I figli degli altri (di Angelo Frascella)
Inviato: giovedì 5 marzo 2015, 0:24
“Dottor Pani, vuol commentare la sentenza?”
“Il tribunale ha fatto giustizia. Io do lavoro a migliaia di persone. Volevano farmi passare per assassino, ma non lo sono. Sono innocente, pulito come un lenzuolo fresco di bucato.”
“Signor Motti, vuol fare una dichiarazione?”
“La sentenza offende migliaia di persone, ammalatesi e morte per le esalazioni mefitiche di questa raffineria. La lotta non si ferma.”
“Metti la pausa, Beppe. Guarda gli occhi di Motti. Stanotte gli verrà un coccolone, per tutta la bile che ha in circolo.”
Rino Pani rise, mentre sorseggiava il brandy.
Beppe alzò il proprio bicchiere verso Rino: “La battuta sul lenzuolo è stata magnifica. Sono troppo stupidi per capire che ti riferivi a quelli che espongono sui balconi per mostrare che diventano neri per colpa dell’inquinamento.”
“L’hai fatto pure tu: hai coperto di lenzuola il Municipio. Cacciamo via la raffineria, dicevi.”
“Il mio ruolo è quello di sindaco ecologista, no? Sentirai domani le dichiarazioni di fuoco che farò nei tuoi confronti.”
“Non vedo l’ora.”
La risata di Rino fu interrotta da due colpi sulla porta. La cameriera si affacciò: “Mi scusi, dottore, giù c’è Motti. Insiste per essere ricevuto.”
Si fecero entrambi seri.
“Chiamiamo la polizia” disse Beppe.
“No. Motti è un cretino, ma pacifico. Aspettami qui. Se ti vedesse, farebbe scoppiare lo scandalo.”
Rino raggiunse la grande scalinata che dava sull’ingresso e iniziò a scendere.
“Carissimo Motti” iniziò a dire, non appena lo vide, di spalle rispetto alle scale, “ora possiamo diventare amici. La guerra è finita. Ci sono un vincitore e un vinto, ma è inutile che continuiamo a guardarci in cagnesco.”
Motti si voltò lentamente. Indossava, come sempre, vestiti da mercatino dell’usato, ancora più stonati in quell’ingresso sontuoso. Ciò che colpì Rino fu il sorriso sul volto dell’uomo. Solo quando Motti aprì l’eskimo, capì a cosa fosse dovuto. E, subito, si bloccò.
“Non vorrai mica farti saltare a casa mia?”
“Sotto questo cappotto c’è abbastanza tritolo da far esplodere tutta la villa. È inutile, perciò, che tu corra a barricarti in qualche stanza e aspetti che arrivi la polizia. Fai il bravo e vieni giù.”
Rino esitò. Poteva benissimo darsi che quel pazzo stesse bluffando, ma l’intuito gli diceva che faceva sul serio. Così iniziò a scendere, sperando che Beppe o la cameriera chiamassero la polizia. Fortuna che la moglie e i figli erano fuori.
“Andiamo in salotto” gli propose.
“No!” urlò Motti. “Ci metteremo seduti per terra qui nell’ingresso. E quando arriveranno tua moglie e i tuoi figli, moriremo insieme. Non sperare che la cameriera possa chiamare aiuto. Lei è d’accordo con me ed è già andata via. Anche suo figlio si è ammalato di tumore per colpa tua. Ma tu non lo sai, vero? Non sapevi neppure avesse un figlio. Lei è servitù, non una persona.”
Rino sentì le viscere stringersi. Poteva accettare di morire, ma non che lo stesso destino toccasse alla propria famiglia. “Ti prego, se devi ammazzarmi, fallo. Ma lascia stare i bambini.”
“È dura sapere che i tuoi figli stanno per essere uccisi da qualcuno che si fa passare per un benefattore, vero? Pensa che tu sei fortunato. La tua vita finirà con la loro e non dovrai convivere con la loro assenza. A differenza delle tue vittime.”
