IL DIAVOLO PAGA DI PIU'
Inviato: sabato 28 ottobre 2017, 15:46
IL DIAVOLO PAGA DI PIÙ
Beppe guardava inorridito quelli che avrebbero dovuto essere i suoi dolcetti nel forno. Cazzo, ci vorrà un’eternità a pulire tutto ‘sto casino, pensò guardando la viscosa poltiglia liquefarsi e insozzare il pianale. Nell’attimo che seguì si rese conto che avrebbe dovuto avere ben altra reazione scoprendo veri bulbi oculari al posto dei suoi famosi “che te ciechi” (per non discostarsi dalla tradizione ternana), pasticcini a forma di occhi, disgustosi a vedersi, deliziosi a mangiarsi. Quelli che cuocevano ad alta temperatura erano occhi veri. Ed erano nel suo forno. Non aveva idea di chi fosse stato, né di come avevano fatto ad entrare, ma non importava. Avrebbero dato la colpa a lui. Sarebbe andato fallito. E questo fu l’unico pensiero che riuscì finalmente a causargli i conati di vomito.
Paolo non sapeva cosa pensare. Cinque paia di occhi, disposti in maniera precisa, circolare, lo fissavano ormai secchi. Ebbe l’irresistibile impulso di scoppiare in fragorose risate pensando a tutte le volte che aveva maledetto qualcuno con l’espressione “Pozzi ciecatte!”, e nonostante Beppe, il suo capo, stesse singhiozzando talmente tanto che la sua richiesta d’aiuto si capiva a stento, a Paolo veniva solo tanto da ridere. C’era una sottile ironia in quel fatto strano. Per un minuto provò rabbia nei confronti di Beppe. Quei poveracci erano stati ammazzati, erano stati cavati loro gli occhi, cazzo! E quel vecchio frignone si preoccupava della sua attività. Egoista di merda che non lo pagava abbastanza per il suo lavoro e che dopo cinque anni ancora gli faceva i contratti a tempo determinato. Ma poi a Paolo venne in mente che almeno lo pagava, e ad altri suoi amici ultratrentenni non era andata così bene. L’impercettibile sorriso divertito sulle sue labbra si spense. C’era dentro fino al collo anche lui. Merda.
Come Beppe aveva previsto, ci volle un’eternità a pulire tutto. Lui e Paolo chiamarono Claudia, (assunta con lavoro part-time, ma obbligata di fatto a correre ogni volta che Beppe la chiamava) a gestire il negozio, mentre loro non trafficavano nel retrobottega. A Beppe non interessava quali malcapitati avessero perso gli occhi, e nemmeno quale fosse lo stronzo che aveva scelto proprio il suo negozio per cuocere quello schifo: queste erano domande da Paolo. L’unica cosa veramente importante per Beppe era non farsi scoprire e mantenere il suo esercizio commerciale. Il commissario Ciacone gli piombò in negozio comunque un paio di giorni più tardi. “Ho un caso raccapricciante tra le mani. Cinque morti senza occhi. Pare che l’assassino segua uno schema preciso. Crediamo di avere a che fare con un serial killer, i criminologi di Narni ci stanno dando una mano.”
“Un serial killer!? A Derni!? Ma daje ‘m po’!” esclamò Beppe con la tipica pronuncia locale. Il commissario lo ignorò: “Tutto fa pensare che prima o poi l’assassino verrà qui, dato che questa pasticceria è al centro dello schema degli omicidi. Se le viene in mente qualcosa, se vede qualcosa di strano o sospetto, ci chiami immediatamente.” Beppe deglutì a fatica quando questi chiuse la porta alle sue spalle.
