Semifinale Maurizio Vicedomini

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il due maggio sveleremo il tema deciso da Lorenzo Crescentini. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Lorenzo Crescentini assegnerà la vittoria.
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Spartaco
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Semifinale Maurizio Vicedomini

Messaggio#1 » lunedì 4 giugno 2018, 17:43

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Eccoci alla seconda parte de La Sfida ad Animali.
In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti del girone Maurizio Vicedomini hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR del loro girone un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi Eugene Fitzherbert (Polvere nel Vento) e David Galligani (L'importanza di chiamarsi Ernesto) possono sfruttare i due giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: mercoledì 6 giugno alle 23:59
Limite battute: 21.313

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 06 giugno. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



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Eugene Fitzherbert
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Re: Semifinale Maurizio Vicedomini

Messaggio#2 » mercoledì 6 giugno 2018, 17:07

Polvere nel vento
di Eugene Fitzherbert


1.
Eric Drugal si alzò dal tronco su cui si era seduto, mentre intorno a lui la foresta pluviale gocciolava insistentemente. A pochi metri, gli altri membri della spedizione erano seduti intorno alla fornacetta chimica cercando di mitigare il senso di fradicio di cui erano intrisi.
«Domani mattina ci addentreremo nella grotta.» commentò il Prof Sandro Simoncini. «Forse laggiù ci sarà il più grande giacimento di Polvere di sempre.»
«Polvere di primissima qualità!» osservò l’ingegnere Oliver Stance.
L’ultimo membro della spedizione, la dottoressa Maru Landa, si limitò a bere un sorso di acqua e si passò le mani sui tatuaggi sul volto e la fronte.
Eric si avvicinò alla compagnia: «Signori, vi consiglio di riposare. Domani sarà una giornata dura.»
I due uomini storsero la bocca infastiditi, ma alla fine si diressero nelle loro tende. La dottoressa Landa si trattenne ancora un po’, bevendo qualche sorso d’acqua. «Cosa pensi che succederà domani?»
«Dimmelo tu.» rispose Eric, sorridendo.
Lei ricambiò, mentre si alzava e si avvicinava a lui.
Finirono in tenda insieme, con il timore che gli altri sentissero, ma senza che la cosa fosse poi così importante.

«Questa potrebbe essere l’ultima notte che passiamo insieme, Eric. Ci hai pensato?»
«Sì, mi è passato per la mente. Dopo che avrete fatto i prelievi dalla vena minerale, installerete la facility qui e mi scaricherete. Pazienza.»
«Pazienza? È quello che riesci a dire?» disse lei alzandosi su un gomito per guardarlo negli occhi. I suoi tatuaggi giallastri spiccavano alla luce appena accennata.
«Senti, dottoressa…»
«Puoi chiamarmi con il mio nome.» disse lei, giocherellando con il ciondolo di ambra sul torace di lui.
«Ok, Maru – è che mi sembra il nome di un gatto!»
«A me piacciono i gatti.»
«Va bene, la pianto.» Lui le sfilò il ciondolo dalle mani e le baciò le dita. «La verità è che vorrei che questa spedizione continuasse per sempre. Ho pensato di portarvi da un’altra parte solo per stare un po’ di più con te. Però lo sapevamo fin dall’inizio come sarebbe andata a finire, no?»
Lei si appoggiò su di lui.

Molti anni fa, come ben sapete, fu estratta la prima oncia di Polvere, sostanza dal potere taumaturgico. […] L’agente all’interno della Polvere, isolato successivamente, è stato denominato Dusteria. Dopo numerosi fallimenti, si arrivò a capire che l’unico modo per sfruttare la Povere era l’inoculazione sottocutanea permanente, meglio conosciuta come tatuaggio. Nacque così l’Enhancing Tattooing, l’arte di creare disegni con la Polvere per migliorare le performance dell’uomo, accelerare la guarigione e addirittura impedire la degenerazione cancerosa delle cellule. […]

2.
Il mattino dopo, di buon’ora, i quattro della spedizione si rimisero in marcia. Eric si fermò a guardare i suoi compagni di viaggio e i loro glifi decorativi, di colore giallo. Maru ne aveva qualcuno sul volto, e un altro tra i seni che si estendeva fino all’ombelico. Il professore ne aveva uno molto elaborato sul lato destro del collo, mentre l’ingegnere Stance aveva il braccio destro intriso di formule alchemiche. Eric dal canto suo aveva una riga che correva lungo il volto, gli toccava gli angoli delle labbra e gli contornava le braccia e le gambe fino alle ginocchia.
«Forse finalmente passeremo in una zona un po’ più asciutta.» Simoncini si fermò accanto a lui tracannando un po’ di acqua dalla borraccia. «Non esistono le grotte pluviali, no?»
«Chi può dirlo?» gli rispose di rimando Eric con tono sarcastico.
Il professore grugnì e si rimise in marcia.
Eric attese che tutti passassero, e poi li seguì, controllando con la mano che la sua pistola fosse ben assicurata nella busta di plastica incastrata dietro i pantaloni.

