Le pietre di Viracocha
Inviato: sabato 26 agosto 2017, 18:53
La prima volta che ho incontrato Viracocha credevo di essere di fronte a un dio. Un dio lacero e boccheggiante, ma senza ombra di dubbio un essere celeste, con quei capelli di sole e quella pelle scintillante. Stava riverso sulla spiaggia come un dono mandato da Pericaca, il dio che sta sotto il mare, dopo la sua furia.
Mentre lo fissavo con gli occhi sgranati, Paullo gli si avvicinò e cominciò a pungolarlo, senza ottenere alcuna reazione:
- Altro che figlio di Pericaca, secondo me questo è stecchito! - disse, appoggiando poco rispettosamente un piede sul suo petto - che bei capelli, però. Magari potremmo prendergli lo scalpo ed esporlo sulla soglia di casa, somiglia alle pietre che lo sciamano usa per propiziare la fertilità…
In quell’istante Viracocha aprì gli occhi e, sconquassato da una tosse di rombi di tuono, sputò dell’acqua sul piede di Paullo.
- Ahi! Mi ha maledetto! Adesso morirò, ma lo porterò insieme a me! - si mise a strillare lui, prendendolo a calci.
Fermo! Paullo sei impazzito? - mi precipitai verso il figlio del dio, per dargli la giusta assistenza - Portiamolo allo sciamano, invece. Potrebbe essere un buon modo per venire di nuovo accettati al villaggio.
Viracocha venne accolto al villaggio con tutti gli onori, e lo sciamano decise di affidarlo proprio a noi due:
- Non capisco perché il figlio di un dio dovrebbe manifestarsi proprio a due ladruncoli, ma non possiamo comprendere i voleri delle divinità. Occupatevene finché non capirete qual è il suo messaggio.
Comunicare con Viracocha non era per niente facile: parlava una strana lingua piena di suoni aspirati, ma quando voleva veramente qualcosa si esprimeva a gesti. Le uniche cose per cui sembrava provare interesse erano il cibo, l’acqua, e le pietre gialle della fertilità, esposte alla porta di ogni casa in cui si attendeva un neonato. Io e Paullo provammo più volte a spiegargli che quelle non erano di alcuna utilità per lui, ma nutriva nei loro confronti una vera ossessione.
Una sera lo beccammo a tentare di prenderne una da casa di Quito, che era padre da pochissimi giorni, e allora decidemmo di portarlo a vedere quelle già usate, nella stanza dello sciamano.
Di fronte a quella montagna di pietre gialle il suo viso s’illuminò. Mentre cercavamo di spiegargli a gesti perché lo sciamano ne conservasse una per ogni neonato che arrivava al villaggio, lui non ci guardava nemmeno: si era fiondato sulla montagna gialla e tentava di riempirsi le tasche di più pietre possibili, dopo averle lucidate.
Paullo si gettò su di lui, per fermarlo:
- Cosa fai? Tra quelle pietre c’è anche mio figlio!
Viracocha non rispose, il suo volto sembrava consumato dalla febbre. Spintonò Paullo e poi me, per correre verso la foresta.
Lo inseguimmo:
- Viracocha! Viracocha! Non c’è niente nella foresta, solo bestie feroci!
- Viracocha! Fermati! Quelle pietre non ti servono!
- Viracocha! Viracocha!
Sapevamo che non poteva capirci, ma forse il figlio di un dio può parlare solo la sua lingua ma comprende tutte quelle dei suoi figli.
Viracocha arrivò dall’altro lato dell’isola e uscì dalla foresta, ciò che vedemmo ci lasciò di sasso: sulla spiaggia non c’erano più gli alberi, ma delle strane case molli, e due giganteschi mostri marini stavano di guardia in acqua.
Viracocha correva in mezzo alle case molli urlando:
- Hombres! Hombres! Sono tornato!
Dalle case molli uscirono diversi uomini con la stessa pelle scintillante, sembravano molto sorpresi:
- Guardate ragazzi, è Josè! Josè! Pensavamo fossi morto!
