IL CAMPO DELLE PERE di Marco Roncaccia
Inviato: sabato 28 ottobre 2017, 15:25
Non so se hai presente il fascino di una siringa usata.
Lo so che non ci fai caso.
Per te la parte bella viene prima.
Quando arrivi trafelato, in compagnia, o da solo come oggi.
Ti infili nel buco della rete, barcolli, ti trascini, tra l’erba alta.
Una distesa di bottiglie rotte, lattine di birra.
C’è un cesso rosa.
Non oso pensare da quale bagno provenga, agli altri sanitari e gli arredi.
Invece qui ci sta bene.
È rassicurante trovare un cesso rosa in mezzo a questa specie di discarica.
Lo devi aver pensato anche tu perché ti ci sei seduto sopra.
Poi hai manovrato frettoloso ma con gesti sicuri. Un piccolo involto di stagnola, una fiala di acqua aperta con un gesto secco, la polvere bruna dell’involto nella fiala e poi l’accendino per squagliare tutto.
Io non c’ero ma posso immaginare tutto.
Ero poco distante, a pensare che oggi è martedì e domani, mercoledì è il primo Novembre e un giorno di festa in mezzo alla settimana è una gran figata.
D’altronde la pompa, come chiami tu la siringa, l’acqua per preparazioni iniettabili, il fazzoletto e il disinfettante te li ho dati io.
È il mio lavoro.
Si chiama Unità di strada di riduzione del danno.
È a carico del Servizio Sanitario Nazionale e serve ad arginare il propagarsi di malattie infettive tra i consumatori di sostanze illecite per vie endovenosa.
Una siringa usata di solito è una cosa particolare.
Oggi non se ne vedono molte in giro, se non in posti come questo.
Quando ero piccolo invece capitava spesso.
La prima la vidi in terza elementare.
Il mio banco era vicino alla finestra dell’aula.
Era una giornata piovosa e la maestra si era data malata.
La supplente leggeva il giornale e io guardavo fuori dal vetro.
Una Fiat 127 si era parcheggiata proprio lì sotto e dall’alto, attraverso il parabrezza, assistetti ipnotizzato a quello strano rituale.
Ricordo l’ago inghiottito dalla pelle morbida e bianca di un braccio per esserne poi risputato fuori, seguito da un rigagnolo rosso.
Per me era inconcepibile e lo è tutt’ora riuscire a praticarsi una iniezione da soli.
Quando devo fare le analisi del sangue giro la testa dall’altra parte e qualche volta sono anche svenuto.
Ricordo che ero sconcertato, impaurito e soprattutto ammirato.
A ricreazione, in cortile, mi arrampicai sulla recinzione a osservare i resti di quella che a me sembrava un’impresa.
Non so se hai presente il fascino di una siringa usata.
La forma snella, elegante, aerodinamica, lo stantuffo in trasparenza e poi l’ago.
Mi da i brividi l’ago usato: il contrasto tra la parte liscia e riflettente del metallo e quella ruvida e opaca del sangue rappreso.
La sua punta aguzza e cava, che buca la pelle e poi la vena, che risucchia il sangue e lo proietta all’interno della plastica trasparente a intorpidire e oscurare con la sua densità la limpidezza del liquido, prima che il tutto sia pompato nel vaso.
Di te so molte cose.
Che ti fai da trent’anni che hai l’epatite C, l’AIDS, un fegato distrutto.
Stai a 70 mg di metadone, a mantenimento e, quando puoi, vieni qui a spararti una pera.
Hai quattro anni meno di me ma la vita e l’eroina te ne hanno disegnati parecchi in più sul corpo e sulla faccia.
Nonostante ciò quando sei uscito dagli sterpi e dalla rete sorridevi come un bambino piccolo quando scopre per la prima volta quanto è dolce un lecca lecca.
Un sorriso con una bocca da lattante completamente sdentata.
Mi hai fatto tenerezza, mentre biascicavi un saluto e te ne andavi fatto e contento.
Era quasi ora di staccare e ho detto al mio collega,
«Faccio un giro a raccogliere.»
Mi piace questa parte del mio lavoro.
Si prende un secchiello di plastica gialla, di quelli per i rifiuti sanitari a rischio infettivo, e uno speciale attrezzo, un lungo bastone con una impugnatura a pistola da una parte e una pinza all’altra estremità.
Premendo il grilletto la pinza si serra e puoi afferrare siringhe e aghi infetti a distanza.
È come un gioco scovare aghi nel terreno, afferrarli con la pinza e gettarli nel secchiello.
Gli aghi hanno una base di plastica trasparente colorata. Ogni colore indica una lunghezza e larghezza differente.
Ci sono aghi arancioni, grigi, azzurrini.
