Gli intrusi si erano insediati sul crinale della valle - di Marco Fumetto
Inviato: martedì 19 settembre 2017, 0:59
Gli intrusi si erano insediati sul crinale della valle, nella vecchia casa di Masia. Erano i nuovi vicini e la mia proprietà confinava con la loro. Mi ci ero imbattuto un paio di volte, una coppia di bastardi tutti tatuati e sempre vestiti di nero, entrambi con i capelli fino al culo: lei una vacca sempre in top scollati a mostrare le tettone al vento, lui un bifolco con la barba che puzzava di birra e merda, un guitto con i tatuaggi perfino sulla faccia da cazzo. Fu odio a prima vista perché dalle finestre di casa loro usciva sempre musica rock a tutto volume, una sorta di Heavy Metal cagato dal culo di Satana in persona. Quei porci erano arrivati su una Renegade lurida e nera che faceva un rombo d’inferno, prendendo possesso del casolare del vecchio Masia.
In breve il fienile di Masia era stato dipinto con murales che raffiguravano demoni e teschi e scene apocalittiche di giovani nude possedute da bestie caprine e un sacco di altre porcherie. E sul fienile il guitto aveva piazzato un grosso cartellone fatto di tavolacce, dove a rozze pennellate aveva scritto: L’UNICO CRISTO NEL QUALE CI RICONOSCIAMO È IL CRISTO DEL PISCIO E DELLA MERDA.
Quei figli di cane forse pensavano di vivere nel deserto.
Il giorno dopo scesi in paese e ne parlai con l’avvocato.
– Per il cartello non vedo problemi. Faremo un esposto, saranno costretti a toglierlo.
– E quella musica da cazzo sparata dalle finestre a tutte le ore?
– Dovremo contattare qualcuno per una perizia, dovranno redarre misurazioni e inviarle agli uffici di competenza. Armati di pazienza.
– Ho una voglia di e spaccargli il culo che non hai idea.
– Al momento sei nel giusto, così facendo passeresti dalla parte del torto. Tu stai buono e lascia che ci pensi io.
Tornai a casa e per qualche giorno le cose tornarono alla normalità. Le imposte del casolare di Masia erano sbarrate e non c’era traccia degli intrusi. Salii sul mio trattore e tornai a occuparmi del falcio della valle circostante.
Una settimana più tardi intorno all’ora di pranzo udii bussare alla porta. Guardai allo spioncino ed eccoti la vacca. Sapeva che la stavo guardando e sorrideva.
Aprii la porta.
– Salve – disse.
Indossava una maglietta traforata e le tette, di certo rifatte, erano davvero grosse e in bella mostra.
– Cosa le serve?
– Dobbiamo parlare.
Mi spinse ed entrò. Socchiuse la porta alle sue spalle, mi tirò a se e mi infilò la lingua in bocca. Poi la sua mano sbottonò i pantaloni e inizò a sfregarmi il membro eccitato.
– Boscaiolo, da quanto non vedevi una donna? – sussurrò inginocchiandosi.
Fu allora che lui entrò. Intendo il barbuto merdoso. Aveva una mazza da baseball che mi abbatté a tutta forza sulla testa.
Fu il buio…
Mi risvegliai nel fienile di Masia. Ero in piedi, legato alla grossa trave centrale che sosteneva la struttura. E gli intrusi erano lì che mi guardavano. Lui a petto nudo, stringeva un coltellaccio. Lei era seduta su un ceppo, la troia.
– Ciao boscaiolo – mormorò sexy.
Poi lui mi fu addosso e prese a menarmi fendenti sulle braccia e il volto. Urlai. Il sangue mi cadeva in fiotti caldi sul viso e mi colava sui pantaloni, filtrando sui boxer.
– Perché? – ansimai.
– Perché, perché… ma non c’è un perché, noi siamo DEI FIGLI DI UNA GRAN PUTTANA! Ecco perché!
La troia latrò un non so che, e mi fu addosso. Stringeva un cacciavite in mano e me lo conficcò in un occhio. Strillai come un animale, il dolore era indicibile.
Il merdoso mi lasciò andare un calcio tra le gambe e il fiato mi venne a mancare. Dallo choc la mascella mi si slogò e le labbra si lacerarono. Fu allora che udii le sirene. Gli intrusi si guardarono tra loro, e senza dire una parola afferrarono le asce appese alla parete, al di sopra del bancone da lavoro.
Mi lasciarono lì come una bestia al mattatoio, a sanguinare. Poi delle voci, e a seguire delle urla. Strattonai con tutte le mie forze le corde, divincolandomi e tirando e roteando i polsi, finché non riuscii a liberarmi. Sentii uno sparo e in preda al panico corsi davani al bancone da lavoro in cerca di qualcosa per difendermi: c’era un’altra ascia. L’abbrancai e uscii.