Si affacciò nell’imboccatura del tunnel che portava alla grotta e diede il via libera. Un rivolo d’acqua scorreva indolente sul fondo del cunicolo.
«Credo che il sogno di rimanere all’asciutto sia un po’ remoto, vero, Prof?» sentì Stance ridacchiare qualche passo dietro di lui.
L’aria era ancora più umida di quella che si respirava nella foresta. Drugal controllò come se la cavavano i suoi compagni, cercando con lo sguardo Maru Landa. Stavano sempre attaccati a quelle borracce, ma pareva che l’eccitazione avesse infuso loro di nuova vivacità.
Il gruppo proseguì per un bel po’ e più si addentravano, più Eric era perplesso: si aspettava che la roccia si snudasse lasciando spazio al granito e al basalto, e invece le pareti e il soffitto del tunnel continuavano a riempirsi di rampicanti e liane tanto rigogliose che, in un paio di occasioni, Maru era inciampata addosso al Professore. Eric le aveva imposto di venire avanti e stare vicino a lui.
«Sai cosa mi lascia perplesso, Stance?» stava dicendo il professore tra un respiro ansimante e l’altro. «Riesco a capire come mai ci siano i Vergini, tra noi, ma quello che non mi va giù è che si comportino come degli invasati terroristi! Perché cercano di condizionare il nostro modo di vivere?»
«È sempre stato così, Prof. In ogni epoca di cambiamenti, c’è una corrente di pensiero riluttante ad andare oltre.»
«La cosa migliore di tutto questo è che riesci a dire riluttante anche in una grotta nel bel mezzo della foresta pluviale.»
«Un vero uomo non deve perdere il suo aplomb.» si intromise Landa.
«Un vero uomo deve conservare il fiato, soprattutto quando non sa quanto scenderà ancora questo tunnel!» li zittì tutti Eric con un grugnito.

Esiste una fetta di popolazione refrattaria all’Enhancing Tatooing, a causa di una mutazione del gene Tlc24 […].
La Polvere in questi soggetti viene rigettata. […] È noto come questi individui, insoddisfatti e sofferenti, tendano a isolarsi dal resto della popolazione, coltivando il culto della loro pelle intonsa, dandosi il nome di Vergini.
Il loro atteggiamento settario si è dimostrato fin da subito ostile nei confronti dei Tatuati Migliorati ma, nonostante tutto, si è sempre cercata una soluzione per evitare che fossero sopraffatti da questa frustrazione sociale.


3.
Il cunicolo si addentrò nelle profondità della terra in un serpeggiare senza sosta.
«Sbaglio o sento del vento arrivare da più avanti?» gli chiese Maru.
«Mi pare di sì. Lasciami dare un’occhiata.» Si girò indietro per dire a tutti di fermarsi, ma Simoncini e Stance partirono a razzo. Sbuffando per la loro idiozia, Eric li seguì, afferrando la mano di Maru.
Superata la curva, Drugal rimase impietrito da quello che vedeva: al termine del tunnel si apriva una grotta naturale enorme, alta centinaia di metri e larga altrettanto. C’erano piante ovunque: alberi che si protendevano verso l’alto, rampicanti che si aggrovigliavano sulle pareti, erbe e gramigne che infestavano il terreno, e fiori arancioni che sbocciavano carnosi e umidi, in un florilegio di vita vegetale.
Da un buco sul tetto filtrava una lama umida di luce, circoscrivendo un ecosistema all’interno dell’ecosistema: tronchi ritorti, liane pendule, rami nodosi e tralci sottili si intersecavano in un groviglio grande quanto un palazzo da tre piani. Fiori arancione punteggiavano quel cespuglio gigante scosso da continui tremiti, come un nido di serpenti frondosi. Tutta la matassa di costruzioni vegetali, che si facevano e si disfacevano senza sosta, era avviluppata da una nube giallastra.
«Qualcuno di voi sa che razza di roba è questa? Non mi pare una miniera.» Eric temeva che quello fosse l’inizio di un gran casino.
«Wow!» fu la sola cosa che riuscì a dire Maru Landa, completamente assorbita dalla contemplazione di quello spettacolo.
Il professor Simoncini buttò giù un lungo sorso di acqua. Quell’uomo beveva sempre! «Vado a vedere di cosa si tratta. Stance, prepara i contenitori per i campioni.»
«Prof, non facciamo cazzate. Fin quando non abbiamo capito cos’è, non ci avviciniamo a quella cosa.» gli intimò Drugal con tono fermo.
«Non credo che sia pericoloso.» intervenne Maru, alle sue spalle.
Eric si voltò verso di lei, quando una forma alta tre metri emerse dalle liane dietro di loro – da dentro le liane -, ruggendo e scricchiolando. Drugal si lanciò verso Maru e la spinse via, mentre quell’essere gigante si avventava contro di loro. Il Professore e l’Ingegnere furono sbalzati via.
Eric si alzò e si mise a correre, trascinando la dottoressa, e si fermò dietro un grosso tronco.
Poco lontano dall'ingresso del tunnel, quell'animale che somigliava paurosamente a un dinosauro annusava l’aria. Ma c’era qualcosa di sbagliato in quella specie di mostro, ben più sbagliato dell’idea stessa di dinosauro: era verde, dalla pelle piena di crepe e venature profonde che sembravano cangiare e muoversi sinuose, gli artigli anteriori erano lunghi e frastagliati e con piccole foglie alle estremità. Le zampe scricchiolavano a ogni passo come legno vecchio e i denti erano marroni e polverosi. Un fiore carnoso spargeva un fine polvere giallastra dalla cima della testa.
«Maru, riesci a vedere il Professore e Stance?» chiese Eric senza distogliere lo sguardo da quella cosa.
La ragazza si sporse sopra il tronco. «Eccoli! Lì in fondo.»
Eric li vide. Il professore era tutto stropicciato per il volo, e accanto a lui c’era Stance: la gestualità del loro corpo non mostrava paura, ma solo un certo disappunto. Eric si rimise al riparo e notò che i suoi vestiti e le mani erano coperti da una polvere giallastra, dello stesso colore tenue dei tatuaggi. ‘Beh, alla fine l’hanno trovata questa dannata Polvere!’, pensò tra sé e sé, senza farci troppo caso.
«Maru, cerchiamo di aggirare il bestione. Non fare niente di avventato. Ok?»
Lei annuì, e bevve un sorso d’acqua dalla borraccia.
«Ma perché continuate a bere?»
«La guida di sopravvivenza dice di bere tanto nella foresta pluviale.»
«Parla anche di dinosauri?»

