Semifinale Livio Gambarini

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il due gennaio sveleremo il tema deciso da Andrea Atzori. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Andrea Atzori assegnerà la vittoria.
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Spartaco
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Semifinale Livio Gambarini

Messaggio#1 » sabato 31 marzo 2018, 1:09

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Eccoci alla seconda parte de La Sfida a SRDN.
In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti del girone Livio Gambarini hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR del loro girone un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi Francesco Nucera e Sonia Lippi possono sfruttare i tre giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: martedì 3 aprile alle 23:59
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 03 aprile. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



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Sonia Lippi
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lo scriba

Messaggio#2 » martedì 3 aprile 2018, 22:04

Lo scriba

<<Nonno raccontaci ancora la storia dello scriba, ti prego!>>
<<E va bene, ve la racconto. Ma non voglio sentire nessuno che piagnucola perché ha paura intesi?>>
<<Non abbiamo più paura nonno!>> esclamarono in coro i cinque bambini.>>
<<E dopo, tutti a letto senza fare storie. Promesso?>>
<<Promesso nonno.>> Dissero i bambini stringendosi fra loro.
***
C’era una volta uno scriba di nome Sef, che era al servizio del faraone Merneptah. Un giorno uscì dal palazzo reale molto presto. A casa la moglie stava attingendo l’acqua dal pozzo quando lo vide arrivare, sembrava sconvolto.
La donna vedendo l’uomo così incupito si preoccupò molto; lasciò quindi il secchio a terra ed entrò con lui in casa.
<<Marito mio, cos’è che ti rende triste e preoccupato?>> chiese la donna.
L’uomo sospirò.
<<Oggi è tornato a palazzo Moseh con suo fratello Aronne.>>
<<Oh mia Bastet proteggici. Con la loro oscura magia ci hanno trasformato l’acqua in sangue, hanno mandato le rane, le zanzare, le mosche, ci hanno ucciso il bestiame e riempito di ulcere, hanno distrutto il raccolto con la grandine e le locuste, e per finire hanno fatto venire le tenebre per tre giorni. Oh Sef ti prego, parla con il Faraone. Perché non rende la libertà a questa popolazione di maghi e stregoni? portano solo sventure.>>
L’uomo abbracciò la donna,<<lo sai mia dolce luce di Hator, un semplice scriba non può dare consigli al Faraone, ma appena Merneptah è uscito dalla stanza, mi sono precipitato dietro ai due uomini e li ho pregati di ritirare la maledizione. Mi hanno risposto che non possono, questo è il volere del loro Dio che è grande e potente.>>
<<Se il loro Dio è così potente perché non li aiuta a fuggire, invece di mandare sventure a tutto l’Egitto?>>
Disse la donna con voce rabbiosa.
<<A questa domanda non so risponderti Nailah, mi sento così inutile.>>
Sef si sedette sui cuscini e iniziò a singhiozzare.
Nailah al principio rimase stupita di quella reazione, non aveva mai visto piangere suo marito,
poi gli sedette accanto e gli posò una mano sulla gamba.
<<Amore, quale sventura ci dobbiamo aspettare? Ti prego dimmela. Vedrai che possiamo provare a contenere i danni, come abbiamo fatto con le mosche e le zanzare.>>
Sef prese la mano della moglie fra le sue e la baciò, <<questa volta amore mio, la maledizione è terribile. A mezzanotte moriranno i primogeniti in tutto l’Egitto. Uomini e animali, tutti Nailah, nessuno escluso.>>
