Semifinale Scilla Bonfiglioli

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo novembre sveleremo il tema deciso da Angelo Frascella e Massimo Lunati. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Angelo Frascella e Massimo Lunati assegneranno la vittoria.
Avatar utente
Spartaco
Messaggi: 997

Semifinale Scilla Bonfiglioli

Messaggio#1 » lunedì 3 dicembre 2018, 23:41

Immagine

Eccoci alla seconda parte de La Sfida a Cleopatra la divina.
In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti del girone Scilla Bonfiglioli hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR del loro girone un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi Wladimiro Borchi e Paola B. possono sfruttare i tre giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: giovedì 6 dicembre alle 23:59
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 06 aprile. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



Avatar utente
Paola B.
Messaggi: 70

Giselle e la maledizione del serpente

Messaggio#2 » giovedì 6 dicembre 2018, 12:33

GISELLE e la Maledizione del Serpente

La musica inondava il salone e invitava alla danza sia dame che cavalieri. Giselle, nella stanza attigua, firmò un nuovo scambio di mercanzie col signore della contea accanto.
«Avete buon occhio madonna, la nostra lana ha una consistenza e un’eleganza che non troverete altrove». Il conte arrotolò la pergamena e la consegnò al suo vassallo.
«Il mastro tessitore ne è molto soddisfatto. Mi aspetto la stessa qualità dello scorso anno» Giselle si fece portare due calici di idromele. «A noi!».
Soddisfatta tornò nel salone, adesso poteva lasciarsi andare all’allegria della festa.
Una figura alta e imponente le si pose davanti.
«Madonna, permettete questo ballo?» lo sconosciuto si inchinò in un elegante baciamano.
«Con chi ho il piacere?» chiese Giselle abbassandosi in una riverenza.
«Sono Ferruccio Malasorte duca di Malvasia».
La musica riprese forte e i due iniziarono la danza. La mano salda incontrò quella delicata di Giselle. Si avvicinarono e poi si allontanarono.
«Madonna ho urgente bisogno di parlarvi. In privato».
«Duca non posso lasciare la sala, non è corretto nei confronti dei miei ospiti». Giselle proseguì prendendo il posto della vicina.
Anche i cavalieri si scambiarono e se lo ritrovò davanti. Sorrise perché obbligata.
«Mettiamola così: vostro fratello è in grave pericolo. Adesso verrete con me?» gli occhi neri del duca ebbero un lampo giallo. Le prese la mano e, come se continuassero la danza, la condusse fuori.
«Non è vero! Martino è ospite del Conte Rivera per qualche mese» obiettò smarrita.
La notte stellata e fresca di fine primavera misero i brividi sul petto scollato di Giselle. Il duca lo vide ma fece finta di niente.
«Non più. È prigioniero nella torre nord del mio castello. Vi manda questo» dalla camicia nera estrasse una pergamena arrotolata e gliela consegnò.

Carissima sorella,
mi duole darti questa triste notizia. Sono tenuto prigioniero da questo disgustoso individuo, vuole qualcosa da te. Ti prego, esaudisci i suoi voleri altrimenti per me sarà la fine.
Il tuo infelice, prossimo alla morte
Martino


