L'ultima mano
Inviato: venerdì 25 gennaio 2019, 18:30
L'ultima mano
Mentre aspettava il bagaglio, Andrea cominciò a passare in rassegna le centinaia di messaggi che gli erano arrivati sul cellulare durante il volo. Oltre ai vari complimenti provenienti da amici e conoscenti, anche moltissime persone che non conosceva direttamente avevano trovato il modo di mettersi in contatto con lui. Era tutta gente che da tempo lo seguiva sui social, o sul suo stream di Twitch, o che semplicemente aveva sentito parlare di lui ed era riuscita in qualche modo a risalire ai suoi contatti sul web. Il tavolo finale era stato trasmesso in diretta sul web, e questa era stata davvero una bella pubblicità. Anche i suoi ultimi post su Facebook e Twitter strabordavano di commenti e reazioni positive. La sua prossima sessione dimostrativa di gioco avrebbe di certo fatto segnare un record. Tanto meglio, erano ulteriori soldini che si sarebbero aggiunti a quelli che aveva già messo in tasca vincendo il torneo.
Certo che era strana, la vita. Un professionista come lui non poteva certo permettersi di essere scaramantico, però non poteva fare a meno di pensare che, sotto sotto, Praga gli portasse fortuna. Tutte le volte che si era recato in quella città gli era sempre capitato qualcosa di bello, fin dai tempi della gita scolastica, quando si era fatto la sua compagna di classe Alessandra, la ragazza più ambita di tutta la scuola. E ora, era addirittura riuscito a trionfare nell’European Poker Tour: una maratona durata sei giorni, ore e ore passate ai tavoli ad aspettare le carte giuste. Una faticaccia, in un certo senso, ma ne era valsa la pena. Si erano presentati al via 1052 giocatori e lui li aveva messi in fila tutti quanti, trionfando e portandosi a casa il trofeo, oltre agli 850.000 euro destinati al vincitore. Tolta la quota di iscrizione e le spese, e sottratta la parte che doveva ai suoi colleghi che gli avevano comprato delle quote, in tasca gli erano rimasti poco più di 450.000 euro. Un inizio di anno davvero con il botto. Sì, forse era il caso di recarsi a Praga più spesso, se quelli erano i risultati.
Andrea prese il suo trolley, che nel frattempo era arrivato, e si incamminò verso l’uscita. Era ancora un po’ frastornato. I postumi dell’ultima notte passata a Praga, tra fiumi di champagne e il sesso sfrenato con le due escort con cui aveva festeggiato la vittoria, si facevano sentire. Forse cominciava a non avere più il fisico per certe cose. Non vedeva l’ora di arrivare a casa, bersi qualcosa di caldo e mettersi a letto con un paio di aspirine. Mentre aspettava il taxi, però, qualcosa arrivò a guastare i suoi piani, cambiando in un sol colpo il suo umore. Tra tutti quelli che gli avevano scritto su Whatsapp, c’era un numero che non avrebbe mai voluto vedere. E anche il messaggio non lasciava ben sperare: “Ciao campione, a feste finite fai un salto alla Stecca. Devo parlarti”. Ripose il cellulare nella tasca del giaccone, affidò il suo trolley al taxista e salì a bordo, dando l’indirizzo del suo appartamento. Per tutto il tragitto, rimase a fissare un punto indistinto in movimento, fuori dal finestrino. La Stecca. Quanto tempo era passato, dall’ultima volta che aveva sentito quel nome? Tre anni? Quattro? Ma non sarebbe proprio mai riuscito a liberarsi di quella parte del suo passato?
***
La Stecca era il nome che, anni prima, il gruppo dei ragazzi aveva dato ad una costruzione fatiscente, che sorgeva proprio al limitare del bosco dove ci si ritrovava per comprare le dosi di droga. Poco più in là, un sentiero tra gli alberi portava all’argine del fiume, posto di incontri per omosessuali e travestiti. Il viavai cominciava di solito verso tarda sera, per prolungarsi fino alle prime ore dell’alba, quando anche gli ultimi irriducibili tornavano, esausti, alle loro vite di tutti i giorni. Reduce da più di dodici ore abbondanti di riposo, e da una sana doccia rigenerante, Andrea arrivò sul posto poco prima dell’ora concordata per l’appuntamento. Il suo cellulare segnava le 10.50 del mattino. A quell’ora, il luogo era deserto.
Andrea aveva parcheggiato la sua macchina alcune centinaia di metri prima del curvone da cui partiva la stradina sterrata che portava alla Stecca, davanti ad uno dei capannoni della zona industriale, e poi aveva percorso a piedi l’ultimo tratto di strada. Aveva lasciato orologio e carte di credito a casa, portando con sé solo la patente e qualche contante. Prima di partire, poi, aveva lasciato un messaggio al suo amico Sergio, spiegandogli dove stava andando e dandogli indicazioni su come procedere, nel caso non si fosse fatto vivo di lì a due ore. Sentiva di non potersi fidare del tutto. Del resto, giocare a poker lo aveva abituato a calcolare tutti gli scenari possibili, e a ridurre al minimo i rischi.
