Black Deer

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Eugene Fitzherbert
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Black Deer

Messaggio#1 » giovedì 31 agosto 2017, 0:42

Black Deer
Di Eugene Fitzherbert


Klarissa Freston, Sergente Maggiore Corpo Speciale NAVI SEAL, avanzava, passo di leopardo, faccia nella polvere. Era dentro, oltre la barriera che circondava il covo di quei bastardi terroristi di No Border Army.
Lanciò uno sguardo: giungla di asfalto fuso, crateri fumanti, carni dilaniate. La guerra e quello che ne restava come un banchetto ammuffito lasciato sotto una pioggia proiettili. Le macerie del mondo che doveva essere e che non era mai stato simboleggiavano la fine della società come la volevano questi pazzi terroristi. Niente confini, solo un’enorme pianura costellata di morte, di distruzione.
Klarissa era l’unica che poteva porre fine a tutto questo, era la sua Missione.
«Comando, qui Klarissa. In posizione. Sono dentro.»
Il Comando rimase muto.
«Comando, mi ricevete?»
Fuck!
Jamming, da qualche parte.
Communication Breakdown.
Al riparo dietro un muro sbrecciato di cemento armato, putrelle come ossa rotte e arrugginite, diede uno sguardo al campo nemico. In fondo, trecento metri forse, sorgeva il Quartier Generale, edificio okkupato, riadattato, travisato. Antenne e parabole sul tetto: il jammer era lì dentro.
«Perché combatti, Klarissa?»
Klarissa si voltò al suono di quella voce. Vide dietro di sé il mondo devastato che conosceva. A terra tra i resti di detersivi, sanguinanti saponi profumati, corpi dilaniati, jeans strappati e camice insanguinate. Scosse la testa e la polvere e la distruzione tornarono, come un canale che si risintonizza spontaneamente.
«Cosa ci fai qui, Klarissa?»
Ignorò la voce e si mosse. Veloce, bassa, imminente come un temporale che sta crescendo. La sua Tightsuite da assalto le forniva i rilievi biometrici: parametri ok, mani salde, respiro normale.
Ready to kill.
A ovest il sole malato era calato, lasciando un alone insanguinato sugli spuntoni di una civiltà quasi del tutto annientata.
«Comando. Le comunicazioni sono compromesse. Proseguo con la Missione.»
Si mosse, sinuosa e letale, risoluta come una valanga in divenire, da una copertura all’altra. In mano stringeva il suo fucile Colt M6A1, con mirino olografico e puntatore laser, calcio modificato e silenziatore.
Arrivò in scivolata dietro una vecchia colonna smangiucchiata dal metallo di mille combattimenti, la schiena sul cemento ferito. Sopra di lei, il crepuscolo di un sole ormai agli sgoccioli lampeggiò, come se qualcuno avesse acceso e spento la luce velocemente. Appena sotto la soglia normale dell’udito, sentiva un bisbiglio di voci urlanti, l’eco dei morti che avevano insanguinato questa pezzo di nazione in guerra. Sentiva i rumori di gente che correva, cercava riparo. Sentiva oggetti che cadevano, lampadine che scoppiavano.
La morte che ripete se stessa in differita.
Time to die.
I suoi occhi videro due forme scure muoversi a cinque metri da lei, veloci, repentine. Il suo addestramento fu più veloce delle domande che si stava ponendo. Le braccia alzarono l’M61A:

