Memoria - LordMax
Inviato: martedì 17 luglio 2018, 1:02
“Buongiorno. Io sono Delia, non credo che ci conosciamo. Con chi ho il piacere?” disse la signora rivolta al gruppo di uomini davanti a lei.
“Buongiorno. Io sono Cesare. Anch’io non so bene come mai sono qui e non mi sembra di conoscervi” disse l’uomo più imponente dei tre.
“Io sono Bruno e mi stavo chiedendo se invece non ci conoscessimo già. Ho come l’impressione di avervi già visto” disse l’uomo con accento del nord.
“io invece sono certo di non avervi mai visti e non capisco perché siamo qui. In ogni caso sono Alberto e sto andando via” disse l’uomo affannato mentre si guardava intorno.
“Suvvia, non sia così nervoso. Se siamo tutti qui ci sarà un motivo” disse Delia.
“E visto che siamo tutti vestiti con dei camicioni immagino che il motivo sia anche grave” disse Cesare mentre si guardava la camicia da notte.
“Non mi interessa ne chi siete ne perché siamo qui. Io me ne vado e basta” insistette Alberto mentre si avvicinava ad una ampia porta con vetri che dava su un corridoio.
Alberto arrivò alla porta in tre passi, quasi scagliando via una sedia del tavolo che ebbe la sfortuna di trovarsi sul suo percorso. Con gesto rabbioso afferrò la maniglia e fece per aprire… senza successo.
Un secondo tentativo, un terzo e gli altri lo raggiunsero a loro volta.
“Si calmi signor Alberto” disse Delia sorridendo “la porta è chiusa a chiave e non mi sembra il caso di sfondarla.”
“Forse invece è proprio il caso di farlo” disse Cesare mentre provava anche lui ad aprirla.
Alberto si mise a picchiare i pugni sul vetro mentre Cesare e Bruno cercavano di scorgere qualcuno lungo il corridoio.
Secondi che sembrarono eternità dove l’unico rumore era il respiro dei quattro compagni involontari poi una porta in fondo al corridoio si aprì e comparve una figura femminile in abiti da suora.
Arrivata alla porta Alberto era rosso dalla tensione, Bruno e Cesare osservavano la suora con malcelato astio, solo Delia era sorridente e disponibile al dialogo.
“Vi prego di non agitarvi così tanto che non vi fa bene. Cosa succede che vi ha messo tanta ansia?” chiese l’anziana suora.
“Come cosa?” “Ma si rende conto che siamo chiusi dentro” “La porta è chiusa”
“I nostri abiti” “Perché siamo rinchiusi” “Cosa ci facciamo qui dentro” “Dove siamo”
“Fermi! Calma” disse la suora senza scomporsi troppo di fronte alle domande concitate dei quattro “non posso rispondere a tutto ma a qualcosa sì. Siete in ospedale. Siete malati. Non possiamo farvi uscire perché non state bene e potreste farvi male. Dovete avere pazienza. Fra poco arriva il pranzo e poi arriva il dottore che vi spiegherà tutto dall’inizio alla fine” spiegò senza troppa empatia.
“Ma come malati? Malati di cosa?”
“Ma siamo infetti? Contagiosi?”
“Ma perché non mi ricordo niente. E non ricordo nemmeno di essere venuto qui. Chi è il dottore?”
“Voglio parlare immediatamente con il dottore e voglio uscire da questa stanza.”
“Non avete il diritto di tenerci chiusi a chiave qui dentro. Ci faccia uscire subito.”
“Calmi, restate calmi. Non posso farvi uscire perché il dottore lo ha vietato e perché non ho le chiavi. Dovete parlare con lui prima. Signorina Dalia, lei che è una persona più ragionevole, la prego di farli ragionare. Io ora devo assentarmi, ho molti altri pazienti da visitare” disse la suora sempre con tono secco.
“Ve bene sorella. Avete sentito? Siamo in quarantena. Non mi ricordo il perché o forse non ce lo hanno detto ma dobbiamo accettare che il dottore saprà darci tutte le risposte appena arriva. Ora calmiamoci e cerchiamo di comportarci come persone adulte” disse Delia accomodante mentre cercava di distrarre gli altri dal notare che la suora se ne era andata.
Con fatica riuscì a riportare la calma fra gli scalmanati compagni.
“È una vera vergogna. Chiuderci qui dentro e senza neppure dirci il perché e darci spiegazioni precise” disse Cesare mentre si sedeva al tavolo con gli altri.
Bruno prese alcune bottigliette d’acqua dal mobiletto vicino al tavolo e le distribuì ai compagni poi sedette a sua volta, sbuffando.
“Inaccettabile e scorretto. Sono assolutamente intenzionato ad andare fino in fondo a questa indecenza. Non siamo dei criminali ne pericolosi. Tenerci chiusi a chiave qui dentro è una violazione” disse Alberto ancora molto agitato.
