La Consegna

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo novembre sveleremo il tema deciso da Franco Forte. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Franco Forte assegnerà la vittoria.
perseverance
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La Consegna

Messaggio#1 » venerdì 17 novembre 2017, 19:52

LA CONSEGNA

di Andrea Montalbò


1.

Vivi ogni momento come un’avventura.
Sicuro, come no. In che film?
Dipende solo da te.
Sono stuto delle sentenze, delle grandi frasi: buone per cinque minuti e per un thè caldo, poi si ricomincia. La stessa merda ogni giorno.
Vivi la merda come un viaggio interiore.
Questa è mia e almeno fa ridere (quando fa ridere). Dura sempre cinque minuti, comunque; e non è di grande aiuto considerato che questa merda di moto mi sta abbandonando. Avventura?
Ho appena oltrepassato il limite cittadino e devo affrontare una salita fino a quasi millecinquecento metri.
Perché sono così scemo?
Visto che non sei intelligente almeno cerca di farti furbo diceva mia madre, un’altra perla dalla collezione; se esistesse un ufficio pubblico per l’incremento del buonumore e dell’autostima, lei non lavorerebbe lì. Amorevole sputasentenze al riparo del suo contratto a tempo indeterminato, della pensione garantita, della casa ereditata dai nonni. L’unico errore della sua vita è stato avere un figlio. Persino mio padre mi precede in graduatoria, a dispetto dell’infinita serie di guai (nel senso che ancora non ha finito di combinarne) nei quali si è sempre cacciato.
Ah ma lui è il grande imprenditore, l’uomo sempre pronto a lanciarsi in nuove avventure che falliscono in modo inesorabile e non sempre senza conseguenze materiali. Lui è uno che rischia, che insegue un sogno. Cerca di prendere esempio.
Meglio di no. C’è già abbastanza gente a spasso e grandi sogni infranti. E come dice quella vecchia battuta “neppure io sto molto bene”.
Mi piacerebbe ricordare di chi è, sono sicuro di saperlo. Oltre a non essere intelligente, non ho neppure una gran memoria: altrimenti, mi sarei ricordato di far controllare il mio destriero. Credo sia di seconda o terza mano, guidato da disgraziati, unica attenzione il sudicio telo grigio per proteggerlo dalla pioggia.
– Perché? – impreco con il tono che si impiega per gli epiteti più offensivi, scalciando senza senso i sassi radunati a lato della carreggiata. Dannazione, non posso certo lasciare la moto sul ciglio di una roggia; e neppure posso tornare indietro.
Devo fare questa consegna. Devo.
È importante, è la mia ultima possibilità.
Due buoni motivi per i quali avrei dovuto rifiutare, uno furbo l’avrebbe fatto. Io no, sono uno che deve bere per non affogare. Scelte?
Alla voce scelte ho questa: c’è sempre una scelta. C’è sempre un domani. Guarda dentro di te.
Associo questa perla filosofica alla penombra della nostra vecchia cucina con mamma seduta al tavolo, consumando una tazza di cioccolata preparata soltanto per sé. Sono in punizione. Avevo sbagliato scelta a scuola, preferendo i lunghi capelli lisci della mia compagna di banco alla lezione di religione. Sacrilego.
Allora come oggi, la punizione arriva cavalcando il vento.
Un fulmine riaccende le luci nel freddo pomeriggio invernale. Neppure il tempo di dire “cazzo” (non mi viene mai nulla di più profondo) e il tuono percuote tutti i timpani disponibili nel raggio di qualche chilometro con una potenza pari a mille volte l’attacco di In My Time Of Dying dei Led Zeppelin.
Osservo il cielo al di sopra delle montagne, sta proprio venendo giù. Non che fosse una bella giornata ma ora il colore volge al nero e siamo ancora lontani dal tramonto. La mia destinazione è lassù, dove le rocce e la vegetazione schiacciano qualsiasi ambizione di dominio umano. Per fortuna.
È lassù che sono atteso, devo esserci prima che sia tardi; consegnare la “merce” e prendermi magari un extra. Attraversando in silenzio e con rispetto la cattedrale che la Natura ha eretto milioni di anni fa; niente sfide, c’è gente che si è persa e non è mai stata ritrovata. Discorsi da bar, dicono. Ma è successo.
Se mi perdo, non so neppure se verranno a cercarmi. I soccorsi sono un costo, io una perdita.
Le prime gocce di pioggia schizzano sul mio viso ricordandomi che sono in mezzo a una strada (in tutti i sensi) con una missione da terminare e senza il mezzo per farlo. Un compito semplice che si è appena trasformato in un’avventura.
Non sono tipo da lieto fine, io.