La giornata era molto fredda. Un pallido sole stentava a farsi strada tra le nuvole, e un velo di foschia sembrava galleggiare sulle sterpaglie e sui capannoni che erano gli unici elementi di quello squallido paesaggio di periferia. Arrivato alla Stecca, Andrea si guardò attorno. Non vedendo il minimo segnale di vita, si chiese se non fosse il caso di provare ad entrare, anche se la prospettiva non lo entusiasmava. Ricordava bene l’interno di quell’edificio pericolante, fatto di rifiuti, topi, siringhe e preservativi usati. Non un bello spettacolo. Era ancora incerto sul da farsi, quando dall’angolo, come se fosse un fantasma, vide emergere la persona che stava aspettando.
Sulle prime faticò a riconoscerlo: davanti a lui non c’era il ragazzo alto e muscoloso che gli aveva insegnato a fare a botte nei primi anni delle scuole medie, ma un uomo pallido, dal volto scavato e smunto. Indossava un giubbotto lacero e un cappellaccio di lana sporco e infeltrito, un paio di jeans consunti e degli anfibi completamente sformati. Lo sguardo era come assente, e ad Andrea parve di scorgere un lieve tremito nelle mani.
- Olà, campione! Sapevo che saresti arrivato ‐
- Mauro? ‐
- Eh già, sono proprio io. Sono un po’ cambiato, eh? Non occorre nemmeno chiedermi come me la passo ‐ Mauro fece un sorriso amaro, quel tanto che bastò ad Andrea per rendersi conto di come l’amico avesse perso diversi denti davanti, e di come quelli rimasti fossero ormai quasi del tutto marci ‐ Si vede bene che me la passo di merda. Tu invece, ho visto che ormai vai alla grande, eh? ‐
“Devo cercare di troncare il prima possibile” pensò Andrea tra sé. Le cose andavano ancora peggio di quanto avesse immaginato. Era chiaro come Mauro fosse ricaduto per l’ennesima volta nella droga. Andrea ebbe una fitta di dolore, mentre ricordava tutti gli anni che avevano passato insieme quando erano giovani, sempre inseparabili a correre dietro alle ragazze e ad ubriacarsi ai concerti rock. Ma ora quel mondo era morto per sempre. Lui ora aveva una vita, un lavoro che si era in qualche modo inventato, partendo da zero, con fortuna, passione e tanta fatica. Era quel mondo, che doveva a tutti i costi difendere, con le unghie e con i denti. Anche se, per farlo, avrebbe forse dovuto uccidere una parte di se stesso.
- Hai detto che dovevi parlarmi, al telefono. Di che si tratta? ‐
- Oh, quanta fretta. Vedo che non hai molta voglia di parlare con un vecchio amico, eh? Del resto, come darti torto. A dir la verità, ‐ fece Mauro reclinando il capo e strisciando più volte il piede, come se davanti a sé ci fosse qualcosa, per terra, che gli stesse dando fastidio, ma che lui stesso faticava ad individuare ‐ anche io non mi trovo più molto, a parlare con me stesso. Arrivi ad un punto, in cui tutti i discorsi che puoi fare ti danno sui nervi. Anche perché, purtroppo, le parole non servono a molto, in certi casi. Servono i fatti ‐
- E a quanto ammonterebbero, di preciso, questi “fatti” di cui avresti bisogno? ‐ tanto valeva andare subito al dunque. Più tempo passava in quel posto, più si sentiva a disagio, e più i suoi buoni propositi rischiavano di crollare.
- Questa volta è diverso ‐ il tono di Mauro si fece di colpo più duro. Alzò lo sguardo, e fissò l’amico negli occhi. Adesso la sua espressione non era più vaga, ma sottilmente minacciosa. Per un attimo, Andrea ebbe l’impulso di fare un passo indietro, ma cambiò subito idea. Non doveva dare a vedere di essere spaventato. Anche questo, l’aveva imparato grazie al poker.
- Cosa vuoi dire? ‐
- Voglio dire che questa volta non mi servono i tuoi soldi. Mi servi tu ‐
- Io? E cosa dovrei fare? ‐
- Niente di più di quello che fai tutti i giorni. Sederti a un tavolo di poker -
Andrea rimase per un attimo sbigottito, in silenzio. Non riusciva a capire dove Mauro volesse andare a parare. Senza dargli modo di ribattere, l’amico proseguì:
- Un pokerista come te avrà sicuramente sentito parlare di Macao, giusto? ‐
- Certo. È la meta preferita dei grandi professionisti americani. Le partite più ricche del pianeta si giocano lì. Ma io non ci sono mai andato ‐
- Per quale motivo? ‐
- Girano troppi soldi, io non posso permettermi di rischiare certe somme. E poi, sembra che non sia molto sicuro. Pare che la maggior parte delle sale da poker sia controllata dalla mafia cinese. Gira voce che persino qualche famoso professionista sia a libro paga della malavita ‐
- Vedo che sei bene informato. Non c’è da stupirsi, del resto. Quello che forse non sai è che la mafia cinese non opera solo a Macao. Anche qui da noi ci sono mafiosi cinesi a cui piace il poker ‐
- Ma le partite che si trovano qui in Italia sono pochissime, e inoltre le cifre in ballo sono ridicolmente basse. Che interesse potrebbe mai avere la mafia cinese ad entrare in un giro così insignificante? ‐
- Quello che tu dici vale per le partite legali. Non certo per le partite clandestine ‐ Mauro storse di nuovo la bocca in una smorfia ‐ In quelle, ti assicuro che di soldi ne girano parecchi anche da noi ‐
- Certo, ma quel tipo di partite non mi interessano ‐
- Beh, mi sa che dovresti cominciare ad interessartene, invece ‐
- Che vuoi dire? ‐ fece Andrea con aria sospettosa. La situazione cominciava a prendere una piega che non gli piaceva per niente
- Voglio dire ‐ riprese Mauro ‐ che il Rosso sta organizzando una partita a poker per un paio di suoi amici cinesi, pezzi grossi della malavita, che sono in Italia per controllare certi loro affari qui a Chinatown ‐
Sentendo il nome di uno dei più feroci boss locali, Andrea sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Trattare con un tossico come Mauro era una cosa, dover fare i conti con il Rosso era tutto un altro paio di maniche. Doveva stare molto attento, calcolare ogni mossa e cercare di non commettere il minimo passo falso.