Si lanciarono di corsa verso un cespuglio di fiori gialli: il dinosauro non si era accorto di niente. Il Professore e l’Ingegnere si trovavano una ventina di metri più in là. Eric aggrottò le sopracciglia, perché aveva l’impressione che stessero discutendo con qualcuno.
«Non c’era bisogno di questo casino!» stava quasi urlando Simoncini. Sembrava a metà tra l’incazzato e il deluso, come se fosse stata tradita la sua fiducia.
‘State zitti, dannazione! Volete attirare tutta la foresta?’ cercò di esortarli con il pensiero, ma non servì a niente. Dopo qualche secondo, li vide muoversi con atteggiamento spazientito verso il groviglio ciclopico.
«Ma che cazzo fan-» lasciò la frase a metà, quando vide con chi i due uomini stavano discutendo: dietro di loro, caracollanti come se avessero delle articolazioni appena abbozzate, zampettavano due ominidi, ricoperti di foglie e liane. Non si capiva se Simoncini e Stance fossero in difficoltà, ma nel dubbio, Eric seguì l’imperativo principale di una guida: ricongiungersi con la sua squadra.

I Vergini […] hanno sempre alimentato il loro vittimismo con una continua critica nei confronti dell’Enhancing Tatooing, in cui vedevano un modo per strappare il concetto di umanità come era sempre stato inteso. […]
Molti di loro sono arrivati a creare delle frange violente, fondamentalisti della biologia umana, addestrati all'uso delle armi, facili al martirio con attentati dinamitardi kamikaze, mimetizzati in mezzo ai tatuati.