La donna impallidì, poi con gli occhi sgranati e i pugni stretti urlò con quanto fiato aveva in gola, <<noooooooo, non nostro figlio, noooooo>> e svenne.
Sef l’afferrò per le braccia e la scosse, finché non riprese conoscenza.
<<Nailah tesoro, in questo momento ho bisogno di te, ti prego fatti forza e cerchiamo di trovare una soluzione.>>
<<Oh Sef fuggiamo, partiamo subito. Non possiamo permettere che il nostro unico figlio muoia. Andiamo via ti prego.>> Disse la donna con un fil di voce.
<<Anche se partissimo ora, ci vorrebbero tre giorni per raggiungere i confini dell’Egitto. Non abbiamo tempo di fuggire. Dobbiamo trovare un'altra soluzione, calmiamoci e cerchiamo di riflettere.>> Si abbracciarono.
Era un giorno assolato di inizio estate, e sotto un albero di sicomoro giocava il piccolo Jahi ignaro del suo prossimo destino.
Vide il padre uscire di casa e gli corse incontro.
<<Padre, che bello che sei tornato presto.>> Gli disse buttandogli le braccia al collo.
Sef l’abbracciò, <<Jahi dobbiamo andare.>>
<<Andare dove padre?>>
<<Lo vedrai. Aiutami a preparare il cammello.>>
Jahi era felice, perché era raro che suo padre lo portasse con lui.
Dopo più di un ora di viaggio comparve davanti ai loro occhi un grande accampamento.
Scesero dal cammello e dopo averlo legato ad un cespuglio, si avviarono a piedi.
<<Sono uno scriba reale e vorrei conferire con il vostro capo.>> disse Sef, mostrando l’anello col sigillo dei funzionari reali, ad un uomo che stava intrecciando una cesta.
L’uomo lo guardò intensamente, poi distese il braccio e indicò una grande tenda bianca, e senza dire una parola riprese il suo lavoro.
Centinaia di uomini e donne lavoravano, parlavano, ridevano.
I bambini giocavano felici mentre le loro madri macinavano il grano per fare il pane, conciavano pelli o distendevano strisce di carne ad essiccare al sole. Alcuni uomini erano intenti ad intrecciare ceste o a tagliare legna, altri invece a cuocere vasi di terracotta in forni di fango.
Insomma tutto era in movimento, come se fosse un immenso formicaio.
Giunti davanti la grande tenda, Sef fu costretto a ripetere agli uomini di guardia chi fosse e con chi voleva parlare.
Dopo qualche minuto fu invitato ad entrare.
Il pavimento della tenda era coperto di tappeti e cuscini, e al centro, seduto sopra uno scranno di legno, c’era un uomo robusto, vestito con una tunica bianca e uno sguardo accigliato.
Sef e Jahi abbassarono il capo in segno di saluto.
<<Ancora tu? >> Disse l’uomo toccandosi la barba, <<ti ho già detto questa mattina che non è in mio potere ritirare la maledizione, vattene.>>
<<Signore mi ascolti la prego, questo è Jahi il mio unico figlio.>> Disse Sef implorante.
<<Lui non ha fatto nulla contro il vostro popolo, nessuno della nostra famiglia è un vostro nemico. Eppure abbiamo subìto, inermi, tutte le vostre maledizioni. Perché ve la prendete con tutto l’Egitto quando l’unico che ha colpa della vostra condizione è il faraone? Aiutateci! Pregate il vostro Dio di risparmiare degli innocenti.>>