- E io cosa c’entro? ‐
- Molto semplice. Per motivi che non ti posso spiegare, al Rosso farebbe piacere che i suoi due amici cinesi, per così dire, si alzassero alla fine dal tavolo di poker con molti soldi in meno rispetto a quando si sono seduti. E qui entri in gioco tu ‐
- Io? ‐
- Tu, certo. Non sei forse il numero uno dei giocatori di poker italiani, al momento? Su chi potrebbe puntare il Rosso, se non su di te? ‐
Andrea cominciava a capire, ma ancora diversi dettagli non gli tornavano ‐ Scusa, ma tu cosa centri in tutto questo? ‐
- Diciamo che ho promesso al Rosso che avrei fatto da tramite. Un piccolo favore, in cambio di un favore un po’ più grosso, che lui dovrebbe fare a me ‐
- E se io mi rifiutassi di prestarmi a questo gioco? ‐
- Beh, a quel punto, per me sarebbero guai grossi – fece Mauro, riprendendo a scostare la terra con il piede ‐ Vedi, il favore che ho chiesto al Rosso è davvero un grande favore. Uno di quelli che possono fare la differenza tra dormire nel tuo letto, o trovare un comodo posto al camposanto. Certo, in questo caso probabilmente non sarei il solo a dover cambiare indirizzo in modo permanente ‐ Mauro guardò Andrea in modo allusivo, ma non c’era bisogno di aggiungere altro. La situazione, ora, era molto chiara.
- Non ci posso credere! ‐ urlò Andrea in preda alla rabbia ‐ Mi hai venduto al Rosso per coprire i debiti che tu hai nei suoi confronti! Come hai potuto fare una cosa simile? ‐
- Messo come sono, venderei mia madre, se questo potesse aiutarmi a guadagnare un po’ di tempo ‐ rispose secco Mauro ‐ Sai, le persone disperate sono le più pericolose, perché non hanno niente da perdere. Tu puoi andare in giro per il mondo fin che vuoi, a giocare a poker e vincere i tornei più importanti del mondo, ma per me sei e rimani sempre il ragazzo di strada che ho conosciuto tanti anni fa. Un ragazzo sveglio, sempre attento a stare lontano dai guai, bravo nel pianificare le varie mosse. Ma anche un ragazzo debole, pauroso. Non farti ingannare dalle apparenze. Anche se mi vedi distrutto e mezzo sfatto, sono ancora perfettamente in grado di costringerti a fare quello che voglio. Pensavi forse di esserti liberato di me, con i soldi che mi hai dato l’altra volta? Beh, mi dispiace deluderti, ma non ci si libera mai del tutto del proprio passato. Ti conviene fare buon viso a cattivo gioco, e vedrai che tutto andrà bene. Tu mi dai un paio di ore del tuo tempo, ti giochi la tua partita facendo quello che ora ti dico, e poi potrai tornare tranquillo alla tua vita di sempre ‐
“Sì, fino alla prossima volta, quando per un motivo o per l’altro tornerai a batter cassa” pensò Andrea. Sarebbe mai riuscito a tagliare in modo definitivo quel nodo, che lo teneva legato ad un se stesso di molti anni prima, un Andrea che aveva a fatica soppresso, per riuscire a far nascere l’Andrea di adesso, togliersi dal fango e raggiungere il successo? Andrea pensò con un brivido che gli sarebbe bastato molto poco, per ritrovarsi nella stessa identica situazione in cui si trovava Mauro in quel momento. Anche lui aveva rischiato di sbandare e di non riuscire più a tornare indietro. Anche lui aveva pericolosamente costeggiato la strada che portava alla dipendenza dalla droga, e alla necessità di procurarsi soldi a tutti i costi, pur di poter comprare la roba. Anche lui, in passato, aveva dovuto chiedere prestiti a personaggi poco raccomandabili. Eppure, alla fine era riuscito a tirarsi fuori da tutto ciò. Era stato un percorso incredibile, a pensarci bene. Aveva pochissime possibilità di farcela, all’inizio. Ma, in un modo o nell’altro, ce l’aveva fatta. E ora non era disposto a sacrificare quello che aveva costruito con tanti sforzi. Mentre ascoltava Mauro, che gli stava impartendo tutte le informazioni sul luogo, l’ora e le regole di quella dannatissima partita di poker, Andrea aveva in mente, in effetti, una sola cosa. Trovare il modo di uscire da quella situazione. Una volta per tutte.
