Il pianto nell'orto

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo novembre sveleremo il tema deciso da Franco Forte. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Franco Forte assegnerà la vittoria.
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roberto.masini
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Il pianto nell'orto

Messaggio#1 » sabato 11 novembre 2017, 11:16

Fausto Ballinari si era perso; non aveva voluto ascoltare il suo socio che gli aveva detto di usare il navigatore. Lui non era piemontese; non conosceva il Monferrato; era di Luino lui e, da Alessandria, doveva arrivare a Montaldo Bormida. Diluviava a tal punto che gli sembrava di guidare nella nebbia. Giunse in prossimità di un cimitero, dove vide l’indicazione del paese che avrebbe dovuto raggiungere. Svoltò a sinistra, costeggiando l’alto muro del camposanto e si trovò davanti a una strada stretta con una fortissima pendenza. Aveva appena cominciato a salire, quando lo scoppio della gomma posteriore sinistra lo bloccò. Riuscì a stento a fermarsi sul limitare di un sentiero. Sotto la pioggia battente scese per controllare il danno. Il gesto gli salvò la vita: un pesco selvatico colpito dal fulmine si abbatté sull’auto. Un ramo lo ferì al volto. Bestemmiando, si guardò intorno per cercare un rifugio e riordinare le idee. Proprio di fronte a lui un casolare abbandonato. Vi si precipitò.
Al riparo, sotto il rumore assordante dei tuoni, infilò la mano nella tasca zuppa della giacca; il cellulare non si era rovinato. Decise di chiamare il suo socio che l’avrebbe preso in giro per un anno intero e che d'altronde da tempo andava dicendo che lui era sfigato, anzi che la sfiga era la sua unica fidanzata: tutti sapevano che lui era single. Il fatto che si chiamasse anche Fausto era un’aggravante. Compose il numero, pensando alla sua sfortuna; naturalmente non c’era campo.
Mentre pensava al da farsi, sperando che almeno finisse di piovere, gli parve di sentire rumori provenire dalla parte opposta rispetto alla strada. Si affacciò a una finestra priva d’imposte.
Sotto di lui vide un orto e due persone che parlottavano; non riusciva, però, a distinguerle bene sotto la pioggia. Poi un lampo illuminò la scena.
Un uomo corpulento che indossava una cerata nera, armato di una spada di ferro, stava disegnando un cerchio in terra intorno a qualcosa. Accanto a lui una ragazza dai lunghi capelli rossi, nuda e infreddolita. I bagliori si susseguivano e la scena cambiava; l’uomo aveva disegnato per terra tre cerchi; poi aveva smosso la terra all’interno dei cerchi, versandovi il contenuto di una fialetta.
L’ennesimo lampo gli consentì di vedere la donna che si chinava, smuovendo la terra come se dovesse estrarre qualcosa; lei alzò lo sguardo e per un istante Ballinari credette di essere stato scoperto.
A quel punto, tra il fragore dei tuoni, si udì un lamento lontano, come quello di un neonato che piange.
La ragazza si portò le mani alle orecchie e poi crollò a terra. L’uomo scagliò la spada lontano e si chinò su di lei che si alzò e incominciò a correre verso la strada. L’uomo non la rincorse, estrasse una pistola; i boati dei tuoni coprirono i colpi e le grida.
La pioggia non smetteva e Ballinari non sapeva che fare. Vide che lo spadaccino si caricava la ragazza sulle spalle e si allontanava nel buio. Dove la terra era stata smossa, intravide una piantina piena di bacche rosse.
Ritentò di usare il cellulare per chiamare la polizia; continuava a non esserci campo.
Sbirciò di nuovo dalla finestra e lo squarcio di luce illuminò l’orto; l’uomo corpulento era tornato e non era solo: al guinzaglio tratteneva un grosso cane nero uggiolante. S’infilò qualcosa nelle orecchie, si fece tre segni della croce sulla pianta, scavò di nuovo attorno, versando il contenuto di un’ampolla. Poi dalla tasca estrasse una corda che infilò da una parte intorno alla pianta e dall'altra annodò al collo del cane. Aveva in mano anche una ciotola con del cibo. L’appoggiò per terra, poi si allontanò, fischiando. Il cane volse lo sguardo verso il padrone che si allontanava e si avventò sulla ciotola. La corda si tese e qualcosa fu strappato. Un grido lancinante e non umano si levò dall'orto, mentre il cane, intento a mangiare, crollava come se gli avessero sparato.
Gli sembrava d’impazzire, mentre vedeva il proprietario del cane armeggiare in prossimità della pianta. Si sporse dalla finestra e un lampo squarciò la notte: l’uomo e il suo cane erano spariti.
Esausto,inciampò nel buio, andando a sbattere contro la parete; svenne. Si svegliò di soprassalto: una lama di luce lo aveva colpito all'occhio destro. Supino sul pavimento intravide una porzione di cielo sereno e i raggi del sole.Toccandosi il bozzo sulla fronte, si alzò e si affacciò alla finestra che dava sulla strada. Sotto di lui un’autogru dell’ACI stava sollevando la sua auto, mentre il suo socio, che stava parlando con un poliziotto che tratteneva a stento un cane lupo, aveva alzato gli occhi verso di lui. Anche il poliziotto l’aveva scorto e aveva liberato il cane che in un baleno era nella stanza.
Scese sorretto dal suo socio che lo fissava divertito; uscendo dal casolare fatiscente, chiese di poter fumare una sigaretta, prima che fosse verbalizzata la sua disavventura. Si diresse con noncuranza verso l’orto maledetto: non vide nulla se non della terra smossa in prossimità di una strana pianta.
Non raccontò mai a nessuno quello che era successo quella notte.