Doveva rischiare il tutto per tutto. Si allungò col pugno teso verso il nemico. Ma era lento, lo sentiva, e stare con le gambe incrociate per terra gli aveva addormentato la coscia. Sentì un colpo sulla testa e si ritrovò a terra.
“Guardalo, l’eroe che si crede un incrocio fra Paperon De Paperoni e Bruce Willis. Invece sei solo feccia. Feccia eri e feccia tornerai. Ora, però, è meglio che ti leghi.”
Il tempo passava e nulla accadeva. L’idea che, fra poco, la propria famiglia sarebbe stata spazzata via lo torturava e non riusciva a non piangere. Si era pure pisciato addosso, ma non gli importava. Avrebbe voluto liberarsi le mani, i protagonisti dei film ci riuscivano sempre. Invece stava lì, immobilizzato e incapace di fare nulla, se non guardare.
Fu allora che bussarono alla porta. Motti si alzò, si diresse verso la porta canticchiando: “Dì addio a tua moglie, addio a tua figlia, addio a tuo figlio.”
L’aprì con lentezza, il viso rivolto verso Rino per mostrargli il ghigno, e non si accorse della pistola puntata verso di lui fino a quando il colpo partì, trapassandogli il cervello.
“Riepiloghiamo i fatti. Un ospite misterioso di Rino Pani, nascosto al piano di sopra, ha tenuto aggiornata la polizia, minuto per minuto, permettendo l’incursione. Dai controlli successivi è risultato che la cintura esplosiva era un innocuo meccanismo contenente qualche petardo. Per ora è tutto.”
Rino stava sul lettone con moglie e figli e li accarezzava, a turno. Stanotte dormiamo tutti insieme aveva promesso.
“Papà, perché lo ha fatto?”
“Tesoro, purtroppo chi, come me, è riuscito meritatamente a diventare ricco, è oggetto dell’invidia dei poveracci incapaci. È per questo che dobbiamo difenderci da loro.”
Anche avvelenandoli poco per volta, concluse mentalmente.
“Il tribunale ha fatto giustizia. Io do lavoro a migliaia di persone. Volevano farmi passare per assassino, ma non lo sono. Sono innocente, pulito come un lenzuolo fresco di bucato.”
“Signor Motti, vuol fare una dichiarazione?”
“La sentenza offende migliaia di persone, ammalatesi e morte per le esalazioni mefitiche di questa raffineria. La lotta non si ferma.”
“Metti la pausa, Beppe. Guarda gli occhi di Motti. Stanotte gli verrà un coccolone, per tutta la bile che ha in circolo.”
Rino Pani rise, mentre sorseggiava il brandy.
Beppe alzò il proprio bicchiere verso Rino: “La battuta sul lenzuolo è stata magnifica. Sono troppo stupidi per capire che ti riferivi a quelli che espongono sui balconi per mostrare che diventano neri per colpa dell’inquinamento.”
“L’hai fatto pure tu: hai coperto di lenzuola il Municipio. Cacciamo via la raffineria, dicevi.”
“Il mio ruolo è quello di sindaco ecologista, no? Sentirai domani le dichiarazioni di fuoco che farò nei tuoi confronti.”
“Non vedo l’ora.”
La risata di Rino fu interrotta da due colpi sulla porta. La cameriera si affacciò: “Mi scusi, dottore, giù c’è Motti. Insiste per essere ricevuto.”
Si fecero entrambi seri.
“Chiamiamo la polizia” disse Beppe.
“No. Motti è un cretino, ma pacifico. Aspettami qui. Se ti vedesse, farebbe scoppiare lo scandalo.”
Rino raggiunse la grande scalinata che dava sull’ingresso e iniziò a scendere.
“Carissimo Motti” iniziò a dire, non appena lo vide, di spalle rispetto alle scale, “ora possiamo diventare amici. La guerra è finita. Ci sono un vincitore e un vinto, ma è inutile che continuiamo a guardarci in cagnesco.”
