Semifinale Antonio Lanzetta

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il due maggio sveleremo il tema deciso da Lorenzo Crescentini. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Lorenzo Crescentini assegnerà la vittoria.
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Spartaco
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Semifinale Antonio Lanzetta

Messaggio#1 » lunedì 4 giugno 2018, 17:48

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Eccoci alla seconda parte de La Sfida ad Animali.
In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti del girone Antonio Lanzetta hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR del loro girone un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi Sonia Lippi ( Dipartimento di Inseminazione Ovarica. (D.I.O.)) e Agostino Langellotti (Ladri di galline) possono sfruttare i due giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: mercoledì 6 giugno alle 23:59
Limite battute: 21.313

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 06 giugno. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



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Sonia Lippi
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Re: Semifinale Antonio Lanzetta

Messaggio#2 » mercoledì 6 giugno 2018, 21:57

DIPARTIMENTO DI INSEMINAZIONE OVARICA (D.I.O.)


L’ultimo uomo sulla terra sedeva da solo in una stanza.
Bussarono alla porta.
«Basta!» Urlò coprendosi la faccia, «non ce la faccio più» disse fra se piangendo.
Bussarono ancora, poi sentì la porta aprirsi.
«Adam che succede?» Igea entrò nel mini appartamento arredato in maniera essenziale:
un letto singolo in un angolo, una scrivania, una piccola libreria e un divano.
Alle pareti due maxi schermi proiettavano immagini silenziose e davanti ad esse una sedia speciale sulla quale era seduto l’uomo, con casco e guanti ancora indosso e con la testa fra le mani.
La dottoressa si avvicinò.
Notò i suoi occhi arrossati e l’espressione stanca.
«Hai voglia di parlare un po'? lo sai che con me puoi aprirti» disse sedendosi sul grande divano bianco di pelle.
Adam sbuffò. «Parlare cambierà la mia situazione?» Chiese con voce acida.
«Forse no, ma servirà a farti stare meglio. Siediti qui con me».
Adam si tolse guanti e casco, poi si alzò dalla sedia di malavoglia e si lasciò cadere accanto alla dottoressa come un sacco di patate, con la testa reclinata in avanti e il corpo afflosciato sul bracciolo sinistro.
Igea pose una mano sulla sua spalla destra.
Vedendo che l’uomo non reagiva, si schiarì la voce e con tono rassicurante disse: «Adam, lo so che la tua situazione non è delle migliori, ma ti giuro che ci siamo vicine. Manca poco. Davvero! Gli ultimi esami..»
«Doc per favore, ogni volta mi dici sempre le stesse cose. L’ultima volta mi hai detto che dagli esami risultava che un cromosoma y si fosse mosso, ma la realtà è che sono imprigionato qui da vent’anni, in questo laboratorio, circondato da immagini porno e bombardato di ormoni per poter produrre litri di sperma che nemmeno in dieci vite avrei prodotto. Basta, sono esausto.»
Iniziò a singhiozzare sommessamente.
Igea lo accarezzò sulla schiena, «Adam, mi rendo conto che la tua vita è un inferno, ma la nostra sopravvivenza dipende da te. In tutto il pianeta siamo rimasti esattamente in ventiquattromilaseicentotrentasette, tutte donne, una buona percentuale sono tue figlie ovviamente.
Entro dieci anni dobbiamo far nascere degli uomini altrimenti dovremo ingravidare con il tuo sperma le tue figlie, con il rischio di malformazioni genetiche».
Adam sospirò. «Sai Igea, spesso mi chiedo come abbia fatto mio padre, nonostante avesse contratto il virus, a produrre un cromosoma y così forte da mettere incinta mia madre. Se non fossi nato io, l’umanità sarebbe già quasi estinta».
Igea sorrise, «ce lo chiediamo anche noi. Tuo padre ha passato cinquant’anni in questo laboratorio dando un grande contributo alla ricerca. Forse non ti ho mai detto che è grazie a lui che siamo riuscite a capire cosa ha scatenato il contagio e a isolare il virus. Ma è grazie a te che abbiamo scoperto che dopo seicentosessantasei mutazioni, il suo DNA si resetta. È in quei pochi secondi di reset che possiamo agire per inserire una nuova informazione nel suo DNA e renderlo stabile».
Adam sembrò risvegliarsi, «wow! Tre urrà per le mie dottoresse preferite!» disse sarcastico.
Poi girandosi verso la dottoressa continuò con tono rabbioso, «sappiamo tutti che il contagio è partito proprio da qui per colpa di quel gruppo di ricercatrici femministe! Ma che cazzo pensavano che il mondo senza uomini sarebbe stato migliore? Il loro esperimento sui dinosauri fu talmente un fallimento che l’hanno estinti cazzo! Però non contente l’hanno sperimentato sulla popolazione. Bastarde».
Igea socchiuse gli occhi e sospirò, «Adam te l’ho spiegato mille volte, era una ricerca sulla lotta biologica. Inserendo in natura insetti maschi con DNA mutato, in pochi anni si sarebbero estinte per esempio le zanzare malariche o le zecche. L’intento era buono. Non ci fu nessun complotto ne nessuna voglia di eliminare il sesso maschile. Erano delle scienziate, non erano femministe e non contaminarono l’acqua appositamente. Hanno sempre giurato che fu un incidente».
