A pancia in giù - di Giancarmine Trotta
Inviato: martedì 18 luglio 2017, 0:44
A pancia in giù
di G. Trotta
“Nessuno mi crede”.
“Non possono crederti Fede. Sono adulti, molti mi hanno abbandonata tanti tanti anni fa. Alcuni di loro, il Professore col pizzetto o il suo assistente con la erre moscia, ad esempio, non mi hanno quasi conosciuta. Non per colpa loro o solo per colpa loro, erano altri tempi e i genitori...”.
“Sono stanco di ascoltare sempre le stesse cose, basta!
“Non urlare Fede, io ti capisco. Sei tra i ragazzi che più mi hanno amata e non voglio perderti”.
“Dici sempre così”.
“Tu ascoltami, non raccontare più di noi, dei nostri mondi, dei tempi e dei paesaggi. Io ci sarò comunque e verrò a trovarti. Potrai crescere e lavorare con me: sarai un regista, oppure uno scrittore, un...”.
“Basta!”
“Fede non fare così”.
“L'altra notte ho fatto un sogno strano”.
“Immagino. Hai l'età giusta e il tuo spazio era occupato; allora ho capito”.
“Ora lasciami, ci devo pensare”.
“Ciao Fede”.
“Professore, professore, si sta svegliando!”
L'uomo si avvicinò accarezzandosi il pizzetto e attese che Federico aprisse per bene gli occhi. Staccò i sensori dalle sue tempie e guardò alcuni dati prima di prendere la parola.
“Federico ciao. Hai dormito un bel po'. Ti senti riposato?”
Il ragazzo annuì sfregandosi gli occhi e attese le domande a cui ormai era abituato.
“Federico ricordi qualcosa? Ci vuoi dire chi hai incontrato o dove sei stato? Sempre se ti va”.
“No, nulla in particolare.”
L'assistente prendeva appunti e ogni tanto guardava il ragazzo negli occhi, fissandolo.
Il professore si alzò e invitò la mamma di Federico a seguirlo. Poi, a bassa voce, comunicò quanto aveva da dire.
“Signora, è la seconda notte che suo figlio non viene interessato dai suoi incubi. Probabilmente sta attraversando una fase delicata della crescita. L'adolescenza è alle porte e certi fenomeni possono accadere. Continueremo a monitorarlo nei prossimi giorni, ma stia serena, i dati sono incoraggianti”.
La donna sembrò rinata e tentò addirittura di baciare le mani dell'illustrissimo, che le ritirò prontamente.
“Federico eccomi, sono la realtà.”
“Ciao”.
“Bravo, stai diventando grande. Hai visto, le domande sono diminuite e nessuno ti prenderà più in giro tra poco.”
“Non vedo l'ora.”
Intanto la fantasia bussava alla sua porta, invano. L'amica dei suoi giochi e dei suoi sogni, colei che l'aveva fatto viaggiare nei mondi futuri che lui stesso immaginava, cercava di contattarlo per regarargli le emozioni che sapeva di poter donare.
“Quando ti chiederanno di quegli incubi cambia discorso, parla della partita o di una interrogazione imminente. Si stancheranno presto di sfotterti”.
“Ok”.
“Ora vado. Se ti contatta quella, dille che stai per cambiare voce e che presto ti innamorerai di una bella ragazza. Il suo tempo è finito”.
“Fede aprimi ti prego, aprimi! Non mi lasciare così”.
“Vattene”.
“Fede non lo fare. Io so che non puoi fare a meno di me. Così ti fai del male da solo, ascolta la tua amica!”
“Sto cambiando, anzi, sono cambiato. Sono grande ora”.
“Ok, ho capito. Voglio solo regalarti un ultimo viaggio”.
Il ragazzo tentò di non rispondere, ma la curiosità ebbe la meglio.
“Dove?”
“Ricordi quell'immagine che hai trovato su internet stamani e che hai deciso di appendere in camera? Quella con la città-cupola in cui tutti sembrano felici”.