2.

Stazione di servizio. Almeno tre chilometri da percorrere spingendo l’arrugginito destriero, controvento per di più; la pioggia ancora non spinge al massimo ma sarà questione di minuti. Il giubbotto di pelle – vecchio quanto la moto ma la pelle scolorita fa cool – regge all’urto e il casco mi ripara la testa come ha fatto in altri e più solidi urti. I jeans, per contro, si stanno inzuppando. Mi auguro almeno che tengano le suole degli scarponcini, indosso sempre gli stessi estate e inverno; avanzo confidando che non siano troppo consunte.
Stazione di servizio, continuo a ripetere come un mantra. Un riparo, un posto magari dove lasciare la moto (c’è uno spazio per parcheggiare a lato del bar, mi pare) e riflettere sulla mossa successiva. Riflettere?
Su cosa? Non posso mica salire a piedi, non perché non ce la faccia: gambe buone, fiato decente, sono giovane e motivato (mi motivo da solo perché se aspetto gli altri…). Ci arrivo, a quella cima del cazzo. È che ci arrivo tardi, troppo tardi. Non posso bucare l’appuntamento. Quindi.
Mi serve un’altra moto. Meglio una macchina, visto cosa sta scendendo dalla montagna. Questa è la parte facile della soluzione, quella difficile è procurarsi un’altra moto o un’auto. Come faccio? Non crescono sugli alberi questo lo direbbe anche mia madre ma al momento lei dovrebbe essere l’ultimo dei miei pensieri, non uscirò da questo impiccio con un’infusione di saggezza popolare. Piuttosto, con un’infusione di pioggia e terra tra i denti.
Se salto l’appuntamento, salto.
Questa è la filosofia del giorno.
Finalmente avvisto la stazione, la ricordavo più distante. Segno positivo, vediamo se la fortuna gira. Non più di tanto, la pioggia si fa torrenziale e la stazione sembra un fortino abbandonato da frontera western. Il temporale aggredisce la spianata di cemento sollevando dardi liquidi intrisi di polvere e olio. Un gatto randagio mi osserva da sotto un’auto mentre parcheggio alla brutto vicino al palo di un lampione, due giri di catena a bloccare la moto: come se potessero rubarla a spinta. Nemmeno per i ricambi.
Il gatto è nero e ha l’aria di disapprovare la mia presenza quindi saluto con una mano e corro verso la tettoia del distributore, nessun inserviente in vista e una cliente al self; giovane, carina, vestita direi per una serata metà professionale metà come viene. Buon per lei, l’utile e il dilettevole. Mi fermo a un paio di metri, mi sta guardando con aria preoccupata e io so cosa vede.
Maschio. Bianco. Casco in testa. Giubbotto di pelle con stemma band heavy-satanica.
Sono un potenziale serial killer in movimento. Un serial killer inzuppato e infreddolito ma sempre un pericolo. Non posso biasimarla.
Più che a lei sto pensando alla macchina, però.
La ragazza completa il rifornimento, chiude con attenzione il tappo della benzina, ripone l’erogatore e con tutta calma apre lo sportello del conducente per risalire. Attendo. Appoggia un piede, finge di salire e finalmente si volta a guardarmi.
Eye-to-eye.