***
Non poteva funzionare, non avrebbe mai funzionato. Fu la prima cosa che pensò, non appena risalito in macchina. Non era il caso di mettersi lì a spiegarlo a Mauro, o tantomeno al Rosso, ma le sue probabilità di vincere in una singola partita contro una coppia di dilettanti non erano sostanzialmente diverse rispetto a quelle di chiunque altro. Per far emergere la sua abilità di giocatore professionista, avrebbe dovuto giocare un numero di mani molto più grande. Ci sarebbe voluto molto tempo, troppo tempo. E lui, di tempo non ne aveva. Ormai, era in piena zona Cesarini. Doveva decidere, e farlo in fretta, anche se in quel momento non sapeva proprio che pesci pigliare. In quel momento, gli tornò in mente il libro sul calcio che aveva leggiucchiato sul volo di andata. Era di uno scrittore sudamericano, un certo Soriano, uno di quelli che piacevano tanto a Sergio. L’aveva fatto passare velocemente, anche per distrarsi un attimo dal pensiero del torneo. Però, una frase gli era rimasta in mente. Diceva: “Il calcio è dubbio costante e decisione rapida”.
Erano più o meno le cose che gli diceva il suo allenatore, quando era ragazzo. “Non restare lì imbambolato, dalla via veloce quella palla. Se la fai viaggiare, la palla è più veloce di qualsiasi giocatore, ma se perdi tempo a pensare, te la farai fregare sempre”. Non bisognava mai aspettare, ma agire, anche quando si era incerti. Con il tempo, aveva capito che la stessa cosa poteva dirsi anche del poker. E in fondo, anche della vita. Sono capaci tutti a decidere quando le cose sono chiare: i veri campioni sono quelli che decidono nel mezzo del caos. Mentre tornava a casa Andrea si rese conto che, in effetti, la sua decisione l’aveva già presa. Certo, era una decisione che segnava una frattura netta, rispetto al ragazzo di strada che era sempre stato. Se fosse stato ancora nel gruppo lo avrebbero etichettato come un infame e gli avrebbero fatto cambiare idea, gli avrebbero fatto capire, con le buone o con le cattive, che certe cose non si fanno. Mai. Ma ormai, lui non era più nel gruppo. Non era più un ragazzo di strada. Era un giocatore di poker. Meglio ancora, era un campione. E i campioni decidono in fretta.
***
La polizia aveva fatto irruzione proprio al momento giusto, quando le cose cominciavano a mettersi male. Manco a dirlo, Andrea era incappato in una di quelle serate in cui non vedeva una carta buona nemmeno a pagarla. Era riuscito, con un paio di piccole forzature e alcuni bluff ben congegnati, a rimanere a galla in qualche modo, ma i mafiosi cinesi si erano già appropriati di buona parte della sua posta iniziale. Ancora poche mani, e gli sarebbero rimasti solo gli spiccioli per il caffè. L’arrivo delle forze dell’ordine era stato un vero toccasana, da questo punto di vista. Dal canto loro, gli agenti potevano ben dirsi soddisfatti per la brillante riuscita dell’operazione. Grazie all’effetto sorpresa, erano riusciti in colpo solo a mettere le mani sui vertici della banda del Rosso, a cui davano la caccia da diverso tempo, e a catturare due esponenti di spicco della malavita cinese, sui quali pendeva un mandato di cattura internazionale. Per reggere il gioco ad Andrea, che aveva fornito la soffiata giusta, anche lui era stato arrestato insieme agli altri. Ma era già d’accordo con il commissario che eventuali capi di accusa a suo carico sarebbero stati stralciati dal giudice per le indagini preliminari. Quanto al destino di Mauro, la cosa non lo riguardava. Non più, almeno. Catturando il Rosso, e i suoi collaboratori più stretti, la polizia aveva praticamente decapitato la cosca a cui Mauro doveva dei soldi. I boss che non erano stati presi avevano altro a cui pensare, in quel momento, che mettersi a rincorrere un pesce piccolo che era in debito con loro per qualche storia di droga. Per il resto, che si arrangiasse. Una volta finita quella storia, Andrea avrebbe trovato il modo di troncare i ponti di netto. Anche questo faceva parte della decisione che aveva preso.
Nel momento in cui gli misero le manette ai polsi, Andrea aveva appena finito di sbirciare le carte che il dealer gli aveva smazzato. Erano una coppia di nove neri, a picche e a fiori. La stessa mano con cui aveva vinto la mano conclusiva dell’EPT di Praga. Mentre lasciava la stanza, e in qualche modo diceva addio a tutta una parte consistente del suo passato, Andrea non poté trattenere un sorriso. Un professionista come lui sapeva bene che certe cose non contano. Ma forse, in fondo in fondo, non c’era poi nulla di male nell’essere un poco scaramantici.
