La Bestia di Fuoco
Inviato: sabato 28 febbraio 2015, 17:04
«Che cosa vedi?»
«Una tigre»
«Che cosa vedi, davvero?»
«Una tigre in fiamme»
Quando aveva 11 anni Daniele abitava in una vecchia cascina toscana insieme a sua madre. Per la verità anche suo padre abitava lì, ma non c’era quasi mai, perso dietro a un lavoro – chissà quale – su e giù per l’Italia. Daniele era figlio unico.
«Daniele!»
«Sì, mamma?»
«Smettila di giocare col cane e vieni qua»
Daniele guardò Billy e lo grattò dietro le orecchie con dolcezza:«A dopo» disse, e corse al fienile.
Sua madre era bella. Anche mentre puliva gli escrementi delle vacche con gli stivali coperti di fango fino al ginocchio, Daniele notava come conservasse un’aria immacolata e severa, tipica di quelle persone che incutono rispetto già al primo sguardo.
«Pulisci Rosalinda, ha ancora la colite e stanotte ha fatto un macello»
«Bleah. Ma mamma non ho i guanti»
«Non ti servono»
Più tardi i due si pulirono alla fontanella fuori casa. Daniele la osservava raschiare lo sporco con durezza dai propri scarponcini: era bionda, proprio come lui, ma aveva gli occhi di un colore diverso, «Stasera torna papà?», chiese speranzoso, a scuola avevano fatto una ricerca sui combustibili e il suo era stato il miglior compito della classe, non vedeva l’ora di dirlo a suo padre.
«Non credo tornerà» rispose secca.
«Ma è tutta la settimana che è fuori»
«Lo sai che tuo babbo lavora tanto» e Daniele la vide strofinare più forte.
La cena non era proprio il suo momento preferito. Sua madre mangiava poco e in fretta, a volte non faceva in tempo a sedere a tavola che lei si era già alzata per pulire.
«Mamma lo sai perché la benzina prende facilmente fuoco?»
Non gli rispose. Stava in silenzio, con i capelli raccolti in un elegante chignon e puliva con vigore i piatti.
«Perché ha una temperatura d’ignizione molto bassa. Ce l’hanno detto a scuola»
Sua madre gli levò il piatto di sotto il naso e cominciò a pulirlo.
«Ma non avevo finito»
Sua madre non rispose.
Il giorno dopo a cena c’era anche suo padre.
«Babbo guarda qua» fece entusiasta Daniele, sventolando il proprio compito di scienze.
«Bravo» disse, e gli diede un paio di pacche sulla testa. Sua madre già puliva, dando loro le spalle, gli pareva un robot visto in un film.
Daniele notò qualcosa:«Babbo, ma perché tu e la mamma avete gli occhi marroni e io ce li ho azzurri?»
Crash!
Entrambi scattarono verso sua madre che stava in piedi, e si reggeva, pallida, una mano ricoperta di sangue.
«Luisa tutto bene?», sua madre boccheggiava fissando suo padre, ma aveva uno sguardo terrorizzato, non l’aveva mai vista così.
«Luisa dà qua…», le fasciò la mano in uno straccio, «Vieni».
Mentre suo padre accompagnava sua madre, Daniele la scoprì a guardarlo. Non aveva idea di cosa potesse significare uno sguardo simile, ma sentì dentro le viscere un gran freddo e, per un secolo, smise di respirare.
Neanche quell’estate Daniele sarebbe andato al mare. Osservava vecchie foto dei suoi genitori e vide che erano felici. Sembravano così irreali, possibile, pensò, che un momento di cui non abbiamo memoria sia esistito davvero?
«Cosa stai facendo?».
«Guardavo vecchie foto» si scusò Daniele, senza bene capire la sua colpa.
Sua madre cambiò espressione e lo prese per un orecchio:«Vieni con me!» digrignò, e lo portò in fondo alle scale, nel seminterrato.
Era l’opposto della casa: c’erano polvere, e cianfrusaglie sparse ovunque.
«Adesso starai qui»
«Ma cosa ho fat…»
Sciaff!
«Ahia…»
Sciaff! Sciaff!