L’uomo si alzò, sbattendo un pugno sul bracciolo di legno. <<Durante lo sterminio dei nostri neonati, decretato dal vostro Faraone, nessuno di voi ci ha aiutato a fermare quello scempio. Che colpa avevano quei piccoli se non quella di essere nati ebrei? Erano proprio le vostre levatrici che li uccidevano appena nati, senza pietà. Quante madri hanno pianto i loro figli! Io stesso sono salvo per miracolo e voi, avete forse implorato i vostri Dei di aiutarci? No! Anzi! Usate le nostre donne come serve, i nostri uomini lavorano fango e paglia per costruire le vostre case, e nessuno di voi si è mai chiesto quale fosse la nostra condizione. Occhio per occhio, dente per dente. Questa è una delle leggi dettate dal mio unico Dio, e questo è il suo volere. A mezzanotte moriranno tutti i primogeniti d’Egitto, a meno che il tuo Faraone non acconsenta a liberarci. E ora va, non sono io che posso aiutarti.>>
Sef cercò di replicare ma fu preso sotto braccio e fu scortato, insieme al figlio, fino ai margini dell’accampamento.
Jahi era sconvolto, aveva appena appreso che quella notte a mezzanotte sarebbe morto.
Sef aveva le mascelle serrate e gli occhi umidi quando prima di salire sul cammello, abbracciò suo figlio, <<non ti preoccupare tesoro. Troverò un modo per far annullare la maledizione, te lo prometto.>>
<<Cosa facciamo ora, padre?>> chiese Jahi un po' rincuorato.
<<Andare dal Faraone è inutile, non ci riceverà mai. Quindi torneremo a casa, tua madre è andata al tempio a parlare con il gran sacerdote. Il Dio Anubi ci aiuterà vedrai.>>
Arrivarono un ora dopo il tramonto.
Entrando in casa furono avvolti da un forte odore di incenso.
Trovarono Nailah nella sala principale intenta ad ornare di fiori e candele un grande altare con l’effige di Anubi.
<<Marito mio, dimmi che porti buone notizie.>>disse abbracciando il figlio.
<<Purtroppo nessuna. La maledizione non sarà tolta a meno che il Faraone non accetti di liberare gli ebrei, cosa del tutto improbabile tra l’altro. E tu moglie mia, sei riuscita ad avere indicazioni?>>
La donna indicò l’altare.
<<Anubi ha parlato tramite il gran sacerdote. Dice che la maledizione è molto potente e non si può sconfiggere. Non si può vincere contro l’angelo della morte, ma possiamo provare a ingannarlo.>>
<<E come potremmo ingannarlo?>> chiese Sef pensieroso.
Nailah sollevò un panno, scoprendo un pupazzo di paglia vestito con gli abiti di Jahi.
<<Secondo il sacerdote, se noi inseriamo in questo pupazzo un cuore immerso nel sangue di nostro figlio, l’angelo della morte dovrebbe essere ingannato. Abbiamo eseguito il rito di presentazione agli Dei come se fosse il fratello gemello di Jahi, lo abbiamo chiamato Imap e abbiamo dichiarato che è nato qualche minuto prima di nostro figlio. Se tu lo alzi sopra la testa e fai il rito di riconoscimento sarà lui il primogenito.>>
Sef e Jahi si guardarono increduli.
<<Oh Nailah credi che funzionerà?>> chiese Sef con voce ansiosa.
<<Marito mio lo spero, non ci resta che fare ciò che ha detto il sacerdote e aspettare. Al mercato ho comprato un cuore di agnello, ora dobbiamo intingerlo nel sangue di Jahi. Scusa figlio mio ma dobbiamo inciderti una mano per prendere il tuo sangue.>>
Jahi si sottopose con coraggio al taglio del palmo della mano sinistra, facendo poi colare il sangue nella ciotola che conteneva il cuore del piccolo animale che fu poi posizionato dentro il fantoccio di paglia.
Mancava poco a mezzanotte e i tre abbracciati, continuavano a gettare grani di incenso sui carboni ardenti, ad accedere candele sull’altare e a cantare un’ antica litania al Dio Anubi invocando la sua protezione.
Si accorsero che era giunta mezzanotte dalle grida strazianti e dai pianti che venivano dal vicinato.
Non c’era una casa dove non si piangesse un morto.
I tre si strinsero ancora di più, pregando e tremando.
Nailah aveva gli occhi chiusi, se l’inganno non avesse funzionato non voleva vedere suo figlio morire.
