Cerunnos - Francesco Cristaudo
Inviato: sabato 9 dicembre 2017, 14:54
Cerunnos
La strada è stretta, a malapena ci passa una persona. Alti pini marittimi incorniciano il viale, impedendo alla luce del sole di filtrare. Sul terreno si possono scorgere solo delle pigne e le orme lasciate impresse dal passaggio di un uomo che indossa un mantello rosso con cappuccio e si trascina sulle spalle un sacco di iuta vuoto. In lontananza, davanti a lui, si scorge un campanile. Dietro si intravede il mare.
Efigio guarda il neonato che riposa nella culla. L’ha costruita appena ha scoperto che Aliza era incinta. Non voleva che il piccolo si sentisse rinchiuso in una cella, così aveva dipinto le piccole sbarre del colore del cielo. La moglie era rimasta entusiasta della creazione di Efigio e si era stretta a lui amandolo come mai lo aveva amato. Avevano fatto l’amore, dopo, con passione e nella speranza che il figlio sarebbe nato sano e avrebbe avuto una vita felice.
Elpis dorme beato, tra le braccia stringe un pupazzo. Il coniglio al forno è quasi pronto e Aliza apparecchia la tavola per lei e per il marito. Efigio va verso la moglie per aiutarla. I due si guardano negli occhi mentre si siedono a tavola.
“Oggi tornerà” dice Efigio.
La moglie lo guarda per qualche secondo, poi abbassa lo sguardo.
“Mangiamo” dice Aliza e serve il marito.
Tra le vie di Cerunnos c’è un certo tumulto. Le minuscole porte delle piccole case in legno, si aprono e si chiudono in continuazione. Donne e uomini fanno su e giù trasportando casse piene di cibo fino alla piazza centrale, dove le lasciano in un’area delimitata con dei segni in gesso.
Il sole riscalda e illumina il paesino, svelando le ombre dei passanti. Il vento accarezza i tetti delle abitazioni.
Da una casa esce una donna. Indossa un velo rosso e porta una cesta con sé. Al suo interno, un lenzuolo copre un neonato che dorme profondamente. Non si sveglia neanche quando la donna deposita la cesta vicino alle casse di legno e piange, inginocchiata accanto al pargolo.
“Dobbiamo andare” dice Aliza mentre abbraccia il marito e accoglie le sue lacrime sul petto.
“Tutto questo non ha senso, dovremmo ribellarci” dice Efigio.
“Sai che non ci possiamo fare niente, le cose funzionano così da sempre. Non possiamo far altro che accetarle”.
“Perché dobbiamo accettarle per forza? Potremmo prendere Elpis e fuggire da qui. Ho sentito che esiste un altro villaggio e se così fosse sono sicuro che accoglierebbe volentieri una famiglia come la nostra. Io sono un buon lavoratore e tu un’ottima cuoca. Ci renderemmo utili”. Efigio trascina la moglie alla finestra e indica la gente che passa. “Guardali. Guarda i loro occhi. Non sanno cos'è la felicità. Non sanno cosa vuol dire essere liberi. Dobbiamo provare”.
Mentre il marito parla Aliza lo guarda negli occhi. Le dita della mano destra strappano una pellicina vicino a un’unghia della mano sinistra, fino a farla sanguinare. Gli occhi le si velano di lacrime che tenta di non far sgorgare. Elpis dorme.
“Lo sai che farei di tutto per te. E sai che farei di tutto per lui. Ma non possiamo fuggire. Ci troverebbe e allora la punizione sarebbe persino peggiore”.
“Come fai a dire che ci troverà? Saremo attenti”.
“Così è scritto e così sarà”.
“Non tutto quello è scritto deve avverarsi. E se fosse tutta una farsa? Se l’avessero scritto loro per tenerci sotto il loro giogo?”.
Lo schiaffo arrivò violento sul viso di Efigio.
“Ora basta. Dobbiamo farlo. Non possiamo rinnegare tutto ciò che è stato. Renderemmo tutti i sacrifici inutili. Pensa a tua sorella. Vuoi che tutto sia stato in vano?”.
Una donna esce da una casa. Indossa un velo blu e porta una cesta con sé. Va a depositarla accanto all’altra cesta. Le campane rintoccano. È giunta l’ora.
“Se non vieni con me dovrò andare da solo. Non costringermi a farlo”.
I coniugi si guardano negli occhi a lungo. Trattengono il respiro. Lo sguardo di Efigio si posa su Elpis. Lo sguardo di Aliza va al coltello che ha usato per tagliare il coniglio.
“Non lo fare” dice Aliza “Non mi costringere, ti prego”.
“Non mi lasci altra scelta”. Con uno scatto l’uomo balza sulla culla e fa per prendere il neonato in braccio. Aliza corre al coltello, lo afferra, e lo punta verso l’uomo. Efigio afferra Elpis e lo usa come scudo.
“Non mi hai lasciato altra scelta”, dice, poi indietreggia ed esce dalla porta.
