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La stanza al primo piano - Francesco Cristaudo

Inviato: domenica 9 settembre 2018, 22:02
da Krum_Krum
La stanza al primo piano - Francesco Cristaudo

Lucia entrò in classe, posò il registro sulla cattedra, si sistemò gli occhiali e guardò gli alunni: ventitré bambini di dieci o undici anni la fissavano, rimasti in silenzio dopo il suo ingresso. Era l’ultima ora dell’ultimo giorno di scuola, presto le aule sarebbero rimaste vuote e i bambini avrebbero corso e giocato spensierati al mare.
“Di cosa avete paura?” disse Lucia.
I bambini rimasero in silenzio.
“Qual è la vostra paura più grande? Il buio? L’altezza? Filippo, la tua qual è?”
Filippo si girò la penna nelle mani, la portò al labbro inferiore, poi si grattò la tempia con la parte in plastica.
“Del buio non ho paura” disse.
“Ti ho chiesto di cosa hai paura. Cosa vi dico sempre? Rispondete alle domande che vi vengono fatte, anche se non sapete cosa dire”.
“Ho paura dei ladri”.
“Tu Maria? Di cosa hai paura?”
“Degli insetti. Sì, non li sopporto. Se ne vedo uno urlo. Che schifo”. La classe rise, Lucia sorrise.
“Giuseppe?”
“Io ho paura delle interrogazioni”. Un’altra risata.
“Questa non è un’interrogazione, non ci sono voti, né giudizi. Potete parlare liberamente”.
Una ragazzina in ultima fila alzò il braccio. Lucia la guardò e le fece segno di parlare.
“Io ho paura” si interruppe e arrossì. “Non mi prendete in giro” disse guardandosi le mani.
“Nessuna ti prenderà in giro” Lucia fece un segno di ammonimento a tutta la classe “Te lo assicuro”.
“Ho paura dei clown. Una volta siamo andati con papà al circo. Mi avevano detto che c’erano gli elefanti. A me piacciono gli animali. Ho detto che bello ci sono gli elefanti. C’era anche Luca, il mio fratellino piccolo. Quando sono entrati gli elefanti mi sono spaventata, erano enormi, ma è stato bello. Gli facevano fare cose incredibili”. La bambina guardava in alto come se vedesse la scena in quel momento. “Stavano in piedi. Non avevo mai visto un elefante in piedi. Poi se ne sono andati e sono entrate queste persone tutte truccate. E hanno cominciato a fare cose stupide. E andavano nel pubblico. E mi sono venuti vicini mentre ridevano. E quando sono tornata a casa non ho dormito perché ho sognato facce truccate tutta la notte. A volte le sogno ancora”.
Qualche bambino accennò una risata, ma Lucia li fulminò con lo sguardo. Invece sorrise alla bambina.
“Molte persone hanno paura dei clown. Non te ne devi affatto vergognare. Anzi, sei stata molto coraggiosa a parlarne davanti a tutti”. La bambina arrossì e distolse lo sguardo dalla maestra.
“Maestra, qual è la sua di paura?” disse la bambina. Lucia esitò.
“La paura di perdere qualcuno a cui voglio bene”.