Quelli grigi sono quelli più difficili da scovare in mezzo al terreno scuro.
Ho scavalcato la rete, e attraversato il campo di erbacce.
Facevo molta attenzione a dove mettevo i piedi.
Non tanto per le siringhe.
A lavoro indosso scarpe per l’antinfortunistica.
Niente può perforarle.
No, il mio problema sono le cagate.
L’eroina rende costipati.
L’ho sentito dire per la prima volta nel film Trainspotting e me ne sono reso conto da quando faccio questo lavoro.
Un utilizzatore di eroina caga degli stronzi lunghi larghi e molto compatti.
Se ci finisci dentro è la fine. Oltre le scarpe rischi di inzaccherarti anche i pantaloni.
Una volta mi è capitato.
Mi è rimasta la puzza e lo schifo nel naso e nel cervello per un mese.
Per questo mi muovo in modo circospetto quando sono da queste parti.
Ho trovato una piccola radura. Ho posato il cestino giallo ed ero particolarmente assorto a raccogliere aghi, c’erano almeno una ventina di siringhe.
Ho alzato lo sguardo per un attimo e ho visto questo cesso colorato in mezzo al nulla.
Era incredibile.
Una scena insolita.
Un apostrofo rosa tra le parole “Mi faccio”, ho pensato.
Per terra la carta della siringa e gli altri resti del materiale che ti avevo dato all’Unità mobile una ventina di minuti prima.
Mi sono avvicinato, ridacchiando, pensando che era veramente paradossale che l’unico posto per stare al sicuro dalla merda fosse sedersi si quella tazza rosa in mezzo al prato.
Certi pensieri uno dovrebbe farli a casa, non al lavoro.
Mi sono distratto e ho centrato con la suola una delle più grandi cacche tra quelle presenti.
Ho sentito un fluido leggermente più denso dell’aria sotto la scarpa. Denso, viscoso e soprattutto scivoloso.
Non so se è arrivata prima la puzza al naso o la sensazione di stare cadendo
Non so se hai presente il fascino di una siringa usata.
Lo so che non ci fai caso.
Per te la parte bella viene prima.
L’ho letto in quella faccia di neonato felice che gusta il suo primo lecca lecca.
A me invece è toccato lo scherzetto.
Seduto in terra guardo attraverso la plastica trasparente lo stantuffo e il rosso del tuo sangue che non si è ancora rappreso.
Non ho sentito nessuna pizzico eppure l’ago è tutto conficcato nella mia gamba.
Lo so che non ci fai caso.
Per te la parte bella viene prima.
Quando arrivi trafelato, in compagnia, o da solo come oggi.
Ti infili nel buco della rete, barcolli, ti trascini, tra l’erba alta.
Una distesa di bottiglie rotte, lattine di birra.
C’è un cesso rosa.
Non oso pensare da quale bagno provenga, agli altri sanitari e gli arredi.
Invece qui ci sta bene.
È rassicurante trovare un cesso rosa in mezzo a questa specie di discarica.
Lo devi aver pensato anche tu perché ti ci sei seduto sopra.
Poi hai manovrato frettoloso ma con gesti sicuri. Un piccolo involto di stagnola, una fiala di acqua aperta con un gesto secco, la polvere bruna dell’involto nella fiala e poi l’accendino per squagliare tutto.
Io non c’ero ma posso immaginare tutto.
Ero poco distante, a pensare che oggi è martedì e domani, mercoledì è il primo Novembre e un giorno di festa in mezzo alla settimana è una gran figata.
D’altronde la pompa, come chiami tu la siringa, l’acqua per preparazioni iniettabili, il fazzoletto e il disinfettante te li ho dati io.
È il mio lavoro.
Si chiama Unità di strada di riduzione del danno.
È a carico del Servizio Sanitario Nazionale e serve ad arginare il propagarsi di malattie infettive tra i consumatori di sostanze illecite per vie endovenosa.
Una siringa usata di solito è una cosa particolare.
Oggi non se ne vedono molte in giro, se non in posti come questo.
Quando ero piccolo invece capitava spesso.
La prima la vidi in terza elementare.
Il mio banco era vicino alla finestra dell’aula.
Era una giornata piovosa e la maestra si era data malata.
La supplente leggeva il giornale e io guardavo fuori dal vetro.
Una Fiat 127 si era parcheggiata proprio lì sotto e dall’alto, attraverso il parabrezza, assistetti ipnotizzato a quello strano rituale.
Ricordo l’ago inghiottito dalla pelle morbida e bianca di un braccio per esserne poi risputato fuori, seguito da un rigagnolo rosso.
Per me era inconcepibile e lo è tutt’ora riuscire a praticarsi una iniezione da soli.