Andrea Pozzali
Mentre aspettava il bagaglio, Andrea cominciò a passare in rassegna le centinaia di messaggi che gli erano arrivati sul cellulare durante il volo. Oltre ai vari complimenti provenienti da amici e conoscenti, anche moltissime persone che non conosceva direttamente avevano trovato il modo di mettersi in contatto con lui. Era tutta gente che da tempo lo seguiva sui social, o sul suo stream di Twitch, o che semplicemente aveva sentito parlare di lui ed era riuscita in qualche modo a risalire ai suoi contatti sul web. Il tavolo finale era stato trasmesso in diretta sul web, e questa era stata davvero una bella pubblicità. Anche i suoi ultimi post su Facebook e Twitter strabordavano di commenti e reazioni positive. La sua prossima sessione dimostrativa di gioco avrebbe di certo fatto segnare un record. Tanto meglio, erano ulteriori soldini che si sarebbero aggiunti a quelli che aveva già messo in tasca vincendo il torneo.
Certo che era strana, la vita. Un professionista come lui non poteva certo permettersi di essere scaramantico, però non poteva fare a meno di pensare che, sotto sotto, Praga gli portasse fortuna. Tutte le volte che si era recato in quella città gli era sempre capitato qualcosa di bello, fin dai tempi della gita scolastica, quando si era fatto la sua compagna di classe Alessandra, la ragazza più ambita di tutta la scuola. E ora, era addirittura riuscito a trionfare nell’European Poker Tour: una maratona durata sei giorni, ore e ore passate ai tavoli ad aspettare le carte giuste. Una faticaccia, in un certo senso, ma ne era valsa la pena. Si erano presentati al via 1052 giocatori e lui li aveva messi in fila tutti quanti, trionfando e portandosi a casa il trofeo, oltre agli 850.000 euro destinati al vincitore. Tolta la quota di iscrizione e le spese, e sottratta la parte che doveva ai suoi colleghi che gli avevano comprato delle quote, in tasca gli erano rimasti poco più di 450.000 euro. Un inizio di anno davvero con il botto. Sì, forse era il caso di recarsi a Praga più spesso, se quelli erano i risultati.
Andrea prese il suo trolley, che nel frattempo era arrivato, e si incamminò verso l’uscita. Era ancora un po’ frastornato. I postumi dell’ultima notte passata a Praga, tra fiumi di champagne e il sesso sfrenato con le due escort con cui aveva festeggiato la vittoria, si facevano sentire. Forse cominciava a non avere più il fisico per certe cose. Non vedeva l’ora di arrivare a casa, bersi qualcosa di caldo e mettersi a letto con un paio di aspirine. Mentre aspettava il taxi, però, qualcosa arrivò a guastare i suoi piani, cambiando in un sol colpo il suo umore. Tra tutti quelli che gli avevano scritto su Whatsapp, c’era un numero che non avrebbe mai voluto vedere. E anche il messaggio non lasciava ben sperare: “Ciao campione, a feste finite fai un salto alla Stecca. Devo parlarti”. Ripose il cellulare nella tasca del giaccone, affidò il suo trolley al taxista e salì a bordo, dando l’indirizzo del suo appartamento. Per tutto il tragitto, rimase a fissare un punto indistinto in movimento, fuori dal finestrino. La Stecca. Quanto tempo era passato, dall’ultima volta che aveva sentito quel nome? Tre anni? Quattro? Ma non sarebbe proprio mai riuscito a liberarsi di quella parte del suo passato?
***
La Stecca era il nome che, anni prima, il gruppo dei ragazzi aveva dato ad una costruzione fatiscente, che sorgeva proprio al limitare del bosco dove ci si ritrovava per comprare le dosi di droga. Poco più in là, un sentiero tra gli alberi portava all’argine del fiume, posto di incontri per omosessuali e travestiti. Il viavai cominciava di solito verso tarda sera, per prolungarsi fino alle prime ore dell’alba, quando anche gli ultimi irriducibili tornavano, esausti, alle loro vite di tutti i giorni. Reduce da più di dodici ore abbondanti di riposo, e da una sana doccia rigenerante, Andrea arrivò sul posto poco prima dell’ora concordata per l’appuntamento. Il suo cellulare segnava le 10.50 del mattino. A quell’ora, il luogo era deserto.
Andrea aveva parcheggiato la sua macchina alcune centinaia di metri prima del curvone da cui partiva la stradina sterrata che portava alla Stecca, davanti ad uno dei capannoni della zona industriale, e poi aveva percorso a piedi l’ultimo tratto di strada. Aveva lasciato orologio e carte di credito a casa, portando con sé solo la patente e qualche contante. Prima di partire, poi, aveva lasciato un messaggio al suo amico Sergio, spiegandogli dove stava andando e dandogli indicazioni su come procedere, nel caso non si fosse fatto vivo di lì a due ore. Sentiva di non potersi fidare del tutto. Del resto, giocare a poker lo aveva abituato a calcolare tutti gli scenari possibili, e a ridurre al minimo i rischi.