«Si vabbè, un incidente strano, visto che oltre alla creazione del virus hanno cercato in ogni modo di far riprodurre le donne per partenogenesi. Comunque oramai questo è il nostro presente e se ancora mi faccio spremere come un limone da voi è solo per non darla vinta a quelle stronze!»
La dottoressa sorrise, «Vedrai ce la faremo! Presto torneranno a nascere dei bellissimi bambini maschi. Vedila così, se riusciamo in questo intento tu sarai il padre del genere umano».
Adam abbozzò un mezzo sorriso e il suo tono si addolcì, «da piccolo desideravo una famiglia grande, ma mai avrei pensato a una così grande. Cosa mi volevi dire Doc quando sei entrata?»
A Igea si illuminarono gli occhi. «La fattrice numero uno, Lilith, è incinta di un maschio. Purtroppo ha delle malformazioni genetiche multiple e sarebbe necessario farla abortire. Appena le abbiamo comunicato la notizia è fuggita, ma resta comunque un grande risultato. Significa che la cura che stiamo somministrando sia a te che a loro sta iniziando a dare i suoi frutti».
Nel cuore di Adam si riaccese la speranza, «ed Eva? Eva come sta reagendo?»
«Eva non è ancora pronta a generare, ma abbiamo iniziato la cura e sta reagendo bene. Fra pochi mesi sarà inseminata, nel frattempo noi perseveriamo con la nostra ricerca. Adam ci riusciremo vedrai.
Se sei stanco, darò ordine di sospendere le stimolazioni visive e tattili, hai tutto il diritto a mezza giornata di riposo. Hai qualche richiesta particolare per questo pomeriggio?»
Adam rispose tutto di un fiato. «Sempre la solita da anni. Ciò che mi manca è una persona con la quale parlare, fare una passeggiata, scambiare idee, discutere di libri. Insomma mi manca la tenerezza e l’amore di una compagna».
Igea ci pensò su. «Sai che non è mai stato possibile, non potevamo permetterti distrazioni. Ma visto i risultati incoraggianti che abbiamo ottenuto ultimamente credo che si possa fare. Anche Eva ha bisogno di un compagno fuori dal laboratorio. Potrete incontrarvi tutti i giorni nel grande parco della nostra clinica. Un posto sicuro, lontano da camici bianchi e provette. Che ne dici?»
«Sarebbe fantastico!» rispose Adam con entusiasmo, ma la sua felicità durò un attimo.
Si guardò intorno, poi guardò la dottoressa e mille pensieri gli si accalcarono in testa.
Iniziò ad entrare in ansia e a mordicchiarsi le unghie, poi balbettando aggiunse «Igea, scusami io non credo però di essere in grado...insomma io…»
«Quale è il problema adesso Adam? Non hai appena detto che vuoi compagnia? Non capisco!»
Adam sospirò, poi indicando lo schermo grande quanto una parete disse, «ma come faccio a relazionarmi con una donna? Sono vent’anni che vedo porno, cosa gli dico quando la vedo? Ciao sono Adam, che tette enormi che hai e che culo! Sai il mio gingillo è venticinque centimetri, se ti metti a pecora te lo faccio sentire tutto! Questi sono i discorsi che sento fare in quei film del cazzo …»
Igea sorrise, «Adam ma non hai mai fatto apprezzamenti sulle mie tette, te la caverai anche con lei tranquillo!»
Adam sorrise a sua volta. «Ei Doc con tutto il rispetto, tu hai settantacinque anni, Eva diciassette» disse ammiccando.
«Be mio caro avrò anche settantacinque anni ma mi difendo bene» rispose Igea con voce offesa, poi scoppiarono a ridere assieme.
L’espressione della dottoressa si addolcì e lo guardò con la tenerezza di una mamma.
«Dai ho capito. Oggi passerò il pomeriggio a darti consigli. Da dove partiamo? Ti hanno mai spiegato come nascono i bambini?»
Risero ancora, e Adam si sentì felice come non lo era mai stato.
---
Trentacinque anni ed era nervoso come un adolescente.
In fondo era il suo primo appuntamento.
Alle 15.00 avrebbe dovuto vedere Eva, e mentre si aggiustava la tunica azzurra e si pettinava, ripassava mentalmente i consigli di Igea.
N 1: guardarla sempre negli occhi, le donne amano il contatto visivo.
N2: usare sempre una voce carezzevole e sorridente ma non troppo, una cosa è risultare gentili un’ altra è sembrare ebeti.
N3: stare in silenzio e ascoltarla con attenzione.
N4: se non sei d’accordo con il suo pensiero, mai dire «non sono d’accordo», ma iniziare sempre la frase con «ciò che dici è molto interessante e lo condivido, anche se…»
Ce la poteva fare, in fondo le regole non erano molte.
Si avviò verso il luogo dell’appuntamento.
Era una magnifica giornata di primavera, le piante erano in fiore e nell’aria aleggiava un odore di fragole e gelsomino.
Vide Eva che lo aspettava sotto il melo.
Era bellissima.
I capelli lunghi e biondi sciolti al vento, l’ovale del viso perfetto e un corpo esplosivo messo in risalto dalla corta tunica.
Si fece coraggio e la raggiunse a grandi falcate, stampandosi un enorme sorriso sulle labbra.
«Buon pomeriggio, io sono Adam, piacere di conoscerti» disse allungando la mano e fissando gli occhi di lei.
«Piacere mio sono Eva,» rispose la ragazza prendendo la mano di lui.
«Ehm ecco, ti andrebbe di fare una passeggiata?» disse Adam con occhi sgranati e fissi e continuando ad avere le labbra tirate.
«Bè si certamente, è per questo che siamo qui no?» rispose lei con voce titubante.
Adam si accorse che Eva lo guardava in maniera strana, quasi spaventata.
Pensò che era normale per una ragazza della sua età sentirsi in imbarazzo di fronte a un uomo sconosciuto.
Decise di darle il tempo per abituarsi e rimase in silenzio, continuando a sorridere e a guardarla negli occhi.
Poi Eva parlò.
