Gatto'stratto
Inviato: domenica 12 agosto 2018, 22:17
Risveglio
Prima di tutto arriva la coscienza del dolore. Provo ad aprire gli occhi, ma non ci riesco. Provo ancora, niente.
Quando ci rinuncio, pochi secondi dopo, si spalancano da soli.
Sono in una stanza di ospedale.
Gli occhi non sono l’unica cosa che non posso muovere.
Non ho il controllo su nessuna parte del mio corpo.
La stanza è pulita, luminosa, vuota.
Sono solo.
Il tempo passa, ma niente cambia. I miei sforzi, i tentativi di muovermi, parlare, sono tutti vani.
Non ricordo chi sono. Non ricordo come sono finito qui.
Non ricordo nulla.
Non c’è orologio nella stanza, la luce stessa non si attenua mai.
Mi sembra di percepire un cambiamento, ma non riesco ad afferrarlo.
I dolori diminuiscono fino a scomparire. Gli occhi, piano piano si chiudono.
Che diavolo mi succede?
Sogno
Credo di aver dormito. Torno cosciente, gli occhi ancora chiusi. E di nuovo, poco dopo, le palpebre si sollevano.
Torno a vedere la stanza d’ospedale dove mi trovo.
Perché non viene nessuno? Perché non si sentono rumori? Perché non riesco a controllare il mio corpo?
L’unica cosa che mi fa sentire vivo sono i dolori. Anche loro, tuttavia, sono lontani, sordi, quasi irreali. Come irreale è questa situazione. Se fossi in ospedale dovrei vedere un via vai di medici, infermieri, ausiliari.
Invece qui non accade nulla. Nessuno entra in questa stanza.
Sto sognando? È un incubo terribile e nel sogno il tempo si dilata?
Ancora una volta mi pare di intuire un movimento, qualcosa nell’aria, inafferrabile.
Di nuovo i dolori scompaiono, le palpebre calano.
Gatto’stratto
Stavolta le mie palpebre sono sigillate, pesanti come macigni. Non ho alcun controllo su di loro, non mi resta che aspettare. E sperare che prima o poi si dischiudano.
«Allora? Non ti pare ora di svegliarti?»
Sobbalzo per la sorpresa. No, solo la mia mente sobbalza, il mio corpo invece giace immobile.
«Ah bene, proprio bene. Stamattina neanche gli occhi apriamo?»
La voce è femminile, piacevole, forse un’infermiera. Mi concentro nello sforzo di aprire gli occhi, ci provo a lungo, con determinazione. Quando sto per arrendermi, o forse quando mi sono già arreso, le palpebre si sollevano di scatto.
Non c’è nessuna infermiera nella stanza, non c’è proprio nessuno. Sarà già andata via?.
«E bravo, ce l’hai fatta, finalmente.»
Qualcosa entra… anzi, salta, nel mio campo visivo, piomba sul mio letto.
È un gatto, credo. La ragazza che parla deve trovarsi a sinistra, oltre il mio angolo cieco, là da dove è arrivato l’animale.
«Non c’è nessun’altro. Siamo io e te» dice il…
Lo guardo con più attenzione. È di certo un gatto, ma molto strano. Sono sicuro di non averne mai visti così.
«Sono un gatto’stratto, uno dei 1337 che popolano questo universo. Il mio nome è Xante.»
Che strano sogno. Che assurdità. Che incubo.
Il gatto viene verso la mia faccia, cammina sul mio stomaco. Mi osserva girando la testa di qua e di là, in un modo buffo che lo fa somigliare a un gufo. Poi di siede arrotolando la coda intorno alle zampe. Mi fissa.
«Bisogna che ti sforzi» dice «non abbiamo tempo. Svegliati!»
La sua voce ha un tono di urgenza che mi allarma. Cerco con tutte le mie forze di alzarmi, ma l’unico effetto dello sforzo è quello di scivolare di nuovo, lentamente, nel sonno.
«Così non va bene» è l’ultima cosa che gli sento dire.
