[T] RISVEGLIO - Eleonora Rossetti
Inviato: martedì 16 giugno 2015, 0:56
Fa freddo, cazzo. Ed è buio pesto.
Dove sono?
Non lo so, e nessun ricordo mi viene in aiuto. C’è solo il silenzio.
Salvo una luce, solitaria e tremolante, laggiù in fondo.
In fondo... dove?
Il bagliore ondeggia e si fa più vivido, come a invitarmi a sé.
E’ una trappola, sussurrano le tenebre. Come per le falene. Non ci andare.
Non do retta a quel monito. Purtroppo.
Faccio un passo e una fitta lancinante alla gamba mi fa cadere carponi. La sfioro e avverto una sporgenza nelle carni, come se vi fosse impiantato un pezzo di ferro.
Non oso toglierlo, ma indietreggio.
Il dolore cessa. La tenebra parla ancora.
La luce è sofferenza.
Assimilo l’informazione, con un brivido che non è dipeso dal buio. Mi raggomitolo come un cucciolo sperduto, in cerca di calore.
Dormi, dice la tenebra. Lasciati andare.
Chiudo gli occhi, o almeno credo di farlo.
Quello scricciolo luminoso, tuttavia, è ancora lì. Non si spegne. E mi parla.
Svegliati.
La luce.
La luce...
...è lontana.
Mi desto di soprassalto. Soffoco. Affondo.
La tenebra mi sta stritolando dentro di sé.
Dormi.
Sempre più distante, la luce lancia il suo disperato richiamo.
Si sta perdendo...
No.
Io mi sto perdendo.
Lo so, d’improvviso.
Dormi.
No, non voglio!
Il terrore mi dà lo slancio. Per poco. Fitte scudiscianti in tutto il corpo mi fanno crollare supino. Mascelle di metallo mi masticano le gambe, mille fratture mi dilaniano le braccia, facendomi urlare senza voce.
Ma avanzo.
La luce piange. Riesco a sentire la
(frenata)
sua voce riempirmi le orecchie.
Svegliati!
E la riconosco.
Un altro metro, con un corpo che ulula di dolore. Qualcosa mi ostruisce la gola. Tossisco vetri sanguinolenti, assieme ai miei denti. Residui
(dell’incidente)
di ricordi che afferro pian piano. Li supero, strisciando.
Non lasciarti andare! mi supplica la luce.
Avanzo. Ogni metro conquistato è un
(frammento di lamiera)
nuovo tormento lancinante. La testa mi scoppia, come se l’avessi usata per sfondare un
(parabrezza)
muro. Ma continuo.
Sono qui...
La luce palpita, vivida come non mai. E’ davanti a me.
Svegliati...
Posso raggiungerla. Devo.
Il mio corpo si ribella. Anche la tenebra: dormi!
“No”, dico, finalmente.
Allungo il braccio verso il bagliore. Lo sfioro.
La luce.
La luce...
“VENITE QUI, PRESTO!”
Neon bianchi sopra la mia testa, che feriscono lo sguardo.
C’è trambusto, attorno a me. Qualcuno che corre, un bip-bip regolare che scandisce il mio battito. Odore di medicinale. Arti rigidi, tubicini ovunque.
Mille parole, da voci sconosciute, mi turbinano attorno: sveglio, coma, miracolo.
La luce è sofferenza, bisbigliano le tenebre, un’ultima volta.
Lo so. L’ho visto. So com’è ridotto il mio corpo. Ogni ricordo è ormai vivido. L’incidente d’auto. Il tremendo impatto. Nulla che potesse supporre un “dopo”.
“Sono qui...”
Ma non per lei.
Sara. Mia moglie. E’ al mio capezzale, che piange di sollievo.
E’ lei che mi ha destato. Che mi ha chiamato.
La luce.
La mia luce...
“Sono sveglio” sussurro.
Dove sono?
Non lo so, e nessun ricordo mi viene in aiuto. C’è solo il silenzio.
Salvo una luce, solitaria e tremolante, laggiù in fondo.
In fondo... dove?
Il bagliore ondeggia e si fa più vivido, come a invitarmi a sé.
E’ una trappola, sussurrano le tenebre. Come per le falene. Non ci andare.
Non do retta a quel monito. Purtroppo.
Faccio un passo e una fitta lancinante alla gamba mi fa cadere carponi. La sfioro e avverto una sporgenza nelle carni, come se vi fosse impiantato un pezzo di ferro.
Non oso toglierlo, ma indietreggio.
Il dolore cessa. La tenebra parla ancora.
La luce è sofferenza.
Assimilo l’informazione, con un brivido che non è dipeso dal buio. Mi raggomitolo come un cucciolo sperduto, in cerca di calore.
Dormi, dice la tenebra. Lasciati andare.
Chiudo gli occhi, o almeno credo di farlo.
Quello scricciolo luminoso, tuttavia, è ancora lì. Non si spegne. E mi parla.
Svegliati.
La luce.
La luce...
...è lontana.
Mi desto di soprassalto. Soffoco. Affondo.
La tenebra mi sta stritolando dentro di sé.
Dormi.
Sempre più distante, la luce lancia il suo disperato richiamo.
Si sta perdendo...
No.
Io mi sto perdendo.
Lo so, d’improvviso.
Dormi.
No, non voglio!
Il terrore mi dà lo slancio. Per poco. Fitte scudiscianti in tutto il corpo mi fanno crollare supino. Mascelle di metallo mi masticano le gambe, mille fratture mi dilaniano le braccia, facendomi urlare senza voce.
Ma avanzo.
La luce piange. Riesco a sentire la
(frenata)
sua voce riempirmi le orecchie.
Svegliati!
E la riconosco.
Un altro metro, con un corpo che ulula di dolore. Qualcosa mi ostruisce la gola. Tossisco vetri sanguinolenti, assieme ai miei denti. Residui
(dell’incidente)
di ricordi che afferro pian piano. Li supero, strisciando.
Non lasciarti andare! mi supplica la luce.
Avanzo. Ogni metro conquistato è un
(frammento di lamiera)
nuovo tormento lancinante. La testa mi scoppia, come se l’avessi usata per sfondare un
(parabrezza)
muro. Ma continuo.
Sono qui...
La luce palpita, vivida come non mai. E’ davanti a me.
Svegliati...
Posso raggiungerla. Devo.
Il mio corpo si ribella. Anche la tenebra: dormi!
“No”, dico, finalmente.
Allungo il braccio verso il bagliore. Lo sfioro.
La luce.
La luce...
“VENITE QUI, PRESTO!”
Neon bianchi sopra la mia testa, che feriscono lo sguardo.
C’è trambusto, attorno a me. Qualcuno che corre, un bip-bip regolare che scandisce il mio battito. Odore di medicinale. Arti rigidi, tubicini ovunque.
Mille parole, da voci sconosciute, mi turbinano attorno: sveglio, coma, miracolo.
La luce è sofferenza, bisbigliano le tenebre, un’ultima volta.
Lo so. L’ho visto. So com’è ridotto il mio corpo. Ogni ricordo è ormai vivido. L’incidente d’auto. Il tremendo impatto. Nulla che potesse supporre un “dopo”.
“Sono qui...”
Ma non per lei.
Sara. Mia moglie. E’ al mio capezzale, che piange di sollievo.
E’ lei che mi ha destato. Che mi ha chiamato.
La luce.
La mia luce...
“Sono sveglio” sussurro.