«Scusa Adam posso chiederti una cosa?»
«Certamente dimmi tutto».
«Ecco magari è una domanda scomoda, potresti non voler rispondere, anche perché non me lo avevano detto, cioè va bene non mi importa, ma sai la curiosità…»
Adam non riusciva a capire.
Avrebbe voluto chiederle cosa non gli avevano detto, ma la terza regola di Igea diceva di stare zitto e ascoltare quindi non osò fare nessuna domanda, continuò a guardare Eva negli occhi, a sorridere e a muovere la testa avanti e indietro in segno affermativo.
«Ehm Adam? Tutto bene? Hai capito cosa ti ho chiesto?» disse Eva scandendo bene le parole.
Adam continuò per qualche secondo a muovere la testa in segno affermativo, poi si riscosse «ah si certo, ho capito tutto, cioè chiedimi quello che vuoi, non c’è problema» disse con voce carezzevole.
Eva fece una mezza smorfia, «ecco mi chiedevo che tipo di malattia hai avuto per ridurti così, cioè insomma cosa era paresi? Qualche tipo di problema alla muscolatura facciale? Danni neuronali?»
«Non capisco! Di quale malattia parli?»
«Beh ecco, non lo so ma da quando sei arrivato hai la bocca tirata e gli occhi fissi e sgranati, pensavo che fosse dovuto a una malattia».
Adam si sentì morire, gli si avvamparono le guance e i palmi delle mani iniziarono a sudare.
Era imbarazzatissimo.
«Scusami se ho detto qualcosa che non dovevo…» la voce di Eva era preoccupata.
Adam non sapeva come risponderle, aveva la bocca impastata e la lingua attaccata al palato.
Ricordò la quarta regola della dottoressa, ovvero mai contraddire le donne, quindi in tono sommesso rispose «ciò che dici è molto interessante e lo condivido, anche se in realtà stavo solo seguendo qualche consiglio che mi ha dato Igea, ma credo di non averlo compreso bene visto i risultati» disse Adam sconsolato.
Eva iniziò a ridere «no fammi capire, io ti chiedo se hai un emiparesi e tu rispondi che ciò che dico è interessante e lo condividi? E’ stata Igea a dirti di rispondere così mentre fai quell’espressione da pesce congelato?»
Adam si unì alla sua risata sollevato.
«Sii te stesso Adam» continuò Eva visibilmente più rilassata «e vedrai che andrà tutto bene».
Fecero qualche passo nel vialetto, poi Eva si chinò per cogliere un bellissimo giglio.
Adam vide la corta tunica sollevarsi e lasciare scoperto il suo fondoschiena.
«Che culo!» Esclamò di getto.
«Come scusa?» disse Eva sobbalzando.
«Mi hai detto di essere me stesso giusto? Bè il mio me stesso ha appena accertato che hai un gran bel culo» disse tutto di un fiato.
Eva lo squadrò da capo a piedi con sguardo severo.
Adam fu percorso da un brivido di paura.
Poi vide un gran sorriso aprirsi sul viso della ragazza.
«Bravo, così si fa! Devi essere te stesso bel fustacchione mio!» disse ammiccando.
Adam sorrise.
Il ghiaccio era rotto.
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Era quasi un anno che Adam ed Eva si incontravano tutti i giorni, per due ore, nei giardini del parco dell’ eden.
Quel giorno c’era un bel sole ed erano immersi in una interessantissima conversazione sotto un albero di melo.
Adam sentiva crescere in lui il desiderio di fare l’amore con Eva, ma Igea glielo aveva proibito.
«Non puoi farlo Adam, manderesti a monte anni di studi. Se mai Eva rimanesse incinta di un maschio non sapremmo mai il processo che ti ha portato a produrre uno spermatozoo y forte. Dobbiamo tenerti sotto controllo lo capisci?»
Adam lo capiva, ma il suo desiderio stava diventando irrefrenabile.
Eva era così bella, così dolce, ma anche così ingenuamente seducente.
Riusciva a trattenersi solo perché la credeva disinteressata al sesso e mai avrebbe voluto forzarla.
Poi cadde una mela dall’albero.
Eva la raccolse e la morse.
Le sue labbra carnose e rosse scivolarono sopra la buccia di quel succoso frutto, e i suoi splendidi occhi azzurri incrociarono quelli di Adam.
«Ne vuoi un morso?» gli chiese avvicinandosi.
Adam prese la mela e mentre la stava per mordere Eva si avvicinò e la morse anche lei dalla parte opposta.
Fu un attimo e i loro corpi si avvinghiarono, baciandosi e toccandosi in ogni dove.
Adam ebbe un attimo di esitazione, «ho trentacinque anni, migliaia di figlie, ma sono vergine amore mio».
Eva sorrise «anche io» rispose mentre con le mani lo indirizzava dentro di sè.
Fu meraviglioso per entrambi, Adam non avrebbe mai immaginato di provare delle sensazioni così intense.
Toccare la pelle di una donna vera era ben altra cosa che essere stimolato artificialmente.
Da quel momento seppe di non poterne fare più a meno.
Igea si arrabbiò molto con tutte e due, e gli fu impedito di vedersi.
Loro cercarono di difendersi dicendo che un serpente li aveva ipnotizzati con i suoi grandi occhi e di non aver avuto cognizione di ciò che stavano facendo.
Ovviamente non furono creduti.
Poi le dottoresse del dipartimento di inseminazione ovarica scoprirono che Eva era incinta di due gemelli maschi sani, e ipotizzarono che l’ingrediente che mancava per sconfiggere il virus e produrre cromosomi y sani erano la libertà e l’amore.
Decisero quindi di lasciarli liberi di vivere la propria vita, tenendoli comunque sempre sotto controllo.
Se la loro ipotesi non fosse stata giusta avrebbero comunque avuto, fra qualche anno, due gemelli con i quali continuare i loro esperimenti.
Ora anche le dottoresse del D.I.O si sarebbero prese un bel periodo di riposo.