Crack
Crack
Crack
Crack


attutiti dal silenziatore, ma non meno letali. I proiettili Winchester Super-X High Velocity mangiarono l’aria con un sibilo appena percettibile e addentarono la carne dei suoi nemici. Il sangue sprizzò, mentre i corpi volavano come birilli di pelle e vestiti.
«Klarissa, sei sicura che vuoi annientare i No Border Army? Noi siamo il futuro. E tu, cosa sei?»
La voce ricomparve dietro la sua testa. O dentro la sua testa.
There is someone in my head…
Si alzò comunque e andò a vedere se i due soldati nemici erano morti. Arrivò là dove dovevano esserci i corpi.
Non c’era niente a parte due grandi macchie di sangue, mischiato a un liquido bianco che aveva la forma, il colore e la somiglianza del latte. Sangue e Latte.
Rosso e Bianco.
Probabilmente i terroristi erano sopravvissuti, anche se aveva visto i proiettili colpire quelle sagome in pieno torace; aveva visto il geyser di sangue, prova della precisione di anni di esercitazioni.
Cosa stava succedendo?
«Sei solo una pedina, Klarissa. Non capisci? Vogliamo liberarvi da questa schiavitù.»
La voce ora arrivava direttamente dall’auricolare. «Chi diavolo sei? Come fai a sapere il mio nome?»
…and it’s not me!
«Klarissa, sai chi sono. Stai venendo proprio da me. E io ti sto aspettando…»
«Il cerbiatto Nero, Black Deer…»
«Preferisco Frannie. Non mi merito un nome così idiota e sessista solo perché ho gli occhi grandi e sembro innocente, non trovi?»
«Innocente? Sei una fottuta pazza omicida. Hai sterminato metà della mia famiglia a Milwakee e ora sto venendo per te.»

Klarissa si mosse ancora, never stop!
I suoi passi erano silenziosi, ma sotto le scarpe sentiva il rumore croccante di carta che si increspava, cartone che si spezzava. La polvere e i detriti che calpestava avevano la consistenza di biscotti sbriciolati, umidi. A ogni passo vedeva filtrare tra i ciottoli sbrecciati il sangue denso di chi era morto qualche momento prima.
Nel sottofondo di un vento tardo primaverile, in quel campo militare occupato dai terroristi, Klarissa continuava a udire le urla, persone moribonde, falciate senza pietà da questo branco di terroristi. Ne vedeva resti putrefatti e insanguinati, come una pessima parodia di qualche vecchio film pacifista.
Guardò in cielo alla ricerca delle stelle che l’avevano sempre consolata durante i terribili attentati che avevano distrutto tutto ciò che amava, e le vide lassù irraggiungibili, bianchi diamanti incastrati in una promessa di eternità fatta di velluto e vuoto.
Le stelle le risposero: lampeggiarono debolmente, si spensero per un momento, accecate da una fugace visione di neon spezzati e luci di emergenza attivate. Per un attimo, sentì qualcuno gridare Basta, in lontananza un pianto di un bambino.
Tears in heaven.
«Cosa mi stai facendo, bastarda? Cosa significa tutto questo?»
«Klarissa, io sto solo parlando con te. Stai sbagliando. Non siamo noi il nemico. Noi vogliamo abbattere i confini: niente nazioni, niente dogane...»
Klarissa vide altre sagome muoversi, avvolte nell’oscurità, irriconoscibili. Il suo cervello e i suoi muscoli erano ormai autonomi: ogni movimento generava uno sparo uguale e contrario, e i proiettili scavavano via la vita da tutto quello che osava respirare. I corpi sparivano, restava solo il sangue. Sangue rosso, sangue arterioso, sangue di vendetta.
«Vedi, Klarissa, noi di No Border vogliamo solo che gli uomini siano tutti fratelli e sorelle.»
«Fratelli un cazzo! Avete ucciso migliaia di innocenti. Quelli non erano abbastanza fratelli?»
«You’re missing the point, mia cara. Noi versiamo il sangue, perché l'unica fratellanza che ci interesas è quella di sangue. E non puoi farla con l’acqua fresca e i buoni propositi.»

