Radioman, di Sharon Galano
Inviato: sabato 28 febbraio 2015, 16:52
Radioman
di Sharon Galano
Nella sala ricreativa il gruppo fece un lungo applauso per il giovane che aveva finito di parlare. Era il suo centoventunesimo giorno da sobrio. Su un cartellone la moderatrice schiaffò una stella dorata accanto al nome del ragazzo.
-Capitano, devo aggiungere anche a lei una stellina? la donna ci mise un po’ a fare un giro completo su se stessa.
Il vecchio stava sintonizzando la radiolina portatile su frequenze anonime.
- Generale maggiore Stevenson - sottolineò per darsi un tono - E non bevo da sette ore e quarantacinque minuti - i compagni dell'Alcolisti Anonimi per poco non caddero dalle sedie. Il maggiore, che non toccava una goccia d'alcol da più di quarant'anni, aveva disertato.
-Tra quindici minuti passerà il segnale orario - e indicò la radiolina - vedremo se il mio fegato reggerà.
Chi lo conosceva da più tempo sapeva che bastava un niente per mandare in tilt il delicato equilibrio del suo corpo.
-Mi hanno richiamato in servizio - il maggiore mostrò gli incisivi d'oro - Datemi il napal e faccio fuori un po' di Viet Cong.
La sedia di plastica fece un rumore simile a un lamento, quando la moderatrice riprese il suo posto.
-Stasera ci sono anche dei nuovi arrivati. Presentati.
La radiolina sbottò: - Un quarto alle dieci.
Il vecchio si alzò in piedi e si mise sull'attenti. - Sono il generale maggiore Stevenson, reduce di guerra, medaglia al valore - e mostrò le stelle sulla divisa logora che usava come cappotto - a riposo fino a ieri sera.
Gli altri risposero: - Ciao Stev.
Il vecchio prese a girare la manovella della radio, in cerca della frequenza su cui il giorno prima aveva intercettato la chiamata alle armi.
-Stev - il tono della moderatrice era simile a quello di una maestrina - parlaci di quando hai iniziato a bere.
-Sì, signora - gridò - ho iniziato come tutti - si inumidì le labbra assetato - una donna mi ha portato sulla strada del bere, e io non ho nemmeno avuto il buon cuore di ringraziarla.
Alla radio passavano messaggi criptati che solo il maggiore riusciva a comprendere.
-Era mia madre.
Uno rise, il cerchio lo imitò.
-Era il quattro luglio. Io non ero ancora nato, ma da lì dentro sentivo già tutto - allontanò la radio dall’orecchio - quella sconsiderata di Betty Bischop offrì a mia madre un bicchiere di birra. E’ festa, che fai non bevi? Così lo racconta mia madre, ma io so la verità. Fu lei a chiederglielo.
Era divertente distrarre quegli ubriaconi con una storiella. In realtà il maggiore ripensava alla sera prima: dopo un radiogiornale una voce metallica aveva declamato il numero di serie della sua piastrina. Lui aveva alzato il volume e, in pochi minuti, aveva realizzato che ancora una volta c'era bisogno di lui.
Aveva indossato la sua divisa di rappresentanza, si era recato sul luogo indicatogli e aveva fatto gli onori di casa. Bere, non avrebbe potuto fare altrimenti: non voleva dare nell'occhio. Al diavolo la cirrosi epatica.
-Per un po' sono anche andato in analisi, e nel frattempo bevevo sdraiato - questa l’aveva sentita in un film.
Due ragazzi coi capelli da hippie si piegarono in due per le risate.
La radio annunciò dieci alle dieci.
-Mio padre mi ha insegnato tutto quello che so sul bere - il maggiore puntò i salatini che erano all'altro capo della stanza, su un tavolino pieghevole, a fianco di libri voluminosi. Sentì la sete crescere. - Era un tipo molto alla mano, finché la riserva non si prosciugava. Ma un modo per divertirsi lo trovava comunque: le mani, le usava per far altro.