Sonia Lippi

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Re: Semifinale Antonio Lanzetta

Messaggio#3 » mercoledì 6 giugno 2018, 23:21

Ladri di Galline
Manji sbuffò: la frustrazione gli ribolliva dentro come una teiera sul fuoco, senza dargli tregua. Non riuscendo a trovare un motivo serio per cui sfogarsi, decise di tornare al nocciolo della questione.
- Ancora non riesco a credere a quanto siamo caduti in basso – sbottò, addentando una striscia di carne secca. – Ancora sei mesi fa ci intrufolavamo nelle più grandi gioiellerie dell’Unione, facevamo saltare i caveaux delle banche più protette e beffavamo la polizia in metà dell’Espansione. Adesso ci siamo ridotti a rubare galline.
- Dodo.
- Cosa?
- Quello che abbiamo rubato è un dodo, non una gallina – disse Rinkle, senza distogliere lo sguardo dalla consolle di comando.
- Oh, ma certo, un dodo: questo sì che cambia tutto! – sbottò l’altro allargando le braccia. – Insomma, è assolutamente normale passare dalle rapine milionarie al rubare dei dannatissimi pennuti!
- Se ti fa star meglio, si tratta del clone di una specie estinta da millenni. Non ne esistono altri in tutta l’Espansione. E poi, lo sai meglio di me che non avevamo altra scelta.
Manji non sapeva se essere disturbato maggiormente dal tono distaccato con cui il complice si era rivolto a lui o dalla punta di rimprovero che aveva percepito nelle sue parole.
- Un’altra scelta? Certo che avevamo un’altra scelta: potevamo mandare al diavolo il committente e dirgli che noi ci occupiamo di dati e di gioielli, non di pollame!
- È difficile rifiutare un incarico così semplice e così ben pagato quando gli strozzini vogliono scuoiarti vivo e i fondi dei vecchi colpi si sono praticamente esauriti – Rinkle si voltò leggermente. – Se tu la smettessi di sperperare i nostri soldi al tavolo del Pasak, forse potremmo permetterci di selezionare meglio i lavori che ci vengono proposti.
Preso in contropiede dal modo in cui il complice gli aveva sottolineato la realtà, Manji si ritirò in un cupo silenzio ancor più carico di frustrazione.
Durò giusto il tempo che l’uomo si ricordasse che c’erano altri due esseri viventi con cui sfogarsi su quella nave.
- E tu cosa ne pensi, Otys? Insomma, non trovi anche tu che questa situazione sia a dir poco grottesca? – Non ricevendo risposta, si girò verso il fondo della cabina. – Otys, ma mi stai sentendo? Otys… oh, dannazione!
- Che succede? – fece Rikle, con tono più spazientito che preoccupato.
- Cosa vuoi che succeda? Guarda tu stesso e dimmelo.
Rikle si voltò a sua volta: dall’altro lato della cabina, un uomo dalla muscolatura erculea e i lineamenti del volto sfigurati era inginocchiato davanti a una piccola gabbia per animali, in cui era rinchiuso un bizzarro volatile alto più o meno mezzo metro e con il becco tondeggiante. L’uccello e il bestione si guardavano in silenzio senza muovere un muscolo, come se si fossero sfidati a una gara a chi distoglieva prima lo sguardo.
- Qual è il problema, Manji? Mi sembra che Otys se ne stia tranquillo.
- Il problema è che è da quando siamo partiti che se ne sta lì a guardare quel dannato tacchino…
- Dodo.
- …quel dannato dodo – corresse subito Manji. – Insomma, saremo partiti, quando? tre ore fa? Bene: allora sono tre ore che lui e quel pennuto non fanno altro che guardarsi in silenzio.
- Si vede che avrà attratto la sua curiosità in qualche modo, sai com’è fatto – rispose Rikle, con un sospiro. – Insomma, una volta tanto che durante il viaggio in navetta Otys sta tranquillo, almeno tu potresti evitare di far polemiche sul nulla?