Erano passati circa sei mesi da quell’orribile notte. Gianni Scapini, il suo socio, lo convocò, cercando di trattenere le risate: doveva recarsi di nuovo nei luoghi del suo incubo per un nuovo contratto da stipularsi sempre a Montaldo Bormida. Gli consegnò il solito incartamento e gli fece le solite raccomandazioni:
«Non ti perdere; usa la testa e il tom-tom e… guarda, ho giusto qui per te questa zampa di coniglio che ti posso prestare; mi raccomando, non la perdere e, soprattutto, tienila sempre in tasca e toccala, ogni tanto!»
Mentre gli stringeva la mano, la loro segretaria si precipitava fuori dalla stanza in preda a risate parossistiche.
La sera, terminata la cena, si mise a guardare la televisione: Mentre stava zeppando alla disperata ricerca di qualcosa d’interessante, si bloccò su un canale che non conosceva: stavano trasmettendo un documentario di botanica. La pianta in primo piano con quelle bacche rosse era proprio simile a quella del suo incubo nell'orto. Apprese che si trattava della mandragora. Il commentatore mostrava le sue radici, caratterizzate da una peculiare biforcazione che ricordava la figura umana, aggiungendo che, insieme alle sue proprietà anestetiche, questo fatto aveva contribuito a far attribuire alla mandragora poteri sovrannaturali in molte leggende.
Imparò che la mandragora era stata uno degli ingredienti principali per la maggior parte delle pozioni mitologiche. Il nome le era stato dato da Ippocrate che le attribuiva virtù afrodisiache. Nel Medioevo si riteneva avesse qualità magiche. Ne vide la raffigurazione in alcuni testi di alchimia con le sembianze di un uomo o un bambino della sua radice. Da ciò è derivata la leggenda del pianto della mandragora, ritenuto in grado di uccidere un uomo. Nel 1615, in alcuni trattati sulla licantropia, tra i quali quello di Njanaud, appariva l'informazione dell'uso di un magico unguento a base di mandragora che permetteva la trasformazione in animali. Si sentì invece gelare le vene, quando ascoltò la descrizione del modo di estirpare le radici della pianta fatto da Plinio il Vecchio. Era proprio quello che lui aveva visto quella notte: l’uso di una vergine o di un cane.
Il giorno dopo partì di buonora e raggiunse senza intoppi il paese di Montaldo; trovò però una sorpresa: il suo potenziale acquirente aveva avuto un impegno improvviso e sarebbe ritornato solo dopo due giorni. Decise di comunicare la faccenda a Scapini e concordò che si sarebbe fermato lì in attesa. Il suo socio gli indicò la vicina città di Acqui Terme, dove avrebbe potuto trovare un albergo decente.
La mattina seguente, su suggerimento del portiere, decise di fare un giretto per gustare il panorama del Monferrato.
Vagò senza meta tra paesi e castelli dai nomi sconosciuti come Trisobbio, Orsara; raggiunse Strevi e poi si diresse verso Rivalta Bormida in direzione di Cassine. Giunto in prossimità del cimitero, lo riconobbe e decise di seguire quella terribile strada. Girò a destra e incominciò a salire; individuò il luogo dell’incidente e il casolare abbandonato; continuando ancora, individuò l’orto nascosto da una siepe che fiancheggiava la strada. All'apice della collina fu raggiunto da un puzzo insopportabile; proprio sulla cima, davanti a lui, ci doveva essere una porcilaia.
Nonostante l’olezzo, decise di fermare l’auto; scese e vide che dalla cima della collina si poteva vedere sia il casolare dei suoi terrori che l’orto orrendo.
Voleva allontanare da sé il ricordo di quella notte ma nello stesso tempo era spinto dalla curiosità di sapere.
Si avvicinò al grande cancello di ferro battuto e suonò il campanello; nell’attesa levò gli occhi in alto e lesse l’insegna che, forse per tutto quello che era successo, lo fece rabbrividire; c’era scritto: Azienda Suina La Mandragora.
Gli venne ad aprire un omaccione dalla faccia rubizza e dalle mani enormi.
«Mi dica: ha bisogno?»
«Beh, mi scusi per l’intrusione ma... avrei bisogno di un’informazione. Io non sono di queste parti…»
«L’avevo capito!» grugnì il cerbero.
«Sì, ecco, volevo dire... circa sei mesi fa, su questa salita, proprio là in fondo» disse indicando il casolare abbandonato, «mi si è scoppiata una gomma, proprio sotto un diluvio universale; un albero si è abbattuto sull’auto ed io mi sono salvato per un pelo, rifugiandomi in quella cascina. Per farla breve, mi è sembrato di aver urtato un cane del quale però non ho trovato tracce il mattino dopo. Sa per caso se è stato trovato un cane ferito da queste parti?»
«No, guardi; tra l’altro su questa collina ci abitano poche persone ma ci conosciamo tutti e qui non succede mai niente: quindi anche se fosse stato un cane randagio, l’avremmo visto. Ho capito qual è stata la notte della pioggia torrenziale; me lo ricordo perché non ho potuto chiudere occhio. Comunque il cane deve proprio esserselo sognato!»
