Il cielo in una stanza - Giulio Marchese
Inviato: lunedì 19 febbraio 2018, 23:40
In un piccolo mondo ci sono comunque un mondo di opportunità.
Da un po’ di tempo a questa parte ho fatto una scoperta insolita, ogni volta che chiudo la mia camera, spengo la luce grande per accendere l’abat-jour, tiro le coperte fin sopra il mento, nessuno dei limiti che ogni giorno mi attanagliano ha più importanza. Ci sono io e il mio piccolo vasto mondo. Un giorno sono un astronauta, un giorno un vichingo, un altro ancora un grande chitarrista jazz.
Sai cosa? Non capisco perché dovrei uscire da questa stanza, andare incontro a persone che non mi capiscono, amici che mi accoltellano alle spalle alla prima occasione, rotture quali lavoro, famiglia, il futuro!
Tutti, chi più chi meno, sostengono che la vita vada vissuta istante per istante. “Carpe diem!” intonano a gran voce! Ma non mi spiego allora perché, se il massimo della gioia lo raggiungo nel mio letto davanti a un videogioco o a una serie tv, dovrei uscire, costruirmi un futuro e “sistemarmi”.
“Ma come fai a vivere così?” i miei genitori sono ricchi, saranno anche cavoli miei no? Cioè io non ti faccio i conti in tasca mentre, da persona seria, sopravvivi.
Viste le mie evidenti incombenze decisi di prendere una ragazza per fare le pulizie. Non ero felice nell’accogliere qualcuno nel mio eremo cittadino, però, anche se non si direbbe, sono una persona che sa scendere a compromessi. E se il compromesso è una tizia in casa un paio d’ore alla settimana a fronte della totale libertà dello spirito, allora sono disposto ad accettarlo ben volentieri.
Devo ammettere che il primo giorno non fu dei migliori, appena entrata mi tempestò di parole e fatti totalmente insignificanti. Riuscii a trarne però un profilo abbastanza chiaro. Venticinque anni, diplomata al liceo classico, troppo scema per l’università, ritirata da astrofisica dopo il primo semestre, i miei soldi le servivano per arrotondare in attesa di tempi migliori.
Giorno dopo giorno le sue chiacchere non corrisposte scemarono. Smise anche di salutarmi e pian piano sembrò dimenticarsi della mia presenza.
Ordinava i miei oggetti come fossero i propri e disponeva tutto nel modo più assurdo. Il porta penne sul pavimento, i cuscini sulla scrivania, il calendario sul letto, il cestino dell’immondizia sul comodino. Non mi lamentavo perché la casa era comunque più ordinata di prima, e soprattutto non mi andava di parlarle.
Col passare del tempo notai che c’era un metodo nel suo strano modo di disporre gli oggetti. Innanzi tutto la disposizione cambiava di volta in volta, ma non in modo casuale come pensavo all’inizio. C’era una sorta di ciclo, ad esempio i miei poveri cuscini si erano spostati dal letto alla scrivania passando per il pavimento, la libreria e la poltrona per infine, dopo un altro paio di passaggi, ritrovarsi ancora sul letto.
La cosa mi incuriosì lo ammetto, così durante tutta la settimana aspettavo il fatidico venerdì anche solo per scoprire dove il portapenne sarebbe stato posizionato. Volevo capirla, ma non le avrei chiesto spiegazioni.
Cercai inoltre di introdurre altri oggetti per vedere la sua reazione, e capire il sistema. Iniziai facendole trovare un cioccolatino accanto allo svuota tasche, lei lo vide e lo mangiò, poi pose lo svuota tasche sotto la scrivania. Provai con una rosa ma ottenni più o meno lo stesso risultato tranne che la portò via.
Stava vincendo, cominciavo a non accontentarmi più di sole due ore settimanali. Non riuscivo a resistere, così il venerdì successivo cedetti: le chiesi il perché di quel ciclo.
Lei rispose sorridendo “bhe il porta penne è la Luna, il cestino la Terra, il cuscino Marte e vie dicendo…”, e allora capii, quella cretina aveva riprodotto il sistema solare con gli oggetti di casa mia! Continuò “visto che il mondo fuori non ti interessa ti ho portato l’universo qui”. Mi aveva fregato, e mi aveva anche costretto a parlarle, la frase mi usci da sola e senza pensare “vuoi uscire con me una volta?” lei rispose di si.