4.
«I tuoi colleghi sono dei cretini. E che razza di animali ci sono in questo posto?» Drugal stava parlando con Maru, ma non si aspettava alcuna risposta: le sue erano chiacchiere per stemperare la tensione, per tamponare l’eccesso di adrenalina. «Il dinosauro si è allontanato, stammi dietro.»
Simoncini, Stance e gli ominidi di foglie si stavano avvicinando sempre più alla struttura centrale. Eric tirò fuori la busta di plastica impermeabile dove conservava la sua Desert Eagle e scattò verso i suoi compagni a testa bassa, passando tra i fiori arancioni e riempiendosi di Polvere, cercando di essere allo stesso tempo veloce e silenzioso. Quando si trovò a una distanza adeguata piantò i piedi per prendere la mira. «Ehi, voi, nanerottoli dal pollice verde, lasciate stare la mia spedizione!»
Il professore si voltò verso di lui, l’espressione sorpresa e attonita allo stesso tempo.
Eric stava per premere il grilletto, quando l’aria fu lacerata dall’urlo di Maru. Si voltò in tempo per vedere il dinosauro aprire le fauci verso di lui. «NON ORA!» urlò Maru, quasi rivolgendosi all’animale stesso, e spintonò l’uomo, alzando il braccio per difendersi: le mandibole secche e lignee del dinosauro si chiusero intorno al gomito della donna.
«No, no!» Drugal alzò la pistola e sparò tre colpi in rapida successione alla testa del mostro. Sentì i proiettili grattare sulla pelle, far saltare via piccoli pezzi della cotenna, ma non stillò neanche una goccia di sangue.
Il dinosauro staccò di netto il braccio di Maru e l’arto volò via e cadde a pochi metri da Eric ormai terrorizzato. Lui alzò la pistola e sparò ancora in bocca al sauro. Mentre si spingeva con i talloni lontano dall'animale, cercò con lo sguardo il corpo di Maru, ormai certo che fosse morta in mezzo alla Polvere, in barba a tutti gli Enhancing Tattoo.
La scorse che si alzava, lo sguardo incazzato e i capelli scarmigliati. Si teneva una mano sul moncherino, e tuttavia non era il sangue a scorrere tra le dita della ragazza, ma una specie di linfa densa del colore del miele, in grossi rivoli filamentosi. «Rimandalo indietro!» disse furente, rivolta verso il cumulo di liane aggrovigliate. Un tremito che percorse tutta la struttura gigante, e poco dopo, il dinosauro cominciò ad allontanarsi, mentre pian piano si disfaceva in una serie di pezzi di tronco e liane e radici.
«Eric, caro, scusami per questa scenata. Siamo stati un po’ troppo plateali, lo ammetto.» Era l’ingegnere che parlava, mentre si avvicinava a lui. Accanto c’era Simoncini, gli occhi divertiti mentre beveva ancora dalla borraccia. Nel frattempo, gli ominidi si stavano disfacendo come il dinosauro.
Maru non lo guardò nemmeno, ma andò a prendere il suo braccio da terra e lo puntò, grigio ed esanime, verso di lui. Eric constatò che il moncherino poco sotto la spalla si stava ricomponendo un po’ alla volta e i tatuaggi sul volto brillavano intensamente: dalle volute dei glifi decorativi partivano delle venature che serpeggiavano sotto la pelle fino alla ferita, ricomponendo l’osso e i tessuti. Drugal scorse una tenue luminescenza trasparire attraverso la maglietta umida della dottoressa.
Il professore seguì il suo sguardo fino al processo rigenerativo: «Sorprendente, vero? Io l’ho chiamata osteosintesi clorofilliana. Un portento!»
Eric deglutì: «E questo getta nuovi significati sul termine orto-pedia, immagino.»
«Sei proprio divertente, Drugal.»
«C’è poco da ridere. Ma che razza di abominio siete?»
Stance sorrideva, mentre si spostava dietro il Professore e veniva verso di lui, aggirandolo. Ora era praticamente circondato da quei tre. «Eric, sei una persona sveglia. Guardati intorno, e cerca di unire i puntini.»
Drugal cominciò a dar voce a un po’ di sospetti che erano sbocciati dentro di lui. «Voi siete quasi degli alberi, insomma sembrate fatti legno e bevete sempre. Questo posto è pieno di Polvere, ce l’ho pure addosso. Solo che non è raffinata dalle rocce ma è sparsa dai fiori. Oh mio dio, non è polvere ma…»
«Bravo! È Polline, che inoculato nella gente la fa cambiare per diventare… così.» e indicò sé stesso. «Qui vicino c’è la Madre, l’unica genitrice e progenitrice, dispensatrice di Polline. Dovresti esserne affascinato.» Simoncini sembrava al settimo cielo.
«Affascinato un cazzo! I Vergini hanno ragione: ci state avvelenando tutti!»
Simoncini scoppiò a ridere.
«Andiamo, Prof, diamoci un taglio, siamo qui per un motivo, no?.» si intromise Stance. «Non è il momento di chiacchierare.»
Eric approfittò di quel battibecco per sollevare la pistola verso Simoncini e sparare l’ultimo proiettile: metà testa del professore, dal naso in su, volò via in un mare di schegge e bava dorata. In quello stesso istante, il corpo di Eric fu avvolto da una serie di liane che partivano dalle dita della mano monca di Maru, immobilizzandolo.
«Eric, che cazzo! Ci vorrà una settimana buona per riavere la mia faccia. Sei un Vergine di merda, non ti smentisci!»
«Come fate a…»
Maru diede uno strattone alla mano per metterlo in ginocchio. «Certo che sapevamo di te, e ho spinto io per averti in squadra con noi. Loro volevano semplicemente tramortirti e portarti qui in catene. Io un po’ credevo in te: speravo che capissi la magnificenza di questa creazione che vive qui da tempo immemore, in attesa di essere ripristinata.»
«Magnificenza? Siete solo dei pazzi che stanno avvelenando gli umani! Li state trasformando!»
«Hai visto quello che possiamo fare? Quanto siamo potenti? Voi Vergini siete deboli, inefficaci e fragili. Il vostro errore genetico vi rende dei disabili inadatti ad avanzare nell'evoluzione. Ma tu ci aiuterai, per porvi rimedio.»
«Andate a farvi fottere!»
Le liane si tesero ancora, stringendogli i polsi e l’inguine, mentre un capo lo imbavagliava, trascinandogli in bocca il suo ciondolo di ambra.
«Vedi, Eric,» stava dicendo Stance. «Il Polline, o Polvere che dir si voglia, è versatile, facile da usare e molto potente, ma non abbastanza per far fronte alla vostra mutazione. Abbiamo bisogno di un altro veicolo, più profondo, e che raggiunga tutti.»
Eric ne aveva abbastanza di questo delirio naturalista e doveva porvi fine, prima che gli umani non fossero spazzati via in favore di questi ibridi di legno e linfa. Aveva un asso nella manica, ma doveva guadagnare tempo.
Mugolò e sputacchiò per attirare l’attenzione.
«Vuoi parlare?» Maru gli liberò la bocca, mentre lui spostò il ciondolo tra la guancia e la gengiva.
«Perché continuate a dire che queste… piante sono primordiali? Per via del dinosauro e degli ominidi?»
«Quelli sono solo delle forme primitive e facili da riprodurre per la Mente-Albero con rami e liane. E poi sono utili come sistema di difesa e di comunicazione. Io li ho battezzati Vegesauro e Raminidi. Geniale, eh?»
«Che nomi di merda, prof!»

Gli uomini-albero camminano su questa terra da tempo immemore, come raccontano molte leggente. Nel finale di Tristano e Isotta, il caprifoglio si intreccia indissolubilmente al nocciolo, riferimento all’unione tra uomo e vegetale. […] Tolkien descrive un’intera popolazione di alberi dalle sembianze umane.
[…] Nella Bibbia si fa riferimento al mistico Giardino dell’Eden, che non è altro che la vecchia Terra prima dell’arrivo dell’uomo, prima che la mutazione non comparisse e la carne si riempisse di sangue. Fino ad allora, il mondo vegetale era il padrone e l’Albero della Conoscenza non era altri che la primeva Mente-Albero, primo groviglio di circonvoluzioni vegetali.