Paolo iniziò a sudare freddo quando Beppe gli spiegò la situazione. Era più informato del suo capo. Sapeva degli omicidi delle ultime settimane, al contrario del suo datore di lavoro. Le reti locali avevano ipotizzato addirittura una setta satanica. Ma quelli pure devono campare, che ne sai quante stronzate sparano per fare audience?, aveva pensato Paolo cambiando distrattamente canale. Terni era un posto troppo tranquillo, un grande paese travestito da città. Nessuno avrebbe mai sospettato nulla del genere; ma se fosse stato vero? Per sicurezza, Paolo se ne tirò fuori il prima possibile. Si prese dei giorni di malattia e alle proteste del capo rispose che se non l’avesse pagato in quei giorni sarebbe andato a denunciarlo, e a quel punto Beppe aveva desistito: non poteva più licenziarlo; Paolo aveva vinto il contratto a tempo indeterminato. Mentre sprofondava nella poltrona di casa sua si disse che forse il Diavolo lo aveva aiutato più di quanto non avesse fatto Dio in tutta la sua vita.
Beppe era sprofondato nella disperazione quando Paolo se n’era andato. Si maledisse per aver scelto proprio quel locale per la sua pasticceria, ma era all’incrocio tra la scuola, il campo sportivo e il parco cittadino. La sua clientela era formata perlopiù da ragazzi, ed erano i clienti migliori. Sempre affamati, i giovani, che si trattasse di cibo, sesso, gloria o chissà che altro non aveva importanza. L’importante era che mangiassero. I ragazzi non smettevano di mangiare nemmeno con la crisi. E ora, tutto questo gli si ritorceva contro! Un cigolio sinistro provenne dal negozio. Ormai era notte fonda, una di quelle senza luna. Beppe scattò in piedi al suono della serranda forzata. Si nascose nel mobile sotto al lavello, maledicendo la sua pancia ingombrante che non gli permise di chiudere del tutto lo sportello. Vide dei ragazzi entrare nel retrobottega. Tra loro c’era Claudia. Beppe la vide impugnare un coltello affilato, e gli uscì un singulto di troppo mentre nascondeva il viso tra le braccia: un occhio esaltato spuntò dalla sottile fessura dello sportello. Il “bu!” divertito e sadico di una giovane donna fu seguito dai possenti strattoni di un ragazzone che trascinarono Beppe fuori dal suo nascondiglio. Il pasticcere si lasciò andare ad un pianto disperato. “Perché fate questo!? Claudia, chi sono!?”
Claudia lo guardò con aria di sufficienza, poi si rivolse agli altri, ricevendo cenni di assenso. Mentre quello grosso teneva Beppe fermo, gli altri iniziarono a fare un disegno col gesso a terra.
“Sono quelli che sfruttate tu e i tuoi compari. Quelli a cui date solo merdosi contratti part-time, che sgobbano per rendervi la vita più facile, quelli a cui avete lasciato solo un mondo senza possibilità. E dato che le vostre chiese e i vostri santi del cazzo non ci aiutano, abbiamo deciso di rivolgerci a un escluso come noi: Satana. Vedi Beppe, il tuo negozio si trova proprio al centro di una stella a cinque punte fatta da linee convergenti di energia. Cinque sacrifici per ogni punta. Abbiamo dovuto cavare gli occhi alle vittime perché è a quelli che si lega l’anima. Li abbiamo dovuti cuocere per farla staccare da lì e spedirla dritta nelle fauci di Lucifero, e quale posto migliore di questo? Non te ne sei nemmeno accorto, all’inizio, pensando che fossero i tuoi dolcetti del cazzo. Con l’ultimo sacrificio, il tuo, Terni sprofonderà nell’Inferno, e verrà sacrificata al Demonio, che sarà generoso: potremo chiedergli ciò che vogliamo.”
“Non serve! Vi assumerò tutti! Vi lascio il negozio!” piagnucolò il pasticcere mentre veniva trascinato al centro del disegno satanico in terra.
“Mi dispiace, Beppe …”, la frase fu interrotta dalla prima coltellata. Una voragine iniziò ad aprirsi sotto le ginocchia di Beppe e Terni iniziò a sprofondare nell’abisso accompagnata dall’eco della disperazione: “Il Diavolo paga più di te.”