«Grazie di avermi tranquillizzato: amo molto gli animali e se avessi investito un cane, non me lo sarei perdonato.»
Pronunciò quella risposta tutta d’un fiato, portandosi un fazzoletto al naso.
«La puzza è terribile» rise divertito il custode, «ma se ama gli animali, per lei questa è una ghiotta occasione di vedere delle bellissime scrofe. Venga. Entri.»
Cercò di schermirsi, adducendo scuse d’impegni inderogabili ma alla fine si arrese alle insistenze del gigante che gli fece posteggiare l’auto all’interno e poi lo portò vicino a un abbeveratoio, dove si accalcavano decine di maiali dal colore scuro.
«Ma non sono rosa i maiali?»
«Si vede proprio che non se ne intende, dottore; questa razza è chiamata appunto Nero di Calabria! Lei la conosce la soppressata?»
«Sì, vagamente ma non l’ho mai mangiata.»
«Ma allora la deve assaggiare! Allora, la soppressata è un insaccato che si ottiene appunto con carne di maiale tagliata a pezzettini con l’aggiunta di pepe nero, finocchio, sale e peperoncino. Si prepara prendendo le parti migliori della coscia del maiale, tritate e prive di nervi e insaccandole in budello naturale, in particolare quello proveniente dall'intestino crasso, ben lavato con acqua e limone e messo a mollo. Una volta riempito il budello…»
«Basta, Salvatore; va be’ che sei calabrese ma non puoi annoiare i nostri ospiti con l’unica ricetta che conosci!»
Era comparsa dal nulla una bionda con due bellissime trecce dall’aspetto avvenente, dal fisico longilineo e dalla voce dolce e suadente che gli si avvicinò con la mano tesa.
«Mi chiamo Maria Circe Izzo e sono la proprietaria di questo magnifico allevamento: un lascito di mio padre, che Dio lo abbia in gloria! Sa, mio padre era originario di Torre Paola, vicino al monte Circeo e perciò io, di secondo nome faccio Circe»
«Piacere, Fausto Ballinari, assicuratore.»
Di solito si vantava di essere un eccellente conversatore ma quei profondi occhi grigi gli avevano tolto la favella. Per fortuna la donna aveva voglia di parlare e lo condusse a visitare altre zone dell’allevamento. Vide capannine adibite al parto e all’allattamento che ospitavano una singola scrofa; altri ricoveri per l’ingrasso erano pieni di lattonzoli e scrofette.
La signora Circe lo prese per mano e lo condusse in un ambiente protetto da filo spinato elettrificato. Al centro del recinto un grosso verro stava montando una scrofa. La donna le indicò sorridendo il pene a cavatappi che all’uomo ricordava proprio la coda del maiale.
Alla fine della visita lo invitò a rimanere a cena e l’uomo accettò, pensando che non avrebbe potuto rispondere in un altro modo a quegli occhi ammaliatori.
Sotto un portico, mentre il sole stava tramontando e il puzzo circostante era stranamente sparito, fu imbandita una cena che la sua ospite commentò come tipica del Monferrato.
Comincio ad apprezzare gli antipasti a base di filetto baciato, peperoni gratinati con capperi e acciughe al parmigiano; assaggiò come primi dei ravioli di fonduta e delle tagliatelle al tartufo con robiola di Roccaverano; poi si buttò sui secondi: un coniglio alle erbe e uno stoccafisso all’acquese; il tutto innaffiato da un dolcetto d’Acqui dell’anno precedente.
Satollo, non oppose alcuna resistenza all’invito della padrona di casa a passare lì la notte. Lo accompagnò in una sontuosa camera al centro della quale troneggiava un letto rotondo, girevole, laccato nero con le lenzuola di seta grigia. Gli stampò un bacio sulla bocca e se ne andò. Ballinari si guardò intorno; sul letto un’elegante completa vestaglia e pigiama di velluto alcantara blu; scostò la vestaglia, s’infilò il pigiama, si buttò sul letto e spense la luce. Stava per addormentarsi, quando udì un leggero ronzio e il letto cominciò a ruotare. Aprì gli occhi; nel vano della porta aperta il profilo nudo della Izzo con un telecomando in mano. Dopo un secondo la donna era sotto le coperte del letto che continuava a girare. Si amarono tutta la notte; l’uomo scoprì posizioni e tecniche che non avrebbe mai pensato fossero umanamente possibili. Era lusingato che una femmina così bella potesse essere attratta da lui; però, però c’era qualcosa di strano, di stonato. Lo percepì quando, inframmezzate da sospiri, ascoltò le domande sulla sua avventura avvenuta là sotto alcuni mesi prima. Mentre si strofinava su di lui, provocandone un’eccitazione parossistica, si stupì nel momento in cui le raccontò senza remore quello che aveva visto quella notte sotto l’uragano in quell’orto.
