La bestia del Gévaudan (di Francesco D'Amore)
Inviato: sabato 28 febbraio 2015, 16:52
Ero con mio nipote quando vidi la bestia per la prima volta. Eravamo nel bosco, cercavamo di costruire un arco con i rami degli alberi. Lei apparve davanti a me, aveva un colore rosso acceso, dei denti a sciabola, puzzava di putrido. Sembrava un qualcosa di antico, una bestia estinta, qualcosa di veramente unico e raro. Una parte di me era spaventato, l’altra provava ammirazione. Mi sfidò con lo sguardo e per la prima volta nella mia vita ricambiai la sfida, non abbassai la testa.
Credo che mi abbia visto per quel che ero in quel preciso momento. La bestia mi lasciò vivere. Mio nipote non la vide, io non dissi nulla.
La sera stessa, nei notiziari si parlò di una terribile tragedia, tutti davano la colpa alla bestia del Gévaudan per la morte di bambini e uomini sbranati proprio nei pressi del bosco dove ero quella mattina con mio nipote. La chiamavano così, proprio perché dalle testimonianze, somigliava proprio a quella bestia descritta dai francesi. Mio fratello Dario e la sua quasi moglie Elena, erano spaventati: e se la bestia avesse incontrato voi? Io non dissi nulla.
Quando succedono delle tragedie che abbiano un pizzico di mistero, la gente tende a esagerare la versione dei fatti.
La storia dice che gli abitanti del Gévaudan videro una iena sbranare dei bambini, poi i racconti trasformarono quella iena in una bestia uscita dagli inferi. Ovvero la bestia del Gévaudan.
Se ti avvicini e guardi meglio, la iena resta sempre una iena.
Quell’essere che ho visto io invece, non era affatto una iena, era davvero la bestia narrata da quelle storie.
Ho sempre ascoltato le storie della gente sulle persone più note del mio piccolo paese di provincia. “Creolina” era il nome del ragazzo più temuto del mio paese. I ragazzi del liceo si rivolgevano sempre a lui per spargere la creolina in tutta la scuola, rendendola inagibile.
Il tipo è un vero pezzo di merda, uno di quelli che si diverte a infilare i miniciccioli nel culo dei gatti, uno di quegli scoppiati di cervello che potrebbe alzarti le mani a dosso da un momento all’altro, senza un motivo preciso.
“Ti conviene abbassare la testa quando lo vedi e non ricambiare mai il suo sguardo”. Questo era quello che diceva la gente del mio paese.
Giravano storie su quegli studenti pieni di se, che prendono voti altissimi e l’unica spiegazione possibile è che siano dei geni. Io li ho visti, riesco a riconoscere una bestia del Gévaudan quando la vedo e loro non sono delle bestie o dei geni, loro, a confronto, sono degli animali domestici; dei cuccioli disposti a seguire gli ordini dei loro padroni per ricevere un biscotto alla fine delle loro fatiche. Una bestia del Gévaudan non può avere padroni. Tutti vorrebbero essere narrati con grandi storie, ma nessuno di loro se lo merita veramente.
Vorrei vederli sfidare lo sguardo della bestia. Vorrei tanto che si mostrassero per quello che sono.
“Dove vai?” mi disse Dario
“Mi chiudo in gabbia” gli risposi.
“quanto pensi di durare se continui così? devi trovarti un lavoro, un lavoro vero!”
“Pensa ai preparativi per il tuo matrimonio, io non ci divento un cane ammaestrato!”
Me ne andai. Mio fratello non disse più nulla.
La gabbia è il mio mondo, se riesci, puoi dominarlo oppure finisci al tappeto.
Creolina quella notte partecipò ai giochi. Ho avuto un’occasione per scoprire se fosse davvero una bestia, come quella del Gévaudan. Non ho mai voluto sfidarlo.
Mi offrii volontario.
Mi sfidò con lo sguardo, non era come quello della bestia, lui mi vedeva già sanguinante al tappeto. Mi dimenticai di tutto quello che sono stato, di tutto quello che è stato lui.
Mi colpì, e io andai incontro ai suoi colpi incurante del male che mi avrebbero fatto.