– Problemi? – sibila scoprendo appena i denti che noto essere ben curati. Anche in circostanze migliori sarebbe fuori target per il sottoscritto; peccato, ha tutto quello che mi servirebbe: bellezza, intelligenza (quella si vede dagli occhi, c’è poco da fare altro motto che mi perseguita), un buon lavoro e soprattutto un’auto nuova, grossa cilindrata. Veloce. Sicura.
(la macchina, intendo, ma anche lei. Continua a fissarmi negli occhi ma intanto ha portato la mano destra alla borsa. Spray al peperoncino, ci scommetto).
– Sono a terra – rispondo indicando con un pollice la moto dietro di me. A questo punto, tanto vale provarci e sempre per la macchina: lei è una vera sirena ma quel motore canta meglio.
– Ho bisogno uno strappo, devo fare una consegna alla villa.
Indico verso la cima che già torreggia, incoronata da nubi nere e rigonfie, sopra di noi. In un patetico tentativo di apparire rassicurante mostro lo zaino al cui interno ho riposto il prezioso pacchetto.
Lei vede soltanto un logoro sacco di tela sfilacciata con sciocchi intarsi pentacolari. Come d’abitudine, scatta il riflesso giustificativo.
– Non farci caso, è solo una questione di gusti musicali.
Un sorriso sprezzante piega le labbra lucide della sirena.
– Lo so. Baphomet sa scegliere di meglio. Sali, avanti.
Eh? Bapho-che? Mi affretto a obbedire al deciso invito ma adesso sono io quello da tranquillizzare: in effetti il tatuaggio tribale sul collo, solo in parte nascosto dai capelli, non sembra del tipo più comune. Forse non è spray al peperoncino quello che tiene in borsa, forse è un’ascia.
Per un breve attimo immagino gli schizzi di sangue sui vetri della macchina.
Distrazione fatale.
Il braccio che all’improvviso cinge il mio collo, però, arriva da dietro di me: con pari subitaneità la lama fredda e appuntita di un coltello a serramanico si appoggia alla mia guancia destra. Chiunque sia, indossa un giubbotto imbottito lurido e intriso di pioggia. Predatore in agguato.
– Buttalo a terra! Lascia lo zaino, lascialo! Tu, puttana, dammi la borsa! Muoviti!
Non ci credo.
La sirena invece, sì; sbianca ai limiti dello svenimento e commette due errori gravi: appoggia la borsa a terra spingendola verso di me con il piede, per poi voltarsi e correre alla ricerca di aiuto e riparo nel bar.
Primo errore: la barista, sola in quel momento, ha notato la scena dal bancone e si è precipitata a bloccare la porta. Sirena si schianta contro i vetri, rimbalzando all’indietro.
Secondo errore: nella fretta di concedere la borsa per salvare la (propria) vita ha lasciato cadere le chiavi dell’auto. A quel punto, mi è tutto chiaro.
Se fossi furbo, me ne resterei buono con le mani debitamente sollevate. Se fossi intelligente, penserei prima a salvarmi la vita e poi a risolvere i guai che già ho. Se fossi scemo, invece, penserei che devo consegnare un cazzo di pacco e non mi posso permettere neppure d’essere rapinato.
Io sono scemo.
Lascio cadere lo zaino, di colpo. L’urto potrebbe danneggiare il prezioso pacchetto ma coglie di sorpresa il rapinatore impegnato a pregustare la parte su quattro ruote del bottino. È una frazione di secondo ma sono disperato; una condizione nella quale resto scemo ma divento veloce, molto.
