Da consumarsi preferibilmente entro...
Inviato: lunedì 17 dicembre 2018, 22:47
DA CONSUMARSI PREFERIBILMENTE ENTRO IL...
Il Supervisore Ipergalattico veniva da lontano, dai confini dello spazio-tempo. Il suo compito era quello di esaminare tutti i pianeti dell’universo ed eliminare quelli inadatti.
Un grosso pianeta gassoso presentava vistose strisce latitudinali gialle e rosse, sembrava vecchio. Il Supervisore esaminò l'etichetta Da consumarsi preferibilmente entro il… e constatò che la data di scadenza era stata superata da un pezzo. Lo strappò dalla sua orbita e lo scaraventò nel buco nero dei rifiuti.
Un altro pianeta, del tipo roccioso questa volta, aveva le calotte glaciali spropositatamente espanse verso l'equatore, quasi si toccavano. Il suo cartellino diceva: La durata contrattuale di eoni... non è prorogabile. Il pianeta fece la stessa fine dell'altro, sparì entro l'orizzonte degli eventi del buco nero immondezzaio.
Questi erano facili da verificare, bastava leggerne l'etichetta. Più difficile scoprire quelli semplicemente avariati.
Il Supervisore vi dedicò un intero miliardennio, separando coscienziosamente quelli recuperabili, che consegnò alla manutenzione, da quelli definitivamente deteriorati, che spedì senza rimpianti al buco nero inceneritore.
Prima di abbandonare una galassia per passare a quella successiva decise di dare un'occhiata a un bellissimo pianeta che, ricordava, all'ultima ispezione, aveva visto meravigliosamente verde e azzurro sotto una coltre di bianche nubi spiraliformi, uno di quei succulenti pianeti destinati a diventare ambite mete turistiche per le comitive di viaggiatori assetati di bellezze minerali, vegetali e animali. Decise di controllarne i progressi, si avvicinò e si accorse, con orrore, che era ricoperto da estesissime macchie grigiastre, una lebbra che lo divorava, secolo dopo secolo. Erano silicati di calcio, ferro e alluminio, cioè cemento. Le aree verdi, continentali, ne erano già state divorate quasi per intero e ora le escrescenze della lebbra si protendevano dalla costa per ricoprire anche il mare. Era irrecuperabile. Con rimpianto lo fece uscire dalla sua orbita e lo scaraventò dentro la sua stella. Il vento solare strappò via l'atmosfera e con essa una moltitudine di fogli di cellulosa, bianchi, ma anneriti da pigmenti che formavano figure ricorrenti. Il Supervisore riconobbe che si trattava di codici di comunicazione. Cosa si dicevano i mortali di quel pianeta? Raccolse tutti i fogli e cominciò a decifrarli. La lettura era lunga, i fogli erano tanti, il lavoro faticoso, e i codici erano svariati, alcuni fonetici, altri ideografici, differenti l'uno dall'altro, ma non aveva fretta, aveva tutta l'eternità davanti a sé. Decifrò ogni foglio, per tentativi ed errori e lesse tutto quello che l’umanità aveva scritto, in tutte le lingue. Tra una lettura e l’altra continuava ad annichilire i pianeti fuori corso, scaduti o deteriorati.
Era ammirato dall'ingegno degli abitanti di quel pianeta: “Erano consapevoli di essere mortali, eppure progettavano il futuro ed esprimevano pensieri eterni” esclamò ammirato. “Come hanno potuto?”
La sua mente fu assorbita talmente dal problema che non si accorse che l'universo era arrivato alla sua massima espansione e che il red shift si stava trasformando nel blue shift della contrazione.
Gli rimaneva un ultimo foglio da esaminare. Conteneva poche righe:
Or poserai per sempre
stanco mio cor…
Solo allora si accorse che l'universo collassava ammassando tutte le galassie in un'unica singolarità, lui compreso.