- Non sono rimasto sempre qui a guardarlo - intervenne Otys, facendo trasalire i suoi compagni. – Gli ho preso della frutta.
Come a voler sottolineare le sue parole, il colosso aprì la mano e avvicinò alla gabbia una mela mezzo sbocconcellata. Il dodo allungò il becco fuori dalla gabbia, tastò il frutto con aria cauta, poi gli diede un paio di morsi.
Vistosi sconfitto anche in questo punto, Manji preferì lasciare la postazione, con la scusa di prendere da bere. Avrebbe volentieri fatto una passeggiata nel vuoto senza alcuna protezione, pur di evitare di dar ancora ragione a Rickle.
La modesta scorta di alcolici della navetta si trovava dall’altro lato del modulo: il ladro prese dal piccolo congelatore una lattina di birra gelata e cominciò a sorseggiarla. Non gli restituì il buon umore (per quello, forse, non sarebbe bastata un’intera cassa della migliore rossa di Bolk), ma riuscì comunque a raffreddare il borbottio isterico che percepiva nel cranio. Alla fine, decise di aprirne un’altra.
Mentre Manji beveva, il dodo in gabbia aveva fatto fuori altre due mele. Dopo che l’ultimo pezzo di frutto fu scomparso, il ladro vide Otys allungare una delle sue mani sulla testa del pennuto, accarezzandola con insolita delicatezza.
- La malora, Otys, non ti ci affezionare. Tempo tre ore e quel volatile andrà al suo nuovo padrone.
- Arriveremo a Sinker 16 tra due ore e mezza – lo corresse Rickle, mentre si alzava in piedi e si massaggiava le ginocchia. – il computer di bordo ha appena aggiornato il programma di viaggio.
L’uomo attraversò a sua volta il modulo e aprì il congelatore. Dopo aver esitato qualche istante, aprì una bottiglia piccola di analcolico.
- Parlando di nuovi proprietari: pensi che faremo finalmente conoscenza con il nostro misterioso compratore?
Rikle alzò le spalle.
- Difficile: se ha voluto mantenere l’anonimato fino ad ora, dubito che si farà vedere adesso. Più probabile che mandi un intermediario.
- Si vergognerà anche lui di far saper in giro di aver assoldato dei ladri per rubare un pennuto clonato – Manji buttò giù un altro sorso di birra, poi si fermò a riflettere. – Che poi, perché diavolo qualcuno dovrebbe clonare un uccello estinto?
- Magari sarà una di quelle cose che gli scienziati fanno giusto per far vedere che sono in grado di farlo. O forse hanno ricevuto una commissione da qualche miliardario eccentrico. L’Espansione è piena di gente con troppi soldi e troppo poco buon senso.
Manji fece un segno di condividere il suo pensiero e si avvicinò alla gabbia.
- Già, è una vera ingiustizia che sia la gente sensata come noi ad essere senza soldi. Non è vero, Otys?
Il colosso emise un mugolio che forse era un segno d’assenso, senza mai smettere di accarezzare il dodo. Nonostante questo, Manji gli diede una pacca sulla spalla ed insistette.
- Almeno, dopo stasera ci sarà un po' di ingiustizia in meno. E se il compratore prova a fare il furbo, gli facciamo fare la fine di quel ricettatore di Konya. Ti ricordi cosa gli hai fatto, Otys?
Finalmente, il gigante smise di accarezzare il dodo ed abbozzò il sorriso.
- Gli ho sfasciato il locale e gli ho aperto la cassetta blindata con i gioielli.
- E quando il tipo ha provato ad aizzarti contro quei due mech classe Hero – Rashid, tu cosa hai fatto?
- Li ho presi a pugni finché non hanno smesso di funzionare…
Manji gli diede altre pacche sulle spalle.