Paura
Quando mi sveglio è ancora là.
«Di che hai paura?» mi chiede, non appena apro gli occhi.
Non ho paura di niente.
Xante oscilla la testa in quel modo buffo e poi sbuffa.
«Tutti hanno paura di qualcosa. Qualcuno ha paura di tutto. Alcuni hanno paura di avere paura.»
Io non ho paura di avere paura.
«Non c’è niente di male ad avere paura. È un sentimento utile.»
Come può essere utile la paura?
«Ti impedisce di fare le cose sbagliate.»
Ti impedisce di fare le cose giuste.
«Sai, se tu avessi avuto un po’ di paura, non saresti qui. Adesso però devi trovare il coraggio.»
Io non ho paura. Io non ho paura. Io non ho paura.
Io… non ho… paura…
Io… Io… Io…
Io…
Solitudine
«Sai, Luca, ho capito cosa ti fa paura.»
Io non ho…
Un lampo di luce. Luca è il mio nome! Ora lo ricordo.
«Sai, nonostante tutto, non sei solo.»
Certo che sono solo, sono passati giorni e nessuno è mai venuto a trovarmi, a parte un gatto strambo in sogno.
«Se non avessi paura, capiresti di non essere solo.»
Di che cosa avrei paura?
«Del male che hai fatto. È giusto che tu ne abbia, ma devi trovare il coraggio. Puoi farlo, non sei solo, siamo qui noi.»
Mi sembra di sentire un brivido correre lungo le braccia.
Un viso attraversa come un lampo la mia mente. Uno schianto. Il sangue.
Barbara…
«Sei un bravo ragazzo» dice Xante mentre il buio mi prende.
Colpa
Prima ancora di aprire gli occhi e vederlo, gli parlo.
È stata colpa mia.
«Sai, Luca, io e i miei simili ci prendiamo cura di 1337 specie senzienti, su altrettanti pianeti, sparsi per l’universo. Potrei parlarti per ore dei loro diversi concetti di colpa. Molti non condividerebbero il tuo modo di vedere la cosa.»
Correvo troppo, e avevo bevuto. È solo colpa mia. Non c’è niente da discutere.
«Oh, è tutto così semplice? Causa ed effetto?»
Io sono la causa, e l’incidente è l’effetto, sì.
«Visione semplicistica, caro mio. Come sarebbe noioso l’universo, a quante orride ripetizioni di eventi sempre uguali assisteremmo. Ma per fortuna c’è il Caso che interviene. E il Caso non ha rimorsi, anche quando fa esplodere uno pneumatico in corsa.»
Vorrei scuotere la testa, urlare, ma il mio corpo è una prigione.
Se non avessi guidato, se non avessi corso…
«Vedi? Allora, lo ammetti che un po’ di paura sarebbe stata utile?»
Avrei dovuto essere prudente.
«La prudenza è paura con indosso il vestito buono.»
Forse il gatto ha ragione. Ma non mi va di ammetterlo.
Lo guardo con maggiore attenzione. Il pelo ricorda il piumaggio di certi uccelli, per colore e apparenza. Gli occhi sono grandi, rotondi, con le pupille sottili. Le zampe paiono morbide e prive di artigli. Mi rendo conto che per tutto quel tempo ha parlato senza mai aprire la bocca.
«Te l’ho detto, sono un gatto’stratto.»
Non hai spiegato molto.
«Non c’è tempo. Devi smettere di avere paura, di sentirti in colpa.»
Se potessi riderei, ma sono stanco. Tanto stanco.
Scelte
È lui a iniziare il dialogo, prima ancora che io apra gli occhi.
«Molto tempo fa, su un pianeta non troppo lontano da qui, viveva una specie pacifica, evoluta e felice. Poi arrivò un brutto giorno e si trovarono a dover decidere se sopravvivere perdendo gran parte della loro civiltà, o estinguersi.»
Ero contento che Xante avesse iniziato a raccontare quella storia, almeno non si occupava di me.
Continua a raccontare. Che cosa decisero?