Si risvegliò in piena notte; era solo nel letto; il letto non girava più: girava solo la sua testa. Si alzò tutto sudato e andò al bagno; si lavò la faccia e ritornò sui suoi passi. Un flebile lamento che sembrava provenire dalle profondità della terra colpì il suo orecchio non ancora ricettivo. Uscì dalla camera e percorse alcuni corridoi illuminati da torce. Cominciò a strisciare rasente il muro per paura di essere scoperto. Il lamento continuava e lo portò a scendere sempre di più fino a raggiungere le cantine. Ora, da una porta socchiusa udì che il lamento era in realtà un grido soffocato. Si avvicinò per sbirciare. Gli sembrò di intravedere corpi torturati, fu raggiunto da un orrendo olezzo misto di sangue, vomito, piscio ed escrementi; poi un colpo alla testa e il buio.
Quando si risvegliò, aveva le manette intorno ai polsi ed era circondato da persone con un cappuccio nero calato sul volto. Uno invece aveva il cappuccio rosso e sembrava il capo. Quando cominciò a parlare, capì che si trattava di Maria Circe Izzo.
«Mi dispiace che tu sia un ficcanaso; questo fatto ti porterà grossi guai!»
Fu sollevato in piedi da due energumeni che lo spinsero a seguire la rossa incappucciata che cominciò a descrivere tutto quello che c’era in quell’enorme sala sotterranea.
Gli mostrò l’argano della strega; una ragazza bellissima e completamente nuda era stesa a terra e poi veniva sollevata da un argano; giunta a circa venti metri d’altezza un incappucciato lasciava la corda e la ragazza cadeva giù.
Urlante e sospesa a un treppiede dalla punta acuminata stava un’altra ragazza; un altro incappucciato, attraverso un sistema di corde, muoveva la giovane in modo che prima o poi la punta sarebbe penetrata nell’ano: era la culla di Giuda.
Riconobbe una vergine di Norimberga ma si stupì vedendo per la prima volta quello che la sua ospite chiamò il toro di Falaride; era un toro di metallo nel quale vide rinchiudere un uomo di circa trent’anni, dopodiché accesero un falò sotto il toro fino a farlo diventare incandescente. Trascorsi poche decine di minuti incominciarono a sentirsi, provenienti dall’interno, suoni simili a quelli emessi da un toro infuriato. Ma doveva trattarsi delle grida del torturato. La donna gli raccontava la storia dell’ateniese Perilio che inventò lo strumento di tortura e lo propose a Falaride, tiranno di Agrigento, come un nuovo sistema per giustiziare i criminali.
Ma Fausto Ballinari non l’ascoltava più, inorridito dallo spettacolo.
I due energumeni lo spinsero fuori dalla camera delle torture e lo portarono all’esterno vicino a un recinto illuminato da molte fiaccole. Pensò che gli avrebbero sparato seduta stante, risparmiandogli tutte le torture che aveva visto laggiù. Invece non accadde nulla di tutto questo, anche se poi avrebbe preferito morire. Infatti i suoi occhi furono costretti a vedere un gruppo di maiali che stava terminando un pranzo cannibalesco; della povera vittima non erano rimaste che poche ossa.
Dopo il macabro pasto suino fu condotto nello studio della padrona che accomiatò i suoi gorilla.
«Accomodati!» lo invitò indicandogli una poltroncina. «Ora saprai tutto quello che c’è da sapere. Purtroppo tu hai scoperto il mio segreto; sai che io mi procuro la mandragora per preparare i miei intrugli per i quali mi necessita anche molto sangue umano. Ma ho deciso di lasciarti andare, se non rivelerai a nessuno il mio segreto!»
Si avvicinò a un mobiletto e ne trasse un’ampolla che conteneva del vino; ne versò il contenuto in due calici finemente cesellati, Gliene porse uno e poi alzò il suo per fare un brindisi.
L’uomo capì che quella donna completamente pazza non l’avrebbe mai lasciato andare ma che l’avevano lasciata sola e che lui avrebbe potuto sopraffarla con facilità. Bevve d’un fiato e poi si precipitò su di lei, colpendola col calice vuoto. Svenne.
Uscì correndo dallo studio e si ritrovò in cortile. Un’auto era appena uscita e il cancello era aperto; non era vero che era sfigato, anzi era un uomo fortunato. Individuò la sua auto, si mise una mano in tasca e strinse le chiavi. Cominciò a correre ma si fermò quasi subito: dall’interno della casa voci concitate invocavano Circe, il nome della signora Izzo. Riprese a correre ma si fermò di nuovo per un dolore lancinante alle orecchie: le toccò; si stavano appuntendo. Un'altra fitta lo colpì alla schiena così forte che fu costretto a cadere a quattro zampe. Non si rialzò più, mentre i pantaloni si bucavano per la presenza di un ricciolo di coda e alla fine tutti i suoi vestiti venivano strappati per lasciare il posto alla forma di un grosso maiale nero.
Era un maiale nel fisico ma non nella mente: poteva capire tutto quello che la Izzo con la testa fasciata gli urlava:
«Io, sono la maga Circe e tu grufolerai tutta la vita ma non vivrai di sole ghiande!»
Alla sua mente suina sovvenne che in quella trasmissione televisiva che parlava della mandragora, avevano fatto un breve cenno all'Odissea e al vino che la maga Circe aveva dato ai compagni di Ulisse per trasformarli in maiali.