A pochi metri dalla porta del Quartiere generale di No Border Army, a pochi metri dalla fine di tutto.
«Noi vogliamo una unica nazione e una sola capitale: New Dawn City.»
Klarissa percorse lo spazio che la separava dalla porta principale, sparò un paio di colpi: correva nella polvere e nei calcinacci, ma le sue scarpe facevano lo stesso rumore di quando si cammina nelle pozzanghere. Poteva quasi sentire le goccioline di acqua sollevate dalle suole sbattere sui pantaloni della sua Tightsuite. Le voci erano sempre più insistenti e si erano unite le sirene, come quelle della polizia.
Si fermò davanti all’ingresso: un’enorme porta a vetri oscurati la divideva dalla conclusione della sua Missione: uccidere Frannie the Black Deer e coronare la sua vendetta.
Guardò oltre il vetro: una ragazza, emaciata, con i capelli scarmigliati, un pantalone sformato color cachi e una maglia bianca macchiata di sangue e strappata in più punti. Scalza, la fissava con occhi spiritati, una Glock semiautomatica calibro 9 in mano.
«Frannie?»
Who’s that girl?
La ragazza sparì e al suo posto rimase solo il suo riflesso nella Tightsuit con il fucile d’assalto in mano.
Dalla porta emanava freddo e aria secca, come se si trovasse di fronte all’anima malvagia di Black Deer.
«Cosa aspetti, Klarissa? Ti stai ammirando allo specchio, puttanella del Sistema?»
Klarissa esplose: urla belluine furono sovrastate dalla rabbiosa scarica del fucile d’assalto che si abbatté sulla vetrata, frantumandola. Schegge di vetro, aria fredda, pezzi di scatole di cartone cominciarono a volare ovunque. Quelli che sembravano pisellini surgelati, filetti di pangasio e minestroni esplosero come shrapnel alimentare a lunga conservazione.
What the fuck?!
Il fucile sparò, la canna divenne rossa incandescente, le braccia di Klarissa tremavano spasmodiche nel tentativo di contenere la furia esplosiva della sua arma. Il tentativo fallì e la canna libera da contenimento si diresse verso l’alto.
Falling Sky.
Il cielo si ruppe in mille scintille, neon esplosero, acqua cominciò a cadere come sangue celeste incolore inodore e dal sapore della follia, fili elettrici si stracciarono e caddero a terra.
Klarissa ne fu quasi folgorata, mentre l’oblio la avvolgeva.
«Non ti affannare, Klarissa. Io ti aspetterò sempre.»

Klarissa aprì gli occhi su una barella di contenimento, mani e piedi bloccati. Cinghie di cuoio consumate, legacci da ospedale. La stanza era scarsamente illuminata, un sottoscala o un ambulatorio improvvisato. Indossava pantaloni color cachi sformati e poteva vedere la sua maglia bianca lacera e sporca di sangue. Alla sua destra, sentì delle voci, no, era una voce, veniva da una tv. Si girò a guardare.
«…43 morti e decine di feriti, questo è stato il bilancio dell’assalto al supermercato di quest’oggi, a opera di Klarissa Freston, ex NAVI SEAL, detenuta nell’istituto psichiatrico di Saint Gideon, armata di una Glock calibro 9. La pluriomicida è stata catturata e portata in un luogo sicuro. Questo è tutto, per ora, da Karl Trevor per New Dawn City News. Che la fratellanza di sangue sia sempre con voi!»



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Eugene Fitzherbert
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Re: Black Deer

Messaggio#2 » giovedì 31 agosto 2017, 22:57

Piccolo commento critico criminale

Sarò franco (anche se mi sento più Eugene...): non è stato per niente facile scrivere sto racconto. Non perché l'intreccio o i personaggi fossero chissà che cosa complicata, ma entrare nella testa e nella penna di Alan D. Altieri è stato uno sforzo immane. Il mio stile (che già parlare di stile è una parola grossa) è quanto di più lontano ci sia da quello di Alan ed è stato una violenza seguire le sue orme, mutilare le frasi dai verbi inutili, azzerare gli orpelli prosaici e tutto il resto. Ho scarnificato i miei paragrafi per arrivare all'osso e per farlo ci ho veramente buttato il sangue.

Ma è servito. Forse è stato uno degli esercizi più interessanti tra quelli che ho fatto, ho recitato con le parole e ho lasciato che le mie parole si travestissero di altro: non avevo mai fatto una cosa del genere, goddammit!

Sono contento di essere arrivato alla fine della storia, e ieri lo ero pure di più: poi ho riletto tutto da capo, e ho provato quell'irrefrenabile desiderio di gettare il portatile in una fornace incandescente e di seguirlo subito dopo... Però il portatile mi serve e allora ho desistito, ma se avessi avuto una Beretta Px4 Storm gli avrei comunque scaricato tutti i proiettili S&W .40 a punta cava per sentire il rumore che fanno:
CRACK! CRACK! CRACK!
Hit me with your best shot!