“Sì”.
“Vuoi fare un giro? Poi ti lascerò se vorrai, per sempre”.
Federico ammirava il paesaggio da vicino. Volava, e le montagne divenivano man mano meno aspre e più accoglienti. Sotto di lui, nella città-cupola, uomini e robot vivevano insieme, aiutandosi al bisogno. Una navicella spiccò il volo verso terre nuove, per rendere gli uomini liberi di ricominciare a sognare.
Federico rimase lì tutto il tempo, fin quando una voce insistente gli fece ricordare il rischio che stava correndo. Salutò quel mondo immaginario come si saluta un amico che parte e che forse non ritornerà.
“Fedevico, Fedevico. Pavlami di quello che hai visto”.
Lui si ricompose, sbadigliò e poi rispose, tranquillo.
“Non ho visto nulla!”
“Non può esseve vevo, i dati pavlano chiavo”.
“Ok va bene, basta che mi lasci stare. Ho fatto un ultimo viaggio in un mondo fantastico in cui sapevo volare e dove tutto era dolce, nuovo, piacevole”.
“Come ci viesci”.
“Dormendo e basta, soprattutto a pancià in giù”.
“Federico carissimo. Mi fa piacere che siamo rimasti io e te. Il futuro è nostro”.
“Bene”.
“Ti volevo chiedere come mai oggi non hai studiato storia. Domani potresti essere interrogato, lo sai?”
“Sì...”
“Ti sveglierò prima domani, così andrai preparato”.
“Ok”.
Federico si svegliò alle sei, davanti allo stupore della madre. Studiò storia e gli sembrò di essere nei campi di battaglia delle guerre che stava leggendo. Fece colazione e andò a scuola determinato, sapendo cosa volesse.
Si alzò volontario, prese nove e tornò a casa felice.
In un posto poco lontano, intanto, un ragazzo cresciuto troppo in fretta passava le giornate a letto, a pancia in giù, in attesa che la fantasia lo perdonasse per averla cacciata troppo presto dalla sua vita.
di G. Trotta
“Nessuno mi crede”.
“Non possono crederti Fede. Sono adulti, molti mi hanno abbandonata tanti tanti anni fa. Alcuni di loro, il Professore col pizzetto o il suo assistente con la erre moscia, ad esempio, non mi hanno quasi conosciuta. Non per colpa loro o solo per colpa loro, erano altri tempi e i genitori...”.
“Sono stanco di ascoltare sempre le stesse cose, basta!
“Non urlare Fede, io ti capisco. Sei tra i ragazzi che più mi hanno amata e non voglio perderti”.
“Dici sempre così”.
“Tu ascoltami, non raccontare più di noi, dei nostri mondi, dei tempi e dei paesaggi. Io ci sarò comunque e verrò a trovarti. Potrai crescere e lavorare con me: sarai un regista, oppure uno scrittore, un...”.
“Basta!”
“Fede non fare così”.
“L'altra notte ho fatto un sogno strano”.
“Immagino. Hai l'età giusta e il tuo spazio era occupato; allora ho capito”.
“Ora lasciami, ci devo pensare”.
“Ciao Fede”.
“Professore, professore, si sta svegliando!”
L'uomo si avvicinò accarezzandosi il pizzetto e attese che Federico aprisse per bene gli occhi. Staccò i sensori dalle sue tempie e guardò alcuni dati prima di prendere la parola.
“Federico ciao. Hai dormito un bel po'. Ti senti riposato?”
Il ragazzo annuì sfregandosi gli occhi e attese le domande a cui ormai era abituato.
“Federico ricordi qualcosa? Ci vuoi dire chi hai incontrato o dove sei stato? Sempre se ti va”.
“No, nulla in particolare.”
L'assistente prendeva appunti e ogni tanto guardava il ragazzo negli occhi, fissandolo.
Il professore si alzò e invitò la mamma di Federico a seguirlo. Poi, a bassa voce, comunicò quanto aveva da dire.