Giselle sbiancò, lesse più volte incredula. Il duca le lasciò tutto il tempo per farle assimilare la notizia.
«Che vuol dire? Neanche vi conosciamo, cosa volete da noi?».
Le parole prossimo alla morte le risuonavano in testa. Ebbe un capogiro, le gambe le cedettero.
Un profumo di gelsomino la ridestò.
«Madonna state meglio?».
La stava adagiando a terra tenendola ancora ben salda. Giselle si staccò da lui barcollando.
«Cosa volete da noi? Perché uccidere mio fratello?»
«Devo raccontarvi una storia. Accomodiamoci» le indicò una panca di marmo sotto il pergolato di glicine. «Dovete ancora riprendervi, prego».
Giselle si sedette frastornata, non tollerava la vicinanza di quell’uomo.
«Vedete madonna, la mia famiglia è vittima di una maledizione fatta al mio bis-nonno da un’amante, che poi si è rivelata una strega. Ogni cinquant’anni, per tutto un anno, nella settimana di luna piena, un enorme serpente devasta i miei territori, si nutre della mia gente, distrugge il mio feudo. Sono passati cinquant’anni dall’ultima volta, ed è già apparso per cinque mesi. Tra venti giorni sarà di nuovo luna piena e tornerà. La mia gente se ne è andata. Siamo rimasti in pochi, per stanarlo, ucciderlo».
«E io cosa posso fare?» domandò irritata.
«Lasciatemi finire. La maledizione dice che solo una donna: potente e riconoscibile dal segno di un serpente potrà sconfiggerlo e porre fine a tutto».
Giselle strinse le labbra e lentamente mise la mano destra sotto le grinze della gonna.
«Vostro fratello dice che avete una cicatrice sul polso» le indicò la mano nascosta.
Oramai scoperta, controvoglia gliela porse. Il duca la voltò ed era vero! Una vecchia bruciatura piccola ma piuttosto profonda.
«Madonna, dovete venire con me e uccidere il serpente».
Giselle si alzò in piedi questa volta in pieno vigore.
«Voi non sapete quello che dite! Io non faccio del male nemmeno a una mosca. Ho abolito le guerre in questo regno. Non ho mai tenuto una spada in mano e non sono capace neanche di cavalcare. È impossibile! Non sono io quella della leggenda».
«Sono anni che mando in giro i miei vassalli a cercarla. Non c’è nessun altra. Siete voi, per forza».
«Assolutamente no!» Giselle fece per allontanarsi ma il duca le si parò davanti.
«Martino mi aveva avvisato del vostro carattere cocciuto. Ascoltate! O verrete con me e ucciderete il serpente o io ucciderò vostro fratello».
«Non osereste uccidere un innocente!»
Il duca la prese per il polso e glielo strinse.
«Madonna voi non mi conoscete, per il mio popolo sono disposto anche a uccidere un innocente, se la sorella non mi lascia altra scelta» il tono risoluto conferiva maggior risalto alle parole.
Giselle staccò il braccio dalla presa per niente intimorita.
«Fate quello che credete. Senza mio fratello sarò io l’unica signora di queste terre» e si avviò verso l’entrata del castello.
«Sapevo del vostro caratteraccio ma non avrei mai creduto foste anche cinica. Bene, farò in modo che quando la testa di vostro fratello rotolerà in terra, l’ultima immagine che avrà sarà la vostra».
Giselle si fermò, le spalle divennero rigide, strinse i pugni e si voltò.
«Maledetto avete vinto!» sospirò come se avesse cacciato da sé un fantasma. «In tutti i modi qualcuno morirà e toccherà a me!»
«Non morirete statene certa. Avete detto bene, sono maledetto, ma grazie a voi porremo fine a tutto quanto».
«Non la penserete più così quando mi vedrete con una spada in mano».

Il mattino dopo, suo malgrado, Giselle dovette lasciare le sue terre in mano a vassalli fidati, e unirsi alla corte del duca Ferruccio. Viaggiarono per quattro interminabili giorni e finalmente giunsero nelle terre di Malvasia.
La desolazione era inquietante. Case spazzate via da una forza indescrivibile. Campi abbandonati all’incuria. Si respirava tristezza e rabbia nell’aria.
Il castello di Malvasia si trovava a ridosso di una scogliera. Per arrivarci dovevano attraversare un fitto bosco che finiva in una radura. Stagliato, al di là di essa, vi era l’antico maniero ancora possente.
Quella sera Giselle decise di non scendere alla tavola del duca, si fece portare la cena nella sua stanza, sola avrebbe pensato a una soluzione.
Fu svegliata presto. Il duca le aveva fatto portare abiti maschili, più idonei. Giselle intrecciò i lunghi capelli castani e con sorriso sardonico si presentò a Ferruccio.
«Madonna»
«Giselle, vi prego. Voglio vedere mio fratello»
«Preferisco di no. Comunque non è più qui, è stato allontanato per non recarvi distrazioni».
Giselle inspirò irritata.
«Ho fatto costruire questa spada per voi» riprese Ferruccio «è leggera, maneggevole» le mostrò alcune mosse con estrema facilità. «La lama è affilatissima, state attenta, vi basterà appoggiarla per tagliargli la gola».
«Fosse così facile»
«Ho fatto incidere la vostra iniziale e un serpente mozzato, come buon augurio. C’è anche lo scudo: piccolo, tondo, lucido come uno specchio. Oltre che per difendervi potrebbe accecare il serpente. Venite, cominciamo l’addestramento».
Giselle prese lo scudo che cadde subito a terra suonando come una campana.
«Inizieremo col rinvigorire il vostro corpo» il tono del conte fu impassibile.
Per cinque giorni Giselle non toccò la spada, in compenso nuotò contro le onde del mare, corse per la radura e oltre, spostò tronchi enormi, diceva lei, niente di cui non fosse capace, ribatteva lui.
Le prime sere crollava dopo il bagno caldo e si rifiutava di cenare. Ferruccio non mollava e la minacciava di imboccarla nella sua stanza se non scendeva a tavola.
Cominciarono gli esercizi con la spada: impugnatura con una mano e con due. Fendente diritto e parata in spezzata rovescio. Fendente rovescio e parata diritta. Taglio diritto e così via. Tanti nomi, tanti esercizi che a fine giornata la stanchezza le faceva dimenticare tutto.
Una sera, prima di coricarsi, vide il duca partire al galoppo da solo. Chissà dove andava si domandò mentre spostava le tende.
Il duca attraversò la radura, oltrepassò il bosco e risalì una collina. Si fermò davanti a un piccolo castello con una sola torre. Lasciò il cavallo nelle stalle ed entrò.
«Era già da qualche giorno che ti aspettavo» disse un giovane porgendogli un boccale di birra d’orzo.
«Non volevo destare sospetti». Ferruccio si sedette nella sedia padronale, bevve e sospirò. «Non sono più convinto come prima. Per quanto ci provi Giselle non è adatta al combattimento. Soccomberà!».
«L’istinto di sopravvivenza avrà la meglio. Non la conosci come me, se si mette in testa una cosa andrà avanti».
«E.. se dovesse morire?»
«Ferruccio non sei più disposto a tutto? Non vuoi porre fine alla maledizione? È lei non ce n’è altre, l’hai detto tu».