La giornata era molto fredda. Un pallido sole stentava a farsi strada tra le nuvole, e un velo di foschia sembrava galleggiare sulle sterpaglie e sui capannoni che erano gli unici elementi di quello squallido paesaggio di periferia. Arrivato alla Stecca, Andrea si guardò attorno. Non vedendo il minimo segnale di vita, si chiese se non fosse il caso di provare ad entrare, anche se la prospettiva non lo entusiasmava. Ricordava bene l’interno di quell’edificio pericolante, fatto di rifiuti, topi, siringhe e preservativi usati. Non un bello spettacolo. Era ancora incerto sul da farsi, quando dall’angolo, come se fosse un fantasma, vide emergere la persona che stava aspettando.
Sulle prime faticò a riconoscerlo: davanti a lui non c’era il ragazzo alto e muscoloso che gli aveva insegnato a fare a botte nei primi anni delle scuole medie, ma un uomo pallido, dal volto scavato e smunto. Indossava un giubbotto lacero e un cappellaccio di lana sporco e infeltrito, un paio di jeans consunti e degli anfibi completamente sformati. Lo sguardo era come assente, e ad Andrea parve di scorgere un lieve tremito nelle mani.
- Olà, campione! Sapevo che saresti arrivato ‐
- Mauro? ‐
- Eh già, sono proprio io. Sono un po’ cambiato, eh? Non occorre nemmeno chiedermi come me la passo ‐ Mauro fece un sorriso amaro, quel tanto che bastò ad Andrea per rendersi conto di come l’amico avesse perso diversi denti davanti, e di come quelli rimasti fossero ormai quasi del tutto marci ‐ Si vede bene che me la passo di merda. Tu invece, ho visto che ormai vai alla grande, eh? ‐
“Devo cercare di troncare il prima possibile” pensò Andrea tra sé. Le cose andavano ancora peggio di quanto avesse immaginato. Era chiaro come Mauro fosse ricaduto per l’ennesima volta nella droga. Andrea ebbe una fitta di dolore, mentre ricordava tutti gli anni che avevano passato insieme quando erano giovani, sempre inseparabili a correre dietro alle ragazze e ad ubriacarsi ai concerti rock. Ma ora quel mondo era morto per sempre. Lui ora aveva una vita, un lavoro che si era in qualche modo inventato, partendo da zero, con fortuna, passione e tanta fatica. Era quel mondo, che doveva a tutti i costi difendere, con le unghie e con i denti. Anche se, per farlo, avrebbe forse dovuto uccidere una parte di se stesso.
- Hai detto che dovevi parlarmi, al telefono. Di che si tratta? ‐
- Oh, quanta fretta. Vedo che non hai molta voglia di parlare con un vecchio amico, eh? Del resto, come darti torto. A dir la verità, ‐ fece Mauro reclinando il capo e strisciando più volte il piede, come se davanti a sé ci fosse qualcosa, per terra, che gli stesse dando fastidio, ma che lui stesso faticava ad individuare ‐ anche io non mi trovo più molto, a parlare con me stesso. Arrivi ad un punto, in cui tutti i discorsi che puoi fare ti danno sui nervi. Anche perché, purtroppo, le parole non servono a molto, in certi casi. Servono i fatti ‐
- E a quanto ammonterebbero, di preciso, questi “fatti” di cui avresti bisogno? ‐ tanto valeva andare subito al dunque. Più tempo passava in quel posto, più si sentiva a disagio, e più i suoi buoni propositi rischiavano di crollare.
- Questa volta è diverso ‐ il tono di Mauro si fece di colpo più duro. Alzò lo sguardo, e fissò l’amico negli occhi. Adesso la sua espressione non era più vaga, ma sottilmente minacciosa. Per un attimo, Andrea ebbe l’impulso di fare un passo indietro, ma cambiò subito idea. Non doveva dare a vedere di essere spaventato. Anche questo, l’aveva imparato grazie al poker.
- Cosa vuoi dire? ‐
- Voglio dire che questa volta non mi servono i tuoi soldi. Mi servi tu ‐
- Io? E cosa dovrei fare? ‐
- Niente di più di quello che fai tutti i giorni. Sederti a un tavolo di poker -
Andrea rimase per un attimo sbigottito, in silenzio. Non riusciva a capire dove Mauro volesse andare a parare. Senza dargli modo di ribattere, l’amico proseguì:
- Un pokerista come te avrà sicuramente sentito parlare di Macao, giusto? ‐
- Certo. È la meta preferita dei grandi professionisti americani. Le partite più ricche del pianeta si giocano lì. Ma io non ci sono mai andato ‐
- Per quale motivo? ‐
- Girano troppi soldi, io non posso permettermi di rischiare certe somme. E poi, sembra che non sia molto sicuro. Pare che la maggior parte delle sale da poker sia controllata dalla mafia cinese. Gira voce che persino qualche famoso professionista sia a libro paga della malavita ‐
- Vedo che sei bene informato. Non c’è da stupirsi, del resto. Quello che forse non sai è che la mafia cinese non opera solo a Macao. Anche qui da noi ci sono mafiosi cinesi a cui piace il poker ‐
- Ma le partite che si trovano qui in Italia sono pochissime, e inoltre le cifre in ballo sono ridicolmente basse. Che interesse potrebbe mai avere la mafia cinese ad entrare in un giro così insignificante? ‐
- Quello che tu dici vale per le partite legali. Non certo per le partite clandestine ‐ Mauro storse di nuovo la bocca in una smorfia ‐ In quelle, ti assicuro che di soldi ne girano parecchi anche da noi ‐
- Certo, ma quel tipo di partite non mi interessano ‐
- Beh, mi sa che dovresti cominciare ad interessartene, invece ‐
- Che vuoi dire? ‐ fece Andrea con aria sospettosa. La situazione cominciava a prendere una piega che non gli piaceva per niente
- Voglio dire ‐ riprese Mauro ‐ che il Rosso sta organizzando una partita a poker per un paio di suoi amici cinesi, pezzi grossi della malavita, che sono in Italia per controllare certi loro affari qui a Chinatown ‐
Sentendo il nome di uno dei più feroci boss locali, Andrea sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Trattare con un tossico come Mauro era una cosa, dover fare i conti con il Rosso era tutto un altro paio di maniche. Doveva stare molto attento, calcolare ogni mossa e cercare di non commettere il minimo passo falso.