Gli diedi una testata sul labbro, poi lo colpii al fianco e lo feci piegare. Lo mandai al tappeto con una ginocchiata sul naso. Non era un Gévaudan, Creolina era solo un essere plasmato dalla società, se solo lo avessi saputo prima, non si sarebbe dato tante arie per tutti questi anni.
Vidi quella folla di persone e nessuno di loro mi bastava, non erano al pari della bestia.
Ho sfidato quello che più di tutti mi ha dato il tormento nella mia vita e l’ho messo al tappeto senza troppa fatica.
Tornai a casa, presi il coltello che il mio migliore amico mi regalò quando feci quindici anni e andai nel bosco, alla ricerca di quella bestia preistorica.
Non è stata una grande idea entrare di notte nel bosco, non riuscivo a vedere granché, avrebbe potuto prendermi alle spalle e staccarmi la testa con un morso, ma non dimentico il suo fetore, forse l’avrei sentito comunque arrivare.
Arrivai al fiume, vidi la bestia dissetarsi. Rimasi immobile ad ammirare il suo colore rosso come la rabbia, la stessa che ho soffocato per anni.
La bestia sentì il mio sguardo su di lei, si voltò; non mi lascerà andare, ha subito capito quali fossero le mie intenzioni.
Lei mi azzannò alla gamba, sentii le sue sciabole entrare ferocemente nella mia carne, ma lasciai perdere. Non c’era tempo per il dolore.
Le diedi un calcio, ma non lasciò la presa. La accoltellai in un occhio, questo la fece infuriare ancora di più. Tentò di azzannarmi alla gola, sentii il fetore del suo alito putrido. Cercai di proteggermi con la mano sinistra.
La accoltellai al collo e lei mi staccò la mano dal polso. Divenne più lenta e io la colpì alla testa, lasciai il coltello affondato nel suo cranio mentre si accasciò al terreno tenendo tra le fauci la mia mano mutilata.
Il dolore era fortissimo, forse sarei morto anch’io se mio fratello non mi avesse risposto.
Nelle prime pagine dei giornali si parlò del mio atto eroico. Tutti mi chiamarono il cacciatore del Gévaudan. Adesso girano storie su di me e sulla mia grandezza. Un eroe che ha riportato la serenità nel paese fermando la bestia che ha scannato intere famiglie.
Chiesi di vedere il corpo dell’animale. Volli guardare il mio trofeo. Mi accontentarono.
La guardai da più vicino. Era una iena scappata dallo zoo.
Una iena resta sempre una iena.
Fine.
Credo che mi abbia visto per quel che ero in quel preciso momento. La bestia mi lasciò vivere. Mio nipote non la vide, io non dissi nulla.
La sera stessa, nei notiziari si parlò di una terribile tragedia, tutti davano la colpa alla bestia del Gévaudan per la morte di bambini e uomini sbranati proprio nei pressi del bosco dove ero quella mattina con mio nipote. La chiamavano così, proprio perché dalle testimonianze, somigliava proprio a quella bestia descritta dai francesi. Mio fratello Dario e la sua quasi moglie Elena, erano spaventati: e se la bestia avesse incontrato voi? Io non dissi nulla.
Quando succedono delle tragedie che abbiano un pizzico di mistero, la gente tende a esagerare la versione dei fatti.
La storia dice che gli abitanti del Gévaudan videro una iena sbranare dei bambini, poi i racconti trasformarono quella iena in una bestia uscita dagli inferi. Ovvero la bestia del Gévaudan.
Se ti avvicini e guardi meglio, la iena resta sempre una iena.
Quell’essere che ho visto io invece, non era affatto una iena, era davvero la bestia narrata da quelle storie.
Ho sempre ascoltato le storie della gente sulle persone più note del mio piccolo paese di provincia. “Creolina” era il nome del ragazzo più temuto del mio paese. I ragazzi del liceo si rivolgevano sempre a lui per spargere la creolina in tutta la scuola, rendendola inagibile.
Il tipo è un vero pezzo di merda, uno di quelli che si diverte a infilare i miniciccioli nel culo dei gatti, uno di quegli scoppiati di cervello che potrebbe alzarti le mani a dosso da un momento all’altro, senza un motivo preciso.
“Ti conviene abbassare la testa quando lo vedi e non ricambiare mai il suo sguardo”. Questo era quello che diceva la gente del mio paese.