Arrivò la vigilia della prima notte di luna piena. Quel giorno Giselle si esercitò solo di mattina. Nel pomeriggio il duca le fece una sorpresa. Fecero una cavalcata, da soli, fino a un luogo misterioso.
«Cos’è questa puzza?» esclamò Giselle parandosi il naso con la mano.
«È un luogo sacro. Lo chiamano I Soffi del Drago».
«Perché?»
Il tempo di dirlo e da terra, vicino a lei, uscì vorticosa dell’aria calda e puzzolente.
«L’hai capito no?» Ferruccio le fece l’occhiolino e l’aiutò a scendere da cavallo. «Togliti i calzari e immergi i piedi nell’acqua, ti rinvigorirà».
«Solo i calzari?» Giselle tolse anche l’abito lungo rimanendo in una sottile e finissima sottoveste. Poi si immerse nelle acque più profonde.
«Ferruccio venite, l’acqua è tiepida, si sta da Dio».
Il duca si tolse la spada, la tunica e rimase col camicione bianco. Giselle lo schizzò e quando entrò in acqua gli si avvicinò. La sottoveste aderiva completamente alla pelle. Ferruccio fece un passo indietro sorpreso da tanta audacia.
«Fermatevi».
Giselle era vicinissima e lui poteva sentire il suo respiro.
Ferruccio rialzò con fatica lo sguardo dai suoi seni duri e tondi, sforzandosi di rimanere imperturbabile.
«Domani dovrò affrontare il serpente» sussurrò la ragazza guadandolo negli occhi «e, visto che ho poche possibilità di vittoria, voglio che oggi…»
«Giselle non vi obbligherò più ad affrontare il serpente» era già qualche giorno che ci pensava.
«No, lo voglio fare» gli accarezzò leggera l’orecchio «per voi».
«Non sei obbligata».
Entrambi bruciavano di passione. Una forte attrazione che li tormentava.
«Lo farò, però adesso devi fare qualcosa per me» lei avvicinò le labbra alle sue. Le sfiorò, ma lui rimase inerme.
«Non voglio morire vergine, ti prego, facciamolo qui» gli sussurrò con voce roca. Si rigettò sulle sue labbra con più passione e lo travolse come un’onda.
Ferruccio, questa volta, si lasciò andare in un tumulto di emozioni. Finché, un’improvvisa rivelazione lo allontanò da lei.
«Non posso».
Vide il suo sguardo sorpreso, deluso e gli si spezzò il cuore.
«Devi rimanere vergine se vuoi sconfiggerlo» le accarezzò il viso con la delicatezza di un sogno. «La maledizione è chiara: una donna potente, vergine con il simbolo del serpente».
Le si inumidirono gli occhi e un senso di impotenza le salì dallo stomaco.
«Farò in modo che non ti accada niente. Credimi».
L’abbracciò stretta e in quel momento si sentì completo.