Motti si voltò lentamente. Indossava, come sempre, vestiti da mercatino dell’usato, ancora più stonati in quell’ingresso sontuoso. Ciò che colpì Rino fu il sorriso sul volto dell’uomo. Solo quando Motti aprì l’eskimo, capì a cosa fosse dovuto. E, subito, si bloccò.
“Non vorrai mica farti saltare a casa mia?”
“Sotto questo cappotto c’è abbastanza tritolo da far esplodere tutta la villa. È inutile, perciò, che tu corra a barricarti in qualche stanza e aspetti che arrivi la polizia. Fai il bravo e vieni giù.”
Rino esitò. Poteva benissimo darsi che quel pazzo stesse bluffando, ma l’intuito gli diceva che faceva sul serio. Così iniziò a scendere, sperando che Beppe o la cameriera chiamassero la polizia. Fortuna che la moglie e i figli erano fuori.
“Andiamo in salotto” gli propose.
“No!” urlò Motti. “Ci metteremo seduti per terra qui nell’ingresso. E quando arriveranno tua moglie e i tuoi figli, moriremo insieme. Non sperare che la cameriera possa chiamare aiuto. Lei è d’accordo con me ed è già andata via. Anche suo figlio si è ammalato di tumore per colpa tua. Ma tu non lo sai, vero? Non sapevi neppure avesse un figlio. Lei è servitù, non una persona.”
Rino sentì le viscere stringersi. Poteva accettare di morire, ma non che lo stesso destino toccasse alla propria famiglia. “Ti prego, se devi ammazzarmi, fallo. Ma lascia stare i bambini.”
“È dura sapere che i tuoi figli stanno per essere uccisi da qualcuno che si fa passare per un benefattore, vero? Pensa che tu sei fortunato. La tua vita finirà con la loro e non dovrai convivere con la loro assenza. A differenza delle tue vittime.”
Doveva rischiare il tutto per tutto. Si allungò col pugno teso verso il nemico. Ma era lento, lo sentiva, e stare con le gambe incrociate per terra gli aveva addormentato la coscia. Sentì un colpo sulla testa e si ritrovò a terra.
“Guardalo, l’eroe che si crede un incrocio fra Paperon De Paperoni e Bruce Willis. Invece sei solo feccia. Feccia eri e feccia tornerai. Ora, però, è meglio che ti leghi.”
Il tempo passava e nulla accadeva. L’idea che, fra poco, la propria famiglia sarebbe stata spazzata via lo torturava e non riusciva a non piangere. Si era pure pisciato addosso, ma non gli importava. Avrebbe voluto liberarsi le mani, i protagonisti dei film ci riuscivano sempre. Invece stava lì, immobilizzato e incapace di fare nulla, se non guardare.
Fu allora che bussarono alla porta. Motti si alzò, si diresse verso la porta canticchiando: “Dì addio a tua moglie, addio a tua figlia, addio a tuo figlio.”
L’aprì con lentezza, il viso rivolto verso Rino per mostrargli il ghigno, e non si accorse della pistola puntata verso di lui fino a quando il colpo partì, trapassandogli il cervello.
“Riepiloghiamo i fatti. Un ospite misterioso di Rino Pani, nascosto al piano di sopra, ha tenuto aggiornata la polizia, minuto per minuto, permettendo l’incursione. Dai controlli successivi è risultato che la cintura esplosiva era un innocuo meccanismo contenente qualche petardo. Per ora è tutto.”
Rino stava sul lettone con moglie e figli e li accarezzava, a turno. Stanotte dormiamo tutti insieme aveva promesso.
“Papà, perché lo ha fatto?”
“Tesoro, purtroppo chi, come me, è riuscito meritatamente a diventare ricco, è oggetto dell’invidia dei poveracci incapaci. È per questo che dobbiamo difenderci da loro.”
Anche avvelenandoli poco per volta, concluse mentalmente.