Aspettò un tempo che a lei parve infinito, poi riaprì gli occhi e vide con gioia che Jahi era ancora vivo.
<<Sef, ha funzionato!>> Disse con un filo di voce rotta dall’emozione.
Jahi non poteva credere di essere ancora vivo e si inginocchiò insieme a suo padre davanti l’altare di Anubi.
<<Oh grande Anubi, ti ringraziamo per l’aiuto ricevuto, saremo sempre i tuoi fedeli servitori, giuriamo nel nome di Amon Ra.>>
Nailah si avvicinò all’altare, la videro buttare sul braciere una manciata di grani d’incenso.
Poi, con gesto repentino e con un urlo disumano prese il pugnale dall’altare e si scagliò verso Jahi, trafiggendogli una guancia.
Sef reagì all’istante, bloccandole le braccia e allontanandola dal figlio.
<<Nailah, che ti succede? Nailah torna in te!>> gridava Sef, mentre Jahi sotto shock cercava di fermare il sangue che gli usciva copioso dal taglio.
Nailah sembrava colta da un attacco epilettico. Pur stando in piedi il suo corpo era scosso da violenti tremiti, le sue mascelle erano serrate, mentre mostrava i denti come un cane rabbioso.
<<Non si può ingannare l’angelo di Dio il vendicatore. >> Tuonò Nailah con voce cavernosa.
Brandendo il coltello si avventò nuovamente su Jahi che non riusciva a muoversi dal terrore.
Sef riuscì nuovamente a bloccarla, ma l’entità che si era impossessata di Nailah era potente, non sapeva per quanto tempo avrebbe potuto contrastarla.
Tentò il tutto per tutto.
<<Sei tu l‘angelo della morte?>> chiese Sef all’entità, e senza aspettare risposta aggiunse << chiedi al Dio degli Ebrei di prendere la mia anima al posto dell’anima di mio figlio. Sono pronto a sacrificarmi.>>
L’entità scoppiò in una gutturale risata.
<<Uomo, che cosa ti fa pensare che lo scambio sia equo? Hai provato ad ingannarmi. Meriti una punizione. E non c’è punizione più grande che quella di sopravvivere ai propri figli.>>
Così dicendo Nailah, comandata dall’angelo della morte, spinse Sef lontano e con un balzo si avventò sul figlio.
Jahi non si mosse, il terrore lo aveva paralizzato. Aspettava la morte con gli occhi sgranati e il cuore in tumulto.
Vide la scena a rallentatore.
Sua Madre che si buttava in avanti spingendo Sef di lato.
La mano con il coltello avvicinarsi sempre di più.
Gli occhi iniettati di sangue e selvaggi.
I denti serrati, la bocca ghignante, e una schiuma densa e biancastra che gli usciva dagli angoli della bocca.
Poi, mentre pensava che fosse tutto perduto, vide suo padre rialzarsi e con un balzo mettersi fra lui e sua madre.
Il coltello affondò dritto nel petto di Sef, che cadde in terra, e in un ultimo rantolo disse:<<accetta il mio sacrificio, Dio degli ebrei>> e morì.
In quel momento Nailah svenne e Jahi capì che grazie a suo padre aveva salva la vita.
Quella notte furono in migliaia a morire, tra cui anche il figlio del Faraone, che preso dall’angoscia concesse agli Ebrei la libertà. Loro in tutta fretta lasciarono l’Egitto per vagare quarant’anni nel deserto.
Ma questa è un'altra storia.
***
<<Ora bambini miei tutti a letto!>>
<<Nooo nonnoooo, dicci se Nailah si riprese, dicci che fine ha fatto Jahi.>> Cantilenarono i bimbi in coro.
<<Un'altra sera, ora tutti a letto altrimenti chiederò al fantasma di Sef di venirvi a fare visita.>>
I bambini si alzarono e si diressero ognuno alle proprie stuoie vicino al fuoco.
L’uomo aspettò ancora un poco che si addormentassero, poi uscì per prendere un po' d’aria.
Raccontare quella storia lo sfiniva.
Quella notte la luna era alta nel cielo, guardandola si toccò la cicatrice sulla guancia.
<<Buona notte padre.>> Disse commosso.

