L'ultima ragazza - Diego Martelli
Inviato: martedì 17 luglio 2018, 0:59
Riprese i sensi e subentrò immediatamente il panico. Scalciò, ma le caviglie si mossero insieme, legate da una corda. Urlò, ma il suono della sua voce venne attutito dallo straccio che aveva in bocca. Aprì gli occhi e alla luce di una flebile luce al neon scoprì uno scantinato ampio e dimesso, senza finestre... e persone, ragazzi e ragazze, come lei intenti a contorcersi, tutti prigionieri.
Il locale. Il ragazzo, quello bruno. No, il suo amico. Le ultime ore le tornavano come un flash mentre cercava freneticamente di mettersi diritta, di portare le mani legate alla bocca, per rimuovere il bavaglio. Al terzo tentativo ci riuscì. "...AIUTO! AIUTO! Cazzo, cazzo... AIUTO! CHIAMATE QUALCUNO! Chiamate... qualcuno..." disse, gridando e gemendo, mentre lunghe lacrime di paura le solcavano le guance. Tremava, ora, mentre con i denti si liberava le mani, quindi i piedi. Si tirò su. Si avventò verso la persona più vicina e scostò il bavaglio che impediva al ragazzo di parlare. "Dio! Grazie. Grazie, grazie, grazie..." ripetè quello fra le lacrime. "Ero al Blue Star, alla festa delle matricole..."
Blue Star. Gli shottini al bar. O la birra al tavolo? Aveva freddo, e si sentiva male, ma si costrinse ad andare avanti. Bende, corde, bavagli. Doveva aiutarli... non poteva scappare! Dopo qualche momento di febbrile lavoro, tutti erano liberi. Erano in dieci. Alcuni piangevano, altri si guardavano intorno controllando febbrilmente i cellulari o usandoli come torcia. Si avvicinò al ragazzo che aveva liberato per primo. Anche lui tremava, e stava armeggiando con il cellulare. "Mi chiamo Gwendaline."
"M-Mark. Mi chiamo Mark. Non c'è campo. Dove cazzo siamo?"
Scosse la testa: non lo sapeva. Un attimo dopo, alcune ragazze gridarono, indicando una porta metallica arrugginita illuminata dalla torcia di un cellulare. BENVENUTI AL MIO GIOCO, c'era scritto su di essa, con irregolari lettere rosse.
Mark scoppiò a ridere. "E' come nei film!" disse, sollevato. "E' tutto uno scherzo. Come negli slahser movie: la casa isolata, il pazzo assassino, il nero che muore per primo..." ("...Ehi!" protestò una formosa cheerleader di colore, dal fondo della stanza) "...chi fa sesso muore, tutti si dividono e il maniaco li uccide uno a uno... cose così. Dai! Ci prendono per il culo!" Con passo esitante si avvicinò alla porta e l'aprì, mal illuminato dai cellulari. Ci fu uno scatto, uno spruzzo di sangue, e Mark iniziò a urlare. Si reggeva il moncherino della mano proprio davanti a una sorta di grossa, incrostata lama metallica che aveva mancato la sua testa di pochi centimetri. Mentre si accasciava urlando, altre nove persone gli fecero eco e presero a correre, a urtarsi, a cercare febbrilmente un'altra uscita.
"NON DIVIDIAMOCI! SUCCEDE SEMPRE CHE CI SI DIVIDE, E..." gridò la cheerleader, ma nessuno le diede retta. Gwen corse verso unaltra porta, girò la maniglia, e si ricordò del fato di Mark: gridò e saltò indietro terrorizzata, urlando ancora e urtando qualcuno dietro di lei. Nulla accadde: la porta si aprì. Singhiozzando vi si infilò, correndo fuori dalla stanza praticamente alla cieca. Il lungo corridoio era illuminato solo da una luce d'emergenza lampeggiante, e terminava in una nuova porta. Non trovava la maniglia. Battè contro di essa, con i pugni, con i calci. Niente!
Arrivarono di corsa altri ragazzi dietro di lei, un biondo e un moro, e una alta ragazza con le lentiggini dall'aria terrorizzata. La fecero sobbalzare... ma non quanto l'altissimo, agonizzante grido che si sentì risuonare al piano di sopra, seguito da una risata satanica. "Non è uno scherzo... è... è un pazzo, un un pazzo vero! Vieni!" le disse il moro, prendendola per mano e conducendola nella direzione opposta. Corse, corse, corse: gridò, pianse, pregò. Sentì un movimento dietro di sé, udì il biondo gorgogliare e il moro urlarle "CORRI, CORRI!" Non si voltò indietro. Altre grida. Alcuni schianti. Scale che salivano. Corridoi! Un colpo d'arma da fuoco. Un'altra risata! Stavano girando in tondo? Quanto era grosso questo fottuto edificio!?
