[T] Una sedia in mezzo ai fiori - Carolina Pelosi

Lunedì 15 giugno alle ore 21.00! E siamo alla terza tappa della Quarta Era... Guest star: BARBARA BARALDI! Avrete le solite quattro ore di tempo per scrivere un racconto che potrebbe essere scritto anche in un'ora soltanto, quindi no scuse: gente che ha tempo fino alle 23, gente che arriva alle 23, gente che può starci tutta la sera o gente che scrive dal cellulare facendosi ispirare dagli amici, MINUTI CONTATI VI ASPETTA! Guardate il trailer dell'edizione QUI
carolina.pelosi
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[T] Una sedia in mezzo ai fiori - Carolina Pelosi

Messaggio#1 » lunedì 15 giugno 2015, 22:04

Una sedia in mezzo ai fiori
di Carolina Pelosi
 
Quando sono tornata la prima cosa che mi è venuta in mente è stata casa tua.
Ci sono andata. Tutto è rimasto uguale. La porta in legno scorticata, le finestre bianche coi vetri macchiati di vernice, il pavimento chiaro. E i fiori, il campo di fiori gialli è come lo avevo lasciato cinque anni fa.
C’è un odore di primavera, da quelle parti. C’è sempre, che sia inverno o estate, c’è.
Mi hanno detto che tua madre è morta, non ho chiesto niente. Me lo hanno detto come si dice una cosa qualunque, come si dice che fuori piove o che stasera in tivù c’è quel famoso film che piace a tutti.
Mi ha fatto male.
Ti scriverei, ma mi serve il coraggio.
Incise sul legno della porta ci sono ancora le nostre iniziali. Te lo ricordi quel giorno? Era quasi primavera e c’era quel sole che ci piaceva tanto, passammo il pomeriggio stese tra i fiori e io avevo una paura matta degli insetti e tu ridevi tenendo le mani sulla pancia. Poi con una chiave avevi scritto sulla porta che saremmo state amiche per sempre. Le iniziali dei nostri nomi erano un sigillo, dicesti.
Nel campo adesso non ci sono due ragazzine che ridono, però c’è una sedia.
Una sedia.
L’ho vista e mi sono chiesta chi ce l’abbia messa lì. Sembra stia aspettando. Aspetta, in mezzo ai fiori, e guarda la finestra di casa tua.
Mi hanno detto pure che la vedi ancora tua madre, che ci parli e ci fai colazione insieme. In paese dicono che hai perso la testa, loro non sanno quanto bene le volevi.
Certe volte anche io ti parlo ancora e corro tra i campi con te.
L’altalena che avevamo montato vicino all’albero non c’è più. Ci avevamo messo così tanto per trovare un massiccio pezzo di legno e due corde che resistessero a tutto. Mi ricordo i nostri occhi pieni di soddisfazione quando la vedemmo finita.
Forse le cose non sono fatte per resistere in eterno.
Chi ti è rimasto vicino quando hai dovuto seppellirla?
Mi sono seduta sulla staccionata, col vento in faccia, ho guardato lontano. Lontano più dei fiori e più del sentiero che ho fatto infinite volte, per arrivare da te.
Ricordo quando mi aspettavi a metà strada perché cominciava a fare buio e sapevi che il buio mi faceva paura. Mi fa paura anche adesso.
Lontano più della cuccia dove tenevi Nuvola quando in casa non ci poteva entrare.
L’anno scorso, dentro una borsa che avevo dimenticato di avere, ho trovato il suo collare, quello nero coi disegnini colorati.
Lontano più della cassetta postale verde, che tuo padre aveva montato dopo che tua madre gli aveva urlato nelle orecchie per giorni.
Non c’è stata più nessuna lettera mia lì dentro, ti ho scritto righe che non ti ho mai fatto leggere. Nelle notti in cui non riuscivo a dormire e nei giorni in cui la tua assenza era troppo forte, io ti scrivevo. Adesso non so più neanche dov’è che potrei spedirtele tutte quelle lettere.
Ho guardato lontano, ma non ho visto niente. Non c’è niente davanti ai miei occhi.
Solo una sedia in mezzo al campo.
Una sedia in legno.
Una sedia vuota.