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eleonora.rossetti
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Re: Black Deer

Messaggio#3 » giovedì 7 settembre 2017, 9:03

Ciao Eugene! Cominciamo con te! (eheh)
No, scherzo.
Dividerò, come per tutti gli altri che seguiranno, il mio giudizio tra storia e stile.

STILE: Che dire? Un bel tributo, davvero. Lo stile di Altieri si vede, e per essere uno che afferma di averlo ben lontano dal suo non te la sei cavata affatto male.
Gli intermezzi in corsivo, ben specifici della sua narrazione, la meticolosità nel descrivere le armi, le frasi concise che danno ritmo all'azione, con metafore ben azzeccate.
Qualche refuso sparso ma niente di mortale, quindi per quel che mi riguarda, obiettivo camaleonte raggiunto ;)

STORIA: si legge bene, con un colpo di scena nascosto tra le righe che raccontano la devastazione: lei è una malata di mente e ha fatto la strage pensando di essere in missione. Quello che pensiamo essere un eroe in realtà è fautrice di una strage. Mi è rimasto qualche dubbio sul Black Deer, ma solo nel senso che avrei voluto sapere perché si chiamasse così, tutto qui. Ma va bene lo stesso, ci sta ;) come ho detto io stessa, Altieri non spiega sempre tutto.
Facendo la maestrina dalla penna rossa, ravviserei una piccola scivolata sul finale, quando lei è legata al letto. Il fatto che l'abbiano nascosta in un luogo sicuro (che poi è un sottoscala XD) mi stride un pochino con un televisore acceso (accanto o poco distante) in cui passa, guarda caso, la notizia che la riguarda. L'ho trovato un po' forzatino. Forse con un cambio di punto di vista (che so, una guardia, un medico, ecc.) avresti avuto modo di infilarci meglio quel notiziario.
Anche il crack crack "attutito dal silenziatore" è un po' ingannevole: fai immaginare un suono crepitante e poi me lo descrivi diversamente. Forse un "thup! thup! thup!" sarebbe stato più efficace.
Ma sono solo suggerimenti.
Complimenti!
Uccidi scrivendo.

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Eugene Fitzherbert
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Re: Black Deer

Messaggio#4 » giovedì 7 settembre 2017, 11:42

Ciao, Eleonora!
Grazie per i complimenti, e ancor di più per le sottolineature e i consigli (che sono quelli che aspetto di più!)
Hai ragione su tutto, ma permettimi di fare alcune precisazioni (NON SONO SCUSE, ma precisazioni.. ahahaha):
Alle onomatopee ci ho pensato tanto. Ho scelto quel sound dopo tanto riflettere, in parte a causa dello stesso altieri che lo usa tanto e anche perché quando ho studiacchiato le armi e proiettili, i manuali stessi usavano quel suono... Ma c'è un motivo nascosto: Klarissa ha in mano un fucile da corpi Speciali ma in realtà sta sparando con una GLOCK semautomatica, SENZA silenziatore... Diciamo che anche questo fa parte del gioco di sovrapposizione tra quello che c'è nella testa della protagonista e quello che sta accadendo davvero, al pari di tutte le altre suggestioni visive e sonore che spargo nella narrazione, che creano quel senso di realtà sovrapposte.

Questione BLACK DEER: il soprannome glielo hanno dato i giornalisti quando ancora c'era la guerra, per via degli occhioni da cerbiatto e per la sua spietatezza (lei stessa si lamenta di questa scelta ridicola, in una riga di dialogo - è poco, lo so, e me ne scuso!). Ok, sta cosa non emerge, anche perché volevo far rimanere il personaggio ambiguo perché tutta la battaglia si gioca nella testa della protagonista.