Sinker 16 era una vecchia stazione spaziale che orbitava attorno a gigante gassoso di nome Khamsin. Ai suoi tempi, era stata un centro di estrazione, raffinazione e distribuzione di idrogeno di grande importanza, ma la scoperta di fonti più semplici da raggiungere in altri punti della Cella d’Accrescimento aveva mandato in crisi la colonia, svuotandola in pochi anni. Adesso, gli unici che ancora frequentavano le sue strutture abbandonate erano i colleghi di Manji e della sua banda.
- Abbiamo cominciato le procedure d’attracco al modo tredici: sbarcheremo in una manciata di minuti – fece Rikle, nascondendo la fondina della pistola sotto un giaccone di pelle sintetica. – Il computer ha rilevato la presenza di un’altra navetta. Dalla forma dovrebbe essere un clipper, anche se ha una protuberanza insolita che potrebbe essere l’alloggiamento per un piccolo cannone a massa.
- Proprio quello che volevo sentirmi dire – rispose Manji, preparandosi a sua volta. – Sentito, Otys? Questa è gente pronta a picchiare duro. Se è necessario, tieniti pronto a menare le mani.
Il colosso annuì mentre sollevava la gabbia e la portava fuori dal modulo.
Raggiunto il punto di estrazione, Rikle ordinò il portellone della navetta di aprirsi e i tre furono accolti dal familiare odore di alcol scadente e caffeina sintetica, gentile omaggio dei contrabbandieri che frequentavano Sinker e che provvedevano a mantenere in funzione il sistema di riciclo dell’aria e di gravità artificiale.
Un paio di punti d’attracco più in là, c’erano sei o sette persone, che Manji non faticò a riconoscere come i loro contatti.
- Almeno siamo solo noi e loro – mormorò Manji, mentre i due gruppi si venivano in contro. – Pensa l’imbarazzo se fossimo stati costretti a spiegare ai colleghi perché portiamo con noi questo pennuto: saremmo diventati gli zimbelli di tutti i ladri dell’Espansione.
Rikle non rispose. Dai movimenti del cappotto, Manji intuì che teneva la mano vicina all’impugnatura della pistola.
Arrivati a più o meno a quindici passi di distanza gli uni dagli altri, i due gruppi si fermarono. Osservandoli bene Manji fu rinfrancato dal vedere che non indossavano esoscheletri e che non portavano armi pesanti, almeno in vista. A parte i fucili a massa impugnati da un paio di loro, gli altri sembravano disarmati e le tute aderenti che indossavano erano prive dei simboli araldici di cui solitamente andavano pazzi i mercenari. Nonostante tutto, però, il ladro ebbe la netta sensazione che non avessero a che fare con dei teppisti da strada e arrivò a chiedersi se tra di loro non ci fosse qualche E-1 o E-2 nascosto. Il pensiero della mole di Otys alle sue spalle contribuì ancora una volta a riportare il suo malumore a livelli sopportabili.
- Voi dovete essere la Banda degli Ignoti – fece uno dell’altro gruppo, un tipo con i capelli lunghi fino alle spalle e l’aria nervosa. – I notiziari hanno trasmesso la notizia del furto ai laboratori della Garuda inc. due ore fa. Ci sono stati problemi?
- Scherza? Noi siamo professionisti: siamo abituati a ben altro genere di difficoltà! – esclamò Manji, prima che Rikle potesse intervenire. – Siamo entrati ed usciti senza che la sicurezza del laboratorio si rendesse nemmeno conto che eravamo passati di là.
- Molto bene – fece l’altro, gettando uno sguardo oltre il ladro. – La refurtiva è… lì dentro?
Otys fece per appoggiare a terra la gabbia, ma Rikle gli fece segno di aspettare.
- Prima di concludere, dobbiamo valutare anche noi la nostra parte – disse, facendo strisciare la punta dell’indice su quella del pollice. – Dove sono i nostri soldi?
Il tizio dall’aria nervosa fece un segno con la mano a uno dei suoi compagni e quello cominciò a digitare sul pannello di un mainframe da polso. Pochi istanti dopo, Il mainframe di Rikle segnalò la disposizione di un bonifico in arrivo differito sul loro conto principale.
- Potete verificare: è esattamente la cifra che avevamo pattuito – fece il tizio. – Adesso fateci vedere il dodo.
Rikle fece segno a Otys di agire e l’uomo si fece avanti, appoggiando a terra la gabbia nello spazio tra i due gruppi.
L’attenzione dei committenti fu subito polarizzata dal volatile chiuso in gabbia. Il tizio con il mainframe mostrò agli altri una foto sullo schermo e annuì.
- È lui: i dati parametrici e quelli del piumaggio corrispondono.
- Perfetto – esclamò Rikle. – Dato che ognuno di noi ha avuto quanto pattuito, immagino che non ci saranno problemi se noi lasciamo una stazione. Vorremmo raggiungere l’Area d’Anomalia di questa Cella prima della prossima settimana, quindi…
- Aspettate – sclamò l’uomo nervoso, – prima dobbiamo essere sicuri al 100% che questo sia il dodo che vi avevamo chiesto di rubare.