5.
Erano quasi arrivati nei pressi della Mente-Albero, parodia del cervello umano fatta di rami e liane… o forse era il contrario?
«E adesso, Vergine Drugal, abbiamo bisogno del tuo corpo, della tua carne e del tuo sangue, per riuscire a crackare l’ultimo pezzo del puzzle genetico che ti compone: la Madre-Albero guarderà dentro di te e capirà come aggirare la vostra refrattarietà.»
«Ma che ve ne fate se la Polvere non attecchisce sulla pelle di quelli come me?»
«Vogliamo qualcosa di più di un nuovo polline: grazie a te fabbricheremo spore! Piccoli, indistruttibili gusci di materiale organico-vegetale, che attecchiranno ovunque, a prescindere dalle mutazioni genetiche, perché conosceranno ogni modo per raggirarle»
Eric cominciò a contorcersi e a strattonare le liane, quando vide un ramo di bambù flessibile muoversi dal cervello vegetale e dirigersi verso di lui, l’estremità appuntita verso il suo torace: l’avrebbero punzecchiato, aspirato e probabilmente assorbito.
Come tutti gli adepti del culto dei Vergini, aveva un tatuaggio finto che serviva a mascherare la sua natura, fatto con una particolare sostanza altamente reattiva, che esplodeva se entrava in contatto con il cloruro di potassio: Drugal era una bomba umana.
Il tubo di legno affondò senza preavviso nel suo torace. Eric sputò il suo ciondolo, mentre avvertiva una sensazione di risucchio al centro del petto. Con la vista annebbiata osservò il suo sangue scorrere verso la Madre, che diventava sempre più frenetica mentre assorbiva e analizzava.
“Ora o mai più!” Eric flesse al massimo il collo e afferrò il ciondolo con le labbra, mentre la trepidazione del Cervello-Albero diventava incontenibile. Eric fu scosso da conati di vomito, abbassò lo sguardo verso il tubo di legno e si accorse che il flusso si era invertito: ora stava pompando dentro di lui un materiale arancione. Si sentì gonfiare: non voleva diventare il ricettacolo di quell’abominio. Con le ultime forze rimaste, strinse i denti intorno al ciondolo, rompendolo: il cloruro di potassio fece il resto.
L’esplosione lo dilaniò, lasciando che il terribile regalo della Madre-Albero si disperdesse nell’aria surriscaldata.

Epilogo
Eric Drugal si è fatto martire perché il nostro sogno diventasse realtà. Levate gli occhi al cielo e ringraziatelo per aver reso possibile questo momento. Eric ci ha fatto capire con il suo gesto di massimo altruismo quanto sia importante la vita e cosa bisogna fare per preservarla a tutti i costi. Le fiamme l’hanno bruciato, si è dissolto nell’aria, sprigionando per tutto il mondo il frutto della sua offerta.
Ringraziamolo ora e sempre perché finalmente questa terra appartiene a chi di diritto.
A NOI, GLI UOMINI ALBERO!
*Dal discorso del Professor Simoncini ai suoi simili, cinque mesi dopo la Sporificazione Totale.

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Re: Semifinale Maurizio Vicedomini

Messaggio#3 » giovedì 7 giugno 2018, 0:08

L’importanza di chiamarsi Ernesto


«E quale sarebbe?» chiese Marcello aggiustandosi il ciuffo.
«Quale sarebbe cosa?» ribattè Barnaba.
«Quale sarebbe l’importanza di chiamarsi Ernesto.»
«É il titolo sul giornale...»
«A scuola da me c’era uno che si chiamava Ernesto» interruppe Rosario da dietro il bancone del bar « e tutte le volte lo chiamavamo “Ernestoo” , e poi giú pacche sul capo»
«Insomma c’è questo milanese che...»
«Era un po’ uno sfigato Ernesto, diciamocelo» continuó Rosario mentre puliva i bicchieri.
«Alla libreria di Cagliari...» tentó ancora Barnaba.
«Oh, peró era un bravo ragazzo eh. Ora si fa chiamare Luana e fa pompini giú alla stazio...»
«MI FAI FINIRE CAZZO!» esplose Barnaba.
«O ma che modi, certo eh! Vieni a scroccare bitterini e guarda che maniere...» rispose Rosario «Ajò, sentiamo, finisci!»
«É il titolo di un articolo sul giornale:”
L’importanza di chiamarsi Ernesto

L’autore Francesco Nucera presenterá il suo romanzo “Ernesto: Genesi di un eroe” alla libreria “Minuti Sprecati” di Cagliari.
Ma chi è Francesco Nucera? Cosí parla di sé lo scrittore milanese:
“Nel 2014 ho iniziato a frequentare i contest letterari on-line. Ero grezzo e sgrammaticato ma con la consapevolezza che dagli altri avrei potuto imparare molto.
Fu Beppe a farmi conoscere Minuti Contati,lì, grazie ad Angelo, Beppe, Diego, Filippo, Alberto e gli altri, ho imparato tanto, eppure sentivo che mi mancava qualcosa.
Competere sulla breve distanza non mi permetteva di migliorare la tecnica.
Fu Maurizio a venire in mio soccorso e a farmi conoscere La Tela Nera.
Sulla Tela ho partecipato allo Skannatoio, a quei tempi gestito da Marco Lomonaco, e di "botte" ne ho prese tante.
Soffrivo ogni volta che aprivo un commento di CMT e leggevo pagine e pagine di note e correzioni. Mi sentivo piccolo al cospetto di Willow78, Polly Russell, LeggEri e DavidG...”