Giravano storie su quegli studenti pieni di se, che prendono voti altissimi e l’unica spiegazione possibile è che siano dei geni. Io li ho visti, riesco a riconoscere una bestia del Gévaudan quando la vedo e loro non sono delle bestie o dei geni, loro, a confronto, sono degli animali domestici; dei cuccioli disposti a seguire gli ordini dei loro padroni per ricevere un biscotto alla fine delle loro fatiche. Una bestia del Gévaudan non può avere padroni. Tutti vorrebbero essere narrati con grandi storie, ma nessuno di loro se lo merita veramente.
Vorrei vederli sfidare lo sguardo della bestia. Vorrei tanto che si mostrassero per quello che sono.
“Dove vai?” mi disse Dario
“Mi chiudo in gabbia” gli risposi.
“quanto pensi di durare se continui così? devi trovarti un lavoro, un lavoro vero!”
“Pensa ai preparativi per il tuo matrimonio, io non ci divento un cane ammaestrato!”
Me ne andai. Mio fratello non disse più nulla.
La gabbia è il mio mondo, se riesci, puoi dominarlo oppure finisci al tappeto.
Creolina quella notte partecipò ai giochi. Ho avuto un’occasione per scoprire se fosse davvero una bestia, come quella del Gévaudan. Non ho mai voluto sfidarlo.
Mi offrii volontario.
Mi sfidò con lo sguardo, non era come quello della bestia, lui mi vedeva già sanguinante al tappeto. Mi dimenticai di tutto quello che sono stato, di tutto quello che è stato lui.
Mi colpì, e io andai incontro ai suoi colpi incurante del male che mi avrebbero fatto.
Gli diedi una testata sul labbro, poi lo colpii al fianco e lo feci piegare. Lo mandai al tappeto con una ginocchiata sul naso. Non era un Gévaudan, Creolina era solo un essere plasmato dalla società, se solo lo avessi saputo prima, non si sarebbe dato tante arie per tutti questi anni.
Vidi quella folla di persone e nessuno di loro mi bastava, non erano al pari della bestia.
Ho sfidato quello che più di tutti mi ha dato il tormento nella mia vita e l’ho messo al tappeto senza troppa fatica.
Tornai a casa, presi il coltello che il mio migliore amico mi regalò quando feci quindici anni e andai nel bosco, alla ricerca di quella bestia preistorica.
Non è stata una grande idea entrare di notte nel bosco, non riuscivo a vedere granché, avrebbe potuto prendermi alle spalle e staccarmi la testa con un morso, ma non dimentico il suo fetore, forse l’avrei sentito comunque arrivare.
Arrivai al fiume, vidi la bestia dissetarsi. Rimasi immobile ad ammirare il suo colore rosso come la rabbia, la stessa che ho soffocato per anni.
La bestia sentì il mio sguardo su di lei, si voltò; non mi lascerà andare, ha subito capito quali fossero le mie intenzioni.
Lei mi azzannò alla gamba, sentii le sue sciabole entrare ferocemente nella mia carne, ma lasciai perdere. Non c’era tempo per il dolore.
Le diedi un calcio, ma non lasciò la presa. La accoltellai in un occhio, questo la fece infuriare ancora di più. Tentò di azzannarmi alla gola, sentii il fetore del suo alito putrido. Cercai di proteggermi con la mano sinistra.
La accoltellai al collo e lei mi staccò la mano dal polso. Divenne più lenta e io la colpì alla testa, lasciai il coltello affondato nel suo cranio mentre si accasciò al terreno tenendo tra le fauci la mia mano mutilata.
Il dolore era fortissimo, forse sarei morto anch’io se mio fratello non mi avesse risposto.
Nelle prime pagine dei giornali si parlò del mio atto eroico. Tutti mi chiamarono il cacciatore del Gévaudan. Adesso girano storie su di me e sulla mia grandezza. Un eroe che ha riportato la serenità nel paese fermando la bestia che ha scannato intere famiglie.
Chiesi di vedere il corpo dell’animale. Volli guardare il mio trofeo. Mi accontentarono.
La guardai da più vicino. Era una iena scappata dallo zoo.
Una iena resta sempre una iena.
Fine.