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Flavia Imperi
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Messaggio#2 » martedì 16 giugno 2015, 10:17

Ciao Carolina, ti dirò quello che direi a me stessa se il racconto fosse mio (spero che ricambierai!).

Lo stato d'animo trapela da tutte le descrizioni, in certi momenti sembra di essere lì, fra i ricordi e i resti dell'infanzia. Mi è piaciuto anche come hai narrato l'indifferenza della gente, lo stato quasi di catalessi di fronte alla morte.

Le descrizioni iniziali esprimono la solitudine e l'abbandono, però alla lunga, secondo me, calca un po' troppo sulla nostalgia, risultando pesante. La luce dov'è? E' l'amore per la sua amica d'infanzia?

Da lettrice, mi aspettavo che succedesse qualcosa. Non si capisce bene se l'amica è lì, dentro la casa, o chissà dove e mi sarei aspettata di vederla in azione in qualche modo.

Piccoli accorgimento tecnici: se lei è lì, che descrive in diretta, è un po' strana. A livello stilistico, invece, ho trovato le ripetizioni a effetto un po' abusate.

Si capisce che i personaggi hanno in qualche modo litigato o si sono persi di vista, un elemento centrale della storia, ma sarebbe stato interessante capire di più degli accadimenti. Chi legge viene lasciato un po' appeso, fuori dalla porta della trama e della casa, insieme con la protagonista.

Mi sarebbe piaciuto sapere di più, perché l'ambientazione è bella e suggestiva e il contrasto fra infanzia e vita adulta piacevole, sembra un quadro!

 

 
Siamo storie di storie

Simone Cassia
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Messaggio#3 » martedì 16 giugno 2015, 10:54

… e poi? Te lo giuro, ho avuto i brividi mentre leggevo ma all’atto di concretizzare la narrazione che ti è successo? Onestamente non capisco il nodo centrale della storia. Ok, la protagonista è arrivata nella casa dell’amica di infanzia con cui si sono perse di vista e a cui è venuta a mancare la madre (è questo il motivo scatenante della visita? Perché sembra piuttosto accidentale come notizia nella narrazione) e poi? Ricordi, tantissimi ricordi, ma l’amica è a casa? Sembra così all’inizio, poi invece si scopre che le lettere non si sa più dove spedirle. Non so, tanto fumo e niente arrosto purtroppo. Un vero peccato perché mi ha fatto venire l’acquolina in bocca.

carolina.pelosi
Messaggi: 72

Messaggio#4 » martedì 16 giugno 2015, 13:21

Ciao!

Rispondo a entrambi perché entrambi mi avete fatto le stesse critiche. Ho descritto una scena "immobile", che si sviluppa soltanto nella testa del personaggio, perché lei arriva lì (la casa è vuota, dentro non c'è nessuno, lei è legata alla casa perché è il posto in cui è cresciuto il loro legame) e viene sommersa dai ricordi e dalla disperazione. La luce che resta, invece, per me è proprio questo ricordo fortissimo e nitido che lei ha di tutte le cose passate, di una persona che ha   perduto e di cui sente la mancanza.  È la luce della nostalgia, che non si spegne mai. E avevo pensato di renderla proprio così, tramite raffiche di ricordi e nient'altro, perché è l'unica cosa che le è rimasta da fare. Vi ringrazio tanto per le critiche buone che avete fatto al mio racconto, per il quadro e per i brividi, sono lusingata.

Grazie per i commenti, ne terrò conto per le prossime storie!

 

Alice Gibellini
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Messaggio#5 » martedì 16 giugno 2015, 15:32

L'aderenza al tema della luce non è immediata, anche se si può dedurre dal contesto. Ho apprezzato la scelta di raccontare un'amicizia. La costruzione dei personaggi principali l'ho trovata buona, soprattutto per l'inserimento di alcuni dettagli che ci fanno apparire le due amiche più reali (la paura degli insetti, del buio, il cane Nuvola etc.). Tuttavia, ci sono dei buchi narrativi che non consentono di comprendere totalmente la storia e lasciano questioni in sospeso (ad esempio, perché la protagonista se ne era andata? Perché non ha più avuto il coraggio di scrivere all'amica?). Anche se capisco che in tremila battute tanto venga inevitabilmente lasciato tra le righe, quindi mi è piaciuto.