Il moro sparì nel nulla con un suono sordo, come se fosse stato afferrato, buttato a terra e trascinato via. Anche la ragazza cadde a terra, proprio davanti al portone d'ingresso del piano terra. Gridava! Non c'era luce, ma Gwen poteva quasi vedere l'angolo sbagliato del piede di lei. Voleva aiutarla, ma aveva troppa paura. Paura... di rimanere lì. Che... che qualcosa uscisse dal buio, per colpirla, per mutilarla. "Non mi lasciare... non mi lasciare!" piagnucolava quella, ma Gwen non riuscì a costringersi a soccorrerla. Aveva orrore di lasciarla lì, ma la porta era un richiamo troppo seducente. Doveva solo... uscire. Solo uscire. Doveva smettere di tremare, spingere la porta e uscire, e sarebbe andata...via. Via da lì. Sarebbe andata a casa...
Spinse la porta e vide Mark. Era in piedi in un cortile, fuori dalla porta, illuminato da un falò. Aveva entrambe le mani. C'erano anche il biondo e la cheerleader. C'erano tutti. Le sorridevano. Alcuni battevano le mani. Gwen, senza sapere bene perché, ridacchiò. "E' uno scherzo? Era tutto uno scherzo?" balbettò, con il sollievo che combatteva contro il sospetto. Avrebbe voluto sembrare più sicura, ma tremava troppo, e una caviglia le faceva male. "Va bene. Forte! Haha! Adesso andiamo via?"
Mark scosse la testa. "Gwendaline! Devi essere orgogliosa! Sei stata bravissima: sei stata proprio l'ultima ragazza. Non ci viene mai così bene: di solito, voi puttanelle uscite prima che noi muoriamo tutti..." Fischi, risate, altri applausi. Uno dei ragazzi si tolse da dosso uno spuntone metallico che in teoria l'aveva trapassato. Una ragazza strappò con un gesto teatrale una finta ferita di lattice che le attraversava sanguinolenta il collo. Al suo fianco, distante qualche passo, arrivò la ragazza con le lentiggini, lunghi lacrimoni sul volto. Camminava benissimo e cercava il suo sguardo, desolata. "Ho dovuto farlo. Mi dispiace... mi dispiace così tanto..."
"E' un vero peccato non poterti lasciare andare." riprese Mark, avvicinandosi a Gwen. "Non lo sai che le ragazze cattive, quelle che assumono droghe e che fanno sesso, negli slasher movie muoiono sempre?"
Gwen si aggrappò a quella residua speranza: gridò "...NO! Io... io non..."
Mark sogghignò: alzò le mani, come a chiedere un applauso dagli altri. Lo ottenne.
"No, Gwen, lo so che non l'hai fatto stasera. Non ancora."
La ragazza con le lentiggini la colpì alla nuca con il calcio di una pistola.
Il locale. Il ragazzo, quello bruno. No, il suo amico. Le ultime ore le tornavano come un flash mentre cercava freneticamente di mettersi diritta, di portare le mani legate alla bocca, per rimuovere il bavaglio. Al terzo tentativo ci riuscì. "...AIUTO! AIUTO! Cazzo, cazzo... AIUTO! CHIAMATE QUALCUNO! Chiamate... qualcuno..." disse, gridando e gemendo, mentre lunghe lacrime di paura le solcavano le guance. Tremava, ora, mentre con i denti si liberava le mani, quindi i piedi. Si tirò su. Si avventò verso la persona più vicina e scostò il bavaglio che impediva al ragazzo di parlare. "Dio! Grazie. Grazie, grazie, grazie..." ripetè quello fra le lacrime. "Ero al Blue Star, alla festa delle matricole..."
Blue Star. Gli shottini al bar. O la birra al tavolo? Aveva freddo, e si sentiva male, ma si costrinse ad andare avanti. Bende, corde, bavagli. Doveva aiutarli... non poteva scappare! Dopo qualche momento di febbrile lavoro, tutti erano liberi. Erano in dieci. Alcuni piangevano, altri si guardavano intorno controllando febbrilmente i cellulari o usandoli come torcia. Si avvicinò al ragazzo che aveva liberato per primo. Anche lui tremava, e stava armeggiando con il cellulare. "Mi chiamo Gwendaline."
"M-Mark. Mi chiamo Mark. Non c'è campo. Dove cazzo siamo?"
Scosse la testa: non lo sapeva. Un attimo dopo, alcune ragazze gridarono, indicando una porta metallica arrugginita illuminata dalla torcia di un cellulare. BENVENUTI AL MIO GIOCO, c'era scritto su di essa, con irregolari lettere rosse.