«Cercarono fino all’ultimo istante altre soluzioni, senza successo, e alla fine decisero di sopravvivere.»
Non era una decisione difficile. Sopravvivere è la cosa più importante.
«In effetti hanno ricostruito la loro civiltà, ma sono la specie più infelice tra le 1337 che popolano l’universo.»
Però sono sopravvissuti.
«È questo che conta?»
Sì.
«Allora cerca di ricordarlo» gli sentii commentare prima di cadere di nuovo nel sonno.
Felicità
Questa volta nessuno dei due parlò. Il dolore era molto fastidioso, pulsante.
Aprii gli occhi e lo vidi, si era piazzato sul mio petto, a pochi centimetri dal mio viso. Sembrava proprio un gatto piumato, dai colori cangianti.
«Puoi essere felice, ma non sempre.»
Non sarò mai felice! Ho fatto morire Barbara. Sono rimasto solo. A nessuno importa più di me.
«Hai troppa paura. Barbara è molto più coraggiosa di te.»
Odio questo stupido gatto.
Lasciami in pace.
«Hai così paura di essere infelice da non vedere la felicità neanche avendola davanti gli occhi.»
Stupido gatto, la felicità non è una oggetto, qualcosa che si possa vedere.
«Se tu avessi coraggio, dovresti darmi ragione. La felicità, in questo momento, è seduta su quella sedia in fondo al letto.»
Non c’è nessuno in questa stanza. Smettila di tormentarmi. Lasciami morire.
Il gatto fece delle strane manovre e prese a leccarsi il pelo della pancia. Andò avanti a lungo.
«Manca ancora qualcosa.»
Un movimento attraversò la stanza vicino al mio letto, sulla sinistra, come se fosse passato qualcosa, ma non c’era niente.
Il dolore cominciò a scemare e presi finalmente sonno.
Tempo scaduto
«Sei proprio una delusione.»
La voce del gatto’stratto era bellissima, una carezza piacevole nelle orecchie. Ma lo odiavo lo stesso. Lo ignorai.
«Sai cosa? Ti ci vorrebbe un pizzico di rabbia.»
Vattene. Devi finirla. Per quanto ancora ti devo sopportare?
Xante fece una specie di sbuffo rumoroso.
«Be’, o ti sbarazzi di me nei prossimi minuti, oppure rimarrò a tenerti compagnia per sempre.»
Come posso sbarazzarmi di te maledetto? Sono bloccato in un incubo.
«Non è che ci voglia molto. Per far sparire un gatto’stratto basta accarezzarlo.»
Venne a piazzarsi al solito posto, sulla bocca dello stomaco. Non pesava granché ma era irritante.
Se potessi muovere le mani ti strozzerei, altro che carezze.
«In effetti dovrebbe funzionare lo stesso. Purché ti sbrighi.»
Provai a muovere la mano, senza successo.
«Pigro.»
Provai ancora.
«Un bambino farebbe meglio.»
Provai di nuovo. Non si era mossa? La stanza mi sembrò ondeggiare. Ma il gatto era sempre lì.
«Lascia stare, non ce la farai mai.»
Ancora un tentativo. Stavolta ero sicuro, la mano si era mossa, di un millimetro, solo una vibrazione forse.
La stanza era piena di nebbia, le cose perdevano nitidezza. Anche Xante.
Il gatto’stratto fece una risata, credo.
«Ci hai ripensato? Hai paura che ti manchi?»
Senza che ci pensassi la mano partì. Sotto il mio sguardo stupefatto si mosse come al rallentatore, attraversando lo spazio d’aria dove sarebbe dovuto essere Xante. Accadde così, come una dissolvenza. Sparì come uno sbuffo di vapore quando lo spazzi via. Un attimo dopo la stanza tornò nitida.
Sulla sedia in fondo al letto c’era Barbara. Aveva un braccio legato al collo e la testa bendata. Era viva.
«Luca! Finalmente ti sei svegliato» disse, la felicità.
Qualcosa passò nell’aria, come un arcobaleno.