Mentre Efigio esce di casa correndo e trasportando Elpis in braccio, l’uomo incappucciato arriva in città a passo lento, serafico. Si dirige verso la piazza centrale. Osserva le casse ricolme di cibo, le due ceste coi bambini che dormono. Si accovaccia, passa le mani guantate sulle guance rosee dei neonati. Si avvicina e li annusa. Emette un sibilo ferino.
Gli abitanti del villaggio, che si sono chiusi nelle loro case, osservano inorriditi la scena dalle finestre e sentono un brivido lungo la schiena nel momento in cui l’uomo incappucciato si avvicina ai volti dei bambini.
L’uomo si rialza e si avvicina alla casa di Aliza e Efigio. Entra e trova la donna in ginocchio, il coltello abbandonato sul pavimento.
“L’hai lasciato fuggire”. La voce dell’uomo incappucciata risuona con quella delle bestie più feroci.
Aliza non alza lo sguardo.
“Conosci le Scritture. Sai cosa succederà”.
Efigio corre seguendo il sentiero nel bosco. Il bambino sulla spalla comincia a pesare, le gambe a farsi rigide per lo sforzo, ma sa di non poter rallentare, non ancora. La speranza comincia a farsi largo in lui quando esce dal bosco e si ritrova in una vasta radura, tiepida dei raggi del sole morente. Il sudore gli cola dalla fronte, gli infradicia i vestiti e rende la presa su Elpis meno sicura. Si ferma, riprende fiato e deposita con cautela il bambino in terra. Si asciuga le mani sui pantaloni e si guarda intorno alla ricerca di un posto dove passare la notte. Non può accendere un fuoco perché rischierebbe di farsi scoprire, quindi raccoglie foglie e sterpi dal vicino bosco e costruisce un rifugio improvvisato dove potersi rannicchiare insieme al figlio.
Passata la notte l’uomo riprende il suo cammino, con più calma, ormai convinto di non essere inseguito da nessuno. I giorni di viaggio passano tranquilli, riesce a procurarsi il cibo necessario per far sopravvivere lui e Elpis, e grazie alle sue abilità di costruttore riescono a non soffrire mai il freddo. Dopo cinque giorni di cammino intravede finalmente un villaggio. Il passo si fa più rapido, trepidante. Vede delle persone che camminano per le vie della città. Vede il campanile. Vede Konta, il suo vicino. Vede Aliza, davanti alla porta di casa loro. Vede l’uomo incappucciato, che lo attende al centro della piazza.
La strada è stretta, a malapena ci passa una persona. Alti pini marittimi incorniciano il viale, impedendo alla luce del sole di filtrare. Sul terreno si possono scorgere solo delle pigne e le orme lasciate impresse dal passaggio di un uomo che indossa un mantello rosso con cappuccio e si trascina sulle spalle un sacco di iuta vuoto. In lontananza, davanti a lui, si scorge un campanile. Dietro si intravede il mare.
Efigio guarda il neonato che riposa nella culla. L’ha costruita appena ha scoperto che Aliza era incinta. Non voleva che il piccolo si sentisse rinchiuso in una cella, così aveva dipinto le piccole sbarre del colore del cielo. La moglie era rimasta entusiasta della creazione di Efigio e si era stretta a lui amandolo come mai lo aveva amato. Avevano fatto l’amore, dopo, con passione e nella speranza che il figlio sarebbe nato sano e avrebbe avuto una vita felice.
Elpis dorme beato, tra le braccia stringe un pupazzo. Il coniglio al forno è quasi pronto e Aliza apparecchia la tavola per lei e per il marito. Efigio va verso la moglie per aiutarla. I due si guardano negli occhi mentre si siedono a tavola.
“Oggi tornerà” dice Efigio.
La moglie lo guarda per qualche secondo, poi abbassa lo sguardo.
“Mangiamo” dice Aliza e serve il marito.
Tra le vie di Cerunnos c’è un certo tumulto. Le minuscole porte delle piccole case in legno, si aprono e si chiudono in continuazione. Donne e uomini fanno su e giù trasportando casse piene di cibo fino alla piazza centrale, dove le lasciano in un’area delimitata con dei segni in gesso.
Il sole riscalda e illumina il paesino, svelando le ombre dei passanti. Il vento accarezza i tetti delle abitazioni.
Da una casa esce una donna. Indossa un velo rosso e porta una cesta con sé. Al suo interno, un lenzuolo copre un neonato che dorme profondamente. Non si sveglia neanche quando la donna deposita la cesta vicino alle casse di legno e piange, inginocchiata accanto al pargolo.
“Dobbiamo andare” dice Aliza mentre abbraccia il marito e accoglie le sue lacrime sul petto.
“Tutto questo non ha senso, dovremmo ribellarci” dice Efigio.
“Sai che non ci possiamo fare niente, le cose funzionano così da sempre. Non possiamo far altro che accetarle”.
