta che deve parlare con lui. Un po' come lo sono i suoi compagni di scuola. Mattia sa che tra di loro dicono che lui è mezzo pazzo; in realtà, sono solo invidiosi perché è il primo della classe.
“Guarda che il nonno sta meglio della maggior parte dei vecchi della sua età!”
“Fisicamente sì” risponde sua madre. “Ma di testa... Andiamo, Mattia, ti sarai accorto anche tu che ormai ha perso più di una rotella.”
La sua voce è quasi implorante.
“Il nonno non ha perso nessuna rotella!” esclama Mattia. “Sei tu che lo odi! In realtà ti vuoi liberare di lui perché ti mette in imbarazzo quando vengono qui le tue amiche!”
“Il nonno non mi mette in imbarazzo” risponde sua madre, ma il tono è sulla difensiva. “Le mie amiche sanno benissimo la sua storia, che quello che ha passato l'ha lasciato traumatizzato e che la vecchiaia non l'ha aiutato a riprendersi.”
“Il nonno è lucidissimo! Ha solo le sue idee!”
“Quelle che tu chiami le sue idee sono l'opposto degli ideali per cui aveva lottato. Ormai vive in un mondo tutto suo, è convinto che le cose dovrebbero rimanere cristallizzate e odia chiunque non sia della stessa idea.”
“No! Tu il nonno non lo capisci. Non l'hai mai capito.”
Mentre si avvicina all'uomo dall'aria strana, Dario si ricorda la scena di un'ora prima, del ragazzo che tremava e piangeva. Si rende conto che era proprio in quel punto della strada, davanti alla panetteria pochi metri più avanti. A dirla tutta, l'uomo davanti a lui non sembra essere del tutto posto con la testa, ma Dario non vede perché dovrebbe essere pericoloso.
L'uomo gli mostra la mano aperta. Sul palmo, c'è un piccolo congegno elettronico.
Il nonno sta morendo. I dottori parlano come se il suo male fosse curabile, ma Mattia sa bene che sperare non ha più senso.
Mattia non ha veri amici. Qualche compagno di università scambia due parole con lui di tanto in tanto, ma Mattia sa bene che è solo per beneducazione, che appena si allontana parlano di lui come quello strano, un po' matto. Anche i suoi genitori lo considerano un po' matto. Il nonno è l'unica persona con cui abbia un vero legame.
“Gli altri...” balbetta il nonno, dal suo letto d'ospedale. “Gli altri non capiscono niente, solo tu... Sì, tu sì che sei un ragazzo in gamba... Promettimi... Mattia, tu sei molto intelligente, di sicuro troverai un modo... Promettimi che farai in modo che gli altri capiscono quanto sono fortunati, quanto è bello il presente in cui vivono.”
Mattia sente una lacrima che gli scorre sul viso.
“Prometto.”
“Mio nonno era morto da anni quando sono riuscito a far funzionare la macchina...” mormora l'uomo con voce spiritata.
Dario tiene in mano il piccolo congegno e si chiede perché stia perdendo tempo con quel pazzo che non si è nemmeno capito cosa voglia da lui. Quanto manca all'uscita da scuola di Emilia? Forse dovrebbe sbrigarsi.
“...ma ho trovato altri” prosegue l'uomo. “Altri sopravvissuti. Ebrei, che avevano visto e vissuto cose ancora più terribili di lui. Non è stato facile convincerli a donarmi i loro ricordi; bisogna rievocarli in maniera molto intensa perché la macchina possa registrarli, molti di loro non volevano.”
Dario lo guarda perplesso. L'uomo tira fuori di tasca un piccolo telecomando e sorride in modo grottesco.
“Tu pensi di avere diritto di lamentarti, ma solo perché non sai quanto sei fortunato a vivere nel presente. Ma presto saprai.”
L'oggetto che Dario tiene in mano inizia a vibrare, la testa comincia a girargli...