Forse era una risata.
Prima di tutto arriva la coscienza del dolore. Provo ad aprire gli occhi, ma non ci riesco. Provo ancora, niente.
Quando ci rinuncio, pochi secondi dopo, si spalancano da soli.
Sono in una stanza di ospedale.
Gli occhi non sono l’unica cosa che non posso muovere.
Non ho il controllo su nessuna parte del mio corpo.
La stanza è pulita, luminosa, vuota.
Sono solo.
Il tempo passa, ma niente cambia. I miei sforzi, i tentativi di muovermi, parlare, sono tutti vani.
Non ricordo chi sono. Non ricordo come sono finito qui.
Non ricordo nulla.
Non c’è orologio nella stanza, la luce stessa non si attenua mai.
Mi sembra di percepire un cambiamento, ma non riesco ad afferrarlo.
I dolori diminuiscono fino a scomparire. Gli occhi, piano piano si chiudono.
Che diavolo mi succede?
Sogno
Credo di aver dormito. Torno cosciente, gli occhi ancora chiusi. E di nuovo, poco dopo, le palpebre si sollevano.
Torno a vedere la stanza d’ospedale dove mi trovo.
Perché non viene nessuno? Perché non si sentono rumori? Perché non riesco a controllare il mio corpo?
L’unica cosa che mi fa sentire vivo sono i dolori. Anche loro, tuttavia, sono lontani, sordi, quasi irreali. Come irreale è questa situazione. Se fossi in ospedale dovrei vedere un via vai di medici, infermieri, ausiliari.
Invece qui non accade nulla. Nessuno entra in questa stanza.
Sto sognando? È un incubo terribile e nel sogno il tempo si dilata?
Ancora una volta mi pare di intuire un movimento, qualcosa nell’aria, inafferrabile.
Di nuovo i dolori scompaiono, le palpebre calano.
Gatto’stratto
Stavolta le mie palpebre sono sigillate, pesanti come macigni. Non ho alcun controllo su di loro, non mi resta che aspettare. E sperare che prima o poi si dischiudano.
«Allora? Non ti pare ora di svegliarti?»
Sobbalzo per la sorpresa. No, solo la mia mente sobbalza, il mio corpo invece giace immobile.
«Ah bene, proprio bene. Stamattina neanche gli occhi apriamo?»
La voce è femminile, piacevole, forse un’infermiera. Mi concentro nello sforzo di aprire gli occhi, ci provo a lungo, con determinazione. Quando sto per arrendermi, o forse quando mi sono già arreso, le palpebre si sollevano di scatto.
Non c’è nessuna infermiera nella stanza, non c’è proprio nessuno. Sarà già andata via?.
«E bravo, ce l’hai fatta, finalmente.»
Qualcosa entra… anzi, salta, nel mio campo visivo, piomba sul mio letto.
È un gatto, credo. La ragazza che parla deve trovarsi a sinistra, oltre il mio angolo cieco, là da dove è arrivato l’animale.
«Non c’è nessun’altro. Siamo io e te» dice il…
Lo guardo con più attenzione. È di certo un gatto, ma molto strano. Sono sicuro di non averne mai visti così.
«Sono un gatto’stratto, uno dei 1337 che popolano questo universo. Il mio nome è Xante.»
Che strano sogno. Che assurdità. Che incubo.
Il gatto viene verso la mia faccia, cammina sul mio stomaco. Mi osserva girando la testa di qua e di là, in un modo buffo che lo fa somigliare a un gufo. Poi di siede arrotolando la coda intorno alle zampe. Mi fissa.
«Bisogna che ti sforzi» dice «non abbiamo tempo. Svegliati!»
La sua voce ha un tono di urgenza che mi allarma. Cerco con tutte le mie forze di alzarmi, ma l’unico effetto dello sforzo è quello di scivolare di nuovo, lentamente, nel sonno.
«Così non va bene» è l’ultima cosa che gli sento dire.
Paura
Quando mi sveglio è ancora là.
