Altana Numero 4
Inviato: martedì 21 novembre 2017, 0:58
Altana numero 4
Tutto è verde intorno a me. Mute e gocciolanti, le fronde dei grossi alberi galleggiano nell’uggiolina nebbiosa. Sono verdi anche gli abiti che indosso, ma il calcio del fucile è scuro e con il colpo in canna. Lo tengo accanto a me, al di sopra della torretta di guardia. Mi tasto nelle tasche e scopro di essere senza sigarette.
L’ansia mi assale, serve sangue freddo. Il leit motiv della mia vita.
Serve sangue freddo: le parole sentite dire da mio padre l’ultima volta che l’ho visto.
Cerco di pensare ad altro e mi distraggo con le incisioni sul cemento dell’altana numero 4. Sull’altana numero 4 due soldati si sono tolti la vita durante il servizio di guardia. Uno impiccandosi e l’altro sparandosi in bocca.
Ma non è questo che mi inquieta, le mie paure sono altre: la mia vita è in pericolo. Una volta il mio nome era Rod Bettini, ma da anni mi chiamo Paul Sight.
Motivi di sicurezza.
La smania di nicotina mi fa digrignare i denti. E se mandassi un messaggio a Josh per dirgli di portarmi le sigarette? Dio, che voglia di fumare. Guardo l’orologio, un’ora e quaranta al cambio di guardia. Non resisto. Prendo il cellulare e scrivo un messaggio a Josh. Emergenza all’altana 4: sono senza sigarette. Per prudenza cancella messaggio.
Josh è di Newark, New Jersey, proprio come me.
Passa qualche minuto e Josh non risponde. Calma, mi dico. Calma e sangue freddo. La frase mi richiama alla mente il volto di mio padre, un noto collaboratore di giustizia. Un infame. A causa sua la mia vita è in pericolo e a causa sua mia sorella Annie è stata uccisa da una raffica di mitra mentre usciva da Walmart.
Solo allora l’F.B.I. si era deciso a mettere sotto copertura me e mia madre. Ci sistemarono a Kingman, Arizona e per un po’ tutto bene, poi cominciarono le telefonate. Sapevano. Nuovamente ci trasferirono. Prima Vermont e Nevada, infine il Nebraska. Poi dissero che passare qualche tempo nell’Esercito poteva essere una buona idea.
Dissi di sì.
Dopo qualche mese erano arrivati gli attacchi di panico e il Capitano McCarr mi impose una settimana di osservazione presso l’Ospedale Militare. Il medico chiese se pensavo al suicidio e si offrì di dispensarmi dal servizio di guardia, ma io dissi di no. Una settimana più tardi era arrivata una telefonata per me. “Ciao Rod. Infame figlio di infami…”
Mi avevano scovato sin lì. Poi più niente, sino alla settimana scorsa.
“Rod, se ti accorciassimo l’esistenza, non saresti contento?”
Affacciato dall’altana quattro vedo dei cespugli muoversi di là dal reticolato, poi sento la voce di Josh bisbigliare. “Paul, sono io.”
“Josh, vieni su.”
Sale le scale metalliche e spunta il suo sorrisetto da carogna. Lancia il pacchetto di Marlboro che cade ai miei piedi. Appoggio il fucile e Josh tira fuori la fiaschetta di Southern Comfort.
“Bevi.”, dice allungandomela.
Do una sorsata. Il whisky mi scalda la mente e il corpo, mi scalda il cuore.
“lI torcibudella tienilo pure.”, dice Josh.
“E tu?”
“Non ti preoccupare.”
“Sarà meglio andarci piano. Se no al cambio di guardia il Capitano si accorge che sono brillo.”
“McCarr è in città per non so quali commissioni, il cambio di guardia lo fa Krennan.”
“Quand’è cosi”, dico attaccandomi alla fiaschetta. Ne bevo sorsate generose. “Mica ti ha visto nessuno venir qua?”, chiedo poi già intontito dall’alcool.
Josh scuote il capo, mentre si avvicina per farmi accendere la sigaretta. La fiamma dello zippo si espande davanti ai miei occhi e tutto a un tratto le ginocchia mi si fanno molli. Devo appoggiarmi al muro. “Ehi”, dico come al rallentatore, “questo whisky mi ha steso.”
Faccio un tiro di sigaretta e subito mi scivola tra le dita. Guardo Josh. Mi infila in tasca qualcosa, poi dal taschino estrae il mio cellulare e attacca a digitare. “Stai buono”, dice, “è quasi fatta.”
“Cosa… cosa stai facendo?”
Josh sta indossando dei guanti, strofina la fiaschetta con uno panno, mi prende per il bavero e mi mette a sedere in terra. Mi versa addosso il whisky rimasto. Preme varie volte i polpastrelli di entrambe le mie mani sulla fiaschetta e me la infila in tasca. Io non riesco neppure a muovermi. Poi capisco. “Sei uno di loro, Josh?”
“No, ma sono di Newark, ricordi? Lì è dove quell’infame di tuo padre ne ha fatto di danni.”
Serve sangue freddo, penso, e quella frase adesso mi sembra assurda.
“Nel tuo sangue troveranno tante di quelle benzodiazepine da stordire un cavallo”, sta dicendo Josh. “Troveranno la scatola nella giacca della mimetica, insieme alla fiaschetta.”
“Ma la fiaschetta è la tua”, biascico mangiandomi le parole.
“Dirò che me l’avevi presa, tanto ti troveranno morto: stai per spararti alla gola. Un'altra cosa che troveranno sarà un messaggio sul telefono dove scrivi che non sopporti più di vivere.”
I miei occhi si chiudono, la coscienza mi abbandona. Poi lo sparo.
Non sarò più costretto a nascondermi e presto il mio sangue sarà freddo.