“Signora, è la seconda notte che suo figlio non viene interessato dai suoi incubi. Probabilmente sta attraversando una fase delicata della crescita. L'adolescenza è alle porte e certi fenomeni possono accadere. Continueremo a monitorarlo nei prossimi giorni, ma stia serena, i dati sono incoraggianti”.
La donna sembrò rinata e tentò addirittura di baciare le mani dell'illustrissimo, che le ritirò prontamente.
“Federico eccomi, sono la realtà.”
“Ciao”.
“Bravo, stai diventando grande. Hai visto, le domande sono diminuite e nessuno ti prenderà più in giro tra poco.”
“Non vedo l'ora.”
Intanto la fantasia bussava alla sua porta, invano. L'amica dei suoi giochi e dei suoi sogni, colei che l'aveva fatto viaggiare nei mondi futuri che lui stesso immaginava, cercava di contattarlo per regarargli le emozioni che sapeva di poter donare.
“Quando ti chiederanno di quegli incubi cambia discorso, parla della partita o di una interrogazione imminente. Si stancheranno presto di sfotterti”.
“Ok”.
“Ora vado. Se ti contatta quella, dille che stai per cambiare voce e che presto ti innamorerai di una bella ragazza. Il suo tempo è finito”.
“Fede aprimi ti prego, aprimi! Non mi lasciare così”.
“Vattene”.
“Fede non lo fare. Io so che non puoi fare a meno di me. Così ti fai del male da solo, ascolta la tua amica!”
“Sto cambiando, anzi, sono cambiato. Sono grande ora”.
“Ok, ho capito. Voglio solo regalarti un ultimo viaggio”.
Il ragazzo tentò di non rispondere, ma la curiosità ebbe la meglio.
“Dove?”
“Ricordi quell'immagine che hai trovato su internet stamani e che hai deciso di appendere in camera? Quella con la città-cupola in cui tutti sembrano felici”.
“Sì”.
“Vuoi fare un giro? Poi ti lascerò se vorrai, per sempre”.
Federico ammirava il paesaggio da vicino. Volava, e le montagne divenivano man mano meno aspre e più accoglienti. Sotto di lui, nella città-cupola, uomini e robot vivevano insieme, aiutandosi al bisogno. Una navicella spiccò il volo verso terre nuove, per rendere gli uomini liberi di ricominciare a sognare.
Federico rimase lì tutto il tempo, fin quando una voce insistente gli fece ricordare il rischio che stava correndo. Salutò quel mondo immaginario come si saluta un amico che parte e che forse non ritornerà.
“Fedevico, Fedevico. Pavlami di quello che hai visto”.
Lui si ricompose, sbadigliò e poi rispose, tranquillo.
“Non ho visto nulla!”
“Non può esseve vevo, i dati pavlano chiavo”.
“Ok va bene, basta che mi lasci stare. Ho fatto un ultimo viaggio in un mondo fantastico in cui sapevo volare e dove tutto era dolce, nuovo, piacevole”.
“Come ci viesci”.
“Dormendo e basta, soprattutto a pancià in giù”.
“Federico carissimo. Mi fa piacere che siamo rimasti io e te. Il futuro è nostro”.
“Bene”.
“Ti volevo chiedere come mai oggi non hai studiato storia. Domani potresti essere interrogato, lo sai?”
“Sì...”
“Ti sveglierò prima domani, così andrai preparato”.
“Ok”.
Federico si svegliò alle sei, davanti allo stupore della madre. Studiò storia e gli sembrò di essere nei campi di battaglia delle guerre che stava leggendo. Fece colazione e andò a scuola determinato, sapendo cosa volesse.
Si alzò volontario, prese nove e tornò a casa felice.
In un posto poco lontano, intanto, un ragazzo cresciuto troppo in fretta passava le giornate a letto, a pancia in giù, in attesa che la fantasia lo perdonasse per averla cacciata troppo presto dalla sua vita.