La bambina con la paura dei clown aprì la porta di casa. Tornava sempre sola da quando aveva nove anni; la scuola era a poche centinaia di metri da casa. Varcata la soglia fischiò per annunciare al padre che era arrivata. Il padre le restituì il fischio.
“Com’è andata?” disse il padre.
“Bene” rispose la bambina mentre correva ad abbracciarlo. Il padre la sollevò e le diede un bacio sulla guancia.
“Ormai sei grande, fra poco non ti riesco più a tirare su. Hai fame? Ho preparato un po’ di cose per festeggiare”. La bambina corse in cucina senza nemmeno rispondere. Il padre la raggiunse e mangiarono insieme: spaghetti al pomodoro con le polpette, e patate al forno. Dopo aver spolverato i piatti restarono a parlare. Dei progetti per il futuro, delle vacanze, dei libri da leggere. Poi il padre si alzò e andò verso il frigorifero.
“Hai ancora spazio?” disse e tirò fuori una scatola di cartone bianca. La aprì a tavola e dentro c’era una torta rettangolare, una millefoglie al cioccolato con sopra la scritta “Auguri Elena”, e due candeline che formavano un undici. L’uomo tirò fuori un accendino dalla tasca, col quale accese le candeline.
“Tanti auguri tesoro” disse.
La bambina guardò la torta, estasiata, e sorrise al padre, che aveva preso il telefono per fare qualche foto.
“La mamma non scende?” disse la bambina. Il padre abbassò lo sguardo.
“Sta riposando, non la disturbiamo”. Il sorrise della bambina si spense, insieme alle candeline sulle quali soffiò mentre il padre la fotografava. Presero ognuno un grosso pezzo e continuarono a parlare del futuro.
“Ti voglio bene” disse il padre.
“Anche io” disse la figlia.
Quando la sera Elena salì al primo piano per andare a letto si fermò in corridoio per salutare la madre.
“Buonanotte mamma” disse avvicinandosi alla porta.
“Buonanotte scimmietta. Scusa se non sono scesa oggi. Ti voglio bene” disse la madre dalla sua stanza. La voce era sottile e incrinata.
Elena si mise nel letto, si coprì con un lenzuolo e fissò il soffitto per un’ora prima di riuscire ad addormentarsi.

Elena e Andrea erano seduti sulle spallette a guardare il fiume scorrere. Elena aveva le mani sudate per il caldo e l’emozione. Andrea aveva un anno più di lei e un sorriso che la lasciava senza forze.
“Tu ce l’hai una ragazza che ti piace?” disse Elena. Andrea non rispose, continuò a guardare il fiume. Un pesce saltò fuori dall’acqua e ricadde con un tonfo.
“Voglio dire” Elena esitò. “A me tu piaci e mi chiedevo se io a te piaccio”. Abbassò subito lo sguardo e si tormentò una pellicina dell’indice.
“Non è che non mi piaci” disse lui. “Ma c’è tua madre. Non posso uscire con una che ha la mamma pazza” disse Andrea. “Non ti offendere. Non sei tu il problema. Ma poi mi prenderebbero tutti per il culo”.
“Certo, hai ragione. Lo capisco”.
“Raggiungiamo gli altri?”
“Certo” disse Elena provando a sorridere.
Riuscì a non piangere per tutto il giorno, ma quando varco la soglia di casa le lacrime cominciarono a scendere senza ritegno. Suo padre non era in casa, quindi corse al primo piano e provò ad entrare in camera della madre. La maniglia si abbassò senza successo, allora bussò con forza tre volte. Dalla stanza arrivò un gridolino di terrore.
“Chi è?” disse la madre.
“Sono io mamma” disse Elena facendosi voce tra le lacrime.
“Che è successo scimmietta? Piangi?”
“Mi fai entrare?”
“Lo sai che non puoi scimmietta”. Elena si accasciò con le spalle alla porta e nascose la testa tra le ginocchia.
“Tra poco torna papà dal lavoro, non ti preoccupare” disse la madre. “Intanto vuoi raccontarmi che ti è successo?”
Così Elena raccontò alla madre della sua prima delusione d’amore.