Finale: il problema del finale è che i No Border Army hanno vinto, un po' di tempo prima e hanno preso il controllo di tutto, altrimenti non avremmo New Dawn City e il relativo notiziario. Quello dove hanno portato Klarissa, la sovversiva ex Navi Seal, sarà qualche prigione sotterranea in attesa di tortura e non sono posti dove si preoccupano tanto dell'arredamento o di dove mettono i televisori... LO SO che non è spiegato al dettaglio (altrimenti non avresti posto questi dubbi, sigh), e me ne dispiace. Avrei dovuto trovare delle soluzioni più incisive. Sorry...

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eleonora.rossetti
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Re: Black Deer

Messaggio#5 » giovedì 7 settembre 2017, 11:49

Eugene Fitzherbert ha scritto:Alle onomatopee ci ho pensato tanto. Ho scelto quel sound dopo tanto riflettere, in parte a causa dello stesso altieri che lo usa tanto e anche perché quando ho studiacchiato le armi e proiettili, i manuali stessi usavano quel suono... Ma c'è un motivo nascosto: Klarissa ha in mano un fucile da corpi Speciali ma in realtà sta sparando con una GLOCK semautomatica, SENZA silenziatore... Diciamo che anche questo fa parte del gioco di sovrapposizione tra quello che c'è nella testa della protagonista e quello che sta accadendo davvero, al pari di tutte le altre suggestioni visive e sonore che spargo nella narrazione, che creano quel senso di realtà sovrapposte.

Giusto. Non avevo fatto questo collegamento. Sorry ;)
Uccidi scrivendo.

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maria rosaria
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Re: Black Deer

Messaggio#6 » giovedì 7 settembre 2017, 19:00

Ciao Eugene.
Idea particolare e ben scritta quella di raccontare la vicenda di Klarissa Freston in lotta contro "quei bastardi terroristi dei No Border Army".
Durante tutto il racconto seguiamo la sua azione, curiosi di sapere cosa ne sarà della nostra eroina.
Purtroppo Klarissa (colpo di scena) è una pazza schizofrenica e nel finale viene mostrata appunto su una sorta di lettino di contenimento, oramai catturata.
Mi è piaciuto molto l'utilizzo delle "voci" che per tutta la storia fanno pensare a un ipotetico interlocutore. Interlocutore che non è altro che il pensiero malato di Klarissa.
Solo qui ho fatto un po' di confusione, perché ad un certo punto scrivi "Preferisco Frannie" e allora arrivata alla fine del racconto ho dovuto rileggermi il tutto perché non ero sicura di aver colto la doppiezza della protagonista.

Ottima, a mio avviso, la mimesi con lo stile di Altieri: le onomatopee, i corsivi, i dialoghi, le frasi veloci.
Molto bravo!
Maria Rosaria

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Eugene Fitzherbert
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Re: Black Deer

Messaggio#7 » giovedì 7 settembre 2017, 20:44

maria rosaria ha scritto:Ciao Eugene.

Solo qui ho fatto un po' di confusione, perché ad un certo punto scrivi "Preferisco Frannie" e allora arrivata alla fine del racconto ho dovuto rileggermi il tutto perché non ero sicura di aver colto la doppiezza della protagonista.



Maria Rosaria, grazie per i complimenti, davvero!
Credo che la spiegazione di tutta la vicenda interna di Klarissa stia nelle righe finali, che svelan un bel po' sul setting della storia.
TI dico solo che nella mia testa (che funziona male) Frannie The Back Deer esiste, è a capo dei No Border Army e HA VINTO (c'è un indizio palese nel finale che mette tutto in prospettiva).

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kaipirissima
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Re: Black Deer

Messaggio#8 » venerdì 8 settembre 2017, 14:13

Da subito posso, dalla presentazione del sergente, dichiarare obiettivo camaleonte raggiunto.
Da subito buttata nell'azione, da subito a strisciare nel sangue, da subito armata e determinata, e da subito, le voci nella testa.
Mi chiedo se sia una cosa comune in Altieri perché sia tu che Eleonora ne avete fatto il cardine del vostro racconto.
Colpo di scena finale, ben fatto. Ho visto che più di una volta vuoi mettere in luce che l'organizzazione terrorista ha vinto e, sinceramente, si capisce.
La nostra protagonista è un soldato traumatizzato, o un redivivo baluardo contro il nuovo ordine?
Mi pare che la tua visione sia piuttosto manichea, ma sinceramente a me un minimo di dubbio rimane sull'autenticità delle motivazioni del corpo speciale NAVI SEAL.