Sonia Lippi

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Re: Semifinale Livio Gambarini

Messaggio#3 » sabato 14 aprile 2018, 17:13

Lo scriba
“<<Nonno raccontaci ancora la storia dello scriba, ti prego!>>”
Doppi maggiori e doppi minori al posto delle caporali per segnalare il dialogo, uno dei più classici e raccapriccianti errori dei principianti! I simboli apposta per questo scopo sono «», ma al loro posto puoi usare anche le “virgolette alte”. Presumo che tu sia Sonia, in quanto dubito che un veterano come Nucera farebbe uno svarione di questo genere. Piacere di conoscerti; ti avverto che sono molto severo, perciò parto subito raccomandandoti attenzione non doppia, ma tripla su questo argomento. Agli occhi di un editor o un agente letterario, questo errore da solo potrebbe fare la differenza tra il partire con il piede giusto o con quello sbagliato, nella valutazione di un tuo testo.

“Ma non voglio sentire nessuno che piagnucola perché ha paura intesi?” Virgola dopo paura.

Il cappello introduttivo denota una scrittura sciatta da scrittore alle prime armi. Il personaggio del nonno e dei bambini sono stereotipati e mancano di caratterizzazione, i loro dialoghi sono banali. Non essendoci alcun dettaglio concreto sull’ambiente o sui personaggi, al lettore non rimane che attingere ai luoghi comuni per immaginare lo spot che introduce un programma per bambini. Non è così che dovrebbe cominciare un racconto.

“<<Oh mia Bastet proteggici. Con la loro oscura magia ci hanno trasformato l’acqua in sangue, hanno mandato le rane, le zanzare, le mosche, ci hanno ucciso il bestiame e riempito di ulcere, hanno distrutto il raccolto con la grandine e le locuste, e per finire hanno fatto venire le tenebre per tre giorni. Oh Sef ti prego, parla con il Faraone. Perché non rende la libertà a questa popolazione di maghi e stregoni? portano solo sventure.>>”
Questo in narratologia si chiama infodump. È un grosso blocco di informazioni consegnato al lettore in modo pretestuoso, solitamente attraverso un dialogo; non è un vero e proprio errore, se non quando (come qui), le informazioni che vengono pronunciate sono già note a entrambi coloro che sono coinvolti nel dialogo. È un modo pigro di approfondire l’ambientazione. Le stesse informazioni, per arrivare al lettore in modo elegante ed efficace, vanno sciolte nel flusso della narrazione. Un modo per fare questo è dedicare più attenzione alla costruzione delle scene: ad esempio, invece di far elencare alla donna il campionario completo delle piaghe d’Egitto ad alta voce, potevi alleggerirlo anticipando alcune delle piaghe e intrecciandole con il ritorno a casa dello scriba: ad esempio, la recente moria del bestiame poteva essere rappresentata dai recinti vuoti accanto alla casa, invece che essere pacata e neutrale come un manichino attingendo dal pozzo, la donna poteva sollevare il secchio in preda all’ansia, per poi urlare di disperazione, trovandolo pieno di sangue e di rane gracidanti. Oppure, quando tra poco farai toccare le mani ai due coniugi, potevi accennare alle ulcere che li affliggono, ecc. Mai “dire”: mostra, costruisci, fai risultare dal contesto. L’arte dello scrittore assomiglia a quella del tessitore: devi saper intrecciare tra loro informazioni diverse, in modo che il lettore stesso possa sentire la consistenza del tessuto della tua storia.

“<<Se il loro Dio è così potente perché non li aiuta a fuggire, invece di mandare sventure a tutto l’Egitto?>>
Disse la donna con voce rabbiosa.” Non andare a capo, quando nella frase che segue parli di quella che precede.