Sono passati alcuni mesi e i suoi tentativi di suicidio contro le reti elettrificate non sono mai andati a buon fine: la sua famigerata sfiga.
Quello che gli è successo non è credibile ma è successo proprio a lui. Pensa che nella vita non ci possa essere nulla di peggio di quello che gli è capitato.
E’ sera, sta annusando l’aria; Circe si sta avvicinando. Butta al di là della palizzata un tizio imbavagliato e ammanettato. Lui, insieme agli altri suoi compagni di sventura, si avventa sull’uomo per sbranarlo. Cade il bavaglio; è Gianni Scapini, il suo socio.
E’ arrivato il peggio: incontrare qualcuno che disprezzavate molto ma non al punto di averlo a cena.
Ultima modifica di roberto.masini il sabato 18 novembre 2017, 17:24, modificato 1 volta in totale.



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SalvatoreStefanelli
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#2 » lunedì 13 novembre 2017, 16:45

Ciao. Trovo l'idea di base interessante, ma ci sono davvero troppe spiegazioni. Spieghi nei dettagli ogni minima cosa e così la storia che narri assomiglia più a una trasmissione tipo Geo o Ulisse che a un racconto. Questa è la mia opinione, ovvio, ma questo racconto non mi ha appassionato proprio per quanto sopra ti ho detto. Peccato, perché aveva delle buone potenzialità.