- Ma che morto e morto, io ho fatto la mia fortuna! Ho trovato l’oro! Ce n’è un mucchio in quel villaggio di selvaggi, dall’altro lato dell’isola!
Mentre lo fissavo con gli occhi sgranati, Paullo gli si avvicinò e cominciò a pungolarlo, senza ottenere alcuna reazione:
- Altro che figlio di Pericaca, secondo me questo è stecchito! - disse, appoggiando poco rispettosamente un piede sul suo petto - che bei capelli, però. Magari potremmo prendergli lo scalpo ed esporlo sulla soglia di casa, somiglia alle pietre che lo sciamano usa per propiziare la fertilità…
In quell’istante Viracocha aprì gli occhi e, sconquassato da una tosse di rombi di tuono, sputò dell’acqua sul piede di Paullo.
- Ahi! Mi ha maledetto! Adesso morirò, ma lo porterò insieme a me! - si mise a strillare lui, prendendolo a calci.
Fermo! Paullo sei impazzito? - mi precipitai verso il figlio del dio, per dargli la giusta assistenza - Portiamolo allo sciamano, invece. Potrebbe essere un buon modo per venire di nuovo accettati al villaggio.
Viracocha venne accolto al villaggio con tutti gli onori, e lo sciamano decise di affidarlo proprio a noi due:
- Non capisco perché il figlio di un dio dovrebbe manifestarsi proprio a due ladruncoli, ma non possiamo comprendere i voleri delle divinità. Occupatevene finché non capirete qual è il suo messaggio.
Comunicare con Viracocha non era per niente facile: parlava una strana lingua piena di suoni aspirati, ma quando voleva veramente qualcosa si esprimeva a gesti. Le uniche cose per cui sembrava provare interesse erano il cibo, l’acqua, e le pietre gialle della fertilità, esposte alla porta di ogni casa in cui si attendeva un neonato. Io e Paullo provammo più volte a spiegargli che quelle non erano di alcuna utilità per lui, ma nutriva nei loro confronti una vera ossessione.
Una sera lo beccammo a tentare di prenderne una da casa di Quito, che era padre da pochissimi giorni, e allora decidemmo di portarlo a vedere quelle già usate, nella stanza dello sciamano.
Di fronte a quella montagna di pietre gialle il suo viso s’illuminò. Mentre cercavamo di spiegargli a gesti perché lo sciamano ne conservasse una per ogni neonato che arrivava al villaggio, lui non ci guardava nemmeno: si era fiondato sulla montagna gialla e tentava di riempirsi le tasche di più pietre possibili, dopo averle lucidate.
Paullo si gettò su di lui, per fermarlo:
- Cosa fai? Tra quelle pietre c’è anche mio figlio!
Viracocha non rispose, il suo volto sembrava consumato dalla febbre. Spintonò Paullo e poi me, per correre verso la foresta.
Lo inseguimmo:
- Viracocha! Viracocha! Non c’è niente nella foresta, solo bestie feroci!
- Viracocha! Fermati! Quelle pietre non ti servono!
- Viracocha! Viracocha!
Sapevamo che non poteva capirci, ma forse il figlio di un dio può parlare solo la sua lingua ma comprende tutte quelle dei suoi figli.
Viracocha arrivò dall’altro lato dell’isola e uscì dalla foresta, ciò che vedemmo ci lasciò di sasso: sulla spiaggia non c’erano più gli alberi, ma delle strane case molli, e due giganteschi mostri marini stavano di guardia in acqua.
Viracocha correva in mezzo alle case molli urlando:
- Hombres! Hombres! Sono tornato!
Dalle case molli uscirono diversi uomini con la stessa pelle scintillante, sembravano molto sorpresi:
- Guardate ragazzi, è Josè! Josè! Pensavamo fossi morto!
- Ma che morto e morto, io ho fatto la mia fortuna! Ho trovato l’oro! Ce n’è un mucchio in quel villaggio di selvaggi, dall’altro lato dell’isola!