Il mattino dopo Giselle non fu svegliata e dormì fino a tardi. Per tutto il giorno non vide Ferruccio e questo la preoccupò. La sera le prepararono un pasto leggero e poi arrivò il momento.
Indossò l’armatura con lo scudo bloccato al braccio sinistro. In qualunque momento, poi, avrebbe potuto sganciarlo.
Fu scortata sotto la scogliera. Il mare, quella sera, era furibondo. Grosse onde si schiantavano all’entrata di una grande grotta.
«È da lì che esce ogni volta. Noi aspettiamo qui, dovrete andare da sola».
«Perché il duca non mi ha accompagnato?».
Tutti tacquero. Poi per quanto non credesse, fu invasa dal coraggio.
«Ascoltate» disse una delle guardie. «Il serpente sarà imprigionato a una catena non molto lunga. Non mettetevi mai davanti, vi mangerebbe in un attimo».
«Come fa a essere incatenato? È stato Ferruccio? Sta bene? Ditemelo vi prego».
Lo sguardo dell’uomo mostrava sgomento.
«Andate, giocate d’astuzia».
La guardia le consegnò una torcia infuocata.
Giselle inspirò profondamente ed entrò. Era sola. Tremava.
Martino e Ferruccio.
Un sussurro che le infondeva coraggio.
Martino e Ferruccio.
Avanzava.
La grotta era alta e umida. Ogni volta che le onde si spezzavano all’entrata, le sopraggiungevano gli schizzi. Freddo.
Martino e Ferruccio
Procedeva e pensava alla Giselle di una volta. Era cambiata. Non poteva tornare indietro. Avanti.
Ferruccio e Martino
Arrivò in un immenso androne.
Ferruccio. Martino.
Ingoiò. La saliva, la paura. Fece alcuni passi e illuminò l’ambiente. Niente. Guardò in alto, a destra, ruotò su se stessa. Tremava.
Un alito leggero, freddo le percorse il collo. Si voltò, ancora niente. Rigirò la testa e lo vide piombarle addosso. Le gambe cedettero e ruzzolò.
L’animale, diabolico, con sguardo giallo allucinato, fu bloccato a metà percorso dalla catena. Grande e massiccia aveva retto al peso della bestia.
Eccolo. Avrebbe volentieri pianto, ma non ne ebbe il tempo. Il serpente si rigirò cercando di raggiungerla con la coda. La torcia era a terra lontana da lei. Si alzò in piedi e impugnò con due mani la spada.
Ferruccio.
Ritardò a colpire, la coda la scagliò come un sasso nella fionda contro la parete lontana. La spada le cadde, l’urto fu così forte da farle perdere i sensi.

Voleva rimanere nel limbo dove era tranquilla al sicuro. Se avesse aperto gli occhi il dolore l’avrebbe schiacciata. La lotta sarebbe andata avanti.
Si rialzò, suo malgrado. La schiena le doleva. Raccolse la spada. Il serpente si era acquietato sotto la catena dall’altra parte della grotta. Barcollante si avvicinò alla torcia e la prese. Come poteva tagliargli la testa?
Usare l’astuzia.

Uno strano, nuovo fruscio svegliò il serpente. Di fronte a lui una luce insolita gli accecò gli occhi. Si lanciò, ma ancora una volta fu bloccato dalla catena e cadde rovinosamente a terra. Si rialzò spingendo il lungo corpo oltre il limite imposto. Spalancò le fauci allungando la lingua, spalancando gli occhi. Un fluido caldo gli sgorgò dal collo. Le forze cominciavano a cedere. Cadde. La vide raccogliere il punto luminoso. Uno scudo. Spalancò le fauci ma non spaventò neanche se stesso. Era la fine. La guardò negli occhi e lei capì: gli dette il colpo decisivo e la testa fu recisa.