«Ma chi è tutta questa gente? Nemmeno il coraggio di firmarsi con nome e cognome hanno, Willow, Leggeri, David G?» interruppe Marcello.
«Eja, è vero, questo Nucera ha un cognome ridicolo, ma almeno ci mette la faccia. Come fai a fidarti di David G che non ha il coraggio di rivelare nemmeno la sua identitá?» disse Rosario.
«O ma insomma, c’è questo milanese che presenta il libro e io ci volevo andare.» disse Barnaba.
«E perché? Da quand’è che fai l’acculturato?» gli chiese Rosario.
«É che s’è tutto preso della libraia» disse Marcello «pensa che l’altro giorno era andato a comprare la riedizione dei librogame di Lupo Solitario, e invece è tornato a casa con “Delitto e Castigo” di Dostoyevski.»
«Ma ti vuoi stare zitto, è bravo Nucera, scrive anche dei racconti su dei ragazzini che cacciano vampiri e una tipa sexy con la balestra...Ma poi, saranno fatti miei? Saró libero di svolgere delle attività culturali?» disse Barnaba «E magari ci sono pure i salatini.»
***
Il vecchio albero di ginepro si spezzó con un rumore secco, sprigionando il caratteristico e forte odore.
Il suolo tremó, piccoli mammiferi scapparono in ogni direzione cercando riparo negli anfratti e sottoterra.
Dopo settanta milioni di anni, uno della sua razza era tornato a vedere la luce del sole.
Dopo settanta milioni di anni enormi zampe con tre dita tornarono a lasciare orme sulle aspre colline sarde.
Il Carnotaurus era finalmente uscito dal sotterraneo dove aveva vissuto la prima parte della vita,
e dopo settanta milioni di anni, un ruggito dimenticato risuonó sulla terra.

***
Sul finire della sera il pandino 4x4 di Barnaba era sotto casa di Marcello. O meglio, della nonna con cui Marcello viveva.
Barnaba, al posto di guida, si grattava l’ispida barba nera, indeciso se segnalare o meno col clacson la sua impazienza all’amico che ancora non si faceva vedere.
Fuori, il caldo di una serata sarda di inizio estate e il frinire delle cicale.
Dentro, il caldo di una serata sarda di inizio estate in un’auto senza aria condizionata e “Ride the Lightning” di sottofondo.
Finalmente la porta della piccola casa si aprí e l’esile figura dell’amico fece capolino:«Ciao nonna, no no tranquilla non faccio tardi. Ejaaa giá sto attento» disse Marcello uscendo.
«Barnaba ma ti sei messo una giacca?» chiese entrando nell’utilitaria e vedendo il suo amico tutto agghindato.
«Si, e che c’è di strano?» rispose Barnaba.
«Ma come che c’è di strano? Non ti sei mai messo una giacca in vita tua! Certo che la maglietta dei Motorhead sotto peró non c’entra molto...»
«Come non c’entra? Fa moderno chic.» rispose Barnaba mentre tentava di mettere in moto la Panda, senza ottenere grandi risultati. «Quella degli Iron dici era meglio?»
***

La libreria era piccola e stipata di libri. Nella prima sala, data l’evidente mancanza di spazio, oltre ai libri nelle scaffali, vi erano colonne di volumi un po’ovunque, organizzati in un modo che probabilmente era noto solo ai dipendenti. Nel secondo ambiente un uomo sulla trentina, piccoletto e con barba e capelli arruffati era indaffarato a firmare libri e a stringere le mani delle persone intervenute alla serata.
«Mi sa che siamo arrivati tardi!» disse Marcello entrando nella piccola libreria «Guarda sta già firmando le copie del libro.»
«No ma dai, quello non puó essere lui» disse Barnaba.
«E perché?»
«Non è di Milano? Io me l’aspettavo alto, biondo e ben vestito. E invece...»
«E invece?»
«E invece sembra, boh, calabrese?» rispose Barnaba.
***
«Madre dei Draghi, Nata dalla Tempesta, Signora dei Sette Regni, Distruttrice di Catene e Prima del Suo Nome!» disse la ragazza a cavallo del dinosauro «cosí mi chiameranno dopo che avró conquistato la Terra con l’esercito dei mie Draghi.»
Il rettile giró la testa verso la sua padrona.
«Io sono la Kalisse e tutti mi dovranno obbedienza!»
«E poi, con la violenza, insegneremo a tutti che LA TERRA É PIATTA! Finalmente la smetteremo con queste teorie assurde e illogiche di palloni nel vuoto! Vero mio piccolo Viserion?» disse accarezzando il Carnotaurus «e smetteranno di controllarci con le scie chimiche e i vaccini!»