“In fondo dobbiamo solo aspettare il dottore, sono più che certa che a tutto c’è una spiegazione e un rimedio. Intanto rilassiamoci. Qualcuno ricorda una storia o una barzelletta?” chiese Dalia sempre conciliante.
“Io non credo che sia il momento delle barzellette… Ommioddio, cos’è questo odore”
“Mamma mia che schifo. Sei marcio dentro.”
“È orribile, dovrebbe imparare a trattenersi”
“Ecchesarà mai. Ho solo fatto un peto non ho ucciso nessuno” disse Alberto allargando le braccia.
“Forse preferirei essere morto che sopportare questo”
“E in un luogo chiuso. Lei deve imparare e vivere in società”
“Non fatela tanto lunga. Siamo prigionieri in un ospedale e vi preoccupate di un po’ di cattivo odore? Se è vero, cosa che io non credo, che siamo malati c’è ben di peggio da pensare” disse Alberto mentre continuava a guardare la porta e il corridoio.
“Sì, è vero che siamo in una situazione difficile ma questo suo comportamento poco educato non aiuta a migliorare la situazione, ora ho la nausea” disse Delia lentamente.
“Anch’io ho una sensazione di pesantezza dello stomaco” disse bruno mentre si guardava intorno con sguardo confuso.
“Forse l’aria viziata della stanza non ci fa bene, dovremo dirlo al dottore” disse Cesare.
“Buongiorno. Io sono Delia, non credo che ci conosciamo. Con chi ho il piacere?” disse la signora rivolta al gruppo di uomini seduti al tavolo con lei.
“Io sono Cesare. Buongiorno. Anche a me sembra di non conoscervi” disse l’uomo più imponente dei tre.
“Sono certo di non avervi mai visti e non capisco perché siete qui. Mi chiamo Alberto. Perché siamo qui?” disse l’uomo mentre si guardava intorno.
“Io sono Bruno e sono certo che ci conosciamo già. I vostri volti mi sono famigliari. Lei vuole andare via” disse indicando Bruno “e lei pensa che è una vergogna essere chiusi dentro un ospedale” disse l’uomo con accento del nord.
***
“Vede Signora?” disse l’uomo in camice da dottore mentre mostrava lo schermo di un monitor alla signora in lacrime “come le avevo detto suo marito è l’unico che sta rispondendo sorprendentemente bene al trattamento. Di giorno in giorno la sua memoria si è stabilizzata e ora inizia a recuperare la capacità di trattenere la memoria a breve termine più degli altri. Non le nascondo che ci vorrà ancora parecchio tempo ma ho buone speranze che possa migliorare molto.”
“Buongiorno. Io sono Cesare. Anch’io non so bene come mai sono qui e non mi sembra di conoscervi” disse l’uomo più imponente dei tre.
“Io sono Bruno e mi stavo chiedendo se invece non ci conoscessimo già. Ho come l’impressione di avervi già visto” disse l’uomo con accento del nord.
“io invece sono certo di non avervi mai visti e non capisco perché siamo qui. In ogni caso sono Alberto e sto andando via” disse l’uomo affannato mentre si guardava intorno.
“Suvvia, non sia così nervoso. Se siamo tutti qui ci sarà un motivo” disse Delia.
“E visto che siamo tutti vestiti con dei camicioni immagino che il motivo sia anche grave” disse Cesare mentre si guardava la camicia da notte.
“Non mi interessa ne chi siete ne perché siamo qui. Io me ne vado e basta” insistette Alberto mentre si avvicinava ad una ampia porta con vetri che dava su un corridoio.
Alberto arrivò alla porta in tre passi, quasi scagliando via una sedia del tavolo che ebbe la sfortuna di trovarsi sul suo percorso. Con gesto rabbioso afferrò la maniglia e fece per aprire… senza successo.
Un secondo tentativo, un terzo e gli altri lo raggiunsero a loro volta.
“Si calmi signor Alberto” disse Delia sorridendo “la porta è chiusa a chiave e non mi sembra il caso di sfondarla.”
“Forse invece è proprio il caso di farlo” disse Cesare mentre provava anche lui ad aprirla.
Alberto si mise a picchiare i pugni sul vetro mentre Cesare e Bruno cercavano di scorgere qualcuno lungo il corridoio.
Secondi che sembrarono eternità dove l’unico rumore era il respiro dei quattro compagni involontari poi una porta in fondo al corridoio si aprì e comparve una figura femminile in abiti da suora.
Arrivata alla porta Alberto era rosso dalla tensione, Bruno e Cesare osservavano la suora con malcelato astio, solo Delia era sorridente e disponibile al dialogo.
“Vi prego di non agitarvi così tanto che non vi fa bene. Cosa succede che vi ha messo tanta ansia?” chiese l’anziana suora.