«Pensaci bene, cretino», gli soffiò in faccia a voce bassa, ma nella sua testa gli sembrò urlare dentro a un megafono.
«Hai qualcosa da dire?»
Daniele non rispose, sentiva che sarebbe arrivato un altro schiaffo se avesse provato a respirare. Guardò sua madre sforzandosi di non piangere.
«Non mi guardare – Sciaff! – con quegli occhi!»
Daniele crollò a terra. Sentì qualcosa di caldo scorrere dal naso alle labbra. Sapeva di ferro.
Nella penombra vide sua madre portare una mano alla bocca e fissarlo, forse sussurrò qualcosa, ma andò via subito dopo, e a lui non importò più molto cosa potesse essere quel sospiro perché finalmente poteva piangere.
«Ciao Daniele, bentornato»
«Grazie Dottore»
«Allora, cerchiamo di capire la tua paura del fuoco. Mi hai parlato di una tigre…»
«Non era una tigre»
«E cos’era?»
«Un cane»
Quel ferragosto faceva un caldo atroce. Era stato rinchiuso nello scantinato altre cinque volte e ancora non capiva il perché. Non parlava più a sua madre, e lei non lo guardava più negli occhi.
Avrebbe giocato con Billy, ma da più di tre giorni il cane non si trovava, ed poteva chiederlo a sua madre. Anche suo padre non si vedeva da una settimana.
Non avendo nessuno Daniele rientrò in casa per guardare la tv. Passando davanti a camera di sua madre vide sul letto un album di foto lasciato aperto. Non avrebbe osato entrare lì dentro ma era certo di essere solo in casa, così si avvicinò per vedere.
Erano foto dei suoi da giovani. C’erano tante persone, tutte felici: persone felici al mare, al bar, al luna park, a un pic-nic. Una foto lo aveva colpito particolarmente: sua madre sorrideva a un ragazzone accanto a lei in un modo in cui mai l’aveva vista sorridere. E, cosa ancora più curiosa, il ragazzone aveva i suoi stessi occhi azzurri.
«Cosa cazzo hai in mano?»
Daniele saltò in aria come un ordigno e il raccoglitore scivolò, cadendo aperto ai piedi di sua madre.
Sua madre fissò la foto di lei e il ragazzone felici.
«Hai…»
Fu un lampo.
Lo prese per il collo e lo trascinò fuori dalla stanza. Sapeva già cosa lo aspettava.
Lo tirò sul pavimento dello scantinato e disse:«Puoi smetter di chiederti dove sia finito Billy».
Lo stanzino puzzava più del solito. Un fetore diverso proveniva dal fondo della stanza.
«Billy!» esclamò Daniele, felice di rivederlo.
Ma il cane cominciò ad abbaiargli contro ferocemente, gli occhi scintillavano nella penombra, non poteva essere Billy.
«Sono tre giorni che non mangia». E uscì chiudendo a chiave.
Nella notte tornò suo padre. Rumori di ogni genere provenivano da sopra. Ci fu uno scoppio, e un urlo fortissimo: riconobbe la voce di suo padre.
Seguirono millenni di silenzio interrotti solo dal ringhiare di Billy.
Più tardi dalla porta cominciò ad apparire del fumo e presto delle fiamme.
Daniele, senza vie di fuga, sarebbe morto carbonizzato, o asfissiato, se era fortunato.
Pianse, mentre Billy latrava come un forsennato e nel buio aveva gli stessi occhi freddi di sua madre. Fu allora che Daniele notò la piccola finestrella che dava sul fuori, alle spalle della bestia.
Si avvicinò, ma Billy gli corse incontro per sbranarlo, fermato solo da una catena. Alle spalle la porta esplose e entrarono le fiamme. Daniele osservò terrorizzato, la catena di Billy si ruppe e il cane fu libero di ucciderlo.
Fu un attimo.
Daniele raccolse un frammento della porta e colpì sua madre. Colpì i suoi occhi marroni fino a che non guairono un’ultima volta, e Daniele capì di avere ucciso Billy.
«Si calmi!» disse il dottore, «è passato».
