La culla dell'uomo
Inviato: martedì 18 luglio 2017, 0:53
- L'hai preso il casco?
- Massi, mamma. Non sono mica più una bambina, le so certe cose. E poi a scuola ci hanno detto che entro quindici o vent’anni l’aria sarà di nuovo respirabile, come ai tempi del nonno.
- Beh, questo non è un motivo per …
- Uffa. Guarda. Va bene? - Son Hi fa capolino dalla porta della cucina e si mette in posa come una ballerina. La tuta bianco-argento ora le va un po’ stretta, e mette in risalto il fisico agile e scattante; il volto sorridente è perfettamente visibile grazie alla trasparenza del casco Arirà B-7, ultimo modello, che garantisce più di dieci ore di ossigeno in condizioni respiratorie normali.
La madre sorride. - E vai senza scarpe?
Son Hi guarda in basso, apre la bocca in segno di stupore e scompare nella sua stanza. Poco dopo, ne riesce con gli scarponcini impermeabili Kang ben sigillati alla tuta.
- Brava - scherza la madre, mentre finisce di preparare il kim-chi. - Adesso corri, che arrivi in ritardo.
- Tanto c’è Un Biol che mi tiene il posto. Ci vediamo dopo. Ciaoooo.
E sfreccia via verso l’ascensore.
Chiude la porta stagna, la cabina comincia a salire.
Meno quattro, meno tre. Lei aggiusta la luminosità interna del casco per far risaltare meglio gli occhi verdi, di cui va molto fiera e che piacciono tanto a Lim Hu.
Meno due, meno uno. Accende il respiratore e si accomoda la cintura, non vuole mica sembrare una cicciona.
Zero. Esce. Il bel sole di settembre ha fatto fiorire le kimiacee rosse e arancio del giardino, Son Hi le sfiora con la mano e riesce a sentirne la morbidezza attraverso il guanto in microfibra sensoriale. Che belli, i fiori. Chissà com’era brutto quando non crescevano più, e tutto era sabbioso. Aveva visto dei documentari a scuola, una tristezza!
Ma adesso il lavoro di scienziati come la mamma aveva creato quelle varietà che resistevano alle radiazioni ancora presenti nell’aria, è tutta la città era colorata.
Inforca la bici, accende il motore elettrico e via verso lo spazioporto.
A metà strada la affianca Lim Hu. Gli sorride, anche lei lo fa ma non vuole mostrarsi troppo disponibile, i ragazzi più grandi sono degli sbruffoni, a volte.
Comunque, gli sorride.
Arrivano insieme, Un Biol ammicca maliziosa mentre fa loro posto. Son Hi sillaba ‘scema’ senza parlare, ma è contenta.
Viene annunciata la partenza. Suo padre è nel razzo, la base lunare ha bisogno di ingegneri idraulici, starà su sei mesi. L’orchestra nell’auditorium sotterraneo comincia a suonare, i due cantanti intonano l’inno e poi una canzone scritta dal primo Kim. La diffusione attraverso il megaschermo è perfetta.
Nell’esatto momento dell’accordo finale, il rumore dell’accensione si mescola al crescendo dell’orchestra. Son Hi è emozionata, Lim Hu le prende la mano e lei lo lascia fare. Per un pochino, almeno.
Fra vent’anni anche lei sarà una scienziata, e partirà da Pyongyang verso le stelle. Per la gloria degli ultimi uomini e della Korea del Nord, la culla dell'uomo nuovo.
- Massi, mamma. Non sono mica più una bambina, le so certe cose. E poi a scuola ci hanno detto che entro quindici o vent’anni l’aria sarà di nuovo respirabile, come ai tempi del nonno.
- Beh, questo non è un motivo per …
- Uffa. Guarda. Va bene? - Son Hi fa capolino dalla porta della cucina e si mette in posa come una ballerina. La tuta bianco-argento ora le va un po’ stretta, e mette in risalto il fisico agile e scattante; il volto sorridente è perfettamente visibile grazie alla trasparenza del casco Arirà B-7, ultimo modello, che garantisce più di dieci ore di ossigeno in condizioni respiratorie normali.
La madre sorride. - E vai senza scarpe?
Son Hi guarda in basso, apre la bocca in segno di stupore e scompare nella sua stanza. Poco dopo, ne riesce con gli scarponcini impermeabili Kang ben sigillati alla tuta.
- Brava - scherza la madre, mentre finisce di preparare il kim-chi. - Adesso corri, che arrivi in ritardo.
- Tanto c’è Un Biol che mi tiene il posto. Ci vediamo dopo. Ciaoooo.
E sfreccia via verso l’ascensore.
Chiude la porta stagna, la cabina comincia a salire.
Meno quattro, meno tre. Lei aggiusta la luminosità interna del casco per far risaltare meglio gli occhi verdi, di cui va molto fiera e che piacciono tanto a Lim Hu.
Meno due, meno uno. Accende il respiratore e si accomoda la cintura, non vuole mica sembrare una cicciona.
Zero. Esce. Il bel sole di settembre ha fatto fiorire le kimiacee rosse e arancio del giardino, Son Hi le sfiora con la mano e riesce a sentirne la morbidezza attraverso il guanto in microfibra sensoriale. Che belli, i fiori. Chissà com’era brutto quando non crescevano più, e tutto era sabbioso. Aveva visto dei documentari a scuola, una tristezza!
Ma adesso il lavoro di scienziati come la mamma aveva creato quelle varietà che resistevano alle radiazioni ancora presenti nell’aria, è tutta la città era colorata.
Inforca la bici, accende il motore elettrico e via verso lo spazioporto.
A metà strada la affianca Lim Hu. Gli sorride, anche lei lo fa ma non vuole mostrarsi troppo disponibile, i ragazzi più grandi sono degli sbruffoni, a volte.
Comunque, gli sorride.
Arrivano insieme, Un Biol ammicca maliziosa mentre fa loro posto. Son Hi sillaba ‘scema’ senza parlare, ma è contenta.
Viene annunciata la partenza. Suo padre è nel razzo, la base lunare ha bisogno di ingegneri idraulici, starà su sei mesi. L’orchestra nell’auditorium sotterraneo comincia a suonare, i due cantanti intonano l’inno e poi una canzone scritta dal primo Kim. La diffusione attraverso il megaschermo è perfetta.
Nell’esatto momento dell’accordo finale, il rumore dell’accensione si mescola al crescendo dell’orchestra. Son Hi è emozionata, Lim Hu le prende la mano e lei lo lascia fare. Per un pochino, almeno.
Fra vent’anni anche lei sarà una scienziata, e partirà da Pyongyang verso le stelle. Per la gloria degli ultimi uomini e della Korea del Nord, la culla dell'uomo nuovo.