L’aveva fatto, non ci credeva. E quello sguardo giallo che a sorpresa le sembrò umano. Era tutto strano, lo percepiva. Poi una luce abbagliante si sprigionò dalla bestia. Durò un attimo, dopo il buio nei suoi occhi. Quando le si schiarirono le tenebre al posto del corpo mozzo del serpente, c’era il corpo nudo di Ferruccio.
Giselle si sentiva come avvolta in una nuvola di inganni. Era felice di vederlo ma allo stesso tempo provava un sentimento di rabbia. Represse la gioia, e per quanto lui la invocasse uscì dalla grotta.
«La maledizione è finita! Andate a riprendervi il conte» disse senza fermarsi alle guardie sorprese di vederla.
Montò a cavallo. Una volta al castello si chiuse nella sua stanza e si immerse in una vasca tiepida e ricoperta di lavanda.
Rabbia. Inganni.
Perché Ferruccio non le aveva detto che era lui il serpente? Martino era veramente prigioniero e in pericolo di morte?
Il giorno dopo si alzò presto, i suoi bagagli erano già pronti in carrozza, ma prima di partire fece chiamare Ferruccio e Martino.
«Adesso voglio sapere la verità da entrambi. Perché tu» e indicò Martino, «non sei mai stato prigioniero e neanche sotto minaccia di morte».
«Giselle ascolta» prese parola Ferruccio.
«Mi avete ingannato! Entrambi!» inveì furiosa.
«È colpa mia, è stata una mia idea» disse Martino dispiaciuto. «Ferruccio non c’entra. Quando ho conosciuto il conte mi ha raccontato della maledizione e quale fosse l’unico modo per bloccarla. La cicatrice sul tuo polso, che ti ho fatto da piccoli, ha la forma di serpente. Eri tu, lo sapevo.
Ho convinto il conte, te l’ho mandato apposta. Conoscendoti sapevo che non avresti mai accettato, solo se mi avessi saputo in pericolo».
«Ho affrontato una bestia per te, convinta che ti avrebbe ucciso».
«Perdonami ti ho imbrogliata ma a fin di bene».
«Potevo morire! E tu hai deciso senza indugi!»
«Non è vero credimi!» Martino sembrava sincero. «Quando il mese scorso ho visto quello che è accaduto in queste terre… La devastazione… Lo sapevo, lo sentivo che eri tu quella della leggenda!»
«E se non lo fossi stata? Vi odio! Vi odio entrambi!»
«Giselle, perdonami» Ferruccio si fece avanti. «Gli ultimi giorni avrei mandato al diavolo tutto, ma tu eri caparbia. Volevi farlo» Ferruccio comprendeva la sua ira.
Giselle sospirò rabbiosa.
«Tu!» disse puntandogli il dito. «Viscida serpe! Mi hai nascosto più cose… Perché non mi hai detto che eri tu il serpente?».
«Io… non sapevo se sarei sopravvissuto. Forse tu non avresti accettato. Era un rischio che dovevo correre».
«Non siete stati onesti con me, nessuno dei due. Mi avete usata come una pedina. Basta!».
Non tollerò altro. Giselle uscì furibonda, salì in carrozza. Là nella sua terra avrebbe svolto le competenze che più le si confacevano.

«Ferruccio che vuoi fare?» Martino lo bloccò di fronte al portone.
«La raggiungo, devo chiarire con lei».
«Ora non otterrai niente. Dai retta a me, lasciala sbollire. Se la conosco bene, fra qualche giorno organizzerà uno dei suoi balli. A quel punto sarà la Giselle di sempre e ci perdonerà».
Ferruccio rimase immobile, il volto addolorato.
«Forse hai ragione…».