«La bestia…»
«Basta così per oggi» fece il dottore, «riprendiamo la prossima volta».
«Una tigre»
«Che cosa vedi, davvero?»
«Una tigre in fiamme»
Quando aveva 11 anni Daniele abitava in una vecchia cascina toscana insieme a sua madre. Per la verità anche suo padre abitava lì, ma non c’era quasi mai, perso dietro a un lavoro – chissà quale – su e giù per l’Italia. Daniele era figlio unico.
«Daniele!»
«Sì, mamma?»
«Smettila di giocare col cane e vieni qua»
Daniele guardò Billy e lo grattò dietro le orecchie con dolcezza:«A dopo» disse, e corse al fienile.
Sua madre era bella. Anche mentre puliva gli escrementi delle vacche con gli stivali coperti di fango fino al ginocchio, Daniele notava come conservasse un’aria immacolata e severa, tipica di quelle persone che incutono rispetto già al primo sguardo.
«Pulisci Rosalinda, ha ancora la colite e stanotte ha fatto un macello»
«Bleah. Ma mamma non ho i guanti»
«Non ti servono»
Più tardi i due si pulirono alla fontanella fuori casa. Daniele la osservava raschiare lo sporco con durezza dai propri scarponcini: era bionda, proprio come lui, ma aveva gli occhi di un colore diverso, «Stasera torna papà?», chiese speranzoso, a scuola avevano fatto una ricerca sui combustibili e il suo era stato il miglior compito della classe, non vedeva l’ora di dirlo a suo padre.
«Non credo tornerà» rispose secca.
«Ma è tutta la settimana che è fuori»
«Lo sai che tuo babbo lavora tanto» e Daniele la vide strofinare più forte.
La cena non era proprio il suo momento preferito. Sua madre mangiava poco e in fretta, a volte non faceva in tempo a sedere a tavola che lei si era già alzata per pulire.
«Mamma lo sai perché la benzina prende facilmente fuoco?»
Non gli rispose. Stava in silenzio, con i capelli raccolti in un elegante chignon e puliva con vigore i piatti.
«Perché ha una temperatura d’ignizione molto bassa. Ce l’hanno detto a scuola»
Sua madre gli levò il piatto di sotto il naso e cominciò a pulirlo.
«Ma non avevo finito»
Sua madre non rispose.
Il giorno dopo a cena c’era anche suo padre.
«Babbo guarda qua» fece entusiasta Daniele, sventolando il proprio compito di scienze.
«Bravo» disse, e gli diede un paio di pacche sulla testa. Sua madre già puliva, dando loro le spalle, gli pareva un robot visto in un film.
Daniele notò qualcosa:«Babbo, ma perché tu e la mamma avete gli occhi marroni e io ce li ho azzurri?»
Crash!
Entrambi scattarono verso sua madre che stava in piedi, e si reggeva, pallida, una mano ricoperta di sangue.
«Luisa tutto bene?», sua madre boccheggiava fissando suo padre, ma aveva uno sguardo terrorizzato, non l’aveva mai vista così.
«Luisa dà qua…», le fasciò la mano in uno straccio, «Vieni».
Mentre suo padre accompagnava sua madre, Daniele la scoprì a guardarlo. Non aveva idea di cosa potesse significare uno sguardo simile, ma sentì dentro le viscere un gran freddo e, per un secolo, smise di respirare.
Neanche quell’estate Daniele sarebbe andato al mare. Osservava vecchie foto dei suoi genitori e vide che erano felici. Sembravano così irreali, possibile, pensò, che un momento di cui non abbiamo memoria sia esistito davvero?
«Cosa stai facendo?».
«Guardavo vecchie foto» si scusò Daniele, senza bene capire la sua colpa.
Sua madre cambiò espressione e lo prese per un orecchio:«Vieni con me!» digrignò, e lo portò in fondo alle scale, nel seminterrato.
Era l’opposto della casa: c’erano polvere, e cianfrusaglie sparse ovunque.
«Adesso starai qui»
«Ma cosa ho fat…»
Sciaff!
«Ahia…»
Sciaff! Sciaff!