«Di che hai paura?» mi chiede, non appena apro gli occhi.
Non ho paura di niente.
Xante oscilla la testa in quel modo buffo e poi sbuffa.
«Tutti hanno paura di qualcosa. Qualcuno ha paura di tutto. Alcuni hanno paura di avere paura.»
Io non ho paura di avere paura.
«Non c’è niente di male ad avere paura. È un sentimento utile.»
Come può essere utile la paura?
«Ti impedisce di fare le cose sbagliate.»
Ti impedisce di fare le cose giuste.
«Sai, se tu avessi avuto un po’ di paura, non saresti qui. Adesso però devi trovare il coraggio.»
Io non ho paura. Io non ho paura. Io non ho paura.
Io… non ho… paura…
Io… Io… Io…
Io…
Solitudine
«Sai, Luca, ho capito cosa ti fa paura.»
Io non ho…
Un lampo di luce. Luca è il mio nome! Ora lo ricordo.
«Sai, nonostante tutto, non sei solo.»
Certo che sono solo, sono passati giorni e nessuno è mai venuto a trovarmi, a parte un gatto strambo in sogno.
«Se non avessi paura, capiresti di non essere solo.»
Di che cosa avrei paura?
«Del male che hai fatto. È giusto che tu ne abbia, ma devi trovare il coraggio. Puoi farlo, non sei solo, siamo qui noi.»
Mi sembra di sentire un brivido correre lungo le braccia.
Un viso attraversa come un lampo la mia mente. Uno schianto. Il sangue.
Barbara…
«Sei un bravo ragazzo» dice Xante mentre il buio mi prende.
Colpa
Prima ancora di aprire gli occhi e vederlo, gli parlo.
È stata colpa mia.
«Sai, Luca, io e i miei simili ci prendiamo cura di 1337 specie senzienti, su altrettanti pianeti, sparsi per l’universo. Potrei parlarti per ore dei loro diversi concetti di colpa. Molti non condividerebbero il tuo modo di vedere la cosa.»
Correvo troppo, e avevo bevuto. È solo colpa mia. Non c’è niente da discutere.
«Oh, è tutto così semplice? Causa ed effetto?»
Io sono la causa, e l’incidente è l’effetto, sì.
«Visione semplicistica, caro mio. Come sarebbe noioso l’universo, a quante orride ripetizioni di eventi sempre uguali assisteremmo. Ma per fortuna c’è il Caso che interviene. E il Caso non ha rimorsi, anche quando fa esplodere uno pneumatico in corsa.»
Vorrei scuotere la testa, urlare, ma il mio corpo è una prigione.
Se non avessi guidato, se non avessi corso…
«Vedi? Allora, lo ammetti che un po’ di paura sarebbe stata utile?»
Avrei dovuto essere prudente.
«La prudenza è paura con indosso il vestito buono.»
Forse il gatto ha ragione. Ma non mi va di ammetterlo.
Lo guardo con maggiore attenzione. Il pelo ricorda il piumaggio di certi uccelli, per colore e apparenza. Gli occhi sono grandi, rotondi, con le pupille sottili. Le zampe paiono morbide e prive di artigli. Mi rendo conto che per tutto quel tempo ha parlato senza mai aprire la bocca.
«Te l’ho detto, sono un gatto’stratto.»
Non hai spiegato molto.
«Non c’è tempo. Devi smettere di avere paura, di sentirti in colpa.»
Se potessi riderei, ma sono stanco. Tanto stanco.
Scelte
È lui a iniziare il dialogo, prima ancora che io apra gli occhi.
«Molto tempo fa, su un pianeta non troppo lontano da qui, viveva una specie pacifica, evoluta e felice. Poi arrivò un brutto giorno e si trovarono a dover decidere se sopravvivere perdendo gran parte della loro civiltà, o estinguersi.»
Ero contento che Xante avesse iniziato a raccontare quella storia, almeno non si occupava di me.
Continua a raccontare. Che cosa decisero?
