Sfera celeste
Inviato: domenica 20 maggio 2018, 23:41
La notte era fredda, anche se la bella stagione era alle porte. Lo si capiva anche dal cielo, finalmente terso. I tentacoli di nebbia, che di solito offuscavano l’entroterra della Serenissima, quella sera sembravano dissolti, lasciando brillare libere le stelle. Matteo Costantìn era sul terrazzo della sua villa, stretto nel mantello. La sua tenuta ormai dormiva, ma lui no. Lui attendeva quella notte da giorni. Rientrò nel suo studio e si sedette alla scrivania. Alla luce tremolante della lampada ad olio iniziò a vergare rapide parole sul suo diario.
Era il ventitrè aprile, anno domini 1570. Era la sua prima osservazione con il magnificatore. Matteo era deciso ad annotare tutto di quella sera. Sul tavolo davanti a lui, avvolto in un panno, c’era il suo nuovo strumento: il magnificatore. Gli era costato tanto, il ricavato di un piccolo carico di stoffe, ma era sicuro che lo strumento lo avrebbe ripagato bene. La maestria dei vetrai di murano aveva trasformato un giocattolo che ingrandiva di poco gli oggetti, in qualcosa che sembrava magico. Matteo aveva già provato il magnificatore quel pomeriggio. Dalla villa riuscivava vedere i braccianti, che lavoravano nei suoi campi, come se fossero stati a pochi passi. E l’immagine non era distorta e sfocata come quella che restituivano i balocchi degli olandesi, ma era nitida, luminosa, e ben più ingrandita. Incredibile come i vetrai fossero riusciti a creare delle lenti così potenti. Era il miglior magnificatore mai costruito a Venezia, e Costantìn era sicuro che fosse il migliore mai costruito al mondo. C’era chi pensava di usare questi strumenti per avvistare le navi al largo, o per vedere che bandiera battessero, ma lui, Matteo Costantìn, voleva vedere ben oltre, ben più in alto. Voleva vedere il cielo.
Svolse il fagotto con gesti impazienti e sollevò il pesante tubo di ottone del magnificatore. Uscì in terrazza e lo appoggiò al supporto che aveva fatto costruire. Controllò che il tutto fosse ben fissato. C’erano tante ore di lavoro in quelle lenti, e tanti zecchini, troppi per permettere che andassero in frantumi.
Matteo fissò il cielo stellato. I suoi occhi saltarono da una costellazione all’altra, scivolando poi lungo tutta la via lattea. Era una serata bellissima, ma senza Luna. Peccato! Avrebbe voluto guardare lei per prima, ma avrebbe dovuto aspettare. Serviva un altro degno candidato per la prima osservazione. Ecco Giove!
Ecco il padre degli Dei, che splendeva fiero nella notte. Bene! Era deciso, sarebbe stato lui il primo oggetto osservato. Costantìn puntò il magnificatore verso il pianeta. Poi strabuzzando gli occhi si accostò all’oculare. Il pianeta era una macchia luminosa ma indistinta. Matteo mise lentamente a fuoco, finchè l’immagine non divenne nitida. Giove apparve allora in tutta la sua bellezza e perfezione. Era grande come una moneta, una sfera perfetta e luminosa. E intorno a Giove, l’uomo vide delle luci, degli aloni. Sforzò la vista per cercare di capire cosa fossero. Guardando meglio, ebbe un’intuizione. Non sono luci, ma riflessi!
Erano dei riflessi. Come quelli sui bicchieri. Riflessi su una suerficie concava. Di vetro. Una immensa sfera di vetro, o di cristallo perfetto. A Matteo mancò il fiato. Smise di guardare nell’oculare, e si appoggiò alla balaustra del terrazzo, colto da un lieve capogiro. Aveva davvero visto la Sfera di Giove, l’enorme sfera di cristallo in cui il pianeta era incastonato. Ciò che Aristotele aveva intuito, Matteo Costantìn aveva visto. Tornò guardare nel magnificatore: non si era sbagliato, era davvero così. Il pianeta era una sfera perfetta e luminosa, uniforme nel colore. L’uomo si staccò nuovamente dall’oculare e contemplò la volta celeste. Giove era solo l’inizio. C’erano altri pianeti, e le stelle fisse… per non parlare di quando sarebbe comparsa la Luna! E chissà se sarebbe mai comparsa una cometa! Pieno di gioia, Matto volse il suo sguardo al cielo per cercare un altro obbiettivo, e si chinò nuovamente sul magnificatore.