Beppe guardava inorridito quelli che avrebbero dovuto essere i suoi dolcetti nel forno. Cazzo, ci vorrà un’eternità a pulire tutto ‘sto casino, pensò guardando la viscosa poltiglia liquefarsi e insozzare il pianale. Nell’attimo che seguì si rese conto che avrebbe dovuto avere ben altra reazione scoprendo veri bulbi oculari al posto dei suoi famosi “che te ciechi” (per non discostarsi dalla tradizione ternana), pasticcini a forma di occhi, disgustosi a vedersi, deliziosi a mangiarsi. Quelli che cuocevano ad alta temperatura erano occhi veri. Ed erano nel suo forno. Non aveva idea di chi fosse stato, né di come avevano fatto ad entrare, ma non importava. Avrebbero dato la colpa a lui. Sarebbe andato fallito. E questo fu l’unico pensiero che riuscì finalmente a causargli i conati di vomito.
Paolo non sapeva cosa pensare. Cinque paia di occhi, disposti in maniera precisa, circolare, lo fissavano ormai secchi. Ebbe l’irresistibile impulso di scoppiare in fragorose risate pensando a tutte le volte che aveva maledetto qualcuno con l’espressione “Pozzi ciecatte!”, e nonostante Beppe, il suo capo, stesse singhiozzando talmente tanto che la sua richiesta d’aiuto si capiva a stento, a Paolo veniva solo tanto da ridere. C’era una sottile ironia in quel fatto strano. Per un minuto provò rabbia nei confronti di Beppe. Quei poveracci erano stati ammazzati, erano stati cavati loro gli occhi, cazzo! E quel vecchio frignone si preoccupava della sua attività. Egoista di merda che non lo pagava abbastanza per il suo lavoro e che dopo cinque anni ancora gli faceva i contratti a tempo determinato. Ma poi a Paolo venne in mente che almeno lo pagava, e ad altri suoi amici ultratrentenni non era andata così bene. L’impercettibile sorriso divertito sulle sue labbra si spense. C’era dentro fino al collo anche lui. Merda.
Come Beppe aveva previsto, ci volle un’eternità a pulire tutto. Lui e Paolo chiamarono Claudia, (assunta con lavoro part-time, ma obbligata di fatto a correre ogni volta che Beppe la chiamava) a gestire il negozio, mentre loro non trafficavano nel retrobottega. A Beppe non interessava quali malcapitati avessero perso gli occhi, e nemmeno quale fosse lo stronzo che aveva scelto proprio il suo negozio per cuocere quello schifo: queste erano domande da Paolo. L’unica cosa veramente importante per Beppe era non farsi scoprire e mantenere il suo esercizio commerciale. Il commissario Ciacone gli piombò in negozio comunque un paio di giorni più tardi. “Ho un caso raccapricciante tra le mani. Cinque morti senza occhi. Pare che l’assassino segua uno schema preciso. Crediamo di avere a che fare con un serial killer, i criminologi di Narni ci stanno dando una mano.”
“Un serial killer!? A Derni!? Ma daje ‘m po’!” esclamò Beppe con la tipica pronuncia locale. Il commissario lo ignorò: “Tutto fa pensare che prima o poi l’assassino verrà qui, dato che questa pasticceria è al centro dello schema degli omicidi. Se le viene in mente qualcosa, se vede qualcosa di strano o sospetto, ci chiami immediatamente.” Beppe deglutì a fatica quando questi chiuse la porta alle sue spalle.