Scalcio all’indietro centrando il bastardo tra le gambe. Yeah. Urla per il dolore, lasciando cadere il coltello; sento che tutto è facile, ruoto sulla gamba destra sollevando la sinistra: centro la sua mascella come se mi stesse aspettando, crolla a terra come un sacco di patate. Perdo il controllo, piazzo due altri calci, inutili: è già stordito.
Non lo saprà mai ma anni di fegato marcio si sono appena riversati su di lui.
Tuttavia non è a questo che sto pensando.
L’auto. Le chiavi. Il bastardo è k.o. e la sirena è riuscita a farsi aprire dalla barista. Immagino stiano chiamando la polizia ma ci vorrà un po' prima che arrivino. A me, basterebbero pochi secondi: il tempo di raccogliere lo zaino, le chiavi, mettermi al volante e partire.
Che ci vuole?
Niente. Se solo non fosse un furto. L’equivalente esatto di quello che stavamo per subire. Non importa che io abbia i miei buoni motivi. È sbagliato, e basta.
Qui non c’entra l’intelligenza. Neppure la scemenza.
Raccolgo lo zaino. La borsa dell’adoratrice di Bapho-coso (tutta scena, da come è scappata. Non la biasimo, a ogni modo). Controllo l'aggressore, ha un'aria da divoratore di loto; sembra non ricordarsi neppure chi sia e dove si trovi. Mi dirigo verso il bar.
Nel frattempo, due sovrappesi si materializzano dallo store della stazione, dirigendosi verso l’accasciato predatore: vorrei domandare loro per quale motivo non siano intervenuti prima ma hanno il fiatone dopo avere corso per meno di una decina di metri. Spero almeno riescano ad arrivare a una corda (per legarlo. Non sono così cattivo).
La sirena è già sulla porta del bar, pronta a ricevere borsa e chiavi. Sorride imbarazzata mentre in lontananza s’annuncia un altro tipo di sirena, quella della polizia.
– La tua consegna dovrà aspettare – mi dice in tono mesto, quasi che il “contrattempo” possa essere dipeso da lei; sembra voler suggerire qualcosa ma le taglio la strada.
– Non posso andarmene. E poi non crederanno mai che lo abbia steso tu. Non con quelle scarpine.
– Potremmo scambiarcele ma non sono brava sui tacchi bassi…
Ride, un gorgoglio così contenuto e breve da farmi pensare d’essermelo immaginato. Sembra più tranquilla, ora, anche se non come prima del tentativo di rapina. Rapina, poi.
Bisogna essere davvero disperati per ridursi in quel modo. Per tentare qualcosa di così stupido. Da fuori di testa. Probabile.
Questo mi riporta alla consegna. Ho una richiesta da fare alla sirena e devo sbrigarmi: due auto della polizia stanno facendo irruzione sulla spianata di cemento, terminando di sollevare il sudiciume che la pioggia non ha ancora lavato via.
– Ho capito che non conosci la villa. Qui gli indigeni sussultano quando si dice “la villa”. Ho comunque bisogno di un passaggio quando avremo finito con la polizia. In quella direzione – mi interrompo per indicare con un braccio il punto più o meno preciso – c’è la vecchia ferrovia. Se non ci tengono in caserma fino a stanotte posso farcela. Per favore.
– Va bene. Solo non dirmi cosa stai portando, ok?
Magari potessi.
Ne sarebbe sorpresa.