***
«No mi dispiace Maria oggi non c’è» disse l’impiegato a Barnaba «Oggi ci sono io, lei ha preso due settimane di permesso.»
«Oh due settimane?» disse Barnaba che sembrava invecchiato di dieci anni di colpo.
«Sí, sa… é andata in vacanza nel Continente. Col suo fidanzato.»
«Oh col fidanzato?»
Adesso gli anni erano venti.
«Sí, le devo lasciar detto qualcosa?»
«No, no, non si disturbi...» rispose Barnaba con l’entusiasmo di un condannato a morte.
«Ajo, su, non te la prendere» disse Marcello dandogli una pacca sulla spalla.
«Non ci sono nemmeno i salatini...» rispose Barnaba sottovoce guardandosi i piedi.
«Non ci saranno i salatini, ma guarda un po’» disse Marcello porgendo un libro all’amico « ecco una copia autografata di Francesco Nucera!» e poi, bisbigliando, «É una prima edizione eh, magari se diventa famoso e muore ci sta che valga anche qualcosa!»
Barnaba prese il libro, lo soppesó, e lo ripose nella tasca.
«Il signor Nucera ha l’albergo dalle nostri parti, gli ho detto che lo possiamo accompagnare noi, se no con il bus non arriva mai. Va bene?»
«Eja» rispose l’amico alzando le spalle, «tanto ormai oggi mica si tromba.»
***
Le ruote del pandino stridevano sull’asfalto per le curve prese a tutto gas.
«Ha pubblicato altri libri oltre a questo?» chiese Marcello.
«Si questo è il secondo» rispose Nucera, cercando qualche appiglio sul sedile posteriore.
Alla fine si decise per afferrare con forza il poggiatesta.
«E scrive a tempo pieno quindi?»
«No, scrivo molto, ma per il momento in Italia è difficile vivere di sola scrittura e quindi devo fare altro. E voi, a cosa vi dedicate?» chiese lo scrittore.
«Mah, piccoli lavori, un po’ di spacci...» cominció Barnaba.
«Un po’ di vendita al dettaglio,» lo interruppe Marcello, «siamo liberi professionisti.»
« Ah capisco, senta Barnaba,» continuó Nucera « ma non è che puó andare un po’ piú piaAAAAAAH!»
Non finí la frase, un rettile di tre metri di altezza e nove di lunghezza (circa) , con tanto di corna e cresta, si paró in mezzo alla strada.
«Cazzo, cazzo, cazzo! un drago!» esclamó Marcello.
Barnaba sterzó.
Le ruote stridettero.
Il pandino sussultó, poi si spense e si fermó.
I tre guardarono esterrefatti una tipa seminuda scendere con fare maestoso dal dorso del rettile e farsi loro incontro.
«Un’arma. Avete un’arma? Una pistola, avete una pistola?» chiese Nucera.
«No, ma cosa pistola, mica siamo in un college americano!» disse Marcello.
«Ma cazzo siete dei deliquenti, non avete un’arma?» esclamó lo scrittore.
«Intanto moderi i termini» disse serio Barnaba voltandosi verso il passeggero e puntandogli contro il grosso indice «qui siamo in Sardegna e al massimo massimo abbiamo il coltello. E poi delinquente è una parola grossa...»
La ragazza si faceva piú vicina. In mano aveva una scimitarra.
«Cazzo Barnaba, Nucera ha ragione, dov’è il cric?»
«É dietro cazzo. Peró dovrei avere...» rispose, cominciando ad armeggiare violentemente col cruscotto che non si voleva aprire.
La ragazza era a pochi metri.
«Parti, parti, parti» cominció a balbettare Marcello.
Barnaba continuava ad armeggiare col cruscotto. La ragazza era quasi al finestrino.
«Partipartiparti» cominció Nucera che era passato dal lei al tu per via dell’adrenalina.
Il cruscotto si aprí con violenza.
«Io , Kalisse, prima del suo nome…» comincío la ragazza.
Barnaba stava armeggiando col contenuto del cruscotto. Buste di polvere bianca caddero al suolo, diverse si strapparono riempiendo l’abitacolo di una candida nuvola.
«… vi intimo di inginocchiarvi davanti a me, e giurare fedeltà alla vostra nuova regina...»
Barnaba tiró fuori una bomboletta.
«… e finalmente mettere fine al controllo di Big Pharma e alla Teoria della Terra Rotonda! Altrimenti morirete!»
Barnaba tentó di spruzzare il contenuto dello spray verso la donna, ma il tappino era storto e il getto prese in faccia Nucera e Marcello, e quest’ultimo cominció a gridare e a piegarsi in due.
Lo scrittore invece balzó sul sedile anteriore e aprí di colpo la portiera, che prese in pieno in faccia la ragazza, facendole perdere l’equilibrio.
«Ma parti cazzo!» disse a Barnaba.
Barnaba riuscí a riaccendere il pandino e partirono, prendendo la prima strada che permettesse loro non passare davanti al dinosauro.
Dopo qualche minuto si fermarono a tirare il fiato al lato della strada, davanti a un bivio
«Cazzo era quel drago?» disse Marcello ancora lacrimando per l’effetto dello spray.
«Non era un drago, ma un Carnotaurus. Un dinosauro teropode del periodo Cretaceo dell’era Mesozoica» disse Barnaba serissimo.
«Era un che?» chiese stupito Nucera.
«Un dinosauro.»
«Ma che ne sai te?» chiese Marcello.
«Da bambino invece dei calciatori facevo l’album delle “Meraviglie delle Scienze”» rispose Barnaba «piuttosto com’è che lo spray al peperoncino non le ha fatto effetto Nucera?»
«Ah niente, è che i miei vengono dalla Calabria e noi calabresi abbiamo una mutazione genetica che ci rende immuni agli effetti del peperoncino.» rispose lo scrittore.
«Ah vedi? Lo dicevo ioooo…» disse Barnaba a Marcello.
«Va beh, ma ora che si fa? Dove si va per qui?» chiese Nucera.
«Mah a destra si dovrebbe andare verso il raccordo della superstrada» disse Marcello «peró non l’hanno finito da vent’anni»
«E a sinistra?»
«E a sinistra si andrebbe verso un ponte , peró...»
«Peró non l’hanno finito» concluse Nucera.
«Ecco» disse Marcello.
«E quindi?» chiese lo scrittore.
«Ho un idea» disse Barnaba. Mise la prima e partí col Pandino a tutta birra e travolgendo un cartello di “Pericolo Frane”.
«Ma che fai? Ti sei rincoglionito?» disse Marcello.
Barnaba scese e prese il palo con il cartello triangolare.
«Come si affronta un drago?» chiese «Si carica a cavallo lancia in resta. Noi non abbiamo un cavallo, ma abbiamo una Panda. E questa sarà la nostra lancia! Nucera venga alla guida.»
«Una Panda contro un dinosauro?» chiese Nucera.
«I dinosauri sono estinti, le Panda no» rispose Barnaba.
Gli altri due si guardarono. Sará stata la cocaina, sarà stata la disperazione, ma a tutti sembró un ottimo piano.
L’utilitaria fece dietrofront e dopo poco si poterono udire i pesanti passi del rettile che facevano tremare la terra.
E poi lo incontrarono.
La pelle con le scaglie rossastre luccicava sotto gli ultimi raggi sole.
Le corna sulla testa e la mole immensa erano qualcosa di terrificante per chiunque.
Meno che per due sardi e un calabrese strafatti di coca, evidentemente.