Paolo iniziò a sudare freddo quando Beppe gli spiegò la situazione. Era più informato del suo capo. Sapeva degli omicidi delle ultime settimane, al contrario del suo datore di lavoro. Le reti locali avevano ipotizzato addirittura una setta satanica. Ma quelli pure devono campare, che ne sai quante stronzate sparano per fare audience?, aveva pensato Paolo cambiando distrattamente canale. Terni era un posto troppo tranquillo, un grande paese travestito da città. Nessuno avrebbe mai sospettato nulla del genere; ma se fosse stato vero? Per sicurezza, Paolo se ne tirò fuori il prima possibile. Si prese dei giorni di malattia e alle proteste del capo rispose che se non l’avesse pagato in quei giorni sarebbe andato a denunciarlo, e a quel punto Beppe aveva desistito: non poteva più licenziarlo; Paolo aveva vinto il contratto a tempo indeterminato. Mentre sprofondava nella poltrona di casa sua si disse che forse il Diavolo lo aveva aiutato più di quanto non avesse fatto Dio in tutta la sua vita.
Beppe era sprofondato nella disperazione quando Paolo se n’era andato. Si maledisse per aver scelto proprio quel locale per la sua pasticceria, ma era all’incrocio tra la scuola, il campo sportivo e il parco cittadino. La sua clientela era formata perlopiù da ragazzi, ed erano i clienti migliori. Sempre affamati, i giovani, che si trattasse di cibo, sesso, gloria o chissà che altro non aveva importanza. L’importante era che mangiassero. I ragazzi non smettevano di mangiare nemmeno con la crisi. E ora, tutto questo gli si ritorceva contro! Un cigolio sinistro provenne dal negozio. Ormai era notte fonda, una di quelle senza luna. Beppe scattò in piedi al suono della serranda forzata. Si nascose nel mobile sotto al lavello, maledicendo la sua pancia ingombrante che non gli permise di chiudere del tutto lo sportello. Vide dei ragazzi entrare nel retrobottega. Tra loro c’era Claudia. Beppe la vide impugnare un coltello affilato, e gli uscì un singulto di troppo mentre nascondeva il viso tra le braccia: un occhio esaltato spuntò dalla sottile fessura dello sportello. Il “bu!” divertito e sadico di una giovane donna fu seguito dai possenti strattoni di un ragazzone che trascinarono Beppe fuori dal suo nascondiglio. Il pasticcere si lasciò andare ad un pianto disperato. “Perché fate questo!? Claudia, chi sono!?”
Claudia lo guardò con aria di sufficienza, poi si rivolse agli altri, ricevendo cenni di assenso. Mentre quello grosso teneva Beppe fermo, gli altri iniziarono a fare un disegno col gesso a terra.
“Sono quelli che sfruttate tu e i tuoi compari. Quelli a cui date solo merdosi contratti part-time, che sgobbano per rendervi la vita più facile, quelli a cui avete lasciato solo un mondo senza possibilità. E dato che le vostre chiese e i vostri santi del cazzo non ci aiutano, abbiamo deciso di rivolgerci a un escluso come noi: Satana. Vedi Beppe, il tuo negozio si trova proprio al centro di una stella a cinque punte fatta da linee convergenti di energia. Cinque sacrifici per ogni punta. Abbiamo dovuto cavare gli occhi alle vittime perché è a quelli che si lega l’anima. Li abbiamo dovuti cuocere per farla staccare da lì e spedirla dritta nelle fauci di Lucifero, e quale posto migliore di questo? Non te ne sei nemmeno accorto, all’inizio, pensando che fossero i tuoi dolcetti del cazzo. Con l’ultimo sacrificio, il tuo, Terni sprofonderà nell’Inferno, e verrà sacrificata al Demonio, che sarà generoso: potremo chiedergli ciò che vogliamo.”
“Non serve! Vi assumerò tutti! Vi lascio il negozio!” piagnucolò il pasticcere mentre veniva trascinato al centro del disegno satanico in terra.
“Mi dispiace, Beppe …”, la frase fu interrotta dalla prima coltellata. Una voragine iniziò ad aprirsi sotto le ginocchia di Beppe e Terni iniziò a sprofondare nell’abisso accompagnata dall’eco della disperazione: “Il Diavolo paga più di te.”