3.

Un’ora dopo, siamo già di ritorno favoriti da una rara serie di coincidenze: il predatore è un cliente già noto alla Polizia ed è un pomeriggio tranquillo, niente crimini ‘importanti’; l’appuntato che raccoglie le nostre deposizioni è giovane ma sa il fatto suo. Domande secche, precise. Si adombra solo quando fornisco la carta d’identità, ancora valida ma vecchio modello cartaceo.
Ciò che ne resta, meglio. Mi scuso per le deplorevoli condizioni del documento, ho un obiettivo e posso ancora farcela. Posso ancora farcela.
Continuare a ripeterlo non farà accelerare il decorso della giornata ma non riesco a smettere.
– Posso ancora farcela – confermo alla sirena mentre scendo dall’auto; non ho tempo per grandi ringraziamenti, tendo una mano che afferra con decisione. Questo mi piace; peccato che i nostri mondi siano così separati.
Doveva essere la prima della classe. Probabilmente lo è ancora.
– Ci si vede – risponde sciogliendo la stretta per mettere in moto. Strana risposta ma ho sempre una lama che pende sulla mia testa, mi volto e corro verso l’ingresso della stazione ferroviaria. Stazione di servizio, di polizia, ferroviaria…
Mia madre ne ricaverebbe una bella riflessione ma io vedo solo un viaggio (fin qui) di merda con un’avventura nel mezzo che avrebbe potuto finire molto peggio. La lama era oltre i limiti di legge.
Poteva bucarmi quando voleva, il giubbotto non mi avrebbe salvato.
Per quanto vecchio, il giubbotto che indosso arriva dal futuro, al confronto con la stazione ferroviaria: una linea che avrebbe dovuto essere dismessa da almeno vent’anni e che sopravvive per un unico motivo. La villa.
Il padrone di casa ama recitare la scena dell’uomo semplice, ‘uno-di-noi’. Di quando in quando si concede il lusso di rientrare a casa in treno. A parte i curiosi e la corte di leccaculi che lo segue ovunque, è l’unico a scendere al capolinea per motivi di residenza: è rimasto quasi da solo, lassù. In compagnia di qualche centenario abbandonato da figli e nipoti.
Il bigliettaio ha l’aria contenta, a ogni modo. Come lui, gli altri addetti: l’uomo della villa, probabilmente, ha dato uno scopo alle loro esistenze e gliene sono grati. So io come. Intanto, anche qui devo correre, il treno è in partenza.
Solo due carrozze, una dignitosa prima classe e una cadente seconda.
Attraverso il vagone di seconda, un open space che risale a molto prima di questa definizione: nessuno scompartimento, solo panche male imbottite allineate ai lati del passaggio centrale. Quattro passeggeri oltre a me. Un pienone. Sfilo verso il fondo, registrando.
Seconda panca, a sinistra, coppia in là con gli anni, si tengono appena per mano eppure emanano una solidità sentimentale che non posso neppure immaginare. Non sarò mai così. Non è più tempo, il tempo è quello che vedo dal finestrino: buio, pioggia battente quasi solida, vento e gelo che trapassano il metallo imbullonato della vettura. Involontaria sottolineatura, le già fioche luci a campana si spengono del tutto. Il tempo scorre e finisce soltanto.
Quarta fila, a destra, donna sulla quarantina, robusta. Aspetto da visita parentale o infermiera. O tutt’e due. Espressione mesta da routine del dolore.
Penultima fila, ancora sulla destra. Maschio, età indefinibile: direi invecchiamento precoce da lavoro pesante. Aroma fastidioso di tabacco e alcool, abiti stazzonati. Qualcosa nel suo sguardo – è l’unico a reagire al mio passaggio – mi disturba, obbligandomi a scegliere l’ultima panca, proprio dietro di lui. È talmente alto che la sua nuca, anche da seduto, resta ben al di sopra della panca. Un gigante.