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roberto.masini
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Il pianto nell'orto

Messaggio#3 » lunedì 13 novembre 2017, 18:00

Non sempre chi legge storie dell'orrore conosce la mitologia e quindi una spiegazione ci vuole; quella ad esempio del greco Teofrasto (Storia delle piante) sulla raccolta della mandragola.Comunque tutte le critiche sono accettabili perché muovono dalla diversa sensibilità di ognuno di noi. Grazie per aver non solo letto ma anche analizzato e criticato il racconto!

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Wladimiro Borchi
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#4 » martedì 14 novembre 2017, 10:26

Racconto assolutamente gradevole, anche se con Circe, proprietaria del porcile e il bonus di Ulisse, dove si andrà a parare è un po' telefonato. Ma teoricamente il lettore non conosce il bonus.
Magari potresti dare il nome alla donna anagrammando "Circe", tipo "Ceric", e renderla straniera.
Vi ho trovato cose poco verosimili, come l'assicuratore che si addormenta in un momento di massima tensione emotiva. Capisco che serva per il flash-forward che ci porta al mattino seguente. Meglio se gli fai battere la testa da qualche parte e lo fai svenire, a quel punto.
Lo stile è gradevole e, a differenza del tuo primo interlocutore, non mi dispiace la spiegazione tecnica, fa tanto Lovecraft. Autore che adoro, ma che, è del secolo scorso e non brilla per leggibilità e fluidità.
Per ovviare alla cosa ed eliminare l'effetto Geo, di cui parla Salvatore, potresti snellire del 10-20% il racconto, eliminando descrizioni inutili alla trama, come l'elenco dei paesielli visitati o quello delle pietanze gustate sotto il portico.
Peraltro, come fanno a mangiare prelibatezze all'aperto in quel tanfo che hai descritto prima? Magari spiegaci perché in quel punto non arriva il puzzo di porco.
A circa metà racconto c'è un refuso. Una parola ripetuta due volte. Non mi ricordo qual'è e non la ritrovo. Controlla anche quello.
IMBUTO!!!

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roberto.masini
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#5 » martedì 14 novembre 2017, 19:44

Wladimiro Borchi ha scritto:Racconto assolutamente gradevole, anche se con Circe, proprietaria del porcile e il bonus di Ulisse, dove si andrà a parare è un po' telefonato. Ma teoricamente il lettore non conosce il bonus.
Magari potresti dare il nome alla donna anagrammando "Circe", tipo "Ceric", e renderla straniera.
Vi ho trovato cose poco verosimili, come l'assicuratore che si addormenta in un momento di massima tensione emotiva. Capisco che serva per il flash-forward che ci porta al mattino seguente. Meglio se gli fai battere la testa da qualche parte e lo fai svenire, a quel punto.
Lo stile è gradevole e, a differenza del tuo primo interlocutore, non mi dispiace la spiegazione tecnica, fa tanto Lovecraft. Autore che adoro, ma che, è del secolo scorso e non brilla per leggibilità e fluidità.
Per ovviare alla cosa ed eliminare l'effetto Geo, di cui parla Salvatore, potresti snellire del 10-20% il racconto, eliminando descrizioni inutili alla trama, come l'elenco dei paesielli visitati o quello delle pietanze gustate sotto il portico.
Peraltro, come fanno a mangiare prelibatezze all'aperto in quel tanfo che hai descritto prima? Magari spiegaci perché in quel punto non arriva il puzzo di porco.
A circa metà racconto c'è un refuso. Una parola ripetuta due volte. Non mi ricordo qual'è e non la ritrovo. Controlla anche quello.