La madre di Elena si suicidò quando la ragazza aveva ventidue anni e studiava filosofia in un’altra città. Non tornava a casa da più di sei mesi per via dello studio e degli esami in vista.
“Mi dispiace” le disse Giulio tenendola tra le braccia.
“Dovevo aspettarmelo” disse Elena. “Forse dovrei meravigliarmi che non sia successo prima”.
Tornare a casa le sembrò la cosa giusta da fare, ma quando varcò la soglia di casa sentì di non appartenere più a quel luogo. Il padre la abbracciò. Era invecchiato molto in quei sei mesi: erano scomparsi gli ultimi capelli neri, le occhiaie si erano fatte più profonde.
“Come stai tesoro?” disse il padre.
“Sto bene”.
Padre e figlia restarono a parlare per un po’ in salotto. Elena lo aggiornò sui suoi esami, gli disse di Giulio, che le piaceva tanto, e gli parlò di una possibile magistrale a Londra. Il padre le parlò della madre, di come aveva smesso di uscire dalla camera quasi del tutto; doveva persino lasciarle i pannolini fuori dalla porta perché ormai si rifiutava di andare in bagno.
“Questa casa è così grande per starci da solo. Quando lavoravo almeno potevo starci il meno possibile” disse il padre. “C’è chi pagherebbe per andare in pensione e io sto qui a lamentarmi.”
“Forse dovremmo vendere la casa. Potresti trovarti un posto più piccolo”.
“Già”.
“Papà. Posso entrare in camera di mamma? Almeno ora che lei non c’è più”.
Pausa.
“C’è una cosa che io e mamma non ti abbiamo mai detto”.
“Cosa?”
“Prima vai a vedere camera sua”.
Elena entrò nella stanza della madre, finalmente aperta e accessibile.
Si aspettava una camera da letto ampia, dove poter vivere in autonomia, invece si trovò davanti a un bugigattolo scuro, l’unica finestra aveva le tapparelle abbassate e l’odore di chiuso sembrava fosse parte integrante della stanza; era opprimente. C’era un letto singolo con le coperte in disordine. Ai piedi del letto c’era una pila di romanzi scadenti, tomi enormi che avevano dovuto occupare le giornate della madre. Il senso di soffocamento era amplificato dalle pareti dipinte di grigio e macchiate di muffa. Non era un posto adatto a essere vissuto. Eppure sua madre non ne usciva quasi mai. Dal soffitto pendeva un lampadario e addossata a una parete c’era una sedia in legno. Se fosse stata una partita di Cluedo avrebbe indovinato subito luogo e arma del delitto: nella camera della madre, con sedia e lampadario.
“Papà” la voce di Elena era poco più che un soffio. Il padre non la guardava negli occhi. Alle pareti, tra una macchia di muffa e l’altra, erano appese decine di foto di uno stesso soggetto, un bambino di circa tre anni, intento a giocare nel parco, fare un bagno in piscina, dormire. Le foto erano tante, alcune si ripetevano
“È successo molto prima che tu nascessi” disse il padre di Elena.
“Come si chiamava?”
“Riccardo”.
“E quanti anni aveva?”
“Quando è morto ne aveva quattro, compiuti da poco”.
“Com’è successo?”
“Leucemia. Dopo la mamma ha smesso di uscire per qualche tempo, ma poi si era ripresa. Sembrava le fosse passato. Sei arrivata tu. Un dono del cielo. Forse siamo stati sciocchi a pensare di poter andare avanti”.
Elena si avvicinò a una delle foto in cui Riccardo era preso in primissimo piano.
“Ha il tuo stesso naso”.
“E gli occhi della mamma”.

Al cimitero portarono un mazzo di fiori semplici, che scelse Elena.
“Non pensava ci fossero così tante persone” disse Elena guardando il viavai affaccendato dei visitatori e delle visitatrici.
“Tutti piangono i propri morti. Io ci vengo almeno una volta al mese. Ora che tua madre non c’è più dovrò fare il doppio turno”.
Elena si inginocchiò e depose con cura i fiori freschi ai piedi della lapide, prese i fiori secchi e si rialzò. Ognuno stava raccolto nel suo dolore senza comunicare con gli altri vivi, al massimo si scambiavano un cenno della testa per rispetto o per pietà. Elena osservò una donna che teneva per mano una bambina, che stava in piedi, senza fiatare, con gli occhi chiusi, mentre quella che doveva essere la madre versava qualche lacrime in silenzio. Elena guardò il padre, inginocchiato davanti ai fiori. Lo prese per mano e lo fece alzare. Tornarono a casa, in silenzio.