Dopo oltre un’ora di osservazioni, Costantìn lasciò a malincuore il magnificatore e tornò al suo diario. Iniziò ad annotare quanto aveva visto, e disegnò i riflessi della luce di Giove sulla sua sfera celeste. Matteo non sapeva come descrivere la bellezza e la perfezione di quanto aveva visto. Colmo di commozione, realizzò di essere il primo uomo che aveva messo gli occhi sulla perfezione divina della creazione celeste. L’opera immensa, eterna ed immutabile, de “..l’amor che move il sole e l’altre stelle”.
Era il ventitrè aprile, anno domini 1570. Era la sua prima osservazione con il magnificatore. Matteo era deciso ad annotare tutto di quella sera. Sul tavolo davanti a lui, avvolto in un panno, c’era il suo nuovo strumento: il magnificatore. Gli era costato tanto, il ricavato di un piccolo carico di stoffe, ma era sicuro che lo strumento lo avrebbe ripagato bene. La maestria dei vetrai di murano aveva trasformato un giocattolo che ingrandiva di poco gli oggetti, in qualcosa che sembrava magico. Matteo aveva già provato il magnificatore quel pomeriggio. Dalla villa riuscivava vedere i braccianti, che lavoravano nei suoi campi, come se fossero stati a pochi passi. E l’immagine non era distorta e sfocata come quella che restituivano i balocchi degli olandesi, ma era nitida, luminosa, e ben più ingrandita. Incredibile come i vetrai fossero riusciti a creare delle lenti così potenti. Era il miglior magnificatore mai costruito a Venezia, e Costantìn era sicuro che fosse il migliore mai costruito al mondo. C’era chi pensava di usare questi strumenti per avvistare le navi al largo, o per vedere che bandiera battessero, ma lui, Matteo Costantìn, voleva vedere ben oltre, ben più in alto. Voleva vedere il cielo.
Svolse il fagotto con gesti impazienti e sollevò il pesante tubo di ottone del magnificatore. Uscì in terrazza e lo appoggiò al supporto che aveva fatto costruire. Controllò che il tutto fosse ben fissato. C’erano tante ore di lavoro in quelle lenti, e tanti zecchini, troppi per permettere che andassero in frantumi.
Matteo fissò il cielo stellato. I suoi occhi saltarono da una costellazione all’altra, scivolando poi lungo tutta la via lattea. Era una serata bellissima, ma senza Luna. Peccato! Avrebbe voluto guardare lei per prima, ma avrebbe dovuto aspettare. Serviva un altro degno candidato per la prima osservazione. Ecco Giove!
Ecco il padre degli Dei, che splendeva fiero nella notte. Bene! Era deciso, sarebbe stato lui il primo oggetto osservato. Costantìn puntò il magnificatore verso il pianeta. Poi strabuzzando gli occhi si accostò all’oculare. Il pianeta era una macchia luminosa ma indistinta. Matteo mise lentamente a fuoco, finchè l’immagine non divenne nitida. Giove apparve allora in tutta la sua bellezza e perfezione. Era grande come una moneta, una sfera perfetta e luminosa. E intorno a Giove, l’uomo vide delle luci, degli aloni. Sforzò la vista per cercare di capire cosa fossero. Guardando meglio, ebbe un’intuizione. Non sono luci, ma riflessi!
Erano dei riflessi. Come quelli sui bicchieri. Riflessi su una suerficie concava. Di vetro. Una immensa sfera di vetro, o di cristallo perfetto. A Matteo mancò il fiato. Smise di guardare nell’oculare, e si appoggiò alla balaustra del terrazzo, colto da un lieve capogiro. Aveva davvero visto la Sfera di Giove, l’enorme sfera di cristallo in cui il pianeta era incastonato. Ciò che Aristotele aveva intuito, Matteo Costantìn aveva visto. Tornò guardare nel magnificatore: non si era sbagliato, era davvero così. Il pianeta era una sfera perfetta e luminosa, uniforme nel colore. L’uomo si staccò nuovamente dall’oculare e contemplò la volta celeste. Giove era solo l’inizio. C’erano altri pianeti, e le stelle fisse… per non parlare di quando sarebbe comparsa la Luna! E chissà se sarebbe mai comparsa una cometa! Pieno di gioia, Matto volse il suo sguardo al cielo per cercare un altro obbiettivo, e si chinò nuovamente sul magnificatore.
Dopo oltre un’ora di osservazioni, Costantìn lasciò a malincuore il magnificatore e tornò al suo diario. Iniziò ad annotare quanto aveva visto, e disegnò i riflessi della luce di Giove sulla sua sfera celeste. Matteo non sapeva come descrivere la bellezza e la perfezione di quanto aveva visto. Colmo di commozione, realizzò di essere il primo uomo che aveva messo gli occhi sulla perfezione divina della creazione celeste. L’opera immensa, eterna ed immutabile, de “..l’amor che move il sole e l’altre stelle”.