Tutto a posto - Viviana Tenga - DAY TWO
Inviato: martedì 18 aprile 2017, 23:54
“Mamma, però il mostro di Selena è più verde…”
Giulia trattenne a stento una risata isterica. Guardò Irene che stringeva tra le manine il pupazzo verde.
Che poi, che razza di nome era Selena? Certo non ci si poteva aspettare molto da genitori che chiamavano una figlia così. E avevano un bel parlare di uguaglianza di genere, e incoraggiare la figlia ad avere giocattoli da maschio, senza curarsi del fatto che poi la bambina influenzava anche la sua di figlia. Ma Giulia lo sapeva a cosa portava fare la donna indipendente. A essere una madre single, abbandonata per una che era tanto femminile e accettava di non uscire mai con le amiche. E che fine avevano poi fatto le amiche che aveva tanto lottato per continuare a frequentare? Sparite una dopo l’altra man mano che per lei le cose si facevano difficili. Solo Elena si faceva ancora viva ogni tanto, a dispensare consigli non richiesti.
Perché Irene non capiva che se il mostro di Selena era più verde era perché chissà che schifezze avevano usato per colorarlo, mentre il suo era fatto a mano ed era costato un sacco di soldi?
“Tesoro, ma questo è più bello del mostro di Selena. Quello gliel’hanno preso dai cinesi, probabilmente è pure fatto da bambini obbligati a lavorare.”
Perché Irene faceva quella smorfia? Perché non capiva quanto lei le voleva bene? Perché lei le voleva bene, anche se a volte urlava un po’, anche se da quando c’era lei era tutto così difficile, ma a Giulia non importava, perché Irene era tutto quello che aveva, e le voleva bene…
“Mi dispiace che ti arrabbi perché faccio giocare Irene con i mostri.”
Seduta sul muretto del cortile, Giulia si voltò a guardare Selena. Davvero ai vicini sembrava il caso di vestire così una bambina di sei anni? D’accordo il caldo, ma mandarla in giro con quella canottierina che la lasciava così scoperta, con tutto quello che si sentiva nei telegiornali…
“I miei mostri non sono cattivi” continuò la bambina, mostrando orgogliosa il suo obbrobrio di plastica. “Mia mamma dice che il verde è il colore della speranza. È anche il mio colore preferito. Questo qui è il mostro della speranza!”
“I mostri della speranza non esistono!” sbottò Giulia. “Un giorno te ne accorgerai anche tu.”
“Elena, metti giù il telefono, ti dico che va tutto bene!”
Come osava quella stronza stringere sua figlia?
“Irene, vieni qui! Non volevo farti male, adesso mettiamo un po’ di disinfettante e va tutto a posto.”
Ma Irene piangeva, e abbracciava Elena, e Giulia sentiva gli occhi che le bruciavano.
“Elena, cosa vuoi fare? Lo sai che in questo periodo sono nervosa, ma è per quello che mi stanno facendo passare al lavoro! Avevo il bicchiere in mano, lei si è messa a fare i capricci, e anche tu mi stavi facendo innervosire con i tuoi discorsi… Ma io sono una brava madre, le voglio bene… Elena, ti prego, chi vuoi chiamare? Siamo amiche, non puoi farmi questo, lei è tutto per me… Solo perché bevo un po’… perché ogni tanto mi arrabbio… È solo un taglietto, con un po’ di disinfettante va tutto a posto…”
Giulia trattenne a stento una risata isterica. Guardò Irene che stringeva tra le manine il pupazzo verde.
Che poi, che razza di nome era Selena? Certo non ci si poteva aspettare molto da genitori che chiamavano una figlia così. E avevano un bel parlare di uguaglianza di genere, e incoraggiare la figlia ad avere giocattoli da maschio, senza curarsi del fatto che poi la bambina influenzava anche la sua di figlia. Ma Giulia lo sapeva a cosa portava fare la donna indipendente. A essere una madre single, abbandonata per una che era tanto femminile e accettava di non uscire mai con le amiche. E che fine avevano poi fatto le amiche che aveva tanto lottato per continuare a frequentare? Sparite una dopo l’altra man mano che per lei le cose si facevano difficili. Solo Elena si faceva ancora viva ogni tanto, a dispensare consigli non richiesti.
Perché Irene non capiva che se il mostro di Selena era più verde era perché chissà che schifezze avevano usato per colorarlo, mentre il suo era fatto a mano ed era costato un sacco di soldi?
“Tesoro, ma questo è più bello del mostro di Selena. Quello gliel’hanno preso dai cinesi, probabilmente è pure fatto da bambini obbligati a lavorare.”
Perché Irene faceva quella smorfia? Perché non capiva quanto lei le voleva bene? Perché lei le voleva bene, anche se a volte urlava un po’, anche se da quando c’era lei era tutto così difficile, ma a Giulia non importava, perché Irene era tutto quello che aveva, e le voleva bene…
“Mi dispiace che ti arrabbi perché faccio giocare Irene con i mostri.”
Seduta sul muretto del cortile, Giulia si voltò a guardare Selena. Davvero ai vicini sembrava il caso di vestire così una bambina di sei anni? D’accordo il caldo, ma mandarla in giro con quella canottierina che la lasciava così scoperta, con tutto quello che si sentiva nei telegiornali…
“I miei mostri non sono cattivi” continuò la bambina, mostrando orgogliosa il suo obbrobrio di plastica. “Mia mamma dice che il verde è il colore della speranza. È anche il mio colore preferito. Questo qui è il mostro della speranza!”
“I mostri della speranza non esistono!” sbottò Giulia. “Un giorno te ne accorgerai anche tu.”
“Elena, metti giù il telefono, ti dico che va tutto bene!”
Come osava quella stronza stringere sua figlia?
“Irene, vieni qui! Non volevo farti male, adesso mettiamo un po’ di disinfettante e va tutto a posto.”
Ma Irene piangeva, e abbracciava Elena, e Giulia sentiva gli occhi che le bruciavano.
“Elena, cosa vuoi fare? Lo sai che in questo periodo sono nervosa, ma è per quello che mi stanno facendo passare al lavoro! Avevo il bicchiere in mano, lei si è messa a fare i capricci, e anche tu mi stavi facendo innervosire con i tuoi discorsi… Ma io sono una brava madre, le voglio bene… Elena, ti prego, chi vuoi chiamare? Siamo amiche, non puoi farmi questo, lei è tutto per me… Solo perché bevo un po’… perché ogni tanto mi arrabbio… È solo un taglietto, con un po’ di disinfettante va tutto a posto…”