Re: La stanza al primo piano - Francesco Cristaudo

Inviato: domenica 9 settembre 2018, 22:03
da Krum_Krum
Ciao a tutti, questa è la prima volta che partecipo a "La sfida a..." e spero di aver fatto tutto correttamente.
Nel mio racconto ho provato a inserire il bonus numero 4 e il numero 5.

Re: La stanza al primo piano - Francesco Cristaudo

Inviato: domenica 9 settembre 2018, 23:44
da Spartaco
Benvenuto Francesco.
Se tu non l'avessi ancora fatto, ti invito a iscriverti al gruppo facebook del La Sfida a… per seguire in maniera più rapida i vari passaggi del contest.
https://www.facebook.com/groups/215238252346692/

Buona Sfida!

Re: La stanza al primo piano - Francesco Cristaudo

Inviato: domenica 7 ottobre 2018, 15:31
da Eugene Fitzherbert
Ciao, Francesco,
benvenuto in questa gabbia di matti!
Ho letto un paio di volte il tuo racconto: da una parte ho molto apprezzato il tuo stile sobrio, con dialoghi ben cadenzati e parti descrittive scorrevoli. La protagonista emerge pian piano dalle righe, mentre la co-protagonista (la madre, intendo) resta sempre nell'ombre, chiusa appunto nella sua stanza.
D'altro canto, il racconto non riesce a chiudere tutto quello che apre. Soprattutto, la cosa che più mi ha lasciato perplesso è l'accenno all'inizio ai CLOWN. Ora, onestamente, mi è sembrato che fosse un appunto cruciale, una metonimia narrativa che sarebbe riemersa successivamente, a far quadrare tutto, che si sarebbe spiegata 'meglio' e che avrebbe messo dentro anche la figura della madre.
Invece purtroppo, questo hint che hai lanciato a me, lettore, è rimasto sospeso. Peccato: dovresti ristudiare l'economia del racconto per dare anche più risalto alla psicologia di Elena e a quanto sia stata modificata/alterata/rovinata dalla presenza ingombrante di una madre psichiatrica.

Tecnicamente non rilevo refusi, né errori di consecutio.
Buona prova, decisamente, che ha bisogno di qualche limata! Continua così!

Re: La stanza al primo piano - Francesco Cristaudo

Inviato: domenica 7 ottobre 2018, 15:32
da Eugene Fitzherbert
Ah, dimenticavo: i bonus nominati ci sono tutti e due. Good!

Re: La stanza al primo piano - Francesco Cristaudo

Inviato: domenica 7 ottobre 2018, 18:35
da Krum_Krum
Ciao Eugene, grazie del commento e dello spunto. L'inserimento del clown serve semplicemente a introdurre il personaggio principale e far vedere come si pone col resto della classe e con la maestra. Il vero punto cardine e metonimia narrativa la si può ritrovare nell'affermazione della maestra. Volevo dare risalto all'ingresso nella mente di un bambino di una tale idea, che più avanti nel racconto si concretizzerà.

Re: La stanza al primo piano - Francesco Cristaudo

Inviato: lunedì 8 ottobre 2018, 15:29
da Wladimiro Borchi
Ciao e benvenuto all'inferno!
Buon racconto, scritto con sobrietà e con uno stile snello e lineare.
Nulla da eccepire sulla penna, che pare sicuramente buona e, a tratti, professionale.
Diversamente devo condividere con Eugene la nota critica circa la paura dei Clown, che resta un po' fine a sè stessa.
Potresti legarla alla trama in qualche modo, ove possibile.
A rileggerci presto.
Wladimiro

Re: La stanza al primo piano - Francesco Cristaudo

Inviato: lunedì 8 ottobre 2018, 15:30
da Wladimiro Borchi
I bonus! Mannaggia la miseria!
Ci sono entrambi...

Re: La stanza al primo piano - Francesco Cristaudo

Inviato: mercoledì 10 ottobre 2018, 0:33
da Krum_Krum
Farò un racconto sui clown la prossima volta :)