Il treno
Inviato: martedì 17 luglio 2018, 0:59
Le sette e trentasei, nessun parcheggio dove lasciare la cinquecento rossa, l’unica speranza era che il treno fosse in ritardo.
Lasciai l’auto di sbieco sul prato accanto al lago, nessun cartello di sosta vietata, ma neppure nessun’altra auto e troppa fretta per pensare a una possibile ragione.
Via il telefono dal caricatore, la borsa in spalla e fuori a martellare in fretta i tacchi sull’asfalto per arrivare in tempo.
Il treno aveva già le porte chiuse, pronto a muoversi. Sbracciai un saluto al controllore che riaprì la porta, scuotendo la testa. Questi studenti che fanno tardi la sera, non vogliono alzarsi la mattina e arrivano sempre all’ultimo minuto. Dicevano i suoi occhi stanchi di notti sveglio a pensare a come tirare le somme per la fine del mese.
Camminai per i corridoi delle carrozze cercando un posto, sedetti accanto a un ragazzo nero coi capelli tutti intrecciati e un anello al naso, di fronte un signore in giacca grigia e cravatta rosa a pois neri, entrambi i tipi con una borsa, un cellulare e le cuffie, così diversi e allo stesso tempo così uguali.
Alle otto e venti il controllore aprì lo scompartimento, tirai fuori il cellulare dalla borsa per aprire la mail con il biglietto del treno, ma non c’era modo di aprire la posta, nessun segnale. Il controllore si stava avvicinando.
Avrei dovuto fare uno screenshot, pensai. Se ne avessi avuto il tempo! Frugai nella borsa per portafoglio. Niente!
Nella fretta di prendere la borsa non avevo controllato e doveva essermi scivolato sul tappetino in fondo all’auto. Ecco come cominciare una giornata con le migliori premesse.
- Biglietti prego!
Nessuna prova che avevo comperato il biglietto, nessun documento e nessun soldo per rimediare.
- Mi dispiace, non riesco ad aprire la posta per farle vedere il biglietto.
- Questa è la scusa che va di moda adesso, tutti così voi giovani, credete di poter fregare il mondo, ma non è così che funziona su questo treno!
- Guardi, non è una scusa, vede che non ci sono tacche? Non prende nessun segnale, non capisco, di solito ho sempre il massimo delle tacche.
- Ha ragione! Ci deve essere qualche problema, anche il mio telefono non ha segnale.
Anche l’uomo in giacca e cravatta aveva comperato il biglietto on line.
Era il turno del ragazzo con le trecce.
- Io ascolto la musica offline, ma già che me lo fate notare, non ho segnale neppure io. - e diede il biglietto al controllore. Ma un biglietto su tre non era cosa che lo soddisfacesse.
- Sapete cosa mi interessa dei vostri telefonini? A me interessa che paghiate il biglietto, ecco! Adesso le faccio la ricevuta del biglietto più la multa. Dove è salita lei?
- Mi ha visto, due stazioni fa.
- Mica posso ricordarmi tutti i passeggeri che vedo! Ma vabbene, per stavolta le credo. Ecco qui. - e mi porse una ricevuta scritta a mano, compresa di multa: dodici euro.
- Mi dispiace, ma mi deve essere caduto il portafoglio in auto, non sono riuscita a trovarlo, spero che sia in macchina…
- Anche questa! Dovrò fare rapporto ai miei superiori.
- Ma la signorina le ha detto che ha pagato già il biglietto, potrebbe andare in fiducia, non mi sembra una ladra.
- Lei non sa signore che i più tremendi malviventi sono quelli vestiti meglio, proprio come lei.
- Cosa vorrebbe dire?
- Niente, niente, parlo solo per esperienza.
A questo punto tutti gli astanti guardavano male il controllore che non sapeva più cosa fare, avrebbe potuto benissimo lasciare stare, ma aveva già mollato una ricevuta, e peccato buttare via un foglio di cui poi gli avrebbero chiesto ragione.
- Allora signorina, cosa facciamo? - Un tipo ricco di risorse, pensai.
- Eh, non lo so, mi dica lei. Non potrebbe tornare poi che magari riavrò il segnale e riuscirò a scaricare la posta.
- Non posso! - il controllore sembrava aver perso il controllo.