Mark scoppiò a ridere. "E' come nei film!" disse, sollevato. "E' tutto uno scherzo. Come negli slahser movie: la casa isolata, il pazzo assassino, il nero che muore per primo..." ("...Ehi!" protestò una formosa cheerleader di colore, dal fondo della stanza) "...chi fa sesso muore, tutti si dividono e il maniaco li uccide uno a uno... cose così. Dai! Ci prendono per il culo!" Con passo esitante si avvicinò alla porta e l'aprì, mal illuminato dai cellulari. Ci fu uno scatto, uno spruzzo di sangue, e Mark iniziò a urlare. Si reggeva il moncherino della mano proprio davanti a una sorta di grossa, incrostata lama metallica che aveva mancato la sua testa di pochi centimetri. Mentre si accasciava urlando, altre nove persone gli fecero eco e presero a correre, a urtarsi, a cercare febbrilmente un'altra uscita.
"NON DIVIDIAMOCI! SUCCEDE SEMPRE CHE CI SI DIVIDE, E..." gridò la cheerleader, ma nessuno le diede retta. Gwen corse verso unaltra porta, girò la maniglia, e si ricordò del fato di Mark: gridò e saltò indietro terrorizzata, urlando ancora e urtando qualcuno dietro di lei. Nulla accadde: la porta si aprì. Singhiozzando vi si infilò, correndo fuori dalla stanza praticamente alla cieca. Il lungo corridoio era illuminato solo da una luce d'emergenza lampeggiante, e terminava in una nuova porta. Non trovava la maniglia. Battè contro di essa, con i pugni, con i calci. Niente!
Arrivarono di corsa altri ragazzi dietro di lei, un biondo e un moro, e una alta ragazza con le lentiggini dall'aria terrorizzata. La fecero sobbalzare... ma non quanto l'altissimo, agonizzante grido che si sentì risuonare al piano di sopra, seguito da una risata satanica. "Non è uno scherzo... è... è un pazzo, un un pazzo vero! Vieni!" le disse il moro, prendendola per mano e conducendola nella direzione opposta. Corse, corse, corse: gridò, pianse, pregò. Sentì un movimento dietro di sé, udì il biondo gorgogliare e il moro urlarle "CORRI, CORRI!" Non si voltò indietro. Altre grida. Alcuni schianti. Scale che salivano. Corridoi! Un colpo d'arma da fuoco. Un'altra risata! Stavano girando in tondo? Quanto era grosso questo fottuto edificio!?
Il moro sparì nel nulla con un suono sordo, come se fosse stato afferrato, buttato a terra e trascinato via. Anche la ragazza cadde a terra, proprio davanti al portone d'ingresso del piano terra. Gridava! Non c'era luce, ma Gwen poteva quasi vedere l'angolo sbagliato del piede di lei. Voleva aiutarla, ma aveva troppa paura. Paura... di rimanere lì. Che... che qualcosa uscisse dal buio, per colpirla, per mutilarla. "Non mi lasciare... non mi lasciare!" piagnucolava quella, ma Gwen non riuscì a costringersi a soccorrerla. Aveva orrore di lasciarla lì, ma la porta era un richiamo troppo seducente. Doveva solo... uscire. Solo uscire. Doveva smettere di tremare, spingere la porta e uscire, e sarebbe andata...via. Via da lì. Sarebbe andata a casa...
Spinse la porta e vide Mark. Era in piedi in un cortile, fuori dalla porta, illuminato da un falò. Aveva entrambe le mani. C'erano anche il biondo e la cheerleader. C'erano tutti. Le sorridevano. Alcuni battevano le mani. Gwen, senza sapere bene perché, ridacchiò. "E' uno scherzo? Era tutto uno scherzo?" balbettò, con il sollievo che combatteva contro il sospetto. Avrebbe voluto sembrare più sicura, ma tremava troppo, e una caviglia le faceva male. "Va bene. Forte! Haha! Adesso andiamo via?"
Mark scosse la testa. "Gwendaline! Devi essere orgogliosa! Sei stata bravissima: sei stata proprio l'ultima ragazza. Non ci viene mai così bene: di solito, voi puttanelle uscite prima che noi muoriamo tutti..." Fischi, risate, altri applausi. Uno dei ragazzi si tolse da dosso uno spuntone metallico che in teoria l'aveva trapassato. Una ragazza strappò con un gesto teatrale una finta ferita di lattice che le attraversava sanguinolenta il collo. Al suo fianco, distante qualche passo, arrivò la ragazza con le lentiggini, lunghi lacrimoni sul volto. Camminava benissimo e cercava il suo sguardo, desolata. "Ho dovuto farlo. Mi dispiace... mi dispiace così tanto..."
"E' un vero peccato non poterti lasciare andare." riprese Mark, avvicinandosi a Gwen. "Non lo sai che le ragazze cattive, quelle che assumono droghe e che fanno sesso, negli slasher movie muoiono sempre?"
Gwen si aggrappò a quella residua speranza: gridò "...NO! Io... io non..."
Mark sogghignò: alzò le mani, come a chiedere un applauso dagli altri. Lo ottenne.
"No, Gwen, lo so che non l'hai fatto stasera. Non ancora."
La ragazza con le lentiggini la colpì alla nuca con il calcio di una pistola.