Dinosauro e pandino si fronteggiarono.
La ragazza li fissó, gli uomini la fissarono.

Poi, il drago ruggí e il pandino sgommó.
Il Nucera si sporse tutto in avanti sul volante e puntó deciso verso il rettile mentre Barnaba e Marcello puntellavano contro il telaio il cartello “Attenzione Frane”.
La ragazza urló “DRAKARIS!”
Barnaba gridó «BONSAAAI!»
E poi l’impatto. Terribile. Tremendo.
Il palo trapassó il rettile, la ragazzo voló per una decina di metri e atterró con un tonfo sordo.
Sangue sprizzó ovunque. A litri.
Il pandino s’impennó, si capovolse e atterró di nuovo sulle quattro ruote. Il motore al minimo.
«Mi sa che era banzai.» disse Marcello.
«Mi sa anche a me» disse Nucera. Poi spruzzó il liquido per i vetri e azionó il tergicristalli.

«Forse è meglio se ce ne andiamo» disse.
E nulla, se ne andarono.

***
Poche ore dopo un uomo vestito in modo stravagante piangeva disperato sul corpo della giovane donna.
«Maledetti! Maledetti» gridava al cielo, accarezzando i biondi e lunghi capelli della donna.
«Chi è stato? Chi ha ucciso questa donna cosí bella e il suo piccolo dinosauro? Si deve avere una pattumiera al posto del cuore!»
«O figlia,mia ho speso anni di ricerca e miliardi delle mie aziende per farti avere tutto quello che volevi. I tuoi Draghi erano pronti, avresti potuto esaudire i tuoi desideri: partecipare al Grande Fratello, diventare famosa e importante, dominare il mondo… e tutto senza il bisogno di una stupida e volgare istruzione!»
L’uomo si alzó in piedi e serró con forza i pugni.
«Io scopriro i vostri nomi, assassini. Vi troveró, e conoscerete paura e dolore, perché io sono Calisse! Lapo Calisse! Mbuahahaha!»

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Re: Semifinale Maurizio Vicedomini

Messaggio#4 » giovedì 7 giugno 2018, 0:10

Il buon David, da programmatore qual è, non ci capisce una mazza di forum e quindi ho dovuto ripescare il racconto rieditato dalla vecchia discussione.
Abbiate pazienza, promette che la prossima volta sarà più attento

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Re: Semifinale Maurizio Vicedomini

Messaggio#5 » giovedì 7 giugno 2018, 0:24

Peró l'altra l'ho rieditata bene!

:D

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Re: Semifinale Maurizio Vicedomini

Messaggio#6 » venerdì 15 giugno 2018, 10:26

Abbiamo il primo Finalista…

Commenti:

Polvere nel vento
Il più grande problema di questo racconto è il tentativo di condensare una fabula troppo ampia in un racconto breve. Questo ha portato l'autore all'utilizzo di numerosi infodump per spiegare il background della vicenda e l'intero worldbuilding. Tra l'altro, il background è a mio avviso più interessante della vicenda narrata, perché immaginifico e ben congeniato.
Tuttavia, la trama si regge bene, e i personaggi - sebbene non abbiano una fortissima caratterizzazione - riescono a emergere. Il ricorso al tema del dinosauro è marginale ma caratterizzante.

L'importanza di chiamarsi Ernesto
Le prime battute di dialogo sono ottime. C'è una scrittura fresca, simpatica. Poi il racconto crolla in un circolo di citazionismo e no-sense. Il che non è necessariamente un male, se gestito bene. In questo caso, purtroppo, si arriva alla fine chiedendosi quale fosse la trama, perché sia stato necessario inserire tutti quei citazionismi e - soprattutto - dove fosse poi la parte divertente.
In alcuni punti la scrittura pare più ragionata dal punto di vista stilistico - e si nota - ma nel complesso non è a mio avviso un racconto riuscito.

Vincitore semifinale: Polvere nel vento.

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