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eleonora.rossetti
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Messaggio#6 » mercoledì 17 giugno 2015, 8:44

Ciao Carolina!

Come sempre è un piacere leggerti, hai un potere evocativo nelle scene che descrivi che me le fanno vivere sulla pelle. Per quanto riguarda l'attinenza al tema, in effetti non risalta subito, ma forse per il preconcetto che la "luce che non si spegne mai" sia sempre associato a qualcosa di positivo e non a ricordi nostalgici.

Come nota dolente, in questa passeggiata tra i ricordi, avrei voluto che mi fosse detto qualcosa di più sul legame tra le due amiche, credo che avrebbe aumentato la nostalgia e soprattutto il rammarico di quanto si siano perse di vista. C'è una cosa, inoltre, che non ho capito/mi stona: alla fine persino lei si è allontanata, nemmeno lei sapeva della morte della madre dell'amica, eppure parla degli altri come se fossero persone indifferenti e insensibili che non le sono state accanto, quando anche lei fa parte di quel gruppo che "non si è più fatto sentire". Quindi, appunto, una spiegazione sul fatto del perché le due ragazze si siano separate forse avrebbe fugato questa sospetta "incoerenza di pensiero", almeno per come l'ho interpretata io...

In sostanza, con qualcosa di più sarebbe stato davvero perfetto! Ciò non toglie che mi sia piaciuto, quindi brava ;)
Uccidi scrivendo.

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marco.roncaccia
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Messaggio#7 » mercoledì 17 giugno 2015, 9:32

Ciao Carolina,
rispetto al tema, per come ho letto il tuo racconto, direi che ci siamo. La luce che non si spegne è il legame tra la protagonista e la sua amica. La distanza (la protagonista è appena tornata) e l’assenza di comunicazione (la protagonista non invia più lettere forse per la paura che ingenera in lei la pazzia) non riescono a spegnere l’affetto, alimentato dai ricordi che ci fai visualizzare come frammenti. Il testo è ben scritto (ma questa, visto che ti leggo da un po’ non è una novità) e, in tremila caratteri riesci attraverso dei frammenti a calare il lettore perfettamente lo stato d’animo della protagonista. Però manca qualcosa. L’errore che fai, a mio avviso è di omissione. Di una scena in cui succeda qualcosa di fortemente coinvolgente. La pazzia dell’amica ad esempio è un elemento forte che avresti potuto sfruttare meglio, o anche la morte della madre che invece liquidi abbastanza velocemente.

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Daniele_picciuti
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Messaggio#8 » mercoledì 17 giugno 2015, 9:48

Dunque, partiamo da un punto importante: ci sai fare con le emozioni, la scia malinconica che si accompagna a ogni riga è presente ed è di una piacevole tristezza. Mentre leggevo - colpa anche del mio lato "macabro" - pensavo: chi sarà morto a parte la madre? Lei che narra o l'amica? Invece no, non è morta nessuna delle due - bene - ma, ho dedotto rileggendo una seconda volta, l'unica spiegazione al fatto che: a) lei non sa dove spedire le lettere; b) in paese dicono che parla con la madre morta, può significare solo che sia rinchiusa in qualche ospedale psichiatrico. Il che colma la sensazione avuta alla prima lettura, ovvero che ci fosse qualcosa di non detto.

Nel complesso mi è piaciuto.
Il mondo che ho creato non è solo parte di me, ma esiste, come esiste la fede.

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angelo.frascella
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Messaggio#9 » mercoledì 17 giugno 2015, 22:39

Ciao Carolina,

racconto di atmosfera malinconica il tuo, molto giocato sull'assenza della co-protagonista e sui sentimenti. Il racconto è scritto molto bene e riesce a pizzicare le corde emotive giuste. Manca, dal mio punto di vista, una svolta, una rivelazione, un avvenimento che movimenti il quadro e che conquisti il lettore. Così com’è invece mi sembra un po' monco e incompleto.