Quando si riprende, Dario è seduto per terra, appoggiato al muro di un palazzo. Una signora grassoccia si è fermata a chiedergli se sta bene. Dario ricorda vagamente che dovrebbe andare a prendere Emilia a scuola, ma non riesce a preoccuparsene. Per un tempo che non sa quantificare, la sua mente è stata altrove, ha vissuto in prima persona gli orrori dell'Olocausto. Non gli è chiaro perché quel pazzo gli abbia voluto fare una cosa del genere, ma è troppo impegnato a sforzarsi di smettere di piangere e tremare.
Dario si gira. A pochi passi da lui, in mezzo alla folla del corteo, Michele accenna al marciapiede alla loro destra. Due ragazzi stanno sorreggendo un coetaneo che trema e piagnucola in maniera incontrollata.
“Dici che ha bisogno di aiuto?” chiede Dario, ma la sua domanda viene sommersa da un coro che grida slogan contro il governo e la crisi economica. Quando potrebbe ripetere la domanda, i tre ragazzi si sono già allontanati in una stradina laterale. Dario si dice che in fondo se avessero avuto bisogno avrebbero già chiesto a una qualsiasi delle persone nel corteo.
In punta di piedi, Mattia guarda dalla finestra la folla di ragazzi che sfila per strada. Seduto nella sua poltrona dall'altra parte del salotto, il nonno sbuffa.
“Stupidi giovani!”
“Papà, smettila” dice la mamma.
“Perché dici che sono stupidi?” chiede Mattia.
“Perché sanno solo lamentarsi” risponde il nonno. “Quando io ero giovane... Allora sì che c'era da protestare! Pensa che io sono stato messo in prigione perché l'ho fatto. Ma la prigione italiana non era comunque nulla, rispetto al posto dove poi ci hanno portato i tedeschi...”
Lo sguardo del nonno si perde nel vuoto.
“Papà, non vorrai mica metterti a raccontare del lager!” esclama la mamma. “Non ti pare che Mattia sia un po' piccolo per queste cose?”
Il nonno sbuffa. “Ho solo detto che questi giovani non dovrebbero lamentarsi, dopo tutto quello che abbiamo sofferto noi perché potessero essere liberi. Se solo sapessero...”
“Beh, ma è proprio questo il punto, no? Liberi di manifestare, di protestare contro un il governo. È questa la democrazia per cui avete lottato, no?”
Il nonno non risponde.
La manifestazione sta continuando, ma Dario deve tornare a casa. Sua zia l'ha chiamato per dirgli che c'è bisogno che passi a prendere la cuginetta all'uscita da scuola. Poco dopo aver superato la fine del corteo, vede un uomo sul lato della strada che lo fissa. C'è qualcosa di strano nel suo sguardo, in quegli occhi chiari, in tutta quella figura magra dall'aria dimessa.
“Non sei uno di quelli che manifestano, vero?” chiede l'uomo.
Dario lo guarda incerto.
“In realtà sì. Solo, ora devo andarmene.”
“E ti sembra che queste manifestazioni siano una bella cosa?”
“A te sembra una bella cosa il fatto che sono disoccupato?”
“Posso chiederti di avvicinarti un attimo? Voglio farti vedere una cosa.”
Dario esita. Cosa vuole quel tipo da lui? Ma, d'altra parte, se anche perde qualche minuto sarà comunque in orario per andare a prendere Emilia a scuola, cosa gli costa fermarsi?
Mattia ha quattordici anni, ed è furioso con sua madre per la decisione di mettere il nonno in un ospizio.
“Perché?” domanda. “Perché non può rimanere in casa con noi?”
Sua madre risponde in modo evasivo. Dice che negli ultimi anni stargli dietro è diventato sempre più faticoso e che lei non ce la fa più. Mattia si accorge che sta evitando di incrociare il suo sguardo. Ha l'impressione che da un po' di tempo sua madre sia a disagio ogni volta che deve parlare con lui. Un po' come lo sono i suoi compagni di scuola. Mattia sa che tra di loro dicono che lui è mezzo pazzo; in realtà, sono solo invidiosi perché è il primo della classe.
“Guarda che il nonno sta meglio della maggior parte dei vecchi della sua età!”