Avatar utente
Wladimiro Borchi
Messaggi: 258

Re: Semifinale Scilla Bonfiglioli

Messaggio#3 » giovedì 6 dicembre 2018, 19:27

Immagine

DITHERIA

La superficie desertica di Cronos era battuta da venti gelidi, questo significava che i varchi si stavano aprendo e tutto era in ordine per la missione. Ditheria si approssimò al margine del dirupo, tenendo gli olatrhrin ben serrati nelle mani. Il suo corpo nudo vibrava di tensione e paura.
La giovane, però, volle raccontarsi che era solo il freddo.
Il sacerdote le appoggiò un delicato bacio sulla fronte, senza indugiare nemmeno un secondo sui seni rotondi della futura regina. Non c'era spazio per la passione su Cronos. Tutta la femminilità che esplodeva in quelle forme era un dono che nessun uomo avrebbe mai desiderato.
«Torna vincitrice e prendi il tuo posto sul trono!»
La fanciulla si limitò ad annuire e si gettò oltre il limite dell'Abisso.
Planando contro le correnti calde che la respingevano, si portò senza paura sulla schiena del rectilius, che strisciava rapido sul fondo del baratro e quasi non si avvide dell'impatto. Solo quando infilò a forza gli olatrhin nelle carni della bestia, la testa del serpente gigante si impennò con violenza verso l'alto, con l'intento di disarcionare la sgradita ospite. Fu inutile. Dopo pochi secondi i due congegni infilati del cranio della cavalcatura ne fiaccarono ogni anelito di ribellione.
Ditheria gettò l'animale a forte velocità verso il varco, oltre il quale le increspature nello spazio-tempo rendevano il panorama un'orgia di macchie nere che fluivano le une nelle altre in un continuo divenire.
Chiuse gli occhi mentre i detriti sollevati dal vento le graffiavano la pelle fino a farla sanguinare.
Durò solo un secondo, poi la quiete calda di una notte primaverile la avvolse.
La futura regina scese dal rectilius sulla riva del fiume Inn e, con il corpo illuminato dalla pallida luce della luna, lavò le proprie ferite.
Quando considerò presentabile la propria immagine riflessa nelle acque, la donna si incamminò verso il Brücken Park, dando licenza al serpente, che l'avrebbe attesa nascosto sul letto del gigantesco corso d'acqua.
Una volta al parco, si adagiò su una panchina a margine del viale per per esibirsi sotto il tenue chiarore di un lampione a olio.
Come sapeva, Alois passò da lì pochi minuti più tardi.
«Che vi è successo, signora?»
Ditheria fissò le iridi verdi in quelle dell'uomo che si era chinato sul suo corpo ferito.
«Sono stata derubata... anche delle vesti. Oh mio dio che vergogna...»
Le mani subito si spostarono a coprire le nudità, mostrando una pudicizia innaturale a un'abitante di Cronos.
«Non temete, prendete il mio impermeabile. La mia casa dista pochi passi. Mia moglie Klara avrà senz'altro degli abiti da prestarvi, in modo che possiate tornare sana e salva alla vostra casa.»
Com'era facile indurre gli umani al proprio volere!
E ancor di più i maschi di quella specie. Bastava un corpo nudo e una giovane vittima di un pericolo immaginario perché l'uomo compisse una dopo l'altra tutte le scelte attese.
Se avesse potuto farlo senza tradirsi, Ditheria avrebbe riso.
Si alzò, invece, e finse uno svenimento, in modo che l'uomo si potesse sentire autorizzato ad abbracciare le sue rotondità per sostenerla.
Mentre si avvolgeva nell'impermeabile, la futura regina sentiva le mani del giovane indugiare in zone inutili a tenerla in piedi, ma che senz'altro donavano voluttà a chi le accarezzava.
Così si fece condurre fino a casa.
Ad aprire venne una ragazzona bionda, col ventre ispessito da una gravidanza giunta quasi al termine.
«Aiutami con questa fanciulla, Klara. È stata derubata e chissà cos'altro nei pressi del Brücken.»
«Sarà meglio avvisare la polizia, Alois!»
La moglie appariva senz'altro la più sveglia della coppia.
«Lo faremo non appena si sarà ripresa. Ho paura che possa svenire ancora.»
Come chiamata a esaudire un desiderio dell'uomo, la futura regina di Cronos finse di perdere i sensi e fu adagiata su un divanetto nei pressi dell'ingresso.
