Colazione artica - Fernando Nappo
Inviato: martedì 19 dicembre 2017, 0:48
Colazione artica
di Fernando Nappo
Babbo Natale sfilò una bustina di plastica dalla tasca interna della giubba e ne rovesciò il candido contenuto sul tavolo della cucina. Prese un robusto biglietto natalizio, sul quale la sua effigie risaltava più opulenta e rubizza di quanto non fosse in realtà, e cominciò con piccoli colpi a sminuzzare la polvere. Raggiunta la finezza gradita alle sue narici, formò due mega piste da trenta centimetri l’una.
Gli elfi lo osservavano, visibilmente imbarazzati.
«Be’, ragazzi, che c’è da guardare?» li apostrofò Babbo Natale. «Con tutto il lavoro che c’è da fare stanotte ci vuole una colazione più robusta del solito. Non siete d’accordo?».
Sfilò dalla tasca la letterina di un bambino, l’arrotolò a mo’ di cannuccia, se la infilò in una narice e tirò su d’un fiato la prima pista.
Si radrizzò sulla sedia, il pollice appoggiato a chiudere l’altra narice, aspirando a pieni polmoni, rosso in faccia quanto la sua giubba.
«Ahhhhh, raggazzziiiiiii, ora sì che si ragiona! Uoohhh...»
Sbottonò la giubba, si sfilò il cappello e lo butto a uno degli elfi. «M’è venuto caldo. Chissà come mai, eh?» Scoppiò in una sonora risata.
Bratel, uno dei suoi più fidati aiutanti, fece un passo avanti.
«Babbo, sappi, e parlo a nome di tutti, che troviamo inaccettabile la tua attuale condotta. Così metti a rischio la tua e la nostra credibilità, la proverbiale aura di efficienza e laboriosità di cui godiamo da millenni.»
Babbo Natale scoppiò di nuovo a ridere, fino a che la risata non gli si strozzò in gola in un accesso di tosse. «Quante menate, ragazzo mio» disse non appena ebbe ripreso il controllo. «Diciamo che questo è il mio regalo di Natale. Me lo sono fatto da solo, e ora me lo sto godendo. Che cosa c’è che non va? Non ti pare che stia rispettando in pieno lo spirito natalizio?
«Ti prego, Babbo Natale. Pensa se si venisse a sapere...»
«E chi mai dovrebbe parlare? Le renne forse?» tagliò corto Babbo Natale, esplodendo in un’altra grassa risata.
Si infilò di nuovo la letterina/cannuccia nel naso e si tuffò sulla seconda pista, che sparì nei suoi polmoni in meno di un secondo.
«Yaaahiiiii!» urlò Babbo Natale, gli occhi sgranati e fuori dalle orbite. Sbuffava e aspirava che sembrava il motore turbodiesel di un autoarticolato al massimo dei giri, le narici dilatate come un toro davanti alla muleta. «Basta stupidaggini, adesso. Datevi una mossa, fra poco devo partire. Voglio tre o quattro robuste fette di torta. Con tanto zucchero a velo sopra, mi raccomando» disse strizzando l’occhio alla sua platea. «E portatemi del latte, un fiume di latte.»
Si alzò, recuperò il cappello e se lo calò in testa. Carico di nuova energia, si mise a impartire ordini: «Forza ragazzi, forza. Datevi una mossa, che siamo allo sprint finale. E non scordatevi delle renne. Latte e torta a volontà anche alle renne. Abbondate con le porzioni, per la miseria, abbondate. È Natale o no, eh?»
***
In volo, solo al comando della slitta, Babbo Natale rimuginava sull’accaduto. «Com’è che ha detto quel piccolo rompiscatole? La proverbiale aura di efficienza e laboriosità. Ma come accidenti parla?»
Una renna bramì, forse in cenno d’approvazione. O forse no.
«Quelli non hanno idea. Proprio no. A loro un anno intero per preparare doni e giocattoli, a me una sola notte. Vi pare giusto?» disse rivolto alle renne.
«Certo, viaggiare verso est aiuta, si guadagna tempo, ma è pur sempre un lavoraccio, per la miseria. E poi adesso sono quasi otto miliardi, laggiù. E continuano ad aumentare. È davvero un’impresa.»
Sbuffò, e diede una tiratina alle redini, per tenere la slitta sulla giusta via. Le renne tiravano come delle dannate, e sembravano ben decise a dar fondo a tutte le loro energie pur di finire per tempo.
«Non siamo più dei ragazzini, care mie. Siamo sulla scena da un sacco di tempo, e il nostro è davvero un lavoro pesante.»
Le renne risposero con un corale bramito, certamente d’approvazione.
«E anche quei piccoli rompiscatole, nemmeno loro sono più dei giovincelli, e il lavoro aumenta anche per loro e il tempo a disposizione è sempre meno. Se solo sapessero. Se solo conoscessero la composizione della farina con la quale da anni preparano pasta, pane e torte per tutta la baracca. Altro che farmi la morale. Quei piccoli, stupidi esserini, così perbenino, così calati nella parte che devo mettergli il turbo a loro insaputa. Altrimenti ci mettono tre anni a preparare i giocattoli di un solo Natale. Poi vedi che casino...»
La renna in testa al convoglio emise un bramito cupo, stranito, interrogativo.
«Certo, mia cara» rispose Babbo Natale. «Anche quello che preparano per voi. Che vi credevate, di andare ogni anno più veloci per miracolo? Solamente perché è Natale?»