“Fisicamente sì” risponde sua madre. “Ma di testa... Andiamo, Mattia, ti sarai accorto anche tu che ormai ha perso più di una rotella.”
La sua voce è quasi implorante.
“Il nonno non ha perso nessuna rotella!” esclama Mattia. “Sei tu che lo odi! In realtà ti vuoi liberare di lui perché ti mette in imbarazzo quando vengono qui le tue amiche!”
“Il nonno non mi mette in imbarazzo” risponde sua madre, ma il tono è sulla difensiva. “Le mie amiche sanno benissimo la sua storia, che quello che ha passato l'ha lasciato traumatizzato e che la vecchiaia non l'ha aiutato a riprendersi.”
“Il nonno è lucidissimo! Ha solo le sue idee!”
“Quelle che tu chiami le sue idee sono l'opposto degli ideali per cui aveva lottato. Ormai vive in un mondo tutto suo, è convinto che le cose dovrebbero rimanere cristallizzate e odia chiunque non sia della stessa idea.”
“No! Tu il nonno non lo capisci. Non l'hai mai capito.”
Mentre si avvicina all'uomo dall'aria strana, Dario si ricorda la scena di un'ora prima, del ragazzo che tremava e piangeva. Si rende conto che era proprio in quel punto della strada, davanti alla panetteria pochi metri più avanti. A dirla tutta, l'uomo davanti a lui non sembra essere del tutto posto con la testa, ma Dario non vede perché dovrebbe essere pericoloso.
L'uomo gli mostra la mano aperta. Sul palmo, c'è un piccolo congegno elettronico.
Il nonno sta morendo. I dottori parlano come se il suo male fosse curabile, ma Mattia sa bene che sperare non ha più senso.
Mattia non ha veri amici. Qualche compagno di università scambia due parole con lui di tanto in tanto, ma Mattia sa bene che è solo per beneducazione, che appena si allontana parlano di lui come quello strano, un po' matto. Anche i suoi genitori lo considerano un po' matto. Il nonno è l'unica persona con cui abbia un vero legame.
“Gli altri...” balbetta il nonno, dal suo letto d'ospedale. “Gli altri non capiscono niente, solo tu... Sì, tu sì che sei un ragazzo in gamba... Promettimi... Mattia, tu sei molto intelligente, di sicuro troverai un modo... Promettimi che farai in modo che gli altri capiscono quanto sono fortunati, quanto è bello il presente in cui vivono.”
Mattia sente una lacrima che gli scorre sul viso.
“Prometto.”
“Mio nonno era morto da anni quando sono riuscito a far funzionare la macchina...” mormora l'uomo con voce spiritata.
Dario tiene in mano il piccolo congegno e si chiede perché stia perdendo tempo con quel pazzo che non si è nemmeno capito cosa voglia da lui. Quanto manca all'uscita da scuola di Emilia? Forse dovrebbe sbrigarsi.
“...ma ho trovato altri” prosegue l'uomo. “Altri sopravvissuti. Ebrei, che avevano visto e vissuto cose ancora più terribili di lui. Non è stato facile convincerli a donarmi i loro ricordi; bisogna rievocarli in maniera molto intensa perché la macchina possa registrarli, molti di loro non volevano.”
Dario lo guarda perplesso. L'uomo tira fuori di tasca un piccolo telecomando e sorride in modo grottesco.
“Tu pensi di avere diritto di lamentarti, ma solo perché non sai quanto sei fortunato a vivere nel presente. Ma presto saprai.”
L'oggetto che Dario tiene in mano inizia a vibrare, la testa comincia a girargli...
Quando si riprende, Dario è seduto per terra, appoggiato al muro di un palazzo. Una signora grassoccia si è fermata a chiedergli se sta bene. Dario ricorda vagamente che dovrebbe andare a prendere Emilia a scuola, ma non riesce a preoccuparsene. Per un tempo che non sa quantificare, la sua mente è stata altrove, ha vissuto in prima persona gli orrori dell'Olocausto. Non gli è chiaro perché quel pazzo gli abbia voluto fare una cosa del genere, ma è troppo impegnato a sforzarsi di smettere di piangere e tremare.