Freddo sul serio.
È finita.
Tutto è verde intorno a me. Mute e gocciolanti, le fronde dei grossi alberi galleggiano nell’uggiolina nebbiosa. Sono verdi anche gli abiti che indosso, ma il calcio del fucile è scuro e con il colpo in canna. Lo tengo accanto a me, al di sopra della torretta di guardia. Mi tasto nelle tasche e scopro di essere senza sigarette.
L’ansia mi assale, serve sangue freddo. Il leit motiv della mia vita.
Serve sangue freddo: le parole sentite dire da mio padre l’ultima volta che l’ho visto.
Cerco di pensare ad altro e mi distraggo con le incisioni sul cemento dell’altana numero 4. Sull’altana numero 4 due soldati si sono tolti la vita durante il servizio di guardia. Uno impiccandosi e l’altro sparandosi in bocca.
Ma non è questo che mi inquieta, le mie paure sono altre: la mia vita è in pericolo. Una volta il mio nome era Rod Bettini, ma da anni mi chiamo Paul Sight.
Motivi di sicurezza.
La smania di nicotina mi fa digrignare i denti. E se mandassi un messaggio a Josh per dirgli di portarmi le sigarette? Dio, che voglia di fumare. Guardo l’orologio, un’ora e quaranta al cambio di guardia. Non resisto. Prendo il cellulare e scrivo un messaggio a Josh. Emergenza all’altana 4: sono senza sigarette. Per prudenza cancella messaggio.
Josh è di Newark, New Jersey, proprio come me.
Passa qualche minuto e Josh non risponde. Calma, mi dico. Calma e sangue freddo. La frase mi richiama alla mente il volto di mio padre, un noto collaboratore di giustizia. Un infame. A causa sua la mia vita è in pericolo e a causa sua mia sorella Annie è stata uccisa da una raffica di mitra mentre usciva da Walmart.
Solo allora l’F.B.I. si era deciso a mettere sotto copertura me e mia madre. Ci sistemarono a Kingman, Arizona e per un po’ tutto bene, poi cominciarono le telefonate. Sapevano. Nuovamente ci trasferirono. Prima Vermont e Nevada, infine il Nebraska. Poi dissero che passare qualche tempo nell’Esercito poteva essere una buona idea.
Dissi di sì.
Dopo qualche mese erano arrivati gli attacchi di panico e il Capitano McCarr mi impose una settimana di osservazione presso l’Ospedale Militare. Il medico chiese se pensavo al suicidio e si offrì di dispensarmi dal servizio di guardia, ma io dissi di no. Una settimana più tardi era arrivata una telefonata per me. “Ciao Rod. Infame figlio di infami…”
Mi avevano scovato sin lì. Poi più niente, sino alla settimana scorsa.
“Rod, se ti accorciassimo l’esistenza, non saresti contento?”
Affacciato dall’altana quattro vedo dei cespugli muoversi di là dal reticolato, poi sento la voce di Josh bisbigliare. “Paul, sono io.”
“Josh, vieni su.”
Sale le scale metalliche e spunta il suo sorrisetto da carogna. Lancia il pacchetto di Marlboro che cade ai miei piedi. Appoggio il fucile e Josh tira fuori la fiaschetta di Southern Comfort.
“Bevi.”, dice allungandomela.
Do una sorsata. Il whisky mi scalda la mente e il corpo, mi scalda il cuore.
“lI torcibudella tienilo pure.”, dice Josh.
“E tu?”
“Non ti preoccupare.”
“Sarà meglio andarci piano. Se no al cambio di guardia il Capitano si accorge che sono brillo.”
“McCarr è in città per non so quali commissioni, il cambio di guardia lo fa Krennan.”
“Quand’è cosi”, dico attaccandomi alla fiaschetta. Ne bevo sorsate generose. “Mica ti ha visto nessuno venir qua?”, chiedo poi già intontito dall’alcool.
Josh scuote il capo, mentre si avvicina per farmi accendere la sigaretta. La fiamma dello zippo si espande davanti ai miei occhi e tutto a un tratto le ginocchia mi si fanno molli. Devo appoggiarmi al muro. “Ehi”, dico come al rallentatore, “questo whisky mi ha steso.”
Faccio un tiro di sigaretta e subito mi scivola tra le dita. Guardo Josh. Mi infila in tasca qualcosa, poi dal taschino estrae il mio cellulare e attacca a digitare. “Stai buono”, dice, “è quasi fatta.”
“Cosa… cosa stai facendo?”
Josh sta indossando dei guanti, strofina la fiaschetta con uno panno, mi prende per il bavero e mi mette a sedere in terra. Mi versa addosso il whisky rimasto. Preme varie volte i polpastrelli di entrambe le mie mani sulla fiaschetta e me la infila in tasca. Io non riesco neppure a muovermi. Poi capisco. “Sei uno di loro, Josh?”
“No, ma sono di Newark, ricordi? Lì è dove quell’infame di tuo padre ne ha fatto di danni.”
Serve sangue freddo, penso, e quella frase adesso mi sembra assurda.
“Nel tuo sangue troveranno tante di quelle benzodiazepine da stordire un cavallo”, sta dicendo Josh. “Troveranno la scatola nella giacca della mimetica, insieme alla fiaschetta.”
“Ma la fiaschetta è la tua”, biascico mangiandomi le parole.
“Dirò che me l’avevi presa, tanto ti troveranno morto: stai per spararti alla gola. Un'altra cosa che troveranno sarà un messaggio sul telefono dove scrivi che non sopporti più di vivere.”
I miei occhi si chiudono, la coscienza mi abbandona. Poi lo sparo.
Non sarò più costretto a nascondermi e presto il mio sangue sarà freddo.
Freddo sul serio.
È finita.