Finalmente capì il significato dell'ultima riga: …e l'infinita vanità del tutto.
Anche per lui.
Il Supervisore Ipergalattico veniva da lontano, dai confini dello spazio-tempo. Il suo compito era quello di esaminare tutti i pianeti dell’universo ed eliminare quelli inadatti.
Un grosso pianeta gassoso presentava vistose strisce latitudinali gialle e rosse, sembrava vecchio. Il Supervisore esaminò l'etichetta Da consumarsi preferibilmente entro il… e constatò che la data di scadenza era stata superata da un pezzo. Lo strappò dalla sua orbita e lo scaraventò nel buco nero dei rifiuti.
Un altro pianeta, del tipo roccioso questa volta, aveva le calotte glaciali spropositatamente espanse verso l'equatore, quasi si toccavano. Il suo cartellino diceva: La durata contrattuale di eoni... non è prorogabile. Il pianeta fece la stessa fine dell'altro, sparì entro l'orizzonte degli eventi del buco nero immondezzaio.
Questi erano facili da verificare, bastava leggerne l'etichetta. Più difficile scoprire quelli semplicemente avariati.
Il Supervisore vi dedicò un intero miliardennio, separando coscienziosamente quelli recuperabili, che consegnò alla manutenzione, da quelli definitivamente deteriorati, che spedì senza rimpianti al buco nero inceneritore.
Prima di abbandonare una galassia per passare a quella successiva decise di dare un'occhiata a un bellissimo pianeta che, ricordava, all'ultima ispezione, aveva visto meravigliosamente verde e azzurro sotto una coltre di bianche nubi spiraliformi, uno di quei succulenti pianeti destinati a diventare ambite mete turistiche per le comitive di viaggiatori assetati di bellezze minerali, vegetali e animali. Decise di controllarne i progressi, si avvicinò e si accorse, con orrore, che era ricoperto da estesissime macchie grigiastre, una lebbra che lo divorava, secolo dopo secolo. Erano silicati di calcio, ferro e alluminio, cioè cemento. Le aree verdi, continentali, ne erano già state divorate quasi per intero e ora le escrescenze della lebbra si protendevano dalla costa per ricoprire anche il mare. Era irrecuperabile. Con rimpianto lo fece uscire dalla sua orbita e lo scaraventò dentro la sua stella. Il vento solare strappò via l'atmosfera e con essa una moltitudine di fogli di cellulosa, bianchi, ma anneriti da pigmenti che formavano figure ricorrenti. Il Supervisore riconobbe che si trattava di codici di comunicazione. Cosa si dicevano i mortali di quel pianeta? Raccolse tutti i fogli e cominciò a decifrarli. La lettura era lunga, i fogli erano tanti, il lavoro faticoso, e i codici erano svariati, alcuni fonetici, altri ideografici, differenti l'uno dall'altro, ma non aveva fretta, aveva tutta l'eternità davanti a sé. Decifrò ogni foglio, per tentativi ed errori e lesse tutto quello che l’umanità aveva scritto, in tutte le lingue. Tra una lettura e l’altra continuava ad annichilire i pianeti fuori corso, scaduti o deteriorati.
Era ammirato dall'ingegno degli abitanti di quel pianeta: “Erano consapevoli di essere mortali, eppure progettavano il futuro ed esprimevano pensieri eterni” esclamò ammirato. “Come hanno potuto?”
La sua mente fu assorbita talmente dal problema che non si accorse che l'universo era arrivato alla sua massima espansione e che il red shift si stava trasformando nel blue shift della contrazione.
Gli rimaneva un ultimo foglio da esaminare. Conteneva poche righe:
Or poserai per sempre
stanco mio cor…
Solo allora si accorse che l'universo collassava ammassando tutte le galassie in un'unica singolarità, lui compreso.
Finalmente capì il significato dell'ultima riga: …e l'infinita vanità del tutto.
Anche per lui.