[M] La Porta
Inviato: martedì 16 giugno 2015, 0:12
C’è una luce che non si spegne mai. Una stanza chiusa a chiave da sempre, o almeno da quando ne ho memoria.
C’è una luce che non si spegne mai. La vedo da sotto la porta. Di notte la scorgo, di giorno la immagino.
C’è una luce che non si spegne mai. Mi incuriosisce, mi ossessiona e mi inquieta al tempo stesso...fin da quand’ero bambino, ora che sono uomo continua imperterrita.
Ho provato ad aprire quella maledetta porta in tutti i modi ma non c’è mai stato verso.
Mio nonno non ha mai risposto alle mie insistenti domande riguardo a cosa ci fosse in quella stanza...così come mio padre.
Abito nel palazzo di famiglia in stile neoclassico. Conosco ogni singolo cantuccio come le mie tasche...tranne quella oscura stanza.
Non ha finestre...unica mia certezza. A suo tempo le contai e le assegnai tutte alle relative stanze. Non ne è mai avanzata una.
E’ il mistero stesso a rendere questa storia intrigante. Sono sicuro che una volta scoperto, qualsiasi esso sia, ne rimarrò deluso.
Seduto al bar di un piccolo Hotel romagnolo, sento solo la voce di clienti che parlano in lingua tedesca. Non comprendo nulla di ciò che dicono fra loro, potrebbero anche parlare di me senza che io me ne accorga. Ordino una grappa, l’unico “amico” rimane sempre il barista. Estrae una stretta bottiglia scura dal frigo, penso che sia piuttosto insolito tenere al fresco questo tipo di liquore ma poco male vista la stagione. E’ giugno e qualcosa di (finto)fresco non può che essere di mio gradimento.
“E’ barricata?”
Fa un cenno affermativo col capo. Mentre la versa capisco che nonostante la professione, di grappe non ne sa proprio nulla. Il liquido che ne esce è trasparente quando anche il più cialtrone dei bevitori sa che i drink barricati sono tutti di un classico colore marroncino.
Poco male, me la faccio comunque andar bene. Ho un leggero mal di denti da diversi giorni, in attesa dell’appuntamento dal dentista mi pettino lo stomaco con ogni tipo di bevanda alcolica pur di alleviare il dolore, ma forse è solo una scusa per continuare a bere.
Faccio degli sciacqui alcolici come se stessi usando del colluttorio. Questa grappa è così forte da farmi anestetizzare completamente la bocca.
Bevo, osservo ed ascolto.
Mi sento straniero a casa mia...lo sono sempre stato, non è una novità.
Fra quel vociare a me incomprensibile, arriva quella che i buddisti chiamano “satori”, l’illuminazione di tutta una vita.
Pago lasciando il resto, sempre ammesso che ce ne sia...non ne sono poi così sicuro.
E’ mezzanotte, prendo la mia auto, direzione Milano, si torna a casa.
Ho sonno, tanto sonno, la strada dritta non mi aiuta certo a rimanere sveglio. Tiro giù il finestrino e tengo lo stereo ad alto volume. All’uscita di Linate la mia vista s’è completamente liquefatta dalla stanchezza.
Sono a casa.
Salgo di corsa le scale fino ad arrivare al primo piano (come sempre), davanti a me c’è lei (come sempre), la porta di tutti quei sogni che gli altri chiamano incubi.
Non capisco, per la prima volta in vita mia non filtra nessun tipo di luce da sotto la porta, afferro la maniglia, sento scattare la serratura.
La porta si apre, buio...di quel buio assoluto che solo i ciechi possono provare.
Sento dei passi correr lungo le scale, la voce di mio padre mi intima di fermarmi all’istante.
I mie piedi sembrano aver fatto le radici nel pavimento, tento d’alzare a fatica la gamba destra per compiere il primo passo per riuscire finalmente a varcare quella dannata porta.
Ora è alle mie spalle, non dice nulla, sento solo il suo respiro.
“Perché?” Gli domando.
Non risponde.
“Cosa significa?”
“La luce è spenta perché solo ora tu sei pronto ad accenderla...la luce della verità intendo, ma prima di varcare la soglia c’è un rito da compiere.”
Sono disorientato, la mia “illuminazione da bar” prevedeva tutt’altro.
“Quindi anche il nonno...”