Da lì, la viaggiatrice del tempo udì la furibonda lite tra i due coniugi nella stanza attigua.
La spuntò l'uomo di casa: l'avrebbero ospitata fino a quando non fosse stata in forze per lasciare la casa e, solo allora, l'avrebbero accompagnata dalla polizia per far denuncia di quanto le era accaduto.
Dopo poco si sentì sollevare e stendere su un letto, mentre sul suo corpo venivano adagiate morbide coperte di lana.
Attese quindi il silenzio della notte inoltrata.
Alois, intanto, non riusciva a prendere sonno per l'eccitazione che quella bellissima fanciulla gli aveva messo addosso. La sua mente restava vigile a immaginare amplessi con quella ospite inattesa. Si alzò, stando ben attento a non destare la moglie, per scendere in sala.
Avrebbe preso due gocce di estratto di valeriana e finalmente si sarebbe abbandonato al torpore .
I suoi progetti però erano destinati a essere interrotti.
Ditheria lo accolse nuda in mezzo al corridoio, prendendolo per mano come in un sogno e conducendolo con sé nella camera degli ospiti.
La minima resistenza dell'uomo si diradò non appena le labbra carnose della futura regina del tempo si appoggiarono sulle sue e così la colpa, di cui la fanciulla aveva bisogno, poté essere lanciata con dolcezza nel suo grembo.
L'uomo tornò appagato nel proprio letto, mentre il seme marcio poteva germogliare.
Tra convulsioni e dolori lancinanti la regina partorì il draco. Il serpente figlio del peccato del padre. L'unico che, secondo le leggi di Cronos, poteva distruggere il figlio.
Le gambe della donna finalmente si schiusero per far passare il rettile, che strisciò in silenzio verso la camera dei due sposi.
La regina pulì alle coperte il liquido verde che le imbrattava le cosce e lasciò la casa, diretta al fiume.
Mentre il piccolo rettile si arrampicava sul letto di Klara e si infilava lento fin dentro al suo ventre per divorarne il frutto ormai maturo, la nuova regina saliva sul gigantesco serpente, la cui testa era appena spuntata dalle acque dell'unico fiume di Braunau am Inn.
La missione era compiuta, il potere di Ditheria non sarebbe più stato messo in discussione, per lungo tempo sarebbe stata l'unica regina di Cronos.
Non appena le sue mani afferrarono gli olatrhin conficcati nel capo della bestia, il rectilius prese a inabissarsi verso la prima increspatura dello spazio-tempo.
Proprio in quel momento Alois fu svegliato dal sangue che usciva copioso dal grembo della moglie.
Dopo aver perso il piccolo Otto, pochi giorni dopo la nascita, e aver dovuto assistere inerme alla morte di Gustav e Ida, uccisi dalla difterite, l'emorragia presagiva che anche Adolf, l'ultima possibilità per gli Hitler di avere una discendenza, era perduto per sempre.
Il medico arrivò in tempo per salvare la vita di Klara, ma l'aborto spontaneo ne aveva compromesso l'utero in modo irreversibile.
Il mondo avrebbe dovuto fare a meno di un Adolf Hitler.
...
«Dalia, smettila di sognare a occhi aperti! Dobbiamo metterci in fila per la doccia.»
La bambina con la divisa a righe seguì la mamma nel fiume di donne che scomparivano oltre la soglia di un immobile grigio.
«Mamma, ho immaginato una storia bellissima. Ero la regina del tempo e impedivo a Hitler di nascere. Ti rendi conto? Non saremmo mai state arrestate e papà non sarebbe morto.»
La madre fissò la piccola con gli occhi che si gonfiavano di lacrime.
«Continua a sognarlo, amore mio... Continua sempre a sognarlo...»
La porta in metallo fu chiusa alle loro spalle e il gas cominciò a bruciare negli occhi e nelle gole.
Tutto intorno la gente tossiva sangue.
La bambina chiuse le palpebre, battendo la testa sul pavimento freddo.
...
Quando le riaprì il sacerdote le tendeva una mano per aiutarla ad alzarsi.
«Ditheria, mia regina, prendete il vostro posto sul trono!»
La fanciulla entrò nella grande sala luminosa e, fasciata da vesti d'oro, salì sullo scranno più alto del regno di Cronos.
La bambina era divenuta donna.
Aveva vinto la prova.
Il suo potere non sarebbe mai venuto meno.
IMBUTO!!!