Un attimo di pausa.
I ragazzi si fecero seri. La sedia scricchiolò sotto il peso della moderatrice.
Il maggiore si morse il labbro inferiore, proprio come aveva fatto la sera prima, quando durante la festa i suoi superiori gli avevano illustrato il problema da risolvere.
Una delle basi militari sull’isola di Guam era infestata dai serpenti. -E pensare che ce li abbiamo portati noi - gli aveva detto un uomo dai capelli brizzolati -con le navi durante la seconda guerra mondiale.
Il maggiore aveva dovuto mandare giù qualche sorso di champagne: era l'alcol la sua musa più fidata.
I capelloni lo riportarono alla realtà. Dissero che studiavano psicologia: - Ti picchiava, per questo sei entrato nell'esercito? Hai iniziato a bere per quello che hai visto in Vietnam?
-Ricordo che prima della partenza, il giorno del Ringraziamento, mio padre mi permise di bere un dito di vino - il maggiore sapeva che era meglio fornire ai civili solo dettagli privati - il coltello ebbe la meglio sul mio vecchio. Bevvi proprio un dito di vino.
Al cerchio ci volle qualche minuto per capirla.
Nel frattempo la mente del maggiore vagò nel passato. In Vietnam, dove l’aria era più pura, la droga più raffinata, gli era stata servita una bevanda più o meno simile a quella che bevve il giorno del Ringraziamento. Era un liquore che si otteneva facendo fermentare il riso e altre erbe. Al tutto si aggiungeva un ingrediente segreto: la carcassa di serpenti velenosi. Bisognava sventrarli e drenare il sangue direttamente sul drink. In camerata lo chiamavano Snake Wine, perché aveva il colore di un Pinot.
-Vogliamo ucciderli tutti- gli avevano spiegato i superiori la sera prima - useremo topi morti, imbottiti di veleno.
-E io come posso aiutarvi, signori? aveva chiesto imbarazzato il maggiore che era abituato a utilizzare prodotti di più alto livello, e ampio spettro per le disinfestazioni.
-Lei sarà il nostro sommelier. Nessuno ha le sue competenze e la sua esperienza.
-Produrre Snake wine?
-Vino di importazione a basso prezzo. Un ottimo business.
“Lo zio Sam sa sempre cosa fare”, aveva pensato tra sé mentre stringeva mani a destra e a manca proponendosi come volontario.
La radiolina mandò un fischio.
Le dieci, l’ora x.
-Ieri sera mi sono dato alla pazza gioia - confessò al cerchio degli alcolisti.
Il maggiore si portò una mano sul fianco. Sentiva il veleno ribollirgli nelle vene. Era proprio come quarant’anni prima. “Se sopravvivi alla prima sbronza, poi puoi andar giù pesante, anche se fuori gli occhi a mandorla ti spaccano il cranio coi loro mitra” erano state le parole del suo migliore amico.
Il cerchio lo fissò: la storia del padre mutilo non convinceva.
-Sai cosa succederà adesso? la moderatrice e le sue domande retoriche.
Il maggiore lo sapeva: alla meglio avrebbe vomito gli ettolitri di alcol accumulati negli anni.
Le cosce della moderatrice sfregarono tra loro fino al cartellone. La donna staccò dal nome di Stevenson tre stelline.
-Nessuno tocca i miei gradi - il vecchio alzò il volume della radio e uscì sulle note della Cavalcata delle Valchirie.
-Evidentemente non ha letto il mio libro - disse la moderatrice a quelli che erano rimasti - per chi volesse acquistarlo, sono a vostra disposizione.