Non mi piace quello sguardo.
Siedo appoggiando lo zaino sulle ginocchia, le braccia strette intorno a protezione. Immagino di essere in paranoia, cerco di rilassarmi. Il freddo non concilierebbe il sonno ma il movimento ritmico del treno sì. Solo pochi secondi e le palpebre si fanno pesanti, cerco di reagire: non voglio addormentarmi, sono pochi minuti al capolinea. Non devo.
Il risveglio è brusco.
Il gigante è sopra di me, una mano protesa verso lo zaino. Una sciabolata di luce dal finestrino illumina il volto dell’uomo a metà, svelando il segreto dello sguardo.
L’occhio che sto fissando è finto.
Reagisco afferrando il suo braccio, la mia mano non riesce a chiudersi neppure attorno al suo polso; per fortuna, non ha intenzioni cattive.
– Siamo arrivati. Capolinea.
Vorrei rispondere farti i cazzi tuoi, no, eh? ma qui siamo in provincia non in città. Siamo gentili anche con gli sconosciuti. Voleva solo svegliarmi. Allento la presa, bofonchio qualche parola imbarazzata di ringraziamento. Capolinea.
La villa è sopra di noi, se ne può avvertire la presenza anche prima di scendere dal treno. Cinque minuti, volata finale; adesso nulla e nessuno mi possono fermare.
Forse.
Al cancello principale impatto con ben due guardie armate, molto armate e molto guardie: alzo le mani prima ancora di parlare e quando parlo mi scopro balbuziente.
– C-consegna. Per il Do-dottore.
– Fornitori dall’ingresso di servizio – mi risponde il più vicino dei due, sventolando la pistola nella direzione necessaria. Il gesto libera spruzzi di acqua raccolti ma non assorbiti dalla cerata impermeabile. Svanisco senza neppure dire ‘grazie’, non vorrei risultare più irritante di un turno di guardia notturna sotto il diluvio. Solo la consegna importa. Con la coda dell'occhio rilevo la seconda guardia che parla nel walkie-talkie.
Questo dev'essere il motivo per cui al meno imponente cancello di servizio trovo il padrone di casa; invece dell'usuale fascia tricolore indossa un grembiule da chef. Ricevo un'accoglienza degna del più indegno concorrente di un contest culinario.
– Questo sarebbe un servizio? Ho pagato per la consegna rapida, mi serviva due ore fa! Adesso la cena è andata a fanculo, tieniti pure il pacchetto e sappi che domattina scriverò un bel reclamo!
Per un pelo non mi fracassa il naso chiudendo la porta.
Domattina scriverà un reclamo. Il mio capo è un suo elettore e sta espandendo l’attività in parallelo all'ascesa amministrativa dell'uomo della villa: non ammetterà mai d'avermi detto “consegna importante IN GIORNATA” invece di “consegna in DUE ORE”.
Vivi ogni giorno come un'avventura e impara.
Bene, cos’ho imparato? Che sono sempre l'anello sacrificabile, che dovrò rimediare l'ennesimo lavoro precario, che in guerra finirei sempre sotto tiro incrociato? Mi sa che salta anche il rimborso del treno.
Gran bella lezione: ho rischiato di farmi tagliuzzare (ho sventato una rapina, per inciso), ho corso, sudato, preso pioggia da sembrare la spugna dei cartoni animati, che altro mi riserva la giornata? I Proci si sono installati a casa mia?
Impossibile.
E comunque, il frigorifero è vuoto.
Ultima modifica di perseverance il venerdì 17 novembre 2017, 23:38, modificato 3 volte in totale.