“Come cosa?” “Ma si rende conto che siamo chiusi dentro” “La porta è chiusa”
“I nostri abiti” “Perché siamo rinchiusi” “Cosa ci facciamo qui dentro” “Dove siamo”
“Fermi! Calma” disse la suora senza scomporsi troppo di fronte alle domande concitate dei quattro “non posso rispondere a tutto ma a qualcosa sì. Siete in ospedale. Siete malati. Non possiamo farvi uscire perché non state bene e potreste farvi male. Dovete avere pazienza. Fra poco arriva il pranzo e poi arriva il dottore che vi spiegherà tutto dall’inizio alla fine” spiegò senza troppa empatia.
“Ma come malati? Malati di cosa?”
“Ma siamo infetti? Contagiosi?”
“Ma perché non mi ricordo niente. E non ricordo nemmeno di essere venuto qui. Chi è il dottore?”
“Voglio parlare immediatamente con il dottore e voglio uscire da questa stanza.”
“Non avete il diritto di tenerci chiusi a chiave qui dentro. Ci faccia uscire subito.”
“Calmi, restate calmi. Non posso farvi uscire perché il dottore lo ha vietato e perché non ho le chiavi. Dovete parlare con lui prima. Signorina Dalia, lei che è una persona più ragionevole, la prego di farli ragionare. Io ora devo assentarmi, ho molti altri pazienti da visitare” disse la suora sempre con tono secco.
“Ve bene sorella. Avete sentito? Siamo in quarantena. Non mi ricordo il perché o forse non ce lo hanno detto ma dobbiamo accettare che il dottore saprà darci tutte le risposte appena arriva. Ora calmiamoci e cerchiamo di comportarci come persone adulte” disse Delia accomodante mentre cercava di distrarre gli altri dal notare che la suora se ne era andata.
Con fatica riuscì a riportare la calma fra gli scalmanati compagni.
“È una vera vergogna. Chiuderci qui dentro e senza neppure dirci il perché e darci spiegazioni precise” disse Cesare mentre si sedeva al tavolo con gli altri.
Bruno prese alcune bottigliette d’acqua dal mobiletto vicino al tavolo e le distribuì ai compagni poi sedette a sua volta, sbuffando.
“Inaccettabile e scorretto. Sono assolutamente intenzionato ad andare fino in fondo a questa indecenza. Non siamo dei criminali ne pericolosi. Tenerci chiusi a chiave qui dentro è una violazione” disse Alberto ancora molto agitato.
“In fondo dobbiamo solo aspettare il dottore, sono più che certa che a tutto c’è una spiegazione e un rimedio. Intanto rilassiamoci. Qualcuno ricorda una storia o una barzelletta?” chiese Dalia sempre conciliante.
“Io non credo che sia il momento delle barzellette… Ommioddio, cos’è questo odore”
“Mamma mia che schifo. Sei marcio dentro.”
“È orribile, dovrebbe imparare a trattenersi”
“Ecchesarà mai. Ho solo fatto un peto non ho ucciso nessuno” disse Alberto allargando le braccia.
“Forse preferirei essere morto che sopportare questo”
“E in un luogo chiuso. Lei deve imparare e vivere in società”
“Non fatela tanto lunga. Siamo prigionieri in un ospedale e vi preoccupate di un po’ di cattivo odore? Se è vero, cosa che io non credo, che siamo malati c’è ben di peggio da pensare” disse Alberto mentre continuava a guardare la porta e il corridoio.
“Sì, è vero che siamo in una situazione difficile ma questo suo comportamento poco educato non aiuta a migliorare la situazione, ora ho la nausea” disse Delia lentamente.
“Anch’io ho una sensazione di pesantezza dello stomaco” disse bruno mentre si guardava intorno con sguardo confuso.
“Forse l’aria viziata della stanza non ci fa bene, dovremo dirlo al dottore” disse Cesare.
“Buongiorno. Io sono Delia, non credo che ci conosciamo. Con chi ho il piacere?” disse la signora rivolta al gruppo di uomini seduti al tavolo con lei.
“Io sono Cesare. Buongiorno. Anche a me sembra di non conoscervi” disse l’uomo più imponente dei tre.
“Sono certo di non avervi mai visti e non capisco perché siete qui. Mi chiamo Alberto. Perché siamo qui?” disse l’uomo mentre si guardava intorno.
“Io sono Bruno e sono certo che ci conosciamo già. I vostri volti mi sono famigliari. Lei vuole andare via” disse indicando Bruno “e lei pensa che è una vergogna essere chiusi dentro un ospedale” disse l’uomo con accento del nord.
***
“Vede Signora?” disse l’uomo in camice da dottore mentre mostrava lo schermo di un monitor alla signora in lacrime “come le avevo detto suo marito è l’unico che sta rispondendo sorprendentemente bene al trattamento. Di giorno in giorno la sua memoria si è stabilizzata e ora inizia a recuperare la capacità di trattenere la memoria a breve termine più degli altri. Non le nascondo che ci vorrà ancora parecchio tempo ma ho buone speranze che possa migliorare molto.”