“<<noooooooo, non nostro figlio, noooooo>> e svenne.” Facepalm: terribile. Intanto, non si moltiplicano le vocali per indicare un urlo: è una convenzione del fumetto, non della prosa narrativa. Inoltre, così com’è scritta, questa scena è piatta e artificiale, non veicola in alcun modo il senso di angoscia di una madre che sta per perdere il figlio. Fino a un attimo fa nemmeno sapevamo che questa coppia avesse un figlio, quindi quando scopriamo che questo morirà, il nostro coinvolgimento emotivo è pari a zero. Ricordati: introduci sempre nella narrazione gli elementi PRIMA del momento in cui dovranno essere rilevanti, sennò sembrerà che li hai inventati in quel momento, e la tua scrittura sembrerà povera.
“Era un giorno assolato di inizio estate, e sotto un albero di sicomoro giocava il piccolo Jahi.” Questo tipo di descrizioni va sempre messo all’inizio della scena, quando devi far ambientare il lettore. Ottimo il dettaglio dell’albero di sicomoro: è il primo elemento concreto in un’ambientazione per il resto vaga e vuota, il primo che mi dia l’illusione di un ambiente reale. Dovrebbe essere la norma, non l’eccezione.
“I bambini giocavano felici mentre le loro madri macinavano il grano per fare il pane, conciavano pelli o distendevano strisce di carne ad essiccare al sole. Alcuni uomini erano intenti ad intrecciare ceste o a tagliare legna, altri invece a cuocere vasi di terracotta in forni di fango.” Così va bene! Come dicevo sopra, questi sono dettagli vividi; le tue descrizioni dovrebbero essere sempre così. Avrei voluto vedere con questo grado di concretezza la casa dello scriba, la capitale, la campagna funestata dalle piaghe e il palazzo del Faraone. Dettagli concreti che raccontano i retroscena dell’ambientazione e il passato dei fatti descritti, conferendo alle vicende maggiore senso di realtà.

Commenti generali:

Il racconto pullula di errori stilistici e formali.
A partire dalla metà del racconto, la storia ha un miglioramento. L’astuto piano di Anubi è interessante, le descrizioni delle attività degli ebrei è vivida (peccato che l’intero loro episodio sia strutturalmente marginale), e il coinvolgimento emotivo aumenta nell’imminenza dello scontro finale – ma anche qui, in modo incostante: si veda l’assenza completa di pathos nelle parole di Sef, che all’accorata domanda della moglie sul trovare un modo per salvare la vita del figlio, risponde: “<<Purtroppo nessuna. La maledizione non sarà tolta a meno che il Faraone non accetti di liberare gli ebrei, cosa del tutto improbabile tra l’altro. E tu moglie mia, sei riuscita ad avere indicazioni?>>”
L’aver costruito un ponte tra l’identità del nonno e i personaggi del racconto, per quanto non certo inaspettato, lascia del finale del racconto un’impressione migliore di quanto non faccia il resto.
Il tentativo di incastonare una storia originale nell’epopea biblica raccontandone un episodio minore è stato coraggioso, ma in definitiva, la mia valutazione non può che essere negativa. Stile e coerenza interna hanno bisogno di lavoro per raggiungere la sufficienza. Ma soprattutto, mentre le vicende della famiglia protagonista ci sono, e sono intrecciate agli eventi biblici, così non è per l’ambientazione, che in un racconto storico (o storico-fantasy) è assolutamente fondamentale; il racconto ha fallito nel farmi sentire l’odore del deserto egiziano, il picchiare del sole, l’afrore delle carcasse e l’atmosfera opprimente dell’orgogliosa nazione egiziana messa in ginocchio dalle maledizioni dei suoi schiavi. Dire una cosa è ben diverso da farla sentire. C’erano tantissime occasioni per intrecciare il materiale biblico e storico alle vicende personali dei tre protagonisti, e gran parte di questo potenziale è rimasto non sfruttato.
A mio avviso, la predisposizione alla scrittura c’è, ma è necessario tanto lavoro e tantissima pratica, meglio se accompagnata dallo studio di un buon manuale di scrittura creativa.


Scapoli VS Ammogliati: la sfida finale!

“alzò la polvere all'altezza dell'aria di rigore” Area, non aria.
“Kanu, il ventenne Nigerino” Nigeriano.
“L'aveva notato l'estate prima, a Riccione, quando aveva portato suo nipote Marietto, il figlio del primogenito Giosué che avrebbe seguito la partita dalla panchina, al circo.” Troppo involuta. Meglio: “L'aveva notato l'estate prima, a Riccione, quando aveva portato al circo suo nipote Marietto, il figlio del primogenito Giosué.” Il dettaglio che giosuè sia seduto in panchina puoi eliminarlo o spostarlo a quando sarà rilevante.
“L'accordo non era stato dei più vantaggiosi per Mario, quando Florean aveva scoperto dell'azienda l'aveva obbligato” serve un segno di punteggiatura più forte della virgola.
“«Non mi serve nessuno!»
«Ma noi non siamo “nessuno”!»” Debole. Avrebbe già dovuto capire chi erano, perciò qui perdiamo il contatto col personaggio e la scena che segue ci appare pretestuosa. Situazione aggravata dal narratore onnisciente, of course.
“Era l'otto gennaio (…) lasciandolo con quella massima inossidabile.” Mal posizionato. Spezza il flusso con informazioni inutili: eliminare.
“A conti fatti non gli era andata poi male l'intervento con cui l'avevano atterrato era degno dei migliori Baresi e Costacurta” Manca punteggiatura.
“Il numero sette degli scapoli saltò con facilità Fedele Castro e si involò sulla fascia senza pallone, quella era rimasta incollata al quarantasette di piedi del figlio del maresciallo.” C’è qualcosa di strano nella concordanza, forse è stato rimosso un pezzo.

CONSIDERAZIONI GENERALI
In prima lettura, nel corso della partita, pensavo che Rachid fosse compagno di Mario e non avversario. Giunto alla fine, non mi è chiaro il perché dei ventidue pali di Ettore.
Il finale poteva venire meglio. Sei passato troppo velocemente dall’introduzione della bruciante prospettiva di una sconfitta, che avrebbe nullificato tutti gli sforzi e i piccoli soprusi di Mario, alla rivelazione finale.
In generale, sono convinto che questo racconto abbia bisogno di più lavoro sulla posta in gioco. Sappiamo che per Mario l’importanza di quella parita è immensa, ma non attribuisci a questo alcuna motivazione interiore. Potevi sfruttare la tematica della paura della vecchiaia e del decadimento fisico, comune tra gli appassionati di calcio, oppure la dialettica generazionale dell’Italia di oggi vecchi padroni inefficienti/giovani precari arrabbiati, oppure lavorare di più sul rapporto padre/figlio introducendo fin dall’inizio un conflitto con Samuele che causasse distanza con lui, fino alla rivelazione finale.
Per il resto, trovo che sia un racconto molto carino. Non ho da ridire né sulla scelta del PDV, né sulla specificità del tema (infatti, benché a me di calcio non freghi niente e non lo segua, sono stato intrigato per tutto il tempo).
Ho ritrovato al suo interno l’atmosfera dei racconti di metà Novecento sul “mondo piccolo” (salvo nei punti in cui la disponibilità economica di Mario si rivela larghissima, compromettendo l’effetto comico che poteva scaturire dalla necessità di conciliare la necessità di procurarsi i suoi assi, senza andare in bancarotta). Per me è un sette, che con i dovuti ritocchi potrebbe raggiungere l’otto pieno. Bravo!


Per i poteri conferitimi dall'Antico e dall'Avversario, Accede alla finale: Scapoli VS Ammogliati: la sfida finale!

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