Andrea Montalbo'

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Spartaco
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Re: Inoltro racconto per La Sfida a Cesare il Conquistatore

Messaggio#2 » venerdì 17 novembre 2017, 22:39

Ciao Andrea, prima di tutto benvenuto sul forum di Minuti Contati.
Hai postato nel posto giusto, però ti consiglio di mettere il titolo del racconto anche nel nome della discussione, dove hai scritto "Inoltro racconto per La Sfida a Cesare il Conquistatore".

perseverance
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Re: Inoltro racconto per La Sfida a Cesare il Conquistatore

Messaggio#3 » venerdì 17 novembre 2017, 23:31

Spartaco ha scritto:Ciao Andrea, prima di tutto benvenuto sul forum di Minuti Contati.
Hai postato nel posto giusto, però ti consiglio di mettere il titolo del racconto anche nel nome della discussione, dove hai scritto "Inoltro racconto per La Sfida a Cesare il Conquistatore".

Grazie, Spartaco. Appena provveduto.
Andrea Montalbo'

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SalvatoreStefanelli
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Re: La Consegna

Messaggio#4 » sabato 18 novembre 2017, 21:08

Storia dal grande ritmo. Personaggi azzeccati. Anche in questo caso il riferimento all'Odissea è messo lì come una forzatura, però, tutto sommato, ci calza bene. Non mi sembra di aver visto refusi e nessun genere di errore da dover imprecare per averlo commesso. Non ho trovato difficoltà di lettura tranne che forse avrei preferito un corsivo che distinguesse i pensieri dalla semplice descrizione di quanto accade. Mi sembra una buona prova.

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wladimiro.borchi
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Re: La Consegna

Messaggio#5 » domenica 19 novembre 2017, 17:27

Racconto gradevole. Trama incalzante e stile adeguato. Attenzione alle ripetizioni involontarie e ai refusi. Soprattutto all'inizio, i ragionamenti del protagonista sulla madre contravvengono alla regola del "show don't tell". Puoi sfruttare anche quelli per regalarci più immagini. Qualche svista di punteggiatura che potresti correggere.

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Sonia Lippi
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Re: La Consegna

Messaggio#6 » mercoledì 22 novembre 2017, 12:46

Il racconto mi è piaciuto, anche se la parte sulla madre l'ho trovata un pò pesante!
troppi ragionamenti consequenziali senza azione!
ell complesso una buona prova

Buona giornata

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Vastatio
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Re: La Consegna

Messaggio#7 » giovedì 23 novembre 2017, 21:13

Ciao,

mi piace la forma che hai voluto dare al racconto, mi piace il ritmo e come hai caratterizzato i personaggi. Quello che non mi piace è la confusione iniziale, qualche corsivo o virgolette per distinguere i pensieri del protagonista dalle "sentenze" altru non sarebbe guastato. Non mi piace nemmeno il finale, sicuramente inaspettato, ma che smorza troppo tutto il resto. Avevi un buon personaggio, la ragazza, che lascia intendere di poter essere più di una portatrice sana di tette (la battuta su baphomet, il "ci si vede") e invece la lasci andare via senza sfruttarla in qualche modo nel finale.

Il grosso vantaggio del format della sfida però è poter sistemare il racconto prima di passare alla guest e il tuo racconto ha parecchio potenziale con poche rifiniture sulla parte iniziale (il finale non mi piace, ma è gusto personale).
Anche l'accenno all'odissea mi è piaciuto, buttato lì, una battuta perfettamente in tono col resto. Certo, è solo una citazione, ma il bonus quello chiedeva.

perseverance
Messaggi: 11

Re: La Consegna

Messaggio#8 » venerdì 24 novembre 2017, 23:33

Ciao Salvatore, Wladimiro, Sonia e Vastatio. Grazie per i vostri giudizi. Qualche precisazione doverosa: il corsivo c'era (possa colpirmi un asteroide :D), nel copia-e-incolla si è perso e non me ne sono accorto subito. Essendo anche un neofita di Minuti Contati non padroneggio molto il regolamento; quello che ho capito è che si potranno apportare modifiche solo qualificandosi per il turno successivo, quindi...
Ora il mio cruccio più grande: so che non ci crederete ma le citazioni dall'Odissea sono tre.
Buon fine settimana.
Andrea Montalbo'

diego.ducoli
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Re: La Consegna

Messaggio#9 » martedì 28 novembre 2017, 17:51

Ciao Andrea
Sicuramente non si può dire che il tuo racconto scorra liscio, di imprevisti e di azione ce ne sono in abbondanza. La prossima volta che posti un pezzo controlla in anteprima, spesso il forum fa questi scherzi.
Leggendo il tuo ultimo commento mi è venuta voglia di rileggerlo per cogliere le due citazioni che mi sono perso, magari stanotte.
In se il pezzo mi è piacito, rivedrei un po' il finale che mi sembra un po' sottotono.

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