Session Man
Inviato: lunedì 21 maggio 2018, 23:34
Session Man
di Eugene Fitzherbert
Ronnie J inspirò profondamente e buttò fuori l’aria, la testa poggiata al muro dietro di lui. Le luci basse si mischiavano con gli odori stantii del dietro le quinte, fatti di tensione e adrenalina, sudore e lacrime.
Era il terzo giorno di esibizione e lui era terrorizzato, nonostante la sua esperienza di fronte a un pubblico così numeroso. Si guardò le mani, tremanti: sapeva che una volta sotto le luci della ribalta i muscoli si sarebbero cristallizzati e avrebbero seguito i suoi ordini, come dei fidati amici ben addestrati. Strinse i pugni e li rilasciò, un paio di volte.
Il primo giorno di Festival era stato il momento degli Scorpions, tosti e aggressivi, come ci si aspettava. Ronnie J aveva dato il meglio di sè, per dimostrare alla produzione che avevano scelto bene. Aveva portato i Goblins alla fine dell’esibizione, tra i boati assordanti del pubblico, le luci lampeggianti che sottolineavano quella enorme vittoria.
Ronnie J prese in mano il suo strumento, lo soppesò, lo valutò da ogni angolazione, come faceva ogni volta prima di una performance. Ne saggiò il peso, sorpreso della precisione con cui era stato creato, perfetto bilanciamento per le sue mani e le sue braccia. Da ultimo lo provò un paio di volte, per sentirne la voce e per scaldarsi. Non tanto per i muscoli, il suo era più un riscaldamento mentale, un modo per liberare la mente dal continuo brusio della vita di ogni giorno e entrare in quella dimensione di calma piatta prima di scatenare la sua personale tempesta: il pubblico lo esigeva, anche se la folla voleva vedere gli altri, non certo lui.
Per esempio, il secondo giorno di esibizione, quei bastardi senza nome assiepati sulle spalle, le mani puntate al cielo, urlavano e andavano in visibilio per i Goblin. Avevano occhi solo per loro, anche se lui stava andando fortissimo.
Ma stasera avrebbe provato a dare ancora di più, accanto ad alcuni tra i pezzi da novanta del periodo: avrebbe diviso la scena con i New Trolls. A questo pensiero, gli si rizzarono i capelli corti sulla nuca. Mancavano pochi minuti ancora: ci voleva coraggio per arrivare a fare una cosa del genere, lanciarsi in questo festival, accettare la proposta degli organizzatori, nonostante il prezzo da pagare.
Ronnie J se mise in piedi e si spostò verso l’ingresso del palco. Sentiva già il rumoreggiare impaziente del pubblico che voleva i suoi eroi.
Si rassettò i vestiti, imbracciò il suo strumento e cercò dentro di sé la calma necessaria ad affrontare la serata. Lo speaker fece il suo nome e lui entrò nel mondo di luce del palcoscenico, in attesa dei veri protagonisti.
«Ed ora, I NEW TROLLS!»
La folla in visibilio accolse i tre esseri modificati geneticamente, alti tre metri e mezzo, gli occhi rossi e febbrili, assetati di sangue. Il gruppo entrò ruggendo, sollevando al cielo le loro asce e i loro martelli.
Ronnie J ricordò come aveva strappato le code degli Scorpions e come aveva fracassato i crani dei Goblin, cercò in quelle immagini di vittorie il coraggio folle per affrontare la stessa tiritera cercando di portare a casa la pelle.
Il suo fu un lungo assolo di sangue e urla, portato avanti con la precisione di un musicista esperto, veloce nell’esecuzione, impeccabile nello stile.
Si meritò gli applausi della Blood Arena, ed erano l’unica cosa per cui valesse la pena lottare.
di Eugene Fitzherbert
Ronnie J inspirò profondamente e buttò fuori l’aria, la testa poggiata al muro dietro di lui. Le luci basse si mischiavano con gli odori stantii del dietro le quinte, fatti di tensione e adrenalina, sudore e lacrime.
Era il terzo giorno di esibizione e lui era terrorizzato, nonostante la sua esperienza di fronte a un pubblico così numeroso. Si guardò le mani, tremanti: sapeva che una volta sotto le luci della ribalta i muscoli si sarebbero cristallizzati e avrebbero seguito i suoi ordini, come dei fidati amici ben addestrati. Strinse i pugni e li rilasciò, un paio di volte.
Il primo giorno di Festival era stato il momento degli Scorpions, tosti e aggressivi, come ci si aspettava. Ronnie J aveva dato il meglio di sè, per dimostrare alla produzione che avevano scelto bene. Aveva portato i Goblins alla fine dell’esibizione, tra i boati assordanti del pubblico, le luci lampeggianti che sottolineavano quella enorme vittoria.
Ronnie J prese in mano il suo strumento, lo soppesò, lo valutò da ogni angolazione, come faceva ogni volta prima di una performance. Ne saggiò il peso, sorpreso della precisione con cui era stato creato, perfetto bilanciamento per le sue mani e le sue braccia. Da ultimo lo provò un paio di volte, per sentirne la voce e per scaldarsi. Non tanto per i muscoli, il suo era più un riscaldamento mentale, un modo per liberare la mente dal continuo brusio della vita di ogni giorno e entrare in quella dimensione di calma piatta prima di scatenare la sua personale tempesta: il pubblico lo esigeva, anche se la folla voleva vedere gli altri, non certo lui.
Per esempio, il secondo giorno di esibizione, quei bastardi senza nome assiepati sulle spalle, le mani puntate al cielo, urlavano e andavano in visibilio per i Goblin. Avevano occhi solo per loro, anche se lui stava andando fortissimo.
Ma stasera avrebbe provato a dare ancora di più, accanto ad alcuni tra i pezzi da novanta del periodo: avrebbe diviso la scena con i New Trolls. A questo pensiero, gli si rizzarono i capelli corti sulla nuca. Mancavano pochi minuti ancora: ci voleva coraggio per arrivare a fare una cosa del genere, lanciarsi in questo festival, accettare la proposta degli organizzatori, nonostante il prezzo da pagare.
Ronnie J se mise in piedi e si spostò verso l’ingresso del palco. Sentiva già il rumoreggiare impaziente del pubblico che voleva i suoi eroi.
Si rassettò i vestiti, imbracciò il suo strumento e cercò dentro di sé la calma necessaria ad affrontare la serata. Lo speaker fece il suo nome e lui entrò nel mondo di luce del palcoscenico, in attesa dei veri protagonisti.
«Ed ora, I NEW TROLLS!»
La folla in visibilio accolse i tre esseri modificati geneticamente, alti tre metri e mezzo, gli occhi rossi e febbrili, assetati di sangue. Il gruppo entrò ruggendo, sollevando al cielo le loro asce e i loro martelli.
Ronnie J ricordò come aveva strappato le code degli Scorpions e come aveva fracassato i crani dei Goblin, cercò in quelle immagini di vittorie il coraggio folle per affrontare la stessa tiritera cercando di portare a casa la pelle.
Il suo fu un lungo assolo di sangue e urla, portato avanti con la precisione di un musicista esperto, veloce nell’esecuzione, impeccabile nello stile.
Si meritò gli applausi della Blood Arena, ed erano l’unica cosa per cui valesse la pena lottare.