Qualche ora dopo i due ragazzi di psicologia passarono per il centro. Wagner rimbombava per il corso. Videro che il maggiore sedeva a terra insieme ad altri barboni. Sul suo cartello non c’era scritto “Fate la carità”, come sugli altri. No, “Passato in vendita”.
di Sharon Galano
Nella sala ricreativa il gruppo fece un lungo applauso per il giovane che aveva finito di parlare. Era il suo centoventunesimo giorno da sobrio. Su un cartellone la moderatrice schiaffò una stella dorata accanto al nome del ragazzo.
-Capitano, devo aggiungere anche a lei una stellina? la donna ci mise un po’ a fare un giro completo su se stessa.
Il vecchio stava sintonizzando la radiolina portatile su frequenze anonime.
- Generale maggiore Stevenson - sottolineò per darsi un tono - E non bevo da sette ore e quarantacinque minuti - i compagni dell'Alcolisti Anonimi per poco non caddero dalle sedie. Il maggiore, che non toccava una goccia d'alcol da più di quarant'anni, aveva disertato.
-Tra quindici minuti passerà il segnale orario - e indicò la radiolina - vedremo se il mio fegato reggerà.
Chi lo conosceva da più tempo sapeva che bastava un niente per mandare in tilt il delicato equilibrio del suo corpo.
-Mi hanno richiamato in servizio - il maggiore mostrò gli incisivi d'oro - Datemi il napal e faccio fuori un po' di Viet Cong.
La sedia di plastica fece un rumore simile a un lamento, quando la moderatrice riprese il suo posto.
-Stasera ci sono anche dei nuovi arrivati. Presentati.
La radiolina sbottò: - Un quarto alle dieci.
Il vecchio si alzò in piedi e si mise sull'attenti. - Sono il generale maggiore Stevenson, reduce di guerra, medaglia al valore - e mostrò le stelle sulla divisa logora che usava come cappotto - a riposo fino a ieri sera.
Gli altri risposero: - Ciao Stev.
Il vecchio prese a girare la manovella della radio, in cerca della frequenza su cui il giorno prima aveva intercettato la chiamata alle armi.
-Stev - il tono della moderatrice era simile a quello di una maestrina - parlaci di quando hai iniziato a bere.
-Sì, signora - gridò - ho iniziato come tutti - si inumidì le labbra assetato - una donna mi ha portato sulla strada del bere, e io non ho nemmeno avuto il buon cuore di ringraziarla.
Alla radio passavano messaggi criptati che solo il maggiore riusciva a comprendere.
-Era mia madre.
Uno rise, il cerchio lo imitò.
-Era il quattro luglio. Io non ero ancora nato, ma da lì dentro sentivo già tutto - allontanò la radio dall’orecchio - quella sconsiderata di Betty Bischop offrì a mia madre un bicchiere di birra. E’ festa, che fai non bevi? Così lo racconta mia madre, ma io so la verità. Fu lei a chiederglielo.
Era divertente distrarre quegli ubriaconi con una storiella. In realtà il maggiore ripensava alla sera prima: dopo un radiogiornale una voce metallica aveva declamato il numero di serie della sua piastrina. Lui aveva alzato il volume e, in pochi minuti, aveva realizzato che ancora una volta c'era bisogno di lui.
Aveva indossato la sua divisa di rappresentanza, si era recato sul luogo indicatogli e aveva fatto gli onori di casa. Bere, non avrebbe potuto fare altrimenti: non voleva dare nell'occhio. Al diavolo la cirrosi epatica.
-Per un po' sono anche andato in analisi, e nel frattempo bevevo sdraiato - questa l’aveva sentita in un film.
Due ragazzi coi capelli da hippie si piegarono in due per le risate.
La radio annunciò dieci alle dieci.
-Mio padre mi ha insegnato tutto quello che so sul bere - il maggiore puntò i salatini che erano all'altro capo della stanza, su un tavolino pieghevole, a fianco di libri voluminosi. Sentì la sete crescere. - Era un tipo molto alla mano, finché la riserva non si prosciugava. Ma un modo per divertirsi lo trovava comunque: le mani, le usava per far altro.