“...e suo padre prima di lui...ma non siamo certo gli unici, ci sono altri confratelli membri dell’Ordine”
Accetto tutto questo senza minimamente capire. Come ho sempre fatto...
C’è una luce che non si spegne mai. La vedo da sotto la porta. Di notte la scorgo, di giorno la immagino.
C’è una luce che non si spegne mai. Mi incuriosisce, mi ossessiona e mi inquieta al tempo stesso...fin da quand’ero bambino, ora che sono uomo continua imperterrita.
Ho provato ad aprire quella maledetta porta in tutti i modi ma non c’è mai stato verso.
Mio nonno non ha mai risposto alle mie insistenti domande riguardo a cosa ci fosse in quella stanza...così come mio padre.
Abito nel palazzo di famiglia in stile neoclassico. Conosco ogni singolo cantuccio come le mie tasche...tranne quella oscura stanza.
Non ha finestre...unica mia certezza. A suo tempo le contai e le assegnai tutte alle relative stanze. Non ne è mai avanzata una.
E’ il mistero stesso a rendere questa storia intrigante. Sono sicuro che una volta scoperto, qualsiasi esso sia, ne rimarrò deluso.
Seduto al bar di un piccolo Hotel romagnolo, sento solo la voce di clienti che parlano in lingua tedesca. Non comprendo nulla di ciò che dicono fra loro, potrebbero anche parlare di me senza che io me ne accorga. Ordino una grappa, l’unico “amico” rimane sempre il barista. Estrae una stretta bottiglia scura dal frigo, penso che sia piuttosto insolito tenere al fresco questo tipo di liquore ma poco male vista la stagione. E’ giugno e qualcosa di (finto)fresco non può che essere di mio gradimento.
“E’ barricata?”
Fa un cenno affermativo col capo. Mentre la versa capisco che nonostante la professione, di grappe non ne sa proprio nulla. Il liquido che ne esce è trasparente quando anche il più cialtrone dei bevitori sa che i drink barricati sono tutti di un classico colore marroncino.
Poco male, me la faccio comunque andar bene. Ho un leggero mal di denti da diversi giorni, in attesa dell’appuntamento dal dentista mi pettino lo stomaco con ogni tipo di bevanda alcolica pur di alleviare il dolore, ma forse è solo una scusa per continuare a bere.
Faccio degli sciacqui alcolici come se stessi usando del colluttorio. Questa grappa è così forte da farmi anestetizzare completamente la bocca.
Bevo, osservo ed ascolto.
Mi sento straniero a casa mia...lo sono sempre stato, non è una novità.
Fra quel vociare a me incomprensibile, arriva quella che i buddisti chiamano “satori”, l’illuminazione di tutta una vita.
Pago lasciando il resto, sempre ammesso che ce ne sia...non ne sono poi così sicuro.
E’ mezzanotte, prendo la mia auto, direzione Milano, si torna a casa.
Ho sonno, tanto sonno, la strada dritta non mi aiuta certo a rimanere sveglio. Tiro giù il finestrino e tengo lo stereo ad alto volume. All’uscita di Linate la mia vista s’è completamente liquefatta dalla stanchezza.
Sono a casa.
Salgo di corsa le scale fino ad arrivare al primo piano (come sempre), davanti a me c’è lei (come sempre), la porta di tutti quei sogni che gli altri chiamano incubi.
Non capisco, per la prima volta in vita mia non filtra nessun tipo di luce da sotto la porta, afferro la maniglia, sento scattare la serratura.
La porta si apre, buio...di quel buio assoluto che solo i ciechi possono provare.
Sento dei passi correr lungo le scale, la voce di mio padre mi intima di fermarmi all’istante.
I mie piedi sembrano aver fatto le radici nel pavimento, tento d’alzare a fatica la gamba destra per compiere il primo passo per riuscire finalmente a varcare quella dannata porta.
Ora è alle mie spalle, non dice nulla, sento solo il suo respiro.
“Perché?” Gli domando.
Non risponde.
“Cosa significa?”
“La luce è spenta perché solo ora tu sei pronto ad accenderla...la luce della verità intendo, ma prima di varcare la soglia c’è un rito da compiere.”
Sono disorientato, la mia “illuminazione da bar” prevedeva tutt’altro.
“Quindi anche il nonno...”
“...e suo padre prima di lui...ma non siamo certo gli unici, ci sono altri confratelli membri dell’Ordine”
Accetto tutto questo senza minimamente capire. Come ho sempre fatto...