Il treno, come volesse seguire il sentimento di quell’uomo, fece un balzo in avanti, con uno stridìo di ferri, rallentò, le luci lampeggiarono, la carrozza fu sballottata. Io, insieme agli altri passeggeri cercavamo appigli, ma finivano uno addosso all’altro in un aggancio di gambe, braccia, visi e capelli. L’odore era di deodorante che ormai aveva finito la sua efficacia, di piscio e di sedili vecchi. Con un clangore che assomigliava a quello del coltello strisciato sul piatto, il treno si accasciò violentemente su un fianco. Tutti eravamo sfiniti, avevamo rivissuto le nostre vite in un lasso di tempo che non comprendeva un battito di ciglia.
Mi ritrovai addosso al ragazzo nero, e sopra il tipo in giacca e cravatta, prima ancora di rimettersi in piedi, e non sapeva se avesse tutte le ossa a posto, stava già chiedendo a tutti se c’era bisogno di qualcosa, se stavano bene. Un impaziente vigile del fuoco mancato, mi sarebbe piaciuto uscire con un tipo così, che pensava prima alla sicurezza altrui prima che alla sua. Il controllore a terra nel corridoio cercava di rialzarsi, ma una gamba gli si era incastrata sotto un sedile che si era staccato dalle guide ed era crollato dall’altra parte, incastrando più persone.
Il ragazzo con le trecce sanguinava dal naso con l’anello.
- Dove siamo? - chiese una voce. Mi stupii di una domanda di così poca importanza, che differenza faceva dove eravamo.
- Aiuto! - mi accorsi che il ragazzo seduto accanto a me aveva un vetro conficcato nella spalla.
- Non muoverti! - temevo che il movimento potesse mandare più a fondo il vetro, e non era l’unico che aveva in corpo. Non volevo guardare il mio di corpo, continuavo a ripetermi che tutto era a posto e che se ero ancora viva, il peggio era passato, sapevo che era una bugia, che se il ragazzo era pieno di vetri anche io dovevo averne da qualche parte. Avevo paura a muovermi, non volevo peggiorare una situazione già abbastanza critica, i vetri inondavano la carrozza che in fondo si era accartocciata, mi venne un sonno improvviso, persi i sensi e una parte di me si svegliò come non ero mai stata prima, tanto che ero capace di volare e di vedere dall'altro tutto il disastro che quell'incidente aveva provocato.
Il treno, di Isabella Valerio
Lasciai l’auto di sbieco sul prato accanto al lago, nessun cartello di sosta vietata, ma neppure nessun’altra auto e troppa fretta per pensare a una possibile ragione.
Via il telefono dal caricatore, la borsa in spalla e fuori a martellare in fretta i tacchi sull’asfalto per arrivare in tempo.
Il treno aveva già le porte chiuse, pronto a muoversi. Sbracciai un saluto al controllore che riaprì la porta, scuotendo la testa. Questi studenti che fanno tardi la sera, non vogliono alzarsi la mattina e arrivano sempre all’ultimo minuto. Dicevano i suoi occhi stanchi di notti sveglio a pensare a come tirare le somme per la fine del mese.
Camminai per i corridoi delle carrozze cercando un posto, sedetti accanto a un ragazzo nero coi capelli tutti intrecciati e un anello al naso, di fronte un signore in giacca grigia e cravatta rosa a pois neri, entrambi i tipi con una borsa, un cellulare e le cuffie, così diversi e allo stesso tempo così uguali.
Alle otto e venti il controllore aprì lo scompartimento, tirai fuori il cellulare dalla borsa per aprire la mail con il biglietto del treno, ma non c’era modo di aprire la posta, nessun segnale. Il controllore si stava avvicinando.
Avrei dovuto fare uno screenshot, pensai. Se ne avessi avuto il tempo! Frugai nella borsa per portafoglio. Niente!
Nella fretta di prendere la borsa non avevo controllato e doveva essermi scivolato sul tappetino in fondo all’auto. Ecco come cominciare una giornata con le migliori premesse.
- Biglietti prego!
Nessuna prova che avevo comperato il biglietto, nessun documento e nessun soldo per rimediare.
- Mi dispiace, non riesco ad aprire la posta per farle vedere il biglietto.
- Questa è la scusa che va di moda adesso, tutti così voi giovani, credete di poter fregare il mondo, ma non è così che funziona su questo treno!
- Guardi, non è una scusa, vede che non ci sono tacche? Non prende nessun segnale, non capisco, di solito ho sempre il massimo delle tacche.