A rileggerci

Omaima Arwen
Messaggi: 45

Messaggio#10 » venerdì 19 giugno 2015, 15:07

Ciao Carolina,
Hai creato un racconto davvero emozionante! Bella l'idea della luce, sotto forma di ricordo della persona che la protagonista ha perduto.
Sei riuscita a scrivere usando descrizioni complete. Inoltre possiedi uno stile di scrittura molto bello e toccante.
Mi è piaciuta soprattutto la parte iniziale, molto bella =)

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Linda De Santi
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Messaggio#11 » lunedì 22 giugno 2015, 10:53

Ciao Carolina! :) Bel racconto,  emozionante e coinvolgente. Mi piace molto il tuo stile scorrevole e evocativo. Quando citi la pazzia dell'amica credevo che la storia avrebbe preso una piega diversa e si sarebbe concentrata su questo elemento narrativo, invece la protagonista continua il suo flusso di coscienza improntato sulla nostalgia: peccato, come elemento poteva essere sfruttato meglio, ma anche così va bene.

Il tema forse non è centrato in pieno ma c'è, la luce che non si spegna è il legame che ancora unisce la protagonista alla sua amica.

Per me un ottimo racconto, brava :)

Fernando Nappo
Messaggi: 584

Messaggio#12 » lunedì 22 giugno 2015, 11:17

Ciao Carolina,
un racconto malinconico, il tuo, intriso di ricordi ed emozioni ad essi legate. Ben scritto, belle descrizioni. Non spieghi perhé le due amiche si sono separate, ma in fondo questo non è così importante: può capitare a chiunque di perdere di vista qualcuno a cui ci si sente legati semplicemente perché capita, le strade si dividono, nuovi interessi o nuove conoscenze portano in direzioni diverse.
L'io narrante, tra l'altro, mi pare un poco in contraddizione quando afferma che gli altri hanno abbandonato la sua amica, quando pare che lei ha fatto altrettanto.
Non mi è chiara l'immagine della sedia: è forse un simbolo, ha un qualche significato che mi è sfuggito?
Comunque, un racconto coinvolgente e piacevole.

carolina.pelosi
Messaggi: 72

Messaggio#13 » martedì 23 giugno 2015, 14:42

Grazie a tutti per i commenti. li ho apprezzati davvero tantissimo! Ho notato che tutti mi avete fatto le stesse critiche, quindi la risposta precedente e questa valgono per ognuno :)
La pazzia accennata non è la pazzia nel senso vero del termine, ma ha il senso che la gente di paese dà spesso a questo termine. Non so quanti di voi vengano da un paese non troppo grande, ma è facile che quando qualcuno fa qualcosa che alla gente sembra strano, diverso, subito venga giudicato esageratamente. La pazzia di cui parlo nel racconto è proprio questo. Inoltre, la protagonista non ha abbandonato la sua amica nel momento del bisogno, è un litigio che risale a molto tempo prima, nel frattempo sono andate avanti, le vite si sono sviluppate e sono successe cose, che purtroppo però non possono riportare indietro nessuna delle due.

@Fernando, per rispondere alla tua domanda: la sedia di per sé ha a che vedere con lo stare fermi, stare seduti, aspettare. Questo è il valore simbolico che ho voluto darle, l'attesa. Qualcosa che sta lì e guarda e vede il tempo passare, immobile, aspettando. Una metafora con la protagonista stessa in questa scena che ho descritto nel racconto.

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antico
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Messaggio#14 » sabato 27 giugno 2015, 18:13

Un racconto di sensazioni, la perdita del passato nonostante la vicinanza con gli spazi e le cose che ne facevano parte e che avevano contribuito a caratterizzarlo. La prima parte è perfetta e riesce a coinvolgere. Vai un poco in loop nella seconda, soprattutto quando ti ostini per tre volte sul "lontano più". In quel punto rallenti terribilmente e allontani il lettore, cosa da non fare in un testo tutto giocato sulla non azione, ma sul pensiero. La mia idea è dunque che non serva aggiungere elementi, ma semmai asciugare e rendere più incisivo. Pollice NI tendente verso l'alto e, nel caso tu non riesca a qualificarti per la finale, ti attendo nel laboratorio (guarda che ci tengo).

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