Grazie per i suggerimenti sia dello svenimento che della location della cena all'aperto che non deve essere disturbata dall'olezzo dei maiali. Ho trovato anche il refuso. Per quanto riguarda il nome preferisco utilizzare Circe che crea ( o dovrebbe creare) nel lettore la domanda:"Verrà trasformato il protagonista o no?"

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roberto.masini
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Il pianto nell'orto

Messaggio#6 » martedì 14 novembre 2017, 20:11

A Wladimiro.
Il tuo riferimento a Lovecraft mi riempie di orgoglio e m'imbarazza contemporaneamente!.

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Sonia Lippi
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#7 » mercoledì 22 novembre 2017, 12:28

Ciao Roberto, L'idea mi piace, ma è veramente troppo pesante la struttura del racconto!
Sinceramente ci sono troppe spiegazioni, troppe descrizioni minuziose e pochi dialoghi!
a me non importa ciò che hanno mangiato a pranzo ma ciò che si sono detti!
non mi importa di che colore sono le lenzuola, ma la tecnica seduttrice di Circe! farsi trovare nuda davanti alla porta è abbastanza scontato! l'ha sedotto prima a cena? l'ha sedotto con parole con sguardi, con movenze sexy?
Questi i miei suggerimenti perchè l'idea merita!

Buona giornata

Sonia

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roberto.masini
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#8 » giovedì 23 novembre 2017, 18:41

Sonia Lippi ha scritto:Ciao Roberto, L'idea mi piace, ma è veramente troppo pesante la struttura del racconto!
Sinceramente ci sono troppe spiegazioni, troppe descrizioni minuziose e pochi dialoghi!
a me non importa ciò che hanno mangiato a pranzo ma ciò che si sono detti!
non mi importa di che colore sono le lenzuola, ma la tecnica seduttrice di Circe! farsi trovare nuda davanti alla porta è abbastanza scontato! l'ha sedotto prima a cena? l'ha sedotto con parole con sguardi, con movenze sexy?
Questi i miei suggerimenti perchè l'idea merita!

Buona giornata

Sonia

L'arte dello scrivere è quella di evocare soprattutto quando si tratta di sentimenti. Quando invece si tratta di miti e leggende non si può dare per scontato che tutti abbiano letto Teofrasto o Plinio il Vecchio per saper come si raccoglieva la mandragora e quindi bisogna descriverlo; così come non tutti hanno letto il Malleus Maleficarum e sono a conoscenza delle torture; né infine Luciano di Samosata per il toro di Falaride. Feuerbach diceva: "Siamo ciò che mangiamo." E quindi trovo che la descrizione dei cibi debba "affascinare" chi non è piemontese come il protagonista della storia. Come è stato sedotto poco importa: importa come Circe lo trasformerà!

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Vastatio
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#9 » giovedì 23 novembre 2017, 21:01

Ciao,

io e te siamo agli opposti, tu spieghi praticamente tutto, io praticamente niente. Una via di mezzo e saremmo, forse, perfetti.
La "storia" c'è ma si perde dentro a mille dettagli che, in una forma più lunga possono anche essere apprezzati, ma in un racconto mi disturbano.
Mi disturbano perché, se mi piace un racconto, io lo rileggo e rileggendolo mi piace scoprire o apprezzare cose che a una prima lettura (magari preso dalla trama per sapere come va a finire) ho perso.
Rileggendo il tuo racconto invece io salto tutte le spiegazioni, che, in molti casi, potevo saltare anche prima, visto che la mandragora, le sue "caratteristiche" e alcune leggende di contorno già le conosco, così come strumenti di tortura. Devi stupirmi, incantarmi, affascinarmi o spaventarmi. Descrivermi il terrore della vittima o la lascivia del carnefice, piuttosto che farmi un elenco degli strumenti di tortura e della loro storia fissati su uno solo di questi. Non sei wikipedia.
Risultato: mi annoio. Mi annoio, ma questo è solo un problema mio, anche quando mi porti in giro tipo "navigatore" elencandomi nomi e zone che, se non sono del luogo e conosco (e lo sono), non mi aiutano a "entrare" nell'ambiente. Un nome o un aggettivo non mi evocano un bel nulla.
Ribadisco, siamo profondamente diversi. Io preferisco, ed è il più grande difetto che ho, stuzzicare il lettore e fargli fare i compiti a casa (se qualcosa del mio racconto lo stuzzica, che se lo cerchi da solo su internet).
La storia e il tema ci sono, ma li affoghi in wikipedia.

