Milionario - di Giancarmine Trotta
Inviato: martedì 19 dicembre 2017, 0:49
Milionario
di Giancarmine Trotta
“Peppi'”.
“Eh”.
“Io so' uscito sabato, lo sai no?”
“Eh”.
“Non mi so' fatto nemmeno 'na chiavata Peppi'”.
“Eh lo immagino Nicola, lo immagino”.
“Mi fido di te”.
“Ciao!”
“Sei tornato finalmente, mi stavo preoccupando Daniele”.
“Cioè?”
“E' quasi mezzanotte. Domani hai lezione all'università, tutto qui”.
Sorrisi ammiccando, poi le risposi col solito piglio: “Concilio corsi complicati con cene confidenziali”.
“Ma hai studiato oggi?”
“Certo, cento copie cartacee”.
Lei capì, e sentendosi presa in giro ancora una volta, non riuscì a trattenersi.
“Basta Daniele! Basta! Perché fai così? Ti diverti a prendermi in giro anche ora che siamo rimasti soli io e te!”
“Cosa?”
“Vedi! Ancora! Oggi è il giorno della “C” e parli solo così!”
“Così come?”
“Danie', io ti ho messo al mondo e io t'ammazzo”.
Ebbi quasi paura. Aveva gli occhi spiritati, il petto gonfio e colorato di rosso. Decisi di restare in silenzio, anche se avrei voluto dirle “Calmiamoci, ci conviene”. Allora lei continuò con la solita storia del lavoro, della famiglia e della casa.
“Lavoro venti ore al giorno per gestire l'azienda del babbo e fare la mamma. Lavoro anche di sabato, di domenica, sempre! Vorrei solo un po' di rispetto Daniele. Solo quello”.
Sulle ultime sillabe sentii la voce abbassarsi.
Era quello il momento di farla sentire importante, di accarezzarla.
Il silenzio della nostra villa ci avvolse in un ulteriore abbraccio, e la foto del babbo illuminata da una luce insicura sembrava annuire a quella pace ritrovata.
“Notte”.
Bastò quella piccola parola per trasformarla nella mamma più affettuosa del mondo. Effusioni a cui non ero più abituato mi colsero quasi di sorpresa.
Ingenua.
Un nuovo giorno era appena nato. E con lui decisi un nuovo gioco: parlo solo con le doppie.
“Peppi' io ti seguo”.
“Zitto e vieni appresso a me. Monta su questo muretto e...”
“E l'allarme Peppi'?”
“Hai rotto il cazzo. Seguimi e basta. Ora salta e non far rumore”.
“Si Peppì”
“Ecco la casa. Dobbiamo entrare dalla finestra d'angolo, al piano terra, come ti ho spiegato. Le camere da letto sono sulla destra, ok?”
“Sì sì sì”.
“Tu pensa alla donna e io bado al ragazzo”.
Ero nel letto da pochi minuti quando sentii alcuni sibili arrivare dalla stanza della mamma.
“Tutt'apposto mamma?”
La risposta arrivò forte e improvvisa.
Sentii il sangue scendere dal naso e caddi per terra dolorante.
La mano che mi aveva appena colpito accese la luce e la prima cosa che vidi fu il mio sangue sul pavimento.
Durò un attimo.
Il tempo di ricevere un altro colpo e un altro ancora, prima di perdere i sensi.
“Daniele, Daniele”.
Martello, incudine e staffa fecero percepire il suono del mio nome al cervello. Aprii lentamente l'occhio destro e vidi degli uomini in divisa.
“Daniele! Ciao Daniele, stai tranquillo. Scusaci se siamo a casa tua a quest'ora della notte”.
Annuii a fatica e lui continuò.
"I vostri vicini hanno sentito delle urla e ci hanno chiamati".
“Mamma?”
Intanto una poliziotta cercava di asciugarmi le ferite, anticipando quanto avrebbe fatto di lì a poco il personale dell'ambulanza.
“Daniele non ti preoccupare, ora vai in ospedale e porta i documenti e il telefono. Dimmi solo se hai visto chi ti ha ridotto così. Al resto penseremo noi”.
“Peppi' ora che si fa, che si fa?”
“Occhi aperti e aspettiamo”.
“Cosa?”
“Tu non devi pensare, hai capito? Ti pago per fare, non per pensare”.
“Vabbuono Peppi'. Ma questa è quasi morta comunque”.
“Se muore ora non riusciremo a prendere un euro. Ti avevo detto di tenerla stretta, non di soffocarla”.
“La paura Peppi'”.
“Nico' ma vaffanculo va. Ci giochiamo un sacco di soldi e tu hai rischiato di ammazzarla”.
In ospedale furono tutti efficienti. Alle quattro del mattino, poche ore dopo l'aggressione, ero stato ripulito, igienizzato e avevo una stanza tutta mia con un dottore e un'infermiera davanti ai monitor delle funzioni vitali.
Non tardarono a capire che stavo meglio del previsto.
“Come va Daniele?”
“Tranquillo dottore”.
Mi riposai e li vidi assentarsi pochi minuti per poi ritornare.
Mi girai nel lettino e notai che le loro assenze erano via via superiori.
Mancava poco alle sei e passarono a salutarmi prima del cambio turno, tranquillizzandomi.
Dopo le sei fui solo.
Presi il telefono e composi il numero a memoria.
Pensai che era già il terzo gioco in poche ore, stavo migliorando.
“Mamma. Mamma mia. Mi mancherai mamma”.
La vidi mentre spalancava gli occhi a fatica. Probabilmente era felice di vedermi.
Ingenua.
Non parlò e allora continuai.
“Mamma migliorerò. M'arricchirò mamma. Monetizzerò.
Una flebile voce arrivò dall'altra parte del telefono.
“Perché?”
“Madre mia. Mediterò
“Andrai all'inferno Daniele!”
Risi, mentre la pistola era ormai pronta sopra la sua testa. Così la congedai dalla sua vita terrena a modo mio.
“Morirò. Ma milionario”.
Spensi il telefono e pensai al modo migliore per eliminare subito quei due scemi.
di Giancarmine Trotta
“Peppi'”.
“Eh”.
“Io so' uscito sabato, lo sai no?”
“Eh”.
“Non mi so' fatto nemmeno 'na chiavata Peppi'”.
“Eh lo immagino Nicola, lo immagino”.
“Mi fido di te”.
“Ciao!”
“Sei tornato finalmente, mi stavo preoccupando Daniele”.
“Cioè?”
“E' quasi mezzanotte. Domani hai lezione all'università, tutto qui”.
Sorrisi ammiccando, poi le risposi col solito piglio: “Concilio corsi complicati con cene confidenziali”.
“Ma hai studiato oggi?”
“Certo, cento copie cartacee”.
Lei capì, e sentendosi presa in giro ancora una volta, non riuscì a trattenersi.
“Basta Daniele! Basta! Perché fai così? Ti diverti a prendermi in giro anche ora che siamo rimasti soli io e te!”
“Cosa?”
“Vedi! Ancora! Oggi è il giorno della “C” e parli solo così!”
“Così come?”
“Danie', io ti ho messo al mondo e io t'ammazzo”.
Ebbi quasi paura. Aveva gli occhi spiritati, il petto gonfio e colorato di rosso. Decisi di restare in silenzio, anche se avrei voluto dirle “Calmiamoci, ci conviene”. Allora lei continuò con la solita storia del lavoro, della famiglia e della casa.
“Lavoro venti ore al giorno per gestire l'azienda del babbo e fare la mamma. Lavoro anche di sabato, di domenica, sempre! Vorrei solo un po' di rispetto Daniele. Solo quello”.
Sulle ultime sillabe sentii la voce abbassarsi.
Era quello il momento di farla sentire importante, di accarezzarla.
Il silenzio della nostra villa ci avvolse in un ulteriore abbraccio, e la foto del babbo illuminata da una luce insicura sembrava annuire a quella pace ritrovata.
“Notte”.
Bastò quella piccola parola per trasformarla nella mamma più affettuosa del mondo. Effusioni a cui non ero più abituato mi colsero quasi di sorpresa.
Ingenua.
Un nuovo giorno era appena nato. E con lui decisi un nuovo gioco: parlo solo con le doppie.
“Peppi' io ti seguo”.
“Zitto e vieni appresso a me. Monta su questo muretto e...”
“E l'allarme Peppi'?”
“Hai rotto il cazzo. Seguimi e basta. Ora salta e non far rumore”.
“Si Peppì”
“Ecco la casa. Dobbiamo entrare dalla finestra d'angolo, al piano terra, come ti ho spiegato. Le camere da letto sono sulla destra, ok?”
“Sì sì sì”.
“Tu pensa alla donna e io bado al ragazzo”.
Ero nel letto da pochi minuti quando sentii alcuni sibili arrivare dalla stanza della mamma.
“Tutt'apposto mamma?”
La risposta arrivò forte e improvvisa.
Sentii il sangue scendere dal naso e caddi per terra dolorante.
La mano che mi aveva appena colpito accese la luce e la prima cosa che vidi fu il mio sangue sul pavimento.
Durò un attimo.
Il tempo di ricevere un altro colpo e un altro ancora, prima di perdere i sensi.
“Daniele, Daniele”.
Martello, incudine e staffa fecero percepire il suono del mio nome al cervello. Aprii lentamente l'occhio destro e vidi degli uomini in divisa.
“Daniele! Ciao Daniele, stai tranquillo. Scusaci se siamo a casa tua a quest'ora della notte”.
Annuii a fatica e lui continuò.
"I vostri vicini hanno sentito delle urla e ci hanno chiamati".
“Mamma?”
Intanto una poliziotta cercava di asciugarmi le ferite, anticipando quanto avrebbe fatto di lì a poco il personale dell'ambulanza.
“Daniele non ti preoccupare, ora vai in ospedale e porta i documenti e il telefono. Dimmi solo se hai visto chi ti ha ridotto così. Al resto penseremo noi”.
“Peppi' ora che si fa, che si fa?”
“Occhi aperti e aspettiamo”.
“Cosa?”
“Tu non devi pensare, hai capito? Ti pago per fare, non per pensare”.
“Vabbuono Peppi'. Ma questa è quasi morta comunque”.
“Se muore ora non riusciremo a prendere un euro. Ti avevo detto di tenerla stretta, non di soffocarla”.
“La paura Peppi'”.
“Nico' ma vaffanculo va. Ci giochiamo un sacco di soldi e tu hai rischiato di ammazzarla”.
In ospedale furono tutti efficienti. Alle quattro del mattino, poche ore dopo l'aggressione, ero stato ripulito, igienizzato e avevo una stanza tutta mia con un dottore e un'infermiera davanti ai monitor delle funzioni vitali.
Non tardarono a capire che stavo meglio del previsto.
“Come va Daniele?”
“Tranquillo dottore”.
Mi riposai e li vidi assentarsi pochi minuti per poi ritornare.
Mi girai nel lettino e notai che le loro assenze erano via via superiori.
Mancava poco alle sei e passarono a salutarmi prima del cambio turno, tranquillizzandomi.
Dopo le sei fui solo.
Presi il telefono e composi il numero a memoria.
Pensai che era già il terzo gioco in poche ore, stavo migliorando.
“Mamma. Mamma mia. Mi mancherai mamma”.
La vidi mentre spalancava gli occhi a fatica. Probabilmente era felice di vedermi.
Ingenua.
Non parlò e allora continuai.
“Mamma migliorerò. M'arricchirò mamma. Monetizzerò.
Una flebile voce arrivò dall'altra parte del telefono.
“Perché?”
“Madre mia. Mediterò
“Andrai all'inferno Daniele!”
Risi, mentre la pistola era ormai pronta sopra la sua testa. Così la congedai dalla sua vita terrena a modo mio.
“Morirò. Ma milionario”.
Spensi il telefono e pensai al modo migliore per eliminare subito quei due scemi.