Dimenticando
Inviato: martedì 20 marzo 2018, 0:22
Geordain aveva la fronte spiaccicata contro il vetro freddo e osservava con invidia il minibot per la barometria che passeggiava sul nastro rosso.
Staccò la faccia dalla teca e ne osservò la superficie. Aveva unto tutto, un disastro.
Si allontanò oscillando nel cianghettìo della tunica di alluminio. Migliaia di triangolini metallici e migliaia di piccoli anelli proteggevano il suo corpo dalla vista altrui, seguendone le forme.
Rientrò nella stanza con una ciotola di terracotta piena d’acqua e sapone. Ne versò un po’ sul vetro, sfregò, poi la tirò via con una bacchetta lunga e sottile. Riportò tutto nello sgabuzzino del museo e tornò al suo posto di guardia, un cubo di pietra nell’angolo della stanza. A quell'ora era non c’era mai un’anima, perciò aveva con sé il padlet con i testi di archeologia per mettersi avanti con lo studio. Si immerse nella lettura.
“Ancora stronzate sui secoli verdi?"
Geordain alzò la testa con riluttanza ma salutò con un sorriso Bartis, che aveva appena varcato la soglia.
“Ho davanti quel coso tutto il giorno. Come si fa a non essere curiosi?"
“Di che? È presto detto: i coglioni hanno smesso di usare materiali durevoli e hanno fatto marcire tutto nell’età del Bio. Morale: non sappiamo un cazzo di loro e abbiamo dovuto ricominciare tutto da capo. E nonostante questo sono riusciti a distruggere il pianeta, ché ormai era troppo tardi, e sono rimasti solo terra e metallo. Ed eccoci qua. L’unica forma di vita al mondo. Bel lavoro!”
“So che preferisci le armi alla cultura. E come guardia armata fai la tua porca figura, bisogna ammettere!"
Bartis si sistemò le grosse piastre della divisa con orgoglio.
"Ma insomma 'sto coso? È una foglia? Quelle nella sala di sotto sono più grandi.”
“Non è una foglia, imbecille!" Rise Geordain, abbracciando Bartis.
“Allora cos’è?”
Geordain si guardò attorno con circospezione e prese la teca tra le mani.
“Ma che fai?” sussurrò Bartis, senza più traccia di spavalderia.
“Hanno staccato gli allarmi ieri per sistemare l'impianto, ho sentito il gran Brac che urlava al pidafono perché il reparto di controllo non gli ha assegnato altri Armati."
Nel frattempo Geordain aveva fatto scorrere piano il coperchio di vetro, per poi sollevarlo.
“Pesa!” disse, appoggiandolo a terra. Lanciò ancora un’occhiata nell’altra stanza, poi prese la striscia rossa. Con un’espressione meravigliata la fece scorrere sulle labbra di Bartis, che spalancò gli occhi.
“Non è come le foglie, non scricchiola. Sembra una carezza. È… Com’è?"
“Gli antichi avevano una parola: ‘morbido’“ disse piano Geordain. “In certi frammenti dicono che anche le foglie, da vive, erano così. E questo è fatto di foglie, non si sa come. Ci facevano i vestiti.”
Bartis guardò verso il basso. Geordain capì al volo; rimise la teca al suo posto mentre i passi si avvicinavano, poi tirò in fretta Bartis davanti alla finestra e nascose la paura, e l’emozione, in un bacio intenso. Qualcuno entrò nella stanza accanto, si bloccò un istante e si allontanò subito dopo cianghettando.
Geordain ne approfittò per toccare la dura piastra dorsale di Bartis ammiccando.
"A stasera, allora.”
”A stasera.”
Staccò la faccia dalla teca e ne osservò la superficie. Aveva unto tutto, un disastro.
Si allontanò oscillando nel cianghettìo della tunica di alluminio. Migliaia di triangolini metallici e migliaia di piccoli anelli proteggevano il suo corpo dalla vista altrui, seguendone le forme.
Rientrò nella stanza con una ciotola di terracotta piena d’acqua e sapone. Ne versò un po’ sul vetro, sfregò, poi la tirò via con una bacchetta lunga e sottile. Riportò tutto nello sgabuzzino del museo e tornò al suo posto di guardia, un cubo di pietra nell’angolo della stanza. A quell'ora era non c’era mai un’anima, perciò aveva con sé il padlet con i testi di archeologia per mettersi avanti con lo studio. Si immerse nella lettura.
“Ancora stronzate sui secoli verdi?"
Geordain alzò la testa con riluttanza ma salutò con un sorriso Bartis, che aveva appena varcato la soglia.
“Ho davanti quel coso tutto il giorno. Come si fa a non essere curiosi?"
“Di che? È presto detto: i coglioni hanno smesso di usare materiali durevoli e hanno fatto marcire tutto nell’età del Bio. Morale: non sappiamo un cazzo di loro e abbiamo dovuto ricominciare tutto da capo. E nonostante questo sono riusciti a distruggere il pianeta, ché ormai era troppo tardi, e sono rimasti solo terra e metallo. Ed eccoci qua. L’unica forma di vita al mondo. Bel lavoro!”
“So che preferisci le armi alla cultura. E come guardia armata fai la tua porca figura, bisogna ammettere!"
Bartis si sistemò le grosse piastre della divisa con orgoglio.
"Ma insomma 'sto coso? È una foglia? Quelle nella sala di sotto sono più grandi.”
“Non è una foglia, imbecille!" Rise Geordain, abbracciando Bartis.
“Allora cos’è?”
Geordain si guardò attorno con circospezione e prese la teca tra le mani.
“Ma che fai?” sussurrò Bartis, senza più traccia di spavalderia.
“Hanno staccato gli allarmi ieri per sistemare l'impianto, ho sentito il gran Brac che urlava al pidafono perché il reparto di controllo non gli ha assegnato altri Armati."
Nel frattempo Geordain aveva fatto scorrere piano il coperchio di vetro, per poi sollevarlo.
“Pesa!” disse, appoggiandolo a terra. Lanciò ancora un’occhiata nell’altra stanza, poi prese la striscia rossa. Con un’espressione meravigliata la fece scorrere sulle labbra di Bartis, che spalancò gli occhi.
“Non è come le foglie, non scricchiola. Sembra una carezza. È… Com’è?"
“Gli antichi avevano una parola: ‘morbido’“ disse piano Geordain. “In certi frammenti dicono che anche le foglie, da vive, erano così. E questo è fatto di foglie, non si sa come. Ci facevano i vestiti.”
Bartis guardò verso il basso. Geordain capì al volo; rimise la teca al suo posto mentre i passi si avvicinavano, poi tirò in fretta Bartis davanti alla finestra e nascose la paura, e l’emozione, in un bacio intenso. Qualcuno entrò nella stanza accanto, si bloccò un istante e si allontanò subito dopo cianghettando.
Geordain ne approfittò per toccare la dura piastra dorsale di Bartis ammiccando.
"A stasera, allora.”
”A stasera.”