«Pensaci bene, cretino», gli soffiò in faccia a voce bassa, ma nella sua testa gli sembrò urlare dentro a un megafono.
«Hai qualcosa da dire?»
Daniele non rispose, sentiva che sarebbe arrivato un altro schiaffo se avesse provato a respirare. Guardò sua madre sforzandosi di non piangere.
«Non mi guardare – Sciaff! – con quegli occhi!»
Daniele crollò a terra. Sentì qualcosa di caldo scorrere dal naso alle labbra. Sapeva di ferro.
Nella penombra vide sua madre portare una mano alla bocca e fissarlo, forse sussurrò qualcosa, ma andò via subito dopo, e a lui non importò più molto cosa potesse essere quel sospiro perché finalmente poteva piangere.
«Ciao Daniele, bentornato»
«Grazie Dottore»
«Allora, cerchiamo di capire la tua paura del fuoco. Mi hai parlato di una tigre…»
«Non era una tigre»
«E cos’era?»
«Un cane»
Quel ferragosto faceva un caldo atroce. Era stato rinchiuso nello scantinato altre cinque volte e ancora non capiva il perché. Non parlava più a sua madre, e lei non lo guardava più negli occhi.
Avrebbe giocato con Billy, ma da più di tre giorni il cane non si trovava, ed poteva chiederlo a sua madre. Anche suo padre non si vedeva da una settimana.
Non avendo nessuno Daniele rientrò in casa per guardare la tv. Passando davanti a camera di sua madre vide sul letto un album di foto lasciato aperto. Non avrebbe osato entrare lì dentro ma era certo di essere solo in casa, così si avvicinò per vedere.
Erano foto dei suoi da giovani. C’erano tante persone, tutte felici: persone felici al mare, al bar, al luna park, a un pic-nic. Una foto lo aveva colpito particolarmente: sua madre sorrideva a un ragazzone accanto a lei in un modo in cui mai l’aveva vista sorridere. E, cosa ancora più curiosa, il ragazzone aveva i suoi stessi occhi azzurri.
«Cosa cazzo hai in mano?»
Daniele saltò in aria come un ordigno e il raccoglitore scivolò, cadendo aperto ai piedi di sua madre.
Sua madre fissò la foto di lei e il ragazzone felici.
«Hai…»
Fu un lampo.
Lo prese per il collo e lo trascinò fuori dalla stanza. Sapeva già cosa lo aspettava.
Lo tirò sul pavimento dello scantinato e disse:«Puoi smetter di chiederti dove sia finito Billy».
Lo stanzino puzzava più del solito. Un fetore diverso proveniva dal fondo della stanza.
«Billy!» esclamò Daniele, felice di rivederlo.
Ma il cane cominciò ad abbaiargli contro ferocemente, gli occhi scintillavano nella penombra, non poteva essere Billy.
«Sono tre giorni che non mangia». E uscì chiudendo a chiave.
Nella notte tornò suo padre. Rumori di ogni genere provenivano da sopra. Ci fu uno scoppio, e un urlo fortissimo: riconobbe la voce di suo padre.
Seguirono millenni di silenzio interrotti solo dal ringhiare di Billy.
Più tardi dalla porta cominciò ad apparire del fumo e presto delle fiamme.
Daniele, senza vie di fuga, sarebbe morto carbonizzato, o asfissiato, se era fortunato.
Pianse, mentre Billy latrava come un forsennato e nel buio aveva gli stessi occhi freddi di sua madre. Fu allora che Daniele notò la piccola finestrella che dava sul fuori, alle spalle della bestia.
Si avvicinò, ma Billy gli corse incontro per sbranarlo, fermato solo da una catena. Alle spalle la porta esplose e entrarono le fiamme. Daniele osservò terrorizzato, la catena di Billy si ruppe e il cane fu libero di ucciderlo.
Fu un attimo.
Daniele raccolse un frammento della porta e colpì sua madre. Colpì i suoi occhi marroni fino a che non guairono un’ultima volta, e Daniele capì di avere ucciso Billy.
«Si calmi!» disse il dottore, «è passato».
«La bestia…»
«Basta così per oggi» fece il dottore, «riprendiamo la prossima volta».