La prima cosa che vidi fu il merdoso freddato da un proiettile in fronte. Accanto a lui un poliziotto con la testa sfondata e aperta in due da un colpo d’ascia. La troia stava finendo di macellare un secondo poliziotto e grondava sangue. Le fui addosso conficcandole l’ascia sulla schiena. Urlò e si voltò in una maschera di sangue. Non le diedi tempo di reagire e le tirai un calcio in faccia, facendola atterrare. Poi di nuovo afferrai l’ascia e presi a colpirla, mozzandole una gamba. Solo allora mi avvidi del coltello del merdoso, era in terra, poco distante. Lo presi e accoltellai ripetutamente la troia, la sgozzai e le tirai fuori le budella annodandogliele intorno al collo. Poi ripresi ad accoltellarla su quella faccia da troia, ancora e ancora… brutta puttana, brutta bastarda…
In breve il fienile di Masia era stato dipinto con murales che raffiguravano demoni e teschi e scene apocalittiche di giovani nude possedute da bestie caprine e un sacco di altre porcherie. E sul fienile il guitto aveva piazzato un grosso cartellone fatto di tavolacce, dove a rozze pennellate aveva scritto: L’UNICO CRISTO NEL QUALE CI RICONOSCIAMO È IL CRISTO DEL PISCIO E DELLA MERDA.
Quei figli di cane forse pensavano di vivere nel deserto.
Il giorno dopo scesi in paese e ne parlai con l’avvocato.
– Per il cartello non vedo problemi. Faremo un esposto, saranno costretti a toglierlo.
– E quella musica da cazzo sparata dalle finestre a tutte le ore?
– Dovremo contattare qualcuno per una perizia, dovranno redarre misurazioni e inviarle agli uffici di competenza. Armati di pazienza.
– Ho una voglia di e spaccargli il culo che non hai idea.
– Al momento sei nel giusto, così facendo passeresti dalla parte del torto. Tu stai buono e lascia che ci pensi io.
Tornai a casa e per qualche giorno le cose tornarono alla normalità. Le imposte del casolare di Masia erano sbarrate e non c’era traccia degli intrusi. Salii sul mio trattore e tornai a occuparmi del falcio della valle circostante.
Una settimana più tardi intorno all’ora di pranzo udii bussare alla porta. Guardai allo spioncino ed eccoti la vacca. Sapeva che la stavo guardando e sorrideva.
Aprii la porta.
– Salve – disse.
Indossava una maglietta traforata e le tette, di certo rifatte, erano davvero grosse e in bella mostra.
– Cosa le serve?
– Dobbiamo parlare.
Mi spinse ed entrò. Socchiuse la porta alle sue spalle, mi tirò a se e mi infilò la lingua in bocca. Poi la sua mano sbottonò i pantaloni e inizò a sfregarmi il membro eccitato.
– Boscaiolo, da quanto non vedevi una donna? – sussurrò inginocchiandosi.
Fu allora che lui entrò. Intendo il barbuto merdoso. Aveva una mazza da baseball che mi abbatté a tutta forza sulla testa.
Fu il buio…
Mi risvegliai nel fienile di Masia. Ero in piedi, legato alla grossa trave centrale che sosteneva la struttura. E gli intrusi erano lì che mi guardavano. Lui a petto nudo, stringeva un coltellaccio. Lei era seduta su un ceppo, la troia.
– Ciao boscaiolo – mormorò sexy.
Poi lui mi fu addosso e prese a menarmi fendenti sulle braccia e il volto. Urlai. Il sangue mi cadeva in fiotti caldi sul viso e mi colava sui pantaloni, filtrando sui boxer.
– Perché? – ansimai.
– Perché, perché… ma non c’è un perché, noi siamo DEI FIGLI DI UNA GRAN PUTTANA! Ecco perché!
La troia latrò un non so che, e mi fu addosso. Stringeva un cacciavite in mano e me lo conficcò in un occhio. Strillai come un animale, il dolore era indicibile.
Il merdoso mi lasciò andare un calcio tra le gambe e il fiato mi venne a mancare. Dallo choc la mascella mi si slogò e le labbra si lacerarono. Fu allora che udii le sirene. Gli intrusi si guardarono tra loro, e senza dire una parola afferrarono le asce appese alla parete, al di sopra del bancone da lavoro.
Mi lasciarono lì come una bestia al mattatoio, a sanguinare. Poi delle voci, e a seguire delle urla. Strattonai con tutte le mie forze le corde, divincolandomi e tirando e roteando i polsi, finché non riuscii a liberarmi. Sentii uno sparo e in preda al panico corsi davani al bancone da lavoro in cerca di qualcosa per difendermi: c’era un’altra ascia. L’abbrancai e uscii.
La prima cosa che vidi fu il merdoso freddato da un proiettile in fronte. Accanto a lui un poliziotto con la testa sfondata e aperta in due da un colpo d’ascia. La troia stava finendo di macellare un secondo poliziotto e grondava sangue. Le fui addosso conficcandole l’ascia sulla schiena. Urlò e si voltò in una maschera di sangue. Non le diedi tempo di reagire e le tirai un calcio in faccia, facendola atterrare. Poi di nuovo afferrai l’ascia e presi a colpirla, mozzandole una gamba. Solo allora mi avvidi del coltello del merdoso, era in terra, poco distante. Lo presi e accoltellai ripetutamente la troia, la sgozzai e le tirai fuori le budella annodandogliele intorno al collo. Poi ripresi ad accoltellarla su quella faccia da troia, ancora e ancora… brutta puttana, brutta bastarda…