“Perché dobbiamo accettarle per forza? Potremmo prendere Elpis e fuggire da qui. Ho sentito che esiste un altro villaggio e se così fosse sono sicuro che accoglierebbe volentieri una famiglia come la nostra. Io sono un buon lavoratore e tu un’ottima cuoca. Ci renderemmo utili”. Efigio trascina la moglie alla finestra e indica la gente che passa. “Guardali. Guarda i loro occhi. Non sanno cos'è la felicità. Non sanno cosa vuol dire essere liberi. Dobbiamo provare”.
Mentre il marito parla Aliza lo guarda negli occhi. Le dita della mano destra strappano una pellicina vicino a un’unghia della mano sinistra, fino a farla sanguinare. Gli occhi le si velano di lacrime che tenta di non far sgorgare. Elpis dorme.
“Lo sai che farei di tutto per te. E sai che farei di tutto per lui. Ma non possiamo fuggire. Ci troverebbe e allora la punizione sarebbe persino peggiore”.
“Come fai a dire che ci troverà? Saremo attenti”.
“Così è scritto e così sarà”.
“Non tutto quello è scritto deve avverarsi. E se fosse tutta una farsa? Se l’avessero scritto loro per tenerci sotto il loro giogo?”.
Lo schiaffo arrivò violento sul viso di Efigio.
“Ora basta. Dobbiamo farlo. Non possiamo rinnegare tutto ciò che è stato. Renderemmo tutti i sacrifici inutili. Pensa a tua sorella. Vuoi che tutto sia stato in vano?”.
Una donna esce da una casa. Indossa un velo blu e porta una cesta con sé. Va a depositarla accanto all’altra cesta. Le campane rintoccano. È giunta l’ora.
“Se non vieni con me dovrò andare da solo. Non costringermi a farlo”.
I coniugi si guardano negli occhi a lungo. Trattengono il respiro. Lo sguardo di Efigio si posa su Elpis. Lo sguardo di Aliza va al coltello che ha usato per tagliare il coniglio.
“Non lo fare” dice Aliza “Non mi costringere, ti prego”.
“Non mi lasci altra scelta”. Con uno scatto l’uomo balza sulla culla e fa per prendere il neonato in braccio. Aliza corre al coltello, lo afferra, e lo punta verso l’uomo. Efigio afferra Elpis e lo usa come scudo.
“Non mi hai lasciato altra scelta”, dice, poi indietreggia ed esce dalla porta.
Mentre Efigio esce di casa correndo e trasportando Elpis in braccio, l’uomo incappucciato arriva in città a passo lento, serafico. Si dirige verso la piazza centrale. Osserva le casse ricolme di cibo, le due ceste coi bambini che dormono. Si accovaccia, passa le mani guantate sulle guance rosee dei neonati. Si avvicina e li annusa. Emette un sibilo ferino.
Gli abitanti del villaggio, che si sono chiusi nelle loro case, osservano inorriditi la scena dalle finestre e sentono un brivido lungo la schiena nel momento in cui l’uomo incappucciato si avvicina ai volti dei bambini.
L’uomo si rialza e si avvicina alla casa di Aliza e Efigio. Entra e trova la donna in ginocchio, il coltello abbandonato sul pavimento.
“L’hai lasciato fuggire”. La voce dell’uomo incappucciata risuona con quella delle bestie più feroci.
Aliza non alza lo sguardo.
“Conosci le Scritture. Sai cosa succederà”.
Efigio corre seguendo il sentiero nel bosco. Il bambino sulla spalla comincia a pesare, le gambe a farsi rigide per lo sforzo, ma sa di non poter rallentare, non ancora. La speranza comincia a farsi largo in lui quando esce dal bosco e si ritrova in una vasta radura, tiepida dei raggi del sole morente. Il sudore gli cola dalla fronte, gli infradicia i vestiti e rende la presa su Elpis meno sicura. Si ferma, riprende fiato e deposita con cautela il bambino in terra. Si asciuga le mani sui pantaloni e si guarda intorno alla ricerca di un posto dove passare la notte. Non può accendere un fuoco perché rischierebbe di farsi scoprire, quindi raccoglie foglie e sterpi dal vicino bosco e costruisce un rifugio improvvisato dove potersi rannicchiare insieme al figlio.
Passata la notte l’uomo riprende il suo cammino, con più calma, ormai convinto di non essere inseguito da nessuno. I giorni di viaggio passano tranquilli, riesce a procurarsi il cibo necessario per far sopravvivere lui e Elpis, e grazie alle sue abilità di costruttore riescono a non soffrire mai il freddo. Dopo cinque giorni di cammino intravede finalmente un villaggio. Il passo si fa più rapido, trepidante. Vede delle persone che camminano per le vie della città. Vede il campanile. Vede Konta, il suo vicino. Vede Aliza, davanti alla porta di casa loro. Vede l’uomo incappucciato, che lo attende al centro della piazza.