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roberto.masini
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#10 » venerdì 24 novembre 2017, 17:02

Vastatio ha scritto:Ciao,

io e te siamo agli opposti, tu spieghi praticamente tutto, io praticamente niente. Una via di mezzo e saremmo, forse, perfetti.
La "storia" c'è ma si perde dentro a mille dettagli che, in una forma più lunga possono anche essere apprezzati, ma in un racconto mi disturbano.
Mi disturbano perché, se mi piace un racconto, io lo rileggo e rileggendolo mi piace scoprire o apprezzare cose che a una prima lettura (magari preso dalla trama per sapere come va a finire) ho perso.
Rileggendo il tuo racconto invece io salto tutte le spiegazioni, che, in molti casi, potevo saltare anche prima, visto che la mandragora, le sue "caratteristiche" e alcune leggende di contorno già le conosco, così come strumenti di tortura. Devi stupirmi, incantarmi, affascinarmi o spaventarmi. Descrivermi il terrore della vittima o la lascivia del carnefice, piuttosto che farmi un elenco degli strumenti di tortura e della loro storia fissati su uno solo di questi. Non sei wikipedia.
Risultato: mi annoio. Mi annoio, ma questo è solo un problema mio, anche quando mi porti in giro tipo "navigatore" elencandomi nomi e zone che, se non sono del luogo e conosco (e lo sono), non mi aiutano a "entrare" nell'ambiente. Un nome o un aggettivo non mi evocano un bel nulla.
Ribadisco, siamo profondamente diversi. Io preferisco, ed è il più grande difetto che ho, stuzzicare il lettore e fargli fare i compiti a casa (se qualcosa del mio racconto lo stuzzica, che se lo cerchi da solo su internet).
La storia e il tema ci sono, ma li affoghi in wikipedia.


La noia è un sentimento soggettivo e perciò insindacabile. Sicuramente non è una storia che può piacere a chi, evidentemente, come te, ha letto Plinio il Vecchio o Teofrasto e non si documenta su wikipedia. Se conosci anche la toponomastica monferrina sono stato proprio sfortunato. Anch'io penso che evocare sia meglio che descrivere ma a volte, per chi non conosce la mitologia (quindi non tu!) una qualche spiegazione sia necessaria. Non mi sono lasciato prendere, come diceva Eco, dalla vertigine della lista: queste dettagliate descrizioni occupano circa l'8% del racconto. Comunque, anche se non sono per niente d'accordo con la tua analisi, dovrò tenerne conto e farne tesoro. Altrimenti che serve confrontarsi con altri diversi da te?Ciao, a presto, a un futuro scambio di contrapposte opinioni!

diego.ducoli
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#11 » lunedì 27 novembre 2017, 22:37

Ciao Roberto
Trovo che il tuo pezzo sia veramente troppo raccontato. L'orrore che dovrebbe scaturire dalla scena di torture non viene fuori, cosi come il panico o il terrore del protagonista. La storia in se va anche bene ma manca della parte emozionale che un racconto del genere deve avere.
La tecnica c'è, ma ti consiglio vivamente di "mostrare" invece che raccontare, fai empatizzare il lettore, trascinalo nell'orrore, lasciato cosi brano lascia poco.

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roberto.masini
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#12 » giovedì 30 novembre 2017, 19:35

diego.ducoli ha scritto:Ciao Roberto
Trovo che il tuo pezzo sia veramente troppo raccontato. L'orrore che dovrebbe scaturire dalla scena di torture non viene fuori, cosi come il panico o il terrore del protagonista. La storia in se va anche bene ma manca della parte emozionale che un racconto del genere deve avere.
La tecnica c'è, ma ti consiglio vivamente di "mostrare" invece che raccontare, fai empatizzare il lettore, trascinalo nell'orrore, lasciato cosi brano lascia poco.

Show don't tell! Concordo ma a volte ci vuole una spiegazione, o perlomeno io penso che qui sia necessaria una spiegazione per quelli che non masticano di mitologia!

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