- E io cosa c’entro? ‐
- Molto semplice. Per motivi che non ti posso spiegare, al Rosso farebbe piacere che i suoi due amici cinesi, per così dire, si alzassero alla fine dal tavolo di poker con molti soldi in meno rispetto a quando si sono seduti. E qui entri in gioco tu ‐
- Io? ‐
- Tu, certo. Non sei forse il numero uno dei giocatori di poker italiani, al momento? Su chi potrebbe puntare il Rosso, se non su di te? ‐
Andrea cominciava a capire, ma ancora diversi dettagli non gli tornavano ‐ Scusa, ma tu cosa centri in tutto questo? ‐
- Diciamo che ho promesso al Rosso che avrei fatto da tramite. Un piccolo favore, in cambio di un favore un po’ più grosso, che lui dovrebbe fare a me ‐
- E se io mi rifiutassi di prestarmi a questo gioco? ‐
- Beh, a quel punto, per me sarebbero guai grossi – fece Mauro, riprendendo a scostare la terra con il piede ‐ Vedi, il favore che ho chiesto al Rosso è davvero un grande favore. Uno di quelli che possono fare la differenza tra dormire nel tuo letto, o trovare un comodo posto al camposanto. Certo, in questo caso probabilmente non sarei il solo a dover cambiare indirizzo in modo permanente ‐ Mauro guardò Andrea in modo allusivo, ma non c’era bisogno di aggiungere altro. La situazione, ora, era molto chiara.
- Non ci posso credere! ‐ urlò Andrea in preda alla rabbia ‐ Mi hai venduto al Rosso per coprire i debiti che tu hai nei suoi confronti! Come hai potuto fare una cosa simile? ‐
- Messo come sono, venderei mia madre, se questo potesse aiutarmi a guadagnare un po’ di tempo ‐ rispose secco Mauro ‐ Sai, le persone disperate sono le più pericolose, perché non hanno niente da perdere. Tu puoi andare in giro per il mondo fin che vuoi, a giocare a poker e vincere i tornei più importanti del mondo, ma per me sei e rimani sempre il ragazzo di strada che ho conosciuto tanti anni fa. Un ragazzo sveglio, sempre attento a stare lontano dai guai, bravo nel pianificare le varie mosse. Ma anche un ragazzo debole, pauroso. Non farti ingannare dalle apparenze. Anche se mi vedi distrutto e mezzo sfatto, sono ancora perfettamente in grado di costringerti a fare quello che voglio. Pensavi forse di esserti liberato di me, con i soldi che mi hai dato l’altra volta? Beh, mi dispiace deluderti, ma non ci si libera mai del tutto del proprio passato. Ti conviene fare buon viso a cattivo gioco, e vedrai che tutto andrà bene. Tu mi dai un paio di ore del tuo tempo, ti giochi la tua partita facendo quello che ora ti dico, e poi potrai tornare tranquillo alla tua vita di sempre ‐
“Sì, fino alla prossima volta, quando per un motivo o per l’altro tornerai a batter cassa” pensò Andrea. Sarebbe mai riuscito a tagliare in modo definitivo quel nodo, che lo teneva legato ad un se stesso di molti anni prima, un Andrea che aveva a fatica soppresso, per riuscire a far nascere l’Andrea di adesso, togliersi dal fango e raggiungere il successo? Andrea pensò con un brivido che gli sarebbe bastato molto poco, per ritrovarsi nella stessa identica situazione in cui si trovava Mauro in quel momento. Anche lui aveva rischiato di sbandare e di non riuscire più a tornare indietro. Anche lui aveva pericolosamente costeggiato la strada che portava alla dipendenza dalla droga, e alla necessità di procurarsi soldi a tutti i costi, pur di poter comprare la roba. Anche lui, in passato, aveva dovuto chiedere prestiti a personaggi poco raccomandabili. Eppure, alla fine era riuscito a tirarsi fuori da tutto ciò. Era stato un percorso incredibile, a pensarci bene. Aveva pochissime possibilità di farcela, all’inizio. Ma, in un modo o nell’altro, ce l’aveva fatta. E ora non era disposto a sacrificare quello che aveva costruito con tanti sforzi. Mentre ascoltava Mauro, che gli stava impartendo tutte le informazioni sul luogo, l’ora e le regole di quella dannatissima partita di poker, Andrea aveva in mente, in effetti, una sola cosa. Trovare il modo di uscire da quella situazione. Una volta per tutte.