- Ehi, amico, ma chi ti credi di essere? – sbottò Manji. – La Banda degli Ignoti non fa errori. Se vi diciamo che questo è il vostro pennuto, potete stare sicuri che è lui!
Rikle gli fece segno di calmarsi.
- Posso assicurarvi che quello è il dodo che state cercando. Se volete verificare ancora, fate pure, ma non impiegate troppo tempo.
Nel frattempo, uno dei compratori aveva aperto una valigetta e ne aveva tirato fuori una sorta di cuffia con elettrodi ed inserti meccanici.
Sotto lo sguardo incuriosito dei tre ladri, gli uomini aprirono la gabbia ed appoggiarono la cuffia sulla testa dell’animale, fissando, poi, una sorta di blocco-dati al piumaggio sulla sua schiena.
- Dato degli impulsi, Shawn? – disse l’uomo nervoso
- Stabili. Non vedo alterazioni di sorta – rispose quello con il mainframe.
- Perfetto, allora diamo inizio alla procedura.
I sette uomini si disposero in cerchio attorno al dodo, si presero per mano e cominciarono a salmodiare una nenia incomprensibile.
Per Manji fu troppo.
- Al diavolo, Rikle, non ho intenzione di seguire questa buffonata – disse, facendosi indietro. - Abbiamo i soldi: leviamo le tende finché possiamo.
Prima che il compagno avesse tempo di rispondergli, però, Otys si avvicinò a loro e li afferrò per le spalle, sollevandoli a un palmo da terra.
- Dannato bestione, cosa fai? – strillò Manji. D’istinto, provò ad afferrare la pistola con la mano libera, ma l’altro se ne accorse e lo scosse violentemente, disarmandolo.
- Voi due non vi muovete di qui fino a quando non abbiamo finito – disse, con tono assolutamente tranquillo. – Provate a fare qualche scherzo e sarò costretto a farvi molto male.
Il ladro percepì chiaramente la clavicola incrinarsi e si rese conto che il gigante non aveva dovuto nemmeno impegnarsi per ottenere quel risultato. Se avesse davvero impiegato tutta la sua forza di Evoluto di tipo 1, sarebbe stato in grado di schiacciargli il busto come se fosse stato una lattina stretta in una pressa industriale.
Pochi minuti dopo, la nenia dei compratori ebbe fine e i sette uomini sciolsero il circolo. Sei di loro si inginocchiarono, mentre il settimo si avvicinò al dodo.
- Capo… capo, è tornato tra noi?
Il volatile alzò lentamente la testa e spalancò il becco. La sua voce ghiacciò il sangue nelle vene di Manji.
- Le memorie genetiche depositate in questo corpo si sono risvegliate. Avete fatto un buon lavoro.
- Grazie, capo. È tutto merito dei suoi insegnamenti.
Traballando sulle zampette, l’uccello parlante si guardò attorno.
- Se siete dovuti ricorrere a questo corpo, immagino che quello originario sia morto. Com’è successo?
- Durante una missione sull’Oasi Vittoriana lei e l’intera squadra di Zawria siete stati uccisi. È stato circa sei mesi fa.
- Mi è difficile pensare che in quella colonia ci fosse qualcosa in grado di uccidermi, ma mi farete un rapporto completo più tardi – disse il dodo, fermando il suo sguardo sui tre ladri. – Adesso ho altro di cui preoccuparmi.
Il volatile uscì dal cerchio dei suoi servitori e si avvicinò a loro. In condizioni normali, Manji sarebbe scoppiato a ridere nel vedere il modo goffo con cui si muoveva, ma le mani che gli stavano smontando la spalla erano un incentivo più che efficace nel farlo restare serio.
- Grazie dell’aiuto, Otys, ma adesso puoi metterli giù – fece il volatile, quando gli ebbe raggiunti. – sono sicuro che i tuoi amici non hanno nessuna intenzione di farmi del male… o sbaglio?
Il gigante fece quando gli era stato richiesto e i due ladri finirono a terra. Istintivamente, Manji si allontanò di qualche passo dal volatile.
- Rikle… Rikle, cosa diavolo sta succedendo? – esclamò – È… è normale che questo pollo parli?
- Dodo, mio buon amico, questo è il corpo di un dodo. Raphus cucullatus: una specie di uccello estinto prima ancora che la nostra specie lasciasse il suo mondo natale – rispose il volatile. – E, no: non è normale che questo corpo parli. Ma temo che dobbiate abituarvi all’anormalità.
- Bastardo, cos’hai fatto al nostro amico? – esclamò il ladro, pur senza smettere di sentirsi a disagio per il fatto di parlare con un uccello.
- Otys è adesso sotto il mio controllo mentale – rispose quello, con tono indifferente. – Anche se gran parte dei miei poteri e delle mie memorie genetiche sono rimasti sepolti fino a poco fa, l’istinto che avevo impiantato in questo corpo era sufficiente sviluppato da permettergli di seguire alcune direttive basilari. La prima di queste direttive, prevedeva di individuare il soggetto con la mente più debole dell’ambiente circostante e di controllarlo, in modo da avere una difesa in caso di pericolo.