«Cercarono fino all’ultimo istante altre soluzioni, senza successo, e alla fine decisero di sopravvivere.»
Non era una decisione difficile. Sopravvivere è la cosa più importante.
«In effetti hanno ricostruito la loro civiltà, ma sono la specie più infelice tra le 1337 che popolano l’universo.»
Però sono sopravvissuti.
«È questo che conta?»
Sì.
«Allora cerca di ricordarlo» gli sentii commentare prima di cadere di nuovo nel sonno.
Felicità
Questa volta nessuno dei due parlò. Il dolore era molto fastidioso, pulsante.
Aprii gli occhi e lo vidi, si era piazzato sul mio petto, a pochi centimetri dal mio viso. Sembrava proprio un gatto piumato, dai colori cangianti.
«Puoi essere felice, ma non sempre.»
Non sarò mai felice! Ho fatto morire Barbara. Sono rimasto solo. A nessuno importa più di me.
«Hai troppa paura. Barbara è molto più coraggiosa di te.»
Odio questo stupido gatto.
Lasciami in pace.
«Hai così paura di essere infelice da non vedere la felicità neanche avendola davanti gli occhi.»
Stupido gatto, la felicità non è una oggetto, qualcosa che si possa vedere.
«Se tu avessi coraggio, dovresti darmi ragione. La felicità, in questo momento, è seduta su quella sedia in fondo al letto.»
Non c’è nessuno in questa stanza. Smettila di tormentarmi. Lasciami morire.
Il gatto fece delle strane manovre e prese a leccarsi il pelo della pancia. Andò avanti a lungo.
«Manca ancora qualcosa.»
Un movimento attraversò la stanza vicino al mio letto, sulla sinistra, come se fosse passato qualcosa, ma non c’era niente.
Il dolore cominciò a scemare e presi finalmente sonno.
Tempo scaduto
«Sei proprio una delusione.»
La voce del gatto’stratto era bellissima, una carezza piacevole nelle orecchie. Ma lo odiavo lo stesso. Lo ignorai.
«Sai cosa? Ti ci vorrebbe un pizzico di rabbia.»
Vattene. Devi finirla. Per quanto ancora ti devo sopportare?
Xante fece una specie di sbuffo rumoroso.
«Be’, o ti sbarazzi di me nei prossimi minuti, oppure rimarrò a tenerti compagnia per sempre.»
Come posso sbarazzarmi di te maledetto? Sono bloccato in un incubo.
«Non è che ci voglia molto. Per far sparire un gatto’stratto basta accarezzarlo.»
Venne a piazzarsi al solito posto, sulla bocca dello stomaco. Non pesava granché ma era irritante.
Se potessi muovere le mani ti strozzerei, altro che carezze.
«In effetti dovrebbe funzionare lo stesso. Purché ti sbrighi.»
Provai a muovere la mano, senza successo.
«Pigro.»
Provai ancora.
«Un bambino farebbe meglio.»
Provai di nuovo. Non si era mossa? La stanza mi sembrò ondeggiare. Ma il gatto era sempre lì.
«Lascia stare, non ce la farai mai.»
Ancora un tentativo. Stavolta ero sicuro, la mano si era mossa, di un millimetro, solo una vibrazione forse.
La stanza era piena di nebbia, le cose perdevano nitidezza. Anche Xante.
Il gatto’stratto fece una risata, credo.
«Ci hai ripensato? Hai paura che ti manchi?»
Senza che ci pensassi la mano partì. Sotto il mio sguardo stupefatto si mosse come al rallentatore, attraversando lo spazio d’aria dove sarebbe dovuto essere Xante. Accadde così, come una dissolvenza. Sparì come uno sbuffo di vapore quando lo spazzi via. Un attimo dopo la stanza tornò nitida.
Sulla sedia in fondo al letto c’era Barbara. Aveva un braccio legato al collo e la testa bendata. Era viva.
«Luca! Finalmente ti sei svegliato» disse, la felicità.
Qualcosa passò nell’aria, come un arcobaleno.
Forse era una risata.