Un attimo di pausa.
I ragazzi si fecero seri. La sedia scricchiolò sotto il peso della moderatrice.
Il maggiore si morse il labbro inferiore, proprio come aveva fatto la sera prima, quando durante la festa i suoi superiori gli avevano illustrato il problema da risolvere.
Una delle basi militari sull’isola di Guam era infestata dai serpenti. -E pensare che ce li abbiamo portati noi - gli aveva detto un uomo dai capelli brizzolati -con le navi durante la seconda guerra mondiale.
Il maggiore aveva dovuto mandare giù qualche sorso di champagne: era l'alcol la sua musa più fidata.
I capelloni lo riportarono alla realtà. Dissero che studiavano psicologia: - Ti picchiava, per questo sei entrato nell'esercito? Hai iniziato a bere per quello che hai visto in Vietnam?
-Ricordo che prima della partenza, il giorno del Ringraziamento, mio padre mi permise di bere un dito di vino - il maggiore sapeva che era meglio fornire ai civili solo dettagli privati - il coltello ebbe la meglio sul mio vecchio. Bevvi proprio un dito di vino.
Al cerchio ci volle qualche minuto per capirla.
Nel frattempo la mente del maggiore vagò nel passato. In Vietnam, dove l’aria era più pura, la droga più raffinata, gli era stata servita una bevanda più o meno simile a quella che bevve il giorno del Ringraziamento. Era un liquore che si otteneva facendo fermentare il riso e altre erbe. Al tutto si aggiungeva un ingrediente segreto: la carcassa di serpenti velenosi. Bisognava sventrarli e drenare il sangue direttamente sul drink. In camerata lo chiamavano Snake Wine, perché aveva il colore di un Pinot.
-Vogliamo ucciderli tutti- gli avevano spiegato i superiori la sera prima - useremo topi morti, imbottiti di veleno.
-E io come posso aiutarvi, signori? aveva chiesto imbarazzato il maggiore che era abituato a utilizzare prodotti di più alto livello, e ampio spettro per le disinfestazioni.
-Lei sarà il nostro sommelier. Nessuno ha le sue competenze e la sua esperienza.
-Produrre Snake wine?
-Vino di importazione a basso prezzo. Un ottimo business.
“Lo zio Sam sa sempre cosa fare”, aveva pensato tra sé mentre stringeva mani a destra e a manca proponendosi come volontario.
La radiolina mandò un fischio.
Le dieci, l’ora x.
-Ieri sera mi sono dato alla pazza gioia - confessò al cerchio degli alcolisti.
Il maggiore si portò una mano sul fianco. Sentiva il veleno ribollirgli nelle vene. Era proprio come quarant’anni prima. “Se sopravvivi alla prima sbronza, poi puoi andar giù pesante, anche se fuori gli occhi a mandorla ti spaccano il cranio coi loro mitra” erano state le parole del suo migliore amico.
Il cerchio lo fissò: la storia del padre mutilo non convinceva.
-Sai cosa succederà adesso? la moderatrice e le sue domande retoriche.
Il maggiore lo sapeva: alla meglio avrebbe vomito gli ettolitri di alcol accumulati negli anni.
Le cosce della moderatrice sfregarono tra loro fino al cartellone. La donna staccò dal nome di Stevenson tre stelline.
-Nessuno tocca i miei gradi - il vecchio alzò il volume della radio e uscì sulle note della Cavalcata delle Valchirie.
-Evidentemente non ha letto il mio libro - disse la moderatrice a quelli che erano rimasti - per chi volesse acquistarlo, sono a vostra disposizione.
Qualche ora dopo i due ragazzi di psicologia passarono per il centro. Wagner rimbombava per il corso. Videro che il maggiore sedeva a terra insieme ad altri barboni. Sul suo cartello non c’era scritto “Fate la carità”, come sugli altri. No, “Passato in vendita”.