Quando devo fare le analisi del sangue giro la testa dall’altra parte e qualche volta sono anche svenuto.
Ricordo che ero sconcertato, impaurito e soprattutto ammirato.
A ricreazione, in cortile, mi arrampicai sulla recinzione a osservare i resti di quella che a me sembrava un’impresa.
Non so se hai presente il fascino di una siringa usata.
La forma snella, elegante, aerodinamica, lo stantuffo in trasparenza e poi l’ago.
Mi da i brividi l’ago usato: il contrasto tra la parte liscia e riflettente del metallo e quella ruvida e opaca del sangue rappreso.
La sua punta aguzza e cava, che buca la pelle e poi la vena, che risucchia il sangue e lo proietta all’interno della plastica trasparente a intorpidire e oscurare con la sua densità la limpidezza del liquido, prima che il tutto sia pompato nel vaso.
Di te so molte cose.
Che ti fai da trent’anni che hai l’epatite C, l’AIDS, un fegato distrutto.
Stai a 70 mg di metadone, a mantenimento e, quando puoi, vieni qui a spararti una pera.
Hai quattro anni meno di me ma la vita e l’eroina te ne hanno disegnati parecchi in più sul corpo e sulla faccia.
Nonostante ciò quando sei uscito dagli sterpi e dalla rete sorridevi come un bambino piccolo quando scopre per la prima volta quanto è dolce un lecca lecca.
Un sorriso con una bocca da lattante completamente sdentata.
Mi hai fatto tenerezza, mentre biascicavi un saluto e te ne andavi fatto e contento.
Era quasi ora di staccare e ho detto al mio collega,
«Faccio un giro a raccogliere.»
Mi piace questa parte del mio lavoro.
Si prende un secchiello di plastica gialla, di quelli per i rifiuti sanitari a rischio infettivo, e uno speciale attrezzo, un lungo bastone con una impugnatura a pistola da una parte e una pinza all’altra estremità.
Premendo il grilletto la pinza si serra e puoi afferrare siringhe e aghi infetti a distanza.
È come un gioco scovare aghi nel terreno, afferrarli con la pinza e gettarli nel secchiello.
Gli aghi hanno una base di plastica trasparente colorata. Ogni colore indica una lunghezza e larghezza differente.
Ci sono aghi arancioni, grigi, azzurrini.
Quelli grigi sono quelli più difficili da scovare in mezzo al terreno scuro.
Ho scavalcato la rete, e attraversato il campo di erbacce.
Facevo molta attenzione a dove mettevo i piedi.
Non tanto per le siringhe.
A lavoro indosso scarpe per l’antinfortunistica.
Niente può perforarle.
No, il mio problema sono le cagate.
L’eroina rende costipati.
L’ho sentito dire per la prima volta nel film Trainspotting e me ne sono reso conto da quando faccio questo lavoro.
Un utilizzatore di eroina caga degli stronzi lunghi larghi e molto compatti.
Se ci finisci dentro è la fine. Oltre le scarpe rischi di inzaccherarti anche i pantaloni.
Una volta mi è capitato.
Mi è rimasta la puzza e lo schifo nel naso e nel cervello per un mese.
Per questo mi muovo in modo circospetto quando sono da queste parti.
Ho trovato una piccola radura. Ho posato il cestino giallo ed ero particolarmente assorto a raccogliere aghi, c’erano almeno una ventina di siringhe.
Ho alzato lo sguardo per un attimo e ho visto questo cesso colorato in mezzo al nulla.
Era incredibile.
Una scena insolita.
Un apostrofo rosa tra le parole “Mi faccio”, ho pensato.
Per terra la carta della siringa e gli altri resti del materiale che ti avevo dato all’Unità mobile una ventina di minuti prima.
Mi sono avvicinato, ridacchiando, pensando che era veramente paradossale che l’unico posto per stare al sicuro dalla merda fosse sedersi si quella tazza rosa in mezzo al prato.
Certi pensieri uno dovrebbe farli a casa, non al lavoro.
Mi sono distratto e ho centrato con la suola una delle più grandi cacche tra quelle presenti.
Ho sentito un fluido leggermente più denso dell’aria sotto la scarpa. Denso, viscoso e soprattutto scivoloso.
Non so se è arrivata prima la puzza al naso o la sensazione di stare cadendo
Non so se hai presente il fascino di una siringa usata.
Lo so che non ci fai caso.
Per te la parte bella viene prima.
L’ho letto in quella faccia di neonato felice che gusta il suo primo lecca lecca.
A me invece è toccato lo scherzetto.
Seduto in terra guardo attraverso la plastica trasparente lo stantuffo e il rosso del tuo sangue che non si è ancora rappreso.
Non ho sentito nessuna pizzico eppure l’ago è tutto conficcato nella mia gamba.