- Ha ragione! Ci deve essere qualche problema, anche il mio telefono non ha segnale.
Anche l’uomo in giacca e cravatta aveva comperato il biglietto on line.
Era il turno del ragazzo con le trecce.
- Io ascolto la musica offline, ma già che me lo fate notare, non ho segnale neppure io. - e diede il biglietto al controllore. Ma un biglietto su tre non era cosa che lo soddisfacesse.
- Sapete cosa mi interessa dei vostri telefonini? A me interessa che paghiate il biglietto, ecco! Adesso le faccio la ricevuta del biglietto più la multa. Dove è salita lei?
- Mi ha visto, due stazioni fa.
- Mica posso ricordarmi tutti i passeggeri che vedo! Ma vabbene, per stavolta le credo. Ecco qui. - e mi porse una ricevuta scritta a mano, compresa di multa: dodici euro.
- Mi dispiace, ma mi deve essere caduto il portafoglio in auto, non sono riuscita a trovarlo, spero che sia in macchina…
- Anche questa! Dovrò fare rapporto ai miei superiori.
- Ma la signorina le ha detto che ha pagato già il biglietto, potrebbe andare in fiducia, non mi sembra una ladra.
- Lei non sa signore che i più tremendi malviventi sono quelli vestiti meglio, proprio come lei.
- Cosa vorrebbe dire?
- Niente, niente, parlo solo per esperienza.
A questo punto tutti gli astanti guardavano male il controllore che non sapeva più cosa fare, avrebbe potuto benissimo lasciare stare, ma aveva già mollato una ricevuta, e peccato buttare via un foglio di cui poi gli avrebbero chiesto ragione.
- Allora signorina, cosa facciamo? - Un tipo ricco di risorse, pensai.
- Eh, non lo so, mi dica lei. Non potrebbe tornare poi che magari riavrò il segnale e riuscirò a scaricare la posta.
- Non posso! - il controllore sembrava aver perso il controllo.
Il treno, come volesse seguire il sentimento di quell’uomo, fece un balzo in avanti, con uno stridìo di ferri, rallentò, le luci lampeggiarono, la carrozza fu sballottata. Io, insieme agli altri passeggeri cercavamo appigli, ma finivano uno addosso all’altro in un aggancio di gambe, braccia, visi e capelli. L’odore era di deodorante che ormai aveva finito la sua efficacia, di piscio e di sedili vecchi. Con un clangore che assomigliava a quello del coltello strisciato sul piatto, il treno si accasciò violentemente su un fianco. Tutti eravamo sfiniti, avevamo rivissuto le nostre vite in un lasso di tempo che non comprendeva un battito di ciglia.
Mi ritrovai addosso al ragazzo nero, e sopra il tipo in giacca e cravatta, prima ancora di rimettersi in piedi, e non sapeva se avesse tutte le ossa a posto, stava già chiedendo a tutti se c’era bisogno di qualcosa, se stavano bene. Un impaziente vigile del fuoco mancato, mi sarebbe piaciuto uscire con un tipo così, che pensava prima alla sicurezza altrui prima che alla sua. Il controllore a terra nel corridoio cercava di rialzarsi, ma una gamba gli si era incastrata sotto un sedile che si era staccato dalle guide ed era crollato dall’altra parte, incastrando più persone.
Il ragazzo con le trecce sanguinava dal naso con l’anello.
- Dove siamo? - chiese una voce. Mi stupii di una domanda di così poca importanza, che differenza faceva dove eravamo.
- Aiuto! - mi accorsi che il ragazzo seduto accanto a me aveva un vetro conficcato nella spalla.
- Non muoverti! - temevo che il movimento potesse mandare più a fondo il vetro, e non era l’unico che aveva in corpo. Non volevo guardare il mio di corpo, continuavo a ripetermi che tutto era a posto e che se ero ancora viva, il peggio era passato, sapevo che era una bugia, che se il ragazzo era pieno di vetri anche io dovevo averne da qualche parte. Avevo paura a muovermi, non volevo peggiorare una situazione già abbastanza critica, i vetri inondavano la carrozza che in fondo si era accartocciata, mi venne un sonno improvviso, persi i sensi e una parte di me si svegliò come non ero mai stata prima, tanto che ero capace di volare e di vedere dall'altro tutto il disastro che quell'incidente aveva provocato.
Il treno, di Isabella Valerio