Da un po’ di tempo a questa parte ho fatto una scoperta insolita, ogni volta che chiudo la mia camera, spengo la luce grande per accendere l’abat-jour, tiro le coperte fin sopra il mento, nessuno dei limiti che ogni giorno mi attanagliano ha più importanza. Ci sono io e il mio piccolo vasto mondo. Un giorno sono un astronauta, un giorno un vichingo, un altro ancora un grande chitarrista jazz.
Sai cosa? Non capisco perché dovrei uscire da questa stanza, andare incontro a persone che non mi capiscono, amici che mi accoltellano alle spalle alla prima occasione, rotture quali lavoro, famiglia, il futuro!
Tutti, chi più chi meno, sostengono che la vita vada vissuta istante per istante. “Carpe diem!” intonano a gran voce! Ma non mi spiego allora perché, se il massimo della gioia lo raggiungo nel mio letto davanti a un videogioco o a una serie tv, dovrei uscire, costruirmi un futuro e “sistemarmi”.
“Ma come fai a vivere così?” i miei genitori sono ricchi, saranno anche cavoli miei no? Cioè io non ti faccio i conti in tasca mentre, da persona seria, sopravvivi.
Viste le mie evidenti incombenze decisi di prendere una ragazza per fare le pulizie. Non ero felice nell’accogliere qualcuno nel mio eremo cittadino, però, anche se non si direbbe, sono una persona che sa scendere a compromessi. E se il compromesso è una tizia in casa un paio d’ore alla settimana a fronte della totale libertà dello spirito, allora sono disposto ad accettarlo ben volentieri.
Devo ammettere che il primo giorno non fu dei migliori, appena entrata mi tempestò di parole e fatti totalmente insignificanti. Riuscii a trarne però un profilo abbastanza chiaro. Venticinque anni, diplomata al liceo classico, troppo scema per l’università, ritirata da astrofisica dopo il primo semestre, i miei soldi le servivano per arrotondare in attesa di tempi migliori.
Giorno dopo giorno le sue chiacchere non corrisposte scemarono. Smise anche di salutarmi e pian piano sembrò dimenticarsi della mia presenza.
Ordinava i miei oggetti come fossero i propri e disponeva tutto nel modo più assurdo. Il porta penne sul pavimento, i cuscini sulla scrivania, il calendario sul letto, il cestino dell’immondizia sul comodino. Non mi lamentavo perché la casa era comunque più ordinata di prima, e soprattutto non mi andava di parlarle.
Col passare del tempo notai che c’era un metodo nel suo strano modo di disporre gli oggetti. Innanzi tutto la disposizione cambiava di volta in volta, ma non in modo casuale come pensavo all’inizio. C’era una sorta di ciclo, ad esempio i miei poveri cuscini si erano spostati dal letto alla scrivania passando per il pavimento, la libreria e la poltrona per infine, dopo un altro paio di passaggi, ritrovarsi ancora sul letto.
La cosa mi incuriosì lo ammetto, così durante tutta la settimana aspettavo il fatidico venerdì anche solo per scoprire dove il portapenne sarebbe stato posizionato. Volevo capirla, ma non le avrei chiesto spiegazioni.
Cercai inoltre di introdurre altri oggetti per vedere la sua reazione, e capire il sistema. Iniziai facendole trovare un cioccolatino accanto allo svuota tasche, lei lo vide e lo mangiò, poi pose lo svuota tasche sotto la scrivania. Provai con una rosa ma ottenni più o meno lo stesso risultato tranne che la portò via.
Stava vincendo, cominciavo a non accontentarmi più di sole due ore settimanali. Non riuscivo a resistere, così il venerdì successivo cedetti: le chiesi il perché di quel ciclo.
Lei rispose sorridendo “bhe il porta penne è la Luna, il cestino la Terra, il cuscino Marte e vie dicendo…”, e allora capii, quella cretina aveva riprodotto il sistema solare con gli oggetti di casa mia! Continuò “visto che il mondo fuori non ti interessa ti ho portato l’universo qui”. Mi aveva fregato, e mi aveva anche costretto a parlarle, la frase mi usci da sola e senza pensare “vuoi uscire con me una volta?” lei rispose di si.