Babbo Natale diede uno strattone alle redini. «Forza, care le mie illuse. Dateci dentro, energia ne avete da vendere. E vedete di non far parola con nessuno di quello che vi ho detto. Altrimenti l’anno prossimo la cavalcata ve la faccio fare senza darvi neppure una fetta di torta. Intesi?»
di Fernando Nappo
Babbo Natale sfilò una bustina di plastica dalla tasca interna della giubba e ne rovesciò il candido contenuto sul tavolo della cucina. Prese un robusto biglietto natalizio, sul quale la sua effigie risaltava più opulenta e rubizza di quanto non fosse in realtà, e cominciò con piccoli colpi a sminuzzare la polvere. Raggiunta la finezza gradita alle sue narici, formò due mega piste da trenta centimetri l’una.
Gli elfi lo osservavano, visibilmente imbarazzati.
«Be’, ragazzi, che c’è da guardare?» li apostrofò Babbo Natale. «Con tutto il lavoro che c’è da fare stanotte ci vuole una colazione più robusta del solito. Non siete d’accordo?».
Sfilò dalla tasca la letterina di un bambino, l’arrotolò a mo’ di cannuccia, se la infilò in una narice e tirò su d’un fiato la prima pista.
Si radrizzò sulla sedia, il pollice appoggiato a chiudere l’altra narice, aspirando a pieni polmoni, rosso in faccia quanto la sua giubba.
«Ahhhhh, raggazzziiiiiii, ora sì che si ragiona! Uoohhh...»
Sbottonò la giubba, si sfilò il cappello e lo butto a uno degli elfi. «M’è venuto caldo. Chissà come mai, eh?» Scoppiò in una sonora risata.
Bratel, uno dei suoi più fidati aiutanti, fece un passo avanti.
«Babbo, sappi, e parlo a nome di tutti, che troviamo inaccettabile la tua attuale condotta. Così metti a rischio la tua e la nostra credibilità, la proverbiale aura di efficienza e laboriosità di cui godiamo da millenni.»
Babbo Natale scoppiò di nuovo a ridere, fino a che la risata non gli si strozzò in gola in un accesso di tosse. «Quante menate, ragazzo mio» disse non appena ebbe ripreso il controllo. «Diciamo che questo è il mio regalo di Natale. Me lo sono fatto da solo, e ora me lo sto godendo. Che cosa c’è che non va? Non ti pare che stia rispettando in pieno lo spirito natalizio?
«Ti prego, Babbo Natale. Pensa se si venisse a sapere...»
«E chi mai dovrebbe parlare? Le renne forse?» tagliò corto Babbo Natale, esplodendo in un’altra grassa risata.
Si infilò di nuovo la letterina/cannuccia nel naso e si tuffò sulla seconda pista, che sparì nei suoi polmoni in meno di un secondo.
«Yaaahiiiii!» urlò Babbo Natale, gli occhi sgranati e fuori dalle orbite. Sbuffava e aspirava che sembrava il motore turbodiesel di un autoarticolato al massimo dei giri, le narici dilatate come un toro davanti alla muleta. «Basta stupidaggini, adesso. Datevi una mossa, fra poco devo partire. Voglio tre o quattro robuste fette di torta. Con tanto zucchero a velo sopra, mi raccomando» disse strizzando l’occhio alla sua platea. «E portatemi del latte, un fiume di latte.»
Si alzò, recuperò il cappello e se lo calò in testa. Carico di nuova energia, si mise a impartire ordini: «Forza ragazzi, forza. Datevi una mossa, che siamo allo sprint finale. E non scordatevi delle renne. Latte e torta a volontà anche alle renne. Abbondate con le porzioni, per la miseria, abbondate. È Natale o no, eh?»
***
In volo, solo al comando della slitta, Babbo Natale rimuginava sull’accaduto. «Com’è che ha detto quel piccolo rompiscatole? La proverbiale aura di efficienza e laboriosità. Ma come accidenti parla?»
Una renna bramì, forse in cenno d’approvazione. O forse no.
«Quelli non hanno idea. Proprio no. A loro un anno intero per preparare doni e giocattoli, a me una sola notte. Vi pare giusto?» disse rivolto alle renne.
«Certo, viaggiare verso est aiuta, si guadagna tempo, ma è pur sempre un lavoraccio, per la miseria. E poi adesso sono quasi otto miliardi, laggiù. E continuano ad aumentare. È davvero un’impresa.»
Sbuffò, e diede una tiratina alle redini, per tenere la slitta sulla giusta via. Le renne tiravano come delle dannate, e sembravano ben decise a dar fondo a tutte le loro energie pur di finire per tempo.
«Non siamo più dei ragazzini, care mie. Siamo sulla scena da un sacco di tempo, e il nostro è davvero un lavoro pesante.»
Le renne risposero con un corale bramito, certamente d’approvazione.
«E anche quei piccoli rompiscatole, nemmeno loro sono più dei giovincelli, e il lavoro aumenta anche per loro e il tempo a disposizione è sempre meno. Se solo sapessero. Se solo conoscessero la composizione della farina con la quale da anni preparano pasta, pane e torte per tutta la baracca. Altro che farmi la morale. Quei piccoli, stupidi esserini, così perbenino, così calati nella parte che devo mettergli il turbo a loro insaputa. Altrimenti ci mettono tre anni a preparare i giocattoli di un solo Natale. Poi vedi che casino...»
La renna in testa al convoglio emise un bramito cupo, stranito, interrogativo.
«Certo, mia cara» rispose Babbo Natale. «Anche quello che preparano per voi. Che vi credevate, di andare ogni anno più veloci per miracolo? Solamente perché è Natale?»
Babbo Natale diede uno strattone alle redini. «Forza, care le mie illuse. Dateci dentro, energia ne avete da vendere. E vedete di non far parola con nessuno di quello che vi ho detto. Altrimenti l’anno prossimo la cavalcata ve la faccio fare senza darvi neppure una fetta di torta. Intesi?»