Mentre il volatile parlava di cose per lui incomprensibili, Manji si accorse che la pistola era giusto a una ventina di centimetri da lui. Sarebbe bastato uno scatto fulmineo per afferrarla… ancor meno per puntarla contro quell’orrore contro natura e…
- Provare ad uccidermi sarebbe un grave errore, amico mio – fece il dodo, facendo un altro passettino avanti. – E, con ogni probabilità sarebbe anche l’ultimo.
L’espressione di paura e di sconcerto di Manji per quelle parole dovette risultare incredibilmente divertente per il volatile, che emise un lungo gorgoglio che assomigliava incredibilmente a una risata.
- Zeo, dimmi: qual era il vostro piano nei confronti di questi gentiluomini?
L’uomo nervoso si fece avanti.
- Una volta verificato che l’incarico fosse andato a buon fine, avevamo stabilito di farli fuori e di bloccare il bonifico già trasmesso.
- E perché mai? Mi sembra che si siano meritati fino all’ultimo u.c.v.! – rispose il pennuto. – Fate avere loro il denaro che gli spetta, con un incentivo del trenta per cento.
Manji scambiò con Rikle uno sguardo incredulo: passare in pochi minuti dal rischio di morte a un guadagno netto di sessantamila unità gli sembrava fin troppo bello. Eppure, pochi istanti dopo il mainframe del suo amico segnalò che il passaggio di denaro era andato a buon fine.
- Quindi… quindi è finita? Siamo liberi di andare? – disse, ancora incredulo.
- Certo, potete prendere la vostra navetta ed andare a godervi il vostro denaro. Oppure… - disse, lasciando la frase in sospeso per il tempo sufficiente a far perdere al cuore di Manji almeno una ventina di battiti – oppure potete mettere al nostro servizio le vostre capacità e guadagnarne dieci volte tanto.
Dieci volte tanto… il ladro fece mentalmente il conto della cifra di cui stavano parlando e si sentì quasi mancare il fiato. E allora lo sentì, al di sopra della paura, della vergogna e di ogni possibile malumore. Il formicolio irresistibile dell’avidità, il combustibile che aveva guidato ogni singola decisione degli ultimi quindici anni della sua vita.
- Certo – riprese il dodo, - se vi vergognate di prendere ordini da un uccello…
- Per quelle cifre prenderemmo ordini anche da un sasso – esclamò Manji, alzandosi in piedi. – Non è vero, Rikle?
Il suo compagno annuì, alzandosi in piedi a sua volta.
- Però vogliamo Otys libero. Non siamo disposti a lavorare se c’è il rischio che qualcuno ci controlli il cervello.
- Questo non è un problema: se avessi voluto essere servito da degli zombie, avrei trovato altri modi per procurarmene…
Cercando di ignorare la battuta (sempre che lo fosse), Manji distese la mano. Rendendosi conto solo in un secondo momento che il suo interlocutore non poteva stringergliela.
- Quindi… ehm… quale sarebbe il nostro incarico?
- Lo saprete a tempo debito – rispose il dodo, roteando goffamente su sé stesso per tornare indietro. – Se le cose sono rimaste com’erano al momento dell’ultimo aggiornamento delle memorie di questo corpo, ci saranno parecchie questioni in sospeso da concludere. Sarà anche l’occasione perfetta per svincolarsi dai nostri ultimi datori di lavoro e metterci in proprio. In fondo, come potrebbero mai sospettare che a fregarli è stato qualcuno che risulta morto?
Manji alzò le spalle.
- Sembra roba grossa… ma qual è il nostro posto in tutto questo? Noi siamo solo dei ladri…
- Ed è proprio quello di cui ho bisogno – rispose l’altro, con un tono che, se non fosse stato per il becco, sarebbe stato perfettamente completato da un ghigno soddisfatto sul volto. – Basta con il pollame: è tempo che torniate ad occuparvi di dati e gioielli.
Rikle e Manji si scambiarono un’occhiata veloce, senza che quest’ultimo provasse nemmeno a nascondere la sua eccitazione.
- Beh, direi che abbiamo un accordo, Capo.
- Oh, non siate formali, ragazzi. Per voi, sarò semplicemente il Signor Hegel.


Agostino Langellotti

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Re: Semifinale Antonio Lanzetta

Messaggio#4 » martedì 19 giugno 2018, 23:14

Ladri di galline:

Pro: I dialoghi sono simpatici e supportano una discreta caratterizzazione dei personaggi. Nonostante la brevità del testo, si percepisce un'idea di fondo.

Contro: manca di editing e, nonostante una discreta velocità narrativa, il racconto non approfondisce il set che fa da sfondo ai suoi attori.

Dipartimento di Inseminazione Ovarica:

Pro: l'atmosfera e l'ambientazione emergono dai dialoghi sebbene la brevità del testo. Si legge veloce.

Contro: manca di editing, in alcuni punti la narrazione è ridondante e priva di tensione. I personaggi non hanno tridimensionalità.

Vince: Ladri di galline

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