P.S. E Chi se lo immagina che quello che sembrava una iperbole stilistica fosse la realtà? Ah ah!
"Quelli che sembravano pisellini surgelati, filetti di pangasio e minestroni esplosero come shrapnel alimentare a lunga conservazione."

Bravo!
A risentirci per la classifica.

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Re: Black Deer

Messaggio#9 » mercoledì 13 settembre 2017, 21:33

Buono. Si sente tantissimo l'Altieri di WARRIORS, bravo. Il finale è interessante, ma sai che lo sarebbe, a mio parere, ancora di più se tu abbandonassi del tutto l'idea del futuro distopico per lasciare la sua pazzia. Certo, si tratterebbe di eliminare alcuni semini che hai lasciato qua e là, ma potresti seminarne altri. Comunque, il mio è solo un parere. Forse meno solido e granitico di quello di Eleonora, ma di sicuro un lavoro più che buono.

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Re: Black Deer

Messaggio#10 » giovedì 14 settembre 2017, 1:01

Eugene my dear!
Allora mi piace molto, è frammentato al punto giusto da non risultare né pallosamente consequenziale, né totalmente confusionario. Adesso ho paura ad andare al supermercato, ma va beh.
Ammetto (e si è visto) che di altieri ho letto solo Warriors e tutto di un fiato, quindi non ho avuto gran modo di farlo mio, ma mi sembra che tu abbia centrato in pieno Tema & Stile. Il ricorso all'onomatopea è equilibrato ed efficace. bravo <3
#AbbassoIlTerzoPuntino #NonSmerigliateLeBalle
#LicenzaPoeticaGrammatica
Adoro le critiche, ma -ve prego!- che siano costruttive!!

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Re: Black Deer

Messaggio#11 » sabato 23 settembre 2017, 11:33

Bel racconto, finale interessante che se forse ti è sfuggito qualche dettaglio.
Lo stile di Altieri si sente nella tipologia di azione e nel discorso interiore, nella ineluttabilità e nell’ambientazione sporca e post apocalittica tipica dei suoi racconti.
Buono l’uso dei dettagli soprattutto quelli tecnici così tipici di Alan e delle brevi frasi inglesi a lui tanto care.
Mi è piaciuta l’idea dell’inversione finale anche se ho sentito un po’ di calo nella descrizione della situazione, forse ti sei perso qualche dettaglio che ha lasciato dei dubbi su come si sia passati da un momento al successivo e perché.
Quello che mi lascia perplesso è la descrizione al passato degli eventi, uno stacco che, certamente tipico della maggior parte dei libri crea purtroppo un rallentamento sensibile nella descrizione dell’azione. Le descrizioni risultano un po’ pesanti nel complesso delle scene e questo mi ha dato un senso di rallentamento generale che trovo possa penalizzare un racconto altrimenti molto interessante.
Sicuramente merita un passaggio in laboratorio, qualche centinaia di parole in più per coprire i dettagli e la vetrina è tua.

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Re: Black Deer

Messaggio#12 » giovedì 28 settembre 2017, 15:25

Un racconto sicuramente buono, ma che richiede ancora del lavoro di lima. Hai colto moltissimi aspetti della voce di Altieri, ma il controllo non è sempre ferreo. Al di là degli inglesismi che secondo mio modesto parere ti sono sfuggiti leggermente di mano (solo un ciccino di meno, poca roba!), direi che il problema più evidente è la caduta di ritmo nell'analessi e un certo ingombro nella descrizione di alcune scene d'azione. Non sempre sono riuscito a comprendere la scena alla prima lettura, e questo - in un genere come quello proposto - rallenta di molto la percezione dell'azione.
In qualsiasi caso un racconto più che discreto, e ho apprezzato molto il ribaltone finale (non saprei dirti come mai, ma mi lascia una sensazione alla "Esercito delle 12 scimmie")

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