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Non poteva funzionare, non avrebbe mai funzionato. Fu la prima cosa che pensò, non appena risalito in macchina. Non era il caso di mettersi lì a spiegarlo a Mauro, o tantomeno al Rosso, ma le sue probabilità di vincere in una singola partita contro una coppia di dilettanti non erano sostanzialmente diverse rispetto a quelle di chiunque altro. Per far emergere la sua abilità di giocatore professionista, avrebbe dovuto giocare un numero di mani molto più grande. Ci sarebbe voluto molto tempo, troppo tempo. E lui, di tempo non ne aveva. Ormai, era in piena zona Cesarini. Doveva decidere, e farlo in fretta, anche se in quel momento non sapeva proprio che pesci pigliare. In quel momento, gli tornò in mente il libro sul calcio che aveva leggiucchiato sul volo di andata. Era di uno scrittore sudamericano, un certo Soriano, uno di quelli che piacevano tanto a Sergio. L’aveva fatto passare velocemente, anche per distrarsi un attimo dal pensiero del torneo. Però, una frase gli era rimasta in mente. Diceva: “Il calcio è dubbio costante e decisione rapida”.
Erano più o meno le cose che gli diceva il suo allenatore, quando era ragazzo. “Non restare lì imbambolato, dalla via veloce quella palla. Se la fai viaggiare, la palla è più veloce di qualsiasi giocatore, ma se perdi tempo a pensare, te la farai fregare sempre”. Non bisognava mai aspettare, ma agire, anche quando si era incerti. Con il tempo, aveva capito che la stessa cosa poteva dirsi anche del poker. E in fondo, anche della vita. Sono capaci tutti a decidere quando le cose sono chiare: i veri campioni sono quelli che decidono nel mezzo del caos. Mentre tornava a casa Andrea si rese conto che, in effetti, la sua decisione l’aveva già presa. Certo, era una decisione che segnava una frattura netta, rispetto al ragazzo di strada che era sempre stato. Se fosse stato ancora nel gruppo lo avrebbero etichettato come un infame e gli avrebbero fatto cambiare idea, gli avrebbero fatto capire, con le buone o con le cattive, che certe cose non si fanno. Mai. Ma ormai, lui non era più nel gruppo. Non era più un ragazzo di strada. Era un giocatore di poker. Meglio ancora, era un campione. E i campioni decidono in fretta.
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La polizia aveva fatto irruzione proprio al momento giusto, quando le cose cominciavano a mettersi male. Manco a dirlo, Andrea era incappato in una di quelle serate in cui non vedeva una carta buona nemmeno a pagarla. Era riuscito, con un paio di piccole forzature e alcuni bluff ben congegnati, a rimanere a galla in qualche modo, ma i mafiosi cinesi si erano già appropriati di buona parte della sua posta iniziale. Ancora poche mani, e gli sarebbero rimasti solo gli spiccioli per il caffè. L’arrivo delle forze dell’ordine era stato un vero toccasana, da questo punto di vista. Dal canto loro, gli agenti potevano ben dirsi soddisfatti per la brillante riuscita dell’operazione. Grazie all’effetto sorpresa, erano riusciti in colpo solo a mettere le mani sui vertici della banda del Rosso, a cui davano la caccia da diverso tempo, e a catturare due esponenti di spicco della malavita cinese, sui quali pendeva un mandato di cattura internazionale. Per reggere il gioco ad Andrea, che aveva fornito la soffiata giusta, anche lui era stato arrestato insieme agli altri. Ma era già d’accordo con il commissario che eventuali capi di accusa a suo carico sarebbero stati stralciati dal giudice per le indagini preliminari. Quanto al destino di Mauro, la cosa non lo riguardava. Non più, almeno. Catturando il Rosso, e i suoi collaboratori più stretti, la polizia aveva praticamente decapitato la cosca a cui Mauro doveva dei soldi. I boss che non erano stati presi avevano altro a cui pensare, in quel momento, che mettersi a rincorrere un pesce piccolo che era in debito con loro per qualche storia di droga. Per il resto, che si arrangiasse. Una volta finita quella storia, Andrea avrebbe trovato il modo di troncare i ponti di netto. Anche questo faceva parte della decisione che aveva preso.
Nel momento in cui gli misero le manette ai polsi, Andrea aveva appena finito di sbirciare le carte che il dealer gli aveva smazzato. Erano una coppia di nove neri, a picche e a fiori. La stessa mano con cui aveva vinto la mano conclusiva dell’EPT di Praga. Mentre lasciava la stanza, e in qualche modo diceva addio a tutta una parte consistente del suo passato, Andrea non poté trattenere un sorriso. Un professionista come lui sapeva bene che certe cose non contano. Ma forse, in fondo in fondo, non c’era poi nulla di male nell’essere un poco scaramantici.
Andrea Pozzali