Avatar utente
Spartaco
Messaggi: 997

Re: Semifinale Scilla Bonfiglioli

Messaggio#4 » lunedì 10 dicembre 2018, 10:39

Commenti:

Giselle e la Maledizione del Serpente
L'idea di base, che ci presenta una fanciulla ignara della situazione costretta a mettersi in gioco per sfidare un terribile mostro che soverchia un'intera popolazione, è favolosa.
Purtroppo, alcune lacune giocano a sfavore di un racconto che potrebbe avere molto potenziale.
Giselle è una giovane che tiene le redini di una contea con abbastanza forza e determinazione da soppiantare il fratello Martino, che presumibilmente dovrebbe essere l'erede maschio e quindi signore del feudo. Siamo in un mondo fantastico, ma chiaramente di stampo medievale, e la scarsa attenzione all'ambientazione non ci spiega il perché di questa anomalia.
Anche le caratterizzazioni, a cominciare dalla stessa Giselle e da quella del duca Ferruccio, potrebbero essere più curate, così come la punteggiatura che a volte rende fastidiosa la lettura Invece ci limitiamo soltanto ad “assaggiare” i personaggi. Il rapporto tra Giselle e suo fratello, ad esempio, non è approfondito: Giselle mette a rischio la sua vita per salvare Martino oltre le proprie capacità e questo fa presumere un grande affetto fraterno. Scopriamo poi che Martino ha volutamente messo in pericolo la sorella con un inganno. Per desiderio di salvare una contea di sconosciuti, verso cui non ha nessun obbligo né politico, né morale decide arbitrariamente di sacrificare l'amata sorellina. Sapendo così poco del legame tra i due fratelli, le motivazioni per cui lui l'ha letteralmente buttata in pasto a un serpente mostruoso non sono lontanamente accettabili, dal punto di vista emotivo.
I problemi più grandi, tuttavia, riguardano le scelte logiche di molti dei personaggi che, a mio avviso, spesso non sembrano realistiche, ma dovute semplicemente al desiderio di mandare avanti la trama. Una su tutte: perché Giselle decide di farsi ricattare? Nel momento in cui il duca Ferruccio dimostra tanta stupidità e temerarietà da andare da solo nei possedimenti della donna dicendole apertamente di avere in mano suo fratello, perché Giselle non lo fa semplicemente arrestare? Se ci fosse stata presentata come una fanciulla ingenua, avrebbe avuto più senso. Invece sappiamo che Giselle prende quotidianamente decisioni politiche ed economiche per mandare avanti il feudo. Una donna in quella posizione avrebbe potuto discutere dei dettagli della richiesta di Ferruccio tenendolo comodamente appeso nelle segrete.
Il racconto, tuttavia, ha molti aspetti positivi e fino alla fine si parteggia davvero per Giselle, con tutto il cuore, sperando che riesca ad arrivare a compiere il suo destino, a salvare il fratello e il ducato di Ferruccio.
Mi ha molto colpito il ritmo narrativo, che nonostante gli aspetti indicati sopra non è mai caduto e mi ha permesso di appassionarmi alla storia, chiedendo di più, desiderando di avere maggiore introspezione dei personaggi e dei rapporti proprio per innamorarmene.
In breve, si tratta di un racconto che avrebbe potuto avere, secondo me, grandi potenzialità e avrebbe potuto svilupparsi in un più lungo respiro, prendendosi il tempo di esplorare le caratterizzazioni, le ambientazioni e le relazioni tra i personaggi, creando delle dinamiche che avrebbero messo Giselle e Ferruccio con le spalle al muro davanti al lettore e non in modo da farglielo intuire soltanto.
Mi chiedo infine perché, tagliando la testa al serpente, non venga recisa anche quella di Ferruccio. Un finale più drammatico, con la testa di Ferruccio che rotola, quindi con il sacrificio volontario del duca sulla spada della ragazza, avrebbe potuto fare perdonare il fatto che fin troppo presto il lettore capisce dell'identità tra il duca e il serpente maledetto.

Ditheria
Il racconto parte con una forza autentica che ho molto apprezzato, per poi perdere un po' di convinzione e, soprattutto, di chiarezza, nel finale.
Eppure mi hanno conquistato le immagini vivide che permeano tutto il brano, le scelte creative dietro ai dettagli che dimostrano davvero la creazione di un mondo. Basta questo, a mio avviso, per dare la vittoria a Ditheria in questo match e mandare il racconto in finale.
La descrizione di Cronos, pianeta alieno o dimensione parallela che sia, mi ha coinvolto per tutta la prima parte del racconto e sono stata conquistata dalla cavalcata da parte di Ditheria del serpente grazie agli olatrhin. Nel paragrafo iniziale ci viene davvero dipinto un mondo con regole interne molto salde e immagini concrete.
Dall'arrivo di Ditheria nella nostra dimensione, a mio parere, cominciano i problemi del racconto, che perde mordente e ritmo, anche se mantiene la bellezza e la cura delle immagini.
Nel finale scopriamo che Ditheria è entrata con forza nella vita dei genitori di Adolf Hitler, riuscendo a eliminare il bambino prima della sua nascita. Il colpo di scena ci viene presentato in poche righe, ma sarebbe stato ben più comprensibile per il lettore venire introdotti ben prima nella consapevolezza che Alois e Klara erano proprio Alois Hitler, padre del futuro fuhrer, e sua moglie. La drammaticità e la potenza dell'atto di Ditheria avrebbe funzionato decisamente meglio, senza costringere il lettore a tornare indietro e a rileggere il passo. O a controllare su Wikipedia l'albero genealogico del dittatore tedesco.
Ho amato molto il sogno – oppure la realtà distopica – della piccola ebrea Dalia che muore nelle docce a gas del campo di concentramento, ma si risveglia come Ditheria, vittoriosa e regina di Cronos. L'impatto emotivo è molto forte.
Non capisco tuttavia, come sia possibile che Adolf Hitler abbia avuto modo di diventare dittatore e mandare Dalia nel campo di concentramento, se la stessa prova “del tempo” che ha messo Ditheria sul trono di Cronos consisteva proprio nel fatto di essere riuscita a eliminare il fuhrer prima della sua nascita. Il paradosso non funziona bene, a mio avviso, e varrebbe la pena curare di più la dinamica in modo da renderla più comprensibile anche ai lettori un po' più tardi come me.

Passa il turno e accede alla finale: Ditheria

Torna a “La Sfida a Cleopatra la Divina”

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti