LUDUS IN FABULA
Inviato: giovedì 15 marzo 2018, 16:24
«I miei complimenti, Caio Sestio!»
Numerio Negidio passeggiava a fianco dell’amico oratore in una Roma, da poco accarezzata dai primi cupi raggi del sole di autunno. L’aria frizzante del mattino lambiva dolcemente ogni centimetro della sua pelle, infilandosi rapida sotto la candida toga.
«Ho fatto soltanto il mio dovere.»
Ovviamente il giovane allievo non poteva essere d’accordo con la modesta opinione del maestro.
«Niente affatto, Caio, sei riuscito in un impresa grandiosa, una fatica pari a quelle di Ercole! Far propendere il comizio centuriato a favore di una legge emessa nell’esclusivo interesse della plebe è qualcosa al dì là di ogni più rosea aspettativa.»
L’anziano tribuno abbassò la testa.
«Non abbiamo ancora fatto niente, Numerio, il voto definitivo è fissato per questa sera e non è detto che i pochi patrizi che sono riuscito a portare dalla nostra parte, mantengano l’opinione già espressa e la parola data.»
Il giovanotto non riuscì a trattenere l’immatura impulsività e, allungando il passo, si portò faccia a faccia con il proprio interlocutore, con la bocca semiaperta in un sorriso lieto e appassionato.
«Stavolta vinceremo, ne sono sicuro. Ti basterà aprire bocca, Giove ti ha donato la capacità quasi magica di toccare il cuore di chiunque con le parole. Gli stessi patrizi, posti dinanzi alla propria ingordigia, si vergognano a votarti contro. Io dico che si prospetta un futuro di maggior libertà per il popolo romano e per la nostra gens.»
Il maestro sorrise.
«Sai, Numerio, alle volte mi piacerebbe avere solo la metà del tuo fervore…»
Urla affannate e uno scalpitio di passi alle spalle dei due amici non poté che attrarre la loro attenzione. Dal decumano sud giungeva di corsa, trafelato e non ancora completamente vestito, Agenore, il liberto di origine fenicia, che abitava la casa di Caio Sestio. Stava gridando proprio nella loro direzione e, subito, il cuore del maestro venne accelerato dall’apprensione.
«Amico Agenore. Che succede?»
Il nuovo arrivato si piegò in due soffocato dall’affanno, tentando di recuperare quel poco di fiato che gli avrebbe consentito, a breve, di iniziare il suo discorso.
«Agerio… L’hanno portato dal pretore… Erano in quattro… gens Iulia… Hanno detto per debiti di gioco…»
La gola si era strozzata dopo ogni parola, ma il messaggio era stato, seppur maldestramente, consegnato. Il figlio minore di Caio si era, evidentemente, messo in un grosso guaio. E sarebbe toccato al padre trovare, come sempre, una soluzione adeguata.
«Agenore, dobbiamo agire in fretta. Torna a casa e fatti consegnare da mia moglie tutti i nostri risparmi, portameli dal Pretore o, se sarà tardi, al mercato.»
Il liberto si limitò a un gesto di assenso con la testa e, con il cuore che quasi gli scoppiava, riprese la sua corsa disperata nella direzione opposta a quella da cui era venuto.
«Presto, Numerio, dal magistrato! Voglio capire che cosa è successo e, se possibile, spendere alcune parole in difesa di quell’incosciente di mio figlio.»
** * ** * **
Accecato dalla preoccupazione, l’anziano oratore si accinse a oltrepassare la soglia del pretore senza curarsi dei due littori all’ingresso, che, immediatamente, incrociarono le daghe dinanzi al suo petto, per arrestarne l’avanzata.
«Dove volete andare?»
Caio Sestio si profuse in un saluto carico di disperazione e fissando le due guardie con gli occhi umidi provvide a scusarsi e a evidenziare la propria necessità di parlare, quanto prima, col magistrato, da cui il figlio era stato condotto neanche un’ora prima.
Ovviamente, come sempre accadeva, le sue parole fecero immediatamente breccia nel cuore dei due interlocutori che, subito, misero l’uomo a parte di quanto a loro conoscenza, affinché gli fosse utile per mutare la sorte e propiziare lieti eventi.
«Deve essere il ragazzo condotto qui poco fa.»
«Povero disgraziato, non capiva nemmeno quello che stava accadendo!»
«Doveva aver passato la notte al bordello per come era ancora ubriaco.»
«L’hanno riempito di botte e il pretore l’ha fatto condurre al mercato.»
«Il creditore spergiurava che gli dovesse un sacco di assi.»
«Non ho capito quante erano, ma a giudicare da come tutti sbraitavano, doveva essere una bella somma.»
«In ogni caso è stato considerato pubere, capace e portato via in vinculis.»
«Sì, a questo punto saranno tutti già al mercato.»
Ogni parola, una stilettata al cuore dell’anziano padre. Vino e gioco? Come aveva fatto Agerio a mettersi in una situazione simile? V’era davvero poco altro da fare, se non cercare di andare a riscattarlo dal creditore il prima possibile. I pensieri del pover’uomo si riempirono subito di immagini terribili, in cui la carne della sua carne urlante veniva tagliata con efferata crudeltà da spiriti malvagi.
Caio Sestio allontanò dalla mente il terribile presagio di morte e le orribili immagini che si erano avvicendate nel vecchio cuore.
«Numerio, devi accompagnarmi al mercato. Ho bisogno di tutto il tuo sostegno. Sono nell’ora più cupa che un anziano padre possa affrontare.»
«Non ho la minima intenzione di abbandonarti, maestro. Corriamo al mercato, troveremo senz’altro il modo per riscattare Agerio.»
Nonostante le parole del discepolo, il volto dell’uomo non accennava a riprendere la propria originaria colorazione, rimanendo pallido e cinereo. Mentre i due procedevano a passo svelto, le sue parole arrivarono violente, come pugnalate: «Conosci la legge. L’actio per manus iniectionem è quanto di più spietato abbiano previsto i mores, se non sarò in grado di pagare il debito di mio figlio, verrà tagliato a pezzi e il suo corpo diviso tra i creditori.».
Una lacrima chiosò la terribile sentenza appena proferita, mentre la testa canuta del vecchio si scuoteva disperata ad ogni passo, altalenando in mezzo ai sospiri.
** * ** * **
«Finalmente giunge qualcuno a interessarsi di questo truffatore vigliacco».
Il centro città brulicava di gente che procedeva da una taberna all’altra a caccia di merci pregiate o anche soltanto di beni prima necessità.
Per ironia della sorte o anche solo quale ultimo atto di scherno, Agerio se ne stava legato, con gli occhi semiaperti e il volto livido per i colpi ricevuti, con le spalle alla più nota taberna vinaria di tutta Roma.
Il padre si avvicinò al figlio, esaminandone le piaghe aperte sul corpo e sul volto.
«C’era bisogno di ridurlo in questo modo?»
Immediatamente, l’uomo della gens Iulia, che pareva essere il vero interessato alla vicenda, circondato da altri quattro familiari, riprese la feroce filippica appena interrotta.
«Non è nulla a confronto del danno che la tua genia ha arrecato a me e alla mia famiglia. Ha giocato e ha scommesso oltre cinquemila assi e non ha nemmeno gli occhi per piangere.»
Cinquemila daghe appuntite si infilarono nel cuore dell’anziano genitore. Nemmeno in una vita intera sarebbe riuscito a risparmiare una simile somma. Quei denari non ci sarebbero stati oggi, né nei due mercati successivi.
Mentre ancora una lacrima solcava il suo volto, poche parole disperate vibrarono sulle labbra del pover’uomo, rivolte al figlio semi incosciente per i fumi della notte di bagordi e i molti colpi ricevuti.
«Che cosa hai fatto, scellerato?»
Subito Numerio si portò a sostenere il maestro, sussurrando al suo orecchio il suo appello più accorato.
«Non ti arrendere, Caio. Hai arringato pubblici più difficili, hai convinto i patrizi a votare contro i propri interessi, hai portato giustizia dove non c’era. Parla con loro, spiega che sarebbe un errore uccidere quello che non è un truffatore, ma solo un incosciente. Arriveranno le tue parole dove non possono le tue sostanze!»
Il più grande oratore plebeo della Roma repubblicana si allontanò dal figlio e dall’allievo e si pose frontale agli aguzzini, aprendo le mani in segno di accogliente e incondizionata resa. Negli occhi, ancora gonfi di lacrime, si era accesa la modesta luce di una rinnovata speranza.
«Amici, non parlo a voi come padre, ma come cives romano. Non v’è alcun danno da risarcire che possa aver cagionato questo mio figlio sciocco e sprovveduto. Certo in nottata la rispettabile gens Iulia, che vi onorate di rappresentare, non avrà assunto obbligazione alcuna con chicchessia confidando nelle somme perse al gioco da questo ragazzo. Ora, cinquemila assi sono una quantità di denari davvero ragguardevole e, come potete immaginare, nemmeno un saggio tribuno della plebe, come quello che vi sta dinanzi, può averle risparmiate in tutta una vita. La morte di uno sciocco, certamente, non vi potrà ripagare dell’onta sofferta nell’aver creduto agli impegni ignobilmente assunti da chi ben sapeva di non potervi far fronte. Se v’è qualcosa che io possa fare per salvargli la vita, sono qua, disposto finanche a lavorare come schiavo per voi, per il tempo che il padre Giove vorrà ancora donarmi su questa terra.”
Fu proprio in quel momento che, alle spalle dell’oratore, giunse trafelato e quasi affogato da una corsa che sembrava avergli strappato il cuore dal petto, il liberto fenicio recando una borsa sonante di monete.
Caio Sestio si voltò, sorridendo bonario al nuovo arrivato e traendo la pesante tracolla dalle sue spalle affaticate.
«Amico Agenore, che gli dei ti conservino sempre così fedele!»
Lo sguardo dell’uomo sull’insufficiente contenuto della sporta, parlò prima di lui.
«Saranno quasi cinquecento assi e, assieme alla mia vita, è tutto quello che ho.»
Con gesto teatrale, l’anziano padre si inginocchiò dinanzi ai creditori, frapponendo sé stesso al figlio legato e ponendo i denari ai loro piedi.
Segui un applauso isterico e davvero poco convinto del sedicente truffato.
«Bravo, il nostro Caio Sestio. Davvero delle belle parole! Ma che non mi ripagheranno della grave perdita sofferta.»
Lo sguardo del penitente, si riempì di lacrime e si portò, ancora una volta, negli occhi dei suoi aguzzini, mentre le parole del suo avversario si facevano ancora più chiare e taglienti.
«No. Non c’è niente che io voglia dalla tua gente, se non quanto mi spetta ex lege e mi pare che tu abbia qui, candidamente, ammesso di non avere denari a sufficienza per riscattare l’inutile carne della tua carne, che ha truffato me e i miei parenti al tavolo da gioco. Esisterà senz’altro un giureconsulto che mi consenta di dare immediata esecuzione alla sentenza del pretore, atteso che, nemmeno tra altri due mercati, la tua pezzente famiglia avrà denari a sufficienza per riscattare il vostro sudicio agnello. Andate a chiamare un littore. Voglio che questa giovane serpe sia trattata come merita.»
Mentre alzava il braccio a indicare la via per gli alloggi del pretore ai propri compagni, lo sguardo dell’uomo si fece improvvisamente sadico e si fisso negli occhi del padre disperato.
«A meno che, e sia ben chiaro, lo dico solo per la bontà d’animo propria della mia gente, tu non voglia offrirmi in dono quella tua lingua che tutta Roma invidia. Potrebbe fare bella mostra di sé, in un barattolo di sale, sulla soglia della mia domus. Non ne saresti onorato, Caio Sestio?»
Quando al padre è donata la vita del figlio, ogni altro perde consistenza, diviene rarefatto, quasi smettesse in quello stesso istante di esistere.
Gli occhi del più grande oratore di Roma si illuminarono di gioia e il suo parlare felice e concitato apparve, a tutti i presenti, dettato più da una mente ormai resa folle dal dolore che dall’intelletto.
«Cari amici, grazie. Io vi sono debitore! Prendetela, vi prego, prendete questa mia lingua, io non la adopero. Non mi è di alcuna utilità.»
L’uomo aprì le braccia, affinché lo potessero tenere in quella difficile operazione e spalancò la bocca ai dolci salvatori della vita del suo povero ragazzo.
Immediato fu il grido del giovane Numerio alle sue spalle.
«No! Maestro.»
Caio Sestio si limitò a scuotere la testa.
«Amico Agenore, trattenete questo mio impulsivo allievo dall’intervenire, ho prestato il mio consenso e il contratto è perfezionato. Aiutatemi a far si che questi miei buoni amici non vengano disturbati mentre prendono quello che è loro.»
Le robuste braccia del liberto fenicio afferrarono il giovane scalpitante, che quando la lama si avvicinò, serrò gli occhi per non dover assistere allo scempio. Non potè, ahimè, chiudere le orecchie alle grida che presto vi giunsero, soffocate dal sangue e dal dolore più acuto e pungente.
Quando tutto fu compiuto, quello che una volta era il grande oratore di Roma, tremava in una pozza del proprio sangue, tenendosi le mani serrate sulla bocca, con gli occhi, carichi di amore, fissi sulla figura semi addormentata del figlio, ancora avvolto nei fumi del vino della nottata da poco trascorsa, appoggiato alla parete della taberna.
** * ** * **
Mentre il sole del meriggio iniziava a percorrere la volta celeste in direzione della crosta terrestre, i membri del comizio centuriato di una Roma vivace e brulicante prendevano posizione sui propri scranni.
L’infido traditore si portò alle spalle delle fila dei patrizi, sibilando alle orecchie del più potente esponente della gens Cornelia.
«Tutto è andato secondo i piani! Caio Sestio non pronuncerà il suo discorso, né ora, né mai.»
Il volto dell’uomo si volse ad accogliere con il sorriso l’attesa spiata.
«Ne sei sicuro?»
«Come della fondazione di Roma sul solco tracciato da Romolo, mio signore. È bastato far ubriacare il figlio e condurlo al tavolo da gioco, dandolo in pasto a qualche nostro sostenitore tra la gens Iulia. Il resto lo hanno fatto le nostre leggi.»
«Dura lex sed lex»
Sorrise quell’uomo potente e insospettabile: «Bravo, Numerio Negidio, Roma ti sarà eternamente grata, sarai un ottimo tribuno della plebe.»
Intanto, sulla soglia di una domus plebea, il tramonto era offuscato dall’ombra di un vecchio padre, che stringeva con mani tremanti e copriva di baci il suo bene più prezioso.
Numerio Negidio passeggiava a fianco dell’amico oratore in una Roma, da poco accarezzata dai primi cupi raggi del sole di autunno. L’aria frizzante del mattino lambiva dolcemente ogni centimetro della sua pelle, infilandosi rapida sotto la candida toga.
«Ho fatto soltanto il mio dovere.»
Ovviamente il giovane allievo non poteva essere d’accordo con la modesta opinione del maestro.
«Niente affatto, Caio, sei riuscito in un impresa grandiosa, una fatica pari a quelle di Ercole! Far propendere il comizio centuriato a favore di una legge emessa nell’esclusivo interesse della plebe è qualcosa al dì là di ogni più rosea aspettativa.»
L’anziano tribuno abbassò la testa.
«Non abbiamo ancora fatto niente, Numerio, il voto definitivo è fissato per questa sera e non è detto che i pochi patrizi che sono riuscito a portare dalla nostra parte, mantengano l’opinione già espressa e la parola data.»
Il giovanotto non riuscì a trattenere l’immatura impulsività e, allungando il passo, si portò faccia a faccia con il proprio interlocutore, con la bocca semiaperta in un sorriso lieto e appassionato.
«Stavolta vinceremo, ne sono sicuro. Ti basterà aprire bocca, Giove ti ha donato la capacità quasi magica di toccare il cuore di chiunque con le parole. Gli stessi patrizi, posti dinanzi alla propria ingordigia, si vergognano a votarti contro. Io dico che si prospetta un futuro di maggior libertà per il popolo romano e per la nostra gens.»
Il maestro sorrise.
«Sai, Numerio, alle volte mi piacerebbe avere solo la metà del tuo fervore…»
Urla affannate e uno scalpitio di passi alle spalle dei due amici non poté che attrarre la loro attenzione. Dal decumano sud giungeva di corsa, trafelato e non ancora completamente vestito, Agenore, il liberto di origine fenicia, che abitava la casa di Caio Sestio. Stava gridando proprio nella loro direzione e, subito, il cuore del maestro venne accelerato dall’apprensione.
«Amico Agenore. Che succede?»
Il nuovo arrivato si piegò in due soffocato dall’affanno, tentando di recuperare quel poco di fiato che gli avrebbe consentito, a breve, di iniziare il suo discorso.
«Agerio… L’hanno portato dal pretore… Erano in quattro… gens Iulia… Hanno detto per debiti di gioco…»
La gola si era strozzata dopo ogni parola, ma il messaggio era stato, seppur maldestramente, consegnato. Il figlio minore di Caio si era, evidentemente, messo in un grosso guaio. E sarebbe toccato al padre trovare, come sempre, una soluzione adeguata.
«Agenore, dobbiamo agire in fretta. Torna a casa e fatti consegnare da mia moglie tutti i nostri risparmi, portameli dal Pretore o, se sarà tardi, al mercato.»
Il liberto si limitò a un gesto di assenso con la testa e, con il cuore che quasi gli scoppiava, riprese la sua corsa disperata nella direzione opposta a quella da cui era venuto.
«Presto, Numerio, dal magistrato! Voglio capire che cosa è successo e, se possibile, spendere alcune parole in difesa di quell’incosciente di mio figlio.»
** * ** * **
Accecato dalla preoccupazione, l’anziano oratore si accinse a oltrepassare la soglia del pretore senza curarsi dei due littori all’ingresso, che, immediatamente, incrociarono le daghe dinanzi al suo petto, per arrestarne l’avanzata.
«Dove volete andare?»
Caio Sestio si profuse in un saluto carico di disperazione e fissando le due guardie con gli occhi umidi provvide a scusarsi e a evidenziare la propria necessità di parlare, quanto prima, col magistrato, da cui il figlio era stato condotto neanche un’ora prima.
Ovviamente, come sempre accadeva, le sue parole fecero immediatamente breccia nel cuore dei due interlocutori che, subito, misero l’uomo a parte di quanto a loro conoscenza, affinché gli fosse utile per mutare la sorte e propiziare lieti eventi.
«Deve essere il ragazzo condotto qui poco fa.»
«Povero disgraziato, non capiva nemmeno quello che stava accadendo!»
«Doveva aver passato la notte al bordello per come era ancora ubriaco.»
«L’hanno riempito di botte e il pretore l’ha fatto condurre al mercato.»
«Il creditore spergiurava che gli dovesse un sacco di assi.»
«Non ho capito quante erano, ma a giudicare da come tutti sbraitavano, doveva essere una bella somma.»
«In ogni caso è stato considerato pubere, capace e portato via in vinculis.»
«Sì, a questo punto saranno tutti già al mercato.»
Ogni parola, una stilettata al cuore dell’anziano padre. Vino e gioco? Come aveva fatto Agerio a mettersi in una situazione simile? V’era davvero poco altro da fare, se non cercare di andare a riscattarlo dal creditore il prima possibile. I pensieri del pover’uomo si riempirono subito di immagini terribili, in cui la carne della sua carne urlante veniva tagliata con efferata crudeltà da spiriti malvagi.
Caio Sestio allontanò dalla mente il terribile presagio di morte e le orribili immagini che si erano avvicendate nel vecchio cuore.
«Numerio, devi accompagnarmi al mercato. Ho bisogno di tutto il tuo sostegno. Sono nell’ora più cupa che un anziano padre possa affrontare.»
«Non ho la minima intenzione di abbandonarti, maestro. Corriamo al mercato, troveremo senz’altro il modo per riscattare Agerio.»
Nonostante le parole del discepolo, il volto dell’uomo non accennava a riprendere la propria originaria colorazione, rimanendo pallido e cinereo. Mentre i due procedevano a passo svelto, le sue parole arrivarono violente, come pugnalate: «Conosci la legge. L’actio per manus iniectionem è quanto di più spietato abbiano previsto i mores, se non sarò in grado di pagare il debito di mio figlio, verrà tagliato a pezzi e il suo corpo diviso tra i creditori.».
Una lacrima chiosò la terribile sentenza appena proferita, mentre la testa canuta del vecchio si scuoteva disperata ad ogni passo, altalenando in mezzo ai sospiri.
** * ** * **
«Finalmente giunge qualcuno a interessarsi di questo truffatore vigliacco».
Il centro città brulicava di gente che procedeva da una taberna all’altra a caccia di merci pregiate o anche soltanto di beni prima necessità.
Per ironia della sorte o anche solo quale ultimo atto di scherno, Agerio se ne stava legato, con gli occhi semiaperti e il volto livido per i colpi ricevuti, con le spalle alla più nota taberna vinaria di tutta Roma.
Il padre si avvicinò al figlio, esaminandone le piaghe aperte sul corpo e sul volto.
«C’era bisogno di ridurlo in questo modo?»
Immediatamente, l’uomo della gens Iulia, che pareva essere il vero interessato alla vicenda, circondato da altri quattro familiari, riprese la feroce filippica appena interrotta.
«Non è nulla a confronto del danno che la tua genia ha arrecato a me e alla mia famiglia. Ha giocato e ha scommesso oltre cinquemila assi e non ha nemmeno gli occhi per piangere.»
Cinquemila daghe appuntite si infilarono nel cuore dell’anziano genitore. Nemmeno in una vita intera sarebbe riuscito a risparmiare una simile somma. Quei denari non ci sarebbero stati oggi, né nei due mercati successivi.
Mentre ancora una lacrima solcava il suo volto, poche parole disperate vibrarono sulle labbra del pover’uomo, rivolte al figlio semi incosciente per i fumi della notte di bagordi e i molti colpi ricevuti.
«Che cosa hai fatto, scellerato?»
Subito Numerio si portò a sostenere il maestro, sussurrando al suo orecchio il suo appello più accorato.
«Non ti arrendere, Caio. Hai arringato pubblici più difficili, hai convinto i patrizi a votare contro i propri interessi, hai portato giustizia dove non c’era. Parla con loro, spiega che sarebbe un errore uccidere quello che non è un truffatore, ma solo un incosciente. Arriveranno le tue parole dove non possono le tue sostanze!»
Il più grande oratore plebeo della Roma repubblicana si allontanò dal figlio e dall’allievo e si pose frontale agli aguzzini, aprendo le mani in segno di accogliente e incondizionata resa. Negli occhi, ancora gonfi di lacrime, si era accesa la modesta luce di una rinnovata speranza.
«Amici, non parlo a voi come padre, ma come cives romano. Non v’è alcun danno da risarcire che possa aver cagionato questo mio figlio sciocco e sprovveduto. Certo in nottata la rispettabile gens Iulia, che vi onorate di rappresentare, non avrà assunto obbligazione alcuna con chicchessia confidando nelle somme perse al gioco da questo ragazzo. Ora, cinquemila assi sono una quantità di denari davvero ragguardevole e, come potete immaginare, nemmeno un saggio tribuno della plebe, come quello che vi sta dinanzi, può averle risparmiate in tutta una vita. La morte di uno sciocco, certamente, non vi potrà ripagare dell’onta sofferta nell’aver creduto agli impegni ignobilmente assunti da chi ben sapeva di non potervi far fronte. Se v’è qualcosa che io possa fare per salvargli la vita, sono qua, disposto finanche a lavorare come schiavo per voi, per il tempo che il padre Giove vorrà ancora donarmi su questa terra.”
Fu proprio in quel momento che, alle spalle dell’oratore, giunse trafelato e quasi affogato da una corsa che sembrava avergli strappato il cuore dal petto, il liberto fenicio recando una borsa sonante di monete.
Caio Sestio si voltò, sorridendo bonario al nuovo arrivato e traendo la pesante tracolla dalle sue spalle affaticate.
«Amico Agenore, che gli dei ti conservino sempre così fedele!»
Lo sguardo dell’uomo sull’insufficiente contenuto della sporta, parlò prima di lui.
«Saranno quasi cinquecento assi e, assieme alla mia vita, è tutto quello che ho.»
Con gesto teatrale, l’anziano padre si inginocchiò dinanzi ai creditori, frapponendo sé stesso al figlio legato e ponendo i denari ai loro piedi.
Segui un applauso isterico e davvero poco convinto del sedicente truffato.
«Bravo, il nostro Caio Sestio. Davvero delle belle parole! Ma che non mi ripagheranno della grave perdita sofferta.»
Lo sguardo del penitente, si riempì di lacrime e si portò, ancora una volta, negli occhi dei suoi aguzzini, mentre le parole del suo avversario si facevano ancora più chiare e taglienti.
«No. Non c’è niente che io voglia dalla tua gente, se non quanto mi spetta ex lege e mi pare che tu abbia qui, candidamente, ammesso di non avere denari a sufficienza per riscattare l’inutile carne della tua carne, che ha truffato me e i miei parenti al tavolo da gioco. Esisterà senz’altro un giureconsulto che mi consenta di dare immediata esecuzione alla sentenza del pretore, atteso che, nemmeno tra altri due mercati, la tua pezzente famiglia avrà denari a sufficienza per riscattare il vostro sudicio agnello. Andate a chiamare un littore. Voglio che questa giovane serpe sia trattata come merita.»
Mentre alzava il braccio a indicare la via per gli alloggi del pretore ai propri compagni, lo sguardo dell’uomo si fece improvvisamente sadico e si fisso negli occhi del padre disperato.
«A meno che, e sia ben chiaro, lo dico solo per la bontà d’animo propria della mia gente, tu non voglia offrirmi in dono quella tua lingua che tutta Roma invidia. Potrebbe fare bella mostra di sé, in un barattolo di sale, sulla soglia della mia domus. Non ne saresti onorato, Caio Sestio?»
Quando al padre è donata la vita del figlio, ogni altro perde consistenza, diviene rarefatto, quasi smettesse in quello stesso istante di esistere.
Gli occhi del più grande oratore di Roma si illuminarono di gioia e il suo parlare felice e concitato apparve, a tutti i presenti, dettato più da una mente ormai resa folle dal dolore che dall’intelletto.
«Cari amici, grazie. Io vi sono debitore! Prendetela, vi prego, prendete questa mia lingua, io non la adopero. Non mi è di alcuna utilità.»
L’uomo aprì le braccia, affinché lo potessero tenere in quella difficile operazione e spalancò la bocca ai dolci salvatori della vita del suo povero ragazzo.
Immediato fu il grido del giovane Numerio alle sue spalle.
«No! Maestro.»
Caio Sestio si limitò a scuotere la testa.
«Amico Agenore, trattenete questo mio impulsivo allievo dall’intervenire, ho prestato il mio consenso e il contratto è perfezionato. Aiutatemi a far si che questi miei buoni amici non vengano disturbati mentre prendono quello che è loro.»
Le robuste braccia del liberto fenicio afferrarono il giovane scalpitante, che quando la lama si avvicinò, serrò gli occhi per non dover assistere allo scempio. Non potè, ahimè, chiudere le orecchie alle grida che presto vi giunsero, soffocate dal sangue e dal dolore più acuto e pungente.
Quando tutto fu compiuto, quello che una volta era il grande oratore di Roma, tremava in una pozza del proprio sangue, tenendosi le mani serrate sulla bocca, con gli occhi, carichi di amore, fissi sulla figura semi addormentata del figlio, ancora avvolto nei fumi del vino della nottata da poco trascorsa, appoggiato alla parete della taberna.
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Mentre il sole del meriggio iniziava a percorrere la volta celeste in direzione della crosta terrestre, i membri del comizio centuriato di una Roma vivace e brulicante prendevano posizione sui propri scranni.
L’infido traditore si portò alle spalle delle fila dei patrizi, sibilando alle orecchie del più potente esponente della gens Cornelia.
«Tutto è andato secondo i piani! Caio Sestio non pronuncerà il suo discorso, né ora, né mai.»
Il volto dell’uomo si volse ad accogliere con il sorriso l’attesa spiata.
«Ne sei sicuro?»
«Come della fondazione di Roma sul solco tracciato da Romolo, mio signore. È bastato far ubriacare il figlio e condurlo al tavolo da gioco, dandolo in pasto a qualche nostro sostenitore tra la gens Iulia. Il resto lo hanno fatto le nostre leggi.»
«Dura lex sed lex»
Sorrise quell’uomo potente e insospettabile: «Bravo, Numerio Negidio, Roma ti sarà eternamente grata, sarai un ottimo tribuno della plebe.»
Intanto, sulla soglia di una domus plebea, il tramonto era offuscato dall’ombra di un vecchio padre, che stringeva con mani tremanti e copriva di baci il suo bene più prezioso.