Tornando a casa
Inviato: lunedì 21 gennaio 2019, 23:05
TORNANDO A CASA
“Qualcosa di terribile sta accadendo ad Ardesia, devi tornare subito”.
Cercai di ragionare, ma quella telefonata mi aveva spiazzato. Me ne ero andato da Ardesia già da trent’anni, avevo cercato di dimenticarla. “Chi sei? Perché mi stai chiamando?”.
Quella voce la conoscevo, apparteneva al mio passato, però non riuscivo a inquadrarla. Era un uomo, sembrava giovane.
“Non importa, adesso. È necessario che tu venga”.
La domanda successiva era d’obbligo. “È successo qualcosa a mia madre?”.
“Succederà se non vieni”.
Quant’era che non la sentivo? Almeno due anni, forse tre. Lei non chiamava mai, io sempre più di rado. “Sta bene?”.
“Ti importa saperlo?”.
Era uno sconosciuto, però mi conosceva. Anche troppo. “Ti ha detto lei di chiamarmi?”.
“Non la conosci affatto”.
“Tu sì?”.
“Molto meglio di te”.
Era una telefonata assurda. “Perché dovrei venire? Che sta succedendo?”.
All’altro capo ci fu un sospiro. “Stiamo sparendo”, disse alla fine. “Non sappiamo che ne sarà di loro quando noi non ci saremo più”.
“Scusa?”, chiesi confuso. “Chi sta sparendo? Che vuol dire?”.
“Noi! Noi stiamo sparendo. Alcuni di noi sono già scomparsi. Sta iniziando anche con me, non resterò molto”.
Era più che inquietante. “Chi sei?”, chiesi di nuovo.
“Quello che ha preso il tuo posto. Tua madre aveva bisogno di me”.
Cercai di non travisare. “In che senso?”.
“Tutti ne avevano bisogno, li avete lasciati soli”.
Non intendevo assumermi alcuna colpa. “Le ho offerto cento volte di trasferirsi. Di venire in città con me. È lei che non ne ha voluto sapere”.
“Perché c’eravamo noi. Non avevano bisogno di altro”.
“E voi cosa sareste?”.
“La versione migliore di ciò che eravate voi. Ciò che hanno perso. I figli perfetti. Pronti ad amarli e prendersi cura di loro. Sempre uguali, che non cresceranno e non invecchieranno mai. Che non li abbandoneranno”.
Deglutii. Ecco perché quella voce mi era sembrata famigliare, era la mia. Lo era stata, almeno, tanti anni prima. “È una follia”.
“Credi che per me sia stato facile chiamarti? Non c’erano alternative, quando noi non ci saremo più loro resteranno soli. Sono vecchi, ormai, troppo vecchi. Non ce la possono fare”.
“Mia madre…”.
“Mamma ha più di settant’anni. Le sono sempre stato accanto, ne sarà annientata”.
Stavo abbracciando quell’assurdità. “Non ci sentiamo tanto spesso”.
“Perché non ne ha bisogno. Ci sono io. Quando chiami la fai solo stare male. Entra in crisi, ha il timore di essere impazzita. Occorrono giorni per calmarla”.
“Tu… cosa sei?”.
“Ha qualche importanza? Noi abbiamo riempito un vuoto, che voi avete creato. Abbiamo dato loro una ragione di esistere. Erano rimasti solo i vecchi ad Ardesia. Vecchi e soli”.
“Perché stai sparendo?”.
“Non lo so, sta solo succedendo. Magari non servo più. Oppure è giunta la mia ora”.
“E mia madre?”.
“Ha bisogno di te, adesso. Sei cambiato, ora anche tu sei vecchio, però presto non le rimarrà niente altro. Verrai, allora? Devi fare in fretta”.
Avevo mille domande, ma le risposte non mi avrebbero aiutato. Ricordai mia madre, quand’ero partito per andare all’università. Non avevo mai fatto ritorno. Completamente diversa dalla donna che sentivo ogni tanto per telefono. La nostalgia mi colse a tradimento.
Tutto ciò che avevo creato nella mia vita in quell’istante mi parve irrilevante.
“Aspetta, sto arrivando”, mormorai. “Cerca di resistere. Resta ancora un po’”.
“Qualcosa di terribile sta accadendo ad Ardesia, devi tornare subito”.
Cercai di ragionare, ma quella telefonata mi aveva spiazzato. Me ne ero andato da Ardesia già da trent’anni, avevo cercato di dimenticarla. “Chi sei? Perché mi stai chiamando?”.
Quella voce la conoscevo, apparteneva al mio passato, però non riuscivo a inquadrarla. Era un uomo, sembrava giovane.
“Non importa, adesso. È necessario che tu venga”.
La domanda successiva era d’obbligo. “È successo qualcosa a mia madre?”.
“Succederà se non vieni”.
Quant’era che non la sentivo? Almeno due anni, forse tre. Lei non chiamava mai, io sempre più di rado. “Sta bene?”.
“Ti importa saperlo?”.
Era uno sconosciuto, però mi conosceva. Anche troppo. “Ti ha detto lei di chiamarmi?”.
“Non la conosci affatto”.
“Tu sì?”.
“Molto meglio di te”.
Era una telefonata assurda. “Perché dovrei venire? Che sta succedendo?”.
All’altro capo ci fu un sospiro. “Stiamo sparendo”, disse alla fine. “Non sappiamo che ne sarà di loro quando noi non ci saremo più”.
“Scusa?”, chiesi confuso. “Chi sta sparendo? Che vuol dire?”.
“Noi! Noi stiamo sparendo. Alcuni di noi sono già scomparsi. Sta iniziando anche con me, non resterò molto”.
Era più che inquietante. “Chi sei?”, chiesi di nuovo.
“Quello che ha preso il tuo posto. Tua madre aveva bisogno di me”.
Cercai di non travisare. “In che senso?”.
“Tutti ne avevano bisogno, li avete lasciati soli”.
Non intendevo assumermi alcuna colpa. “Le ho offerto cento volte di trasferirsi. Di venire in città con me. È lei che non ne ha voluto sapere”.
“Perché c’eravamo noi. Non avevano bisogno di altro”.
“E voi cosa sareste?”.
“La versione migliore di ciò che eravate voi. Ciò che hanno perso. I figli perfetti. Pronti ad amarli e prendersi cura di loro. Sempre uguali, che non cresceranno e non invecchieranno mai. Che non li abbandoneranno”.
Deglutii. Ecco perché quella voce mi era sembrata famigliare, era la mia. Lo era stata, almeno, tanti anni prima. “È una follia”.
“Credi che per me sia stato facile chiamarti? Non c’erano alternative, quando noi non ci saremo più loro resteranno soli. Sono vecchi, ormai, troppo vecchi. Non ce la possono fare”.
“Mia madre…”.
“Mamma ha più di settant’anni. Le sono sempre stato accanto, ne sarà annientata”.
Stavo abbracciando quell’assurdità. “Non ci sentiamo tanto spesso”.
“Perché non ne ha bisogno. Ci sono io. Quando chiami la fai solo stare male. Entra in crisi, ha il timore di essere impazzita. Occorrono giorni per calmarla”.
“Tu… cosa sei?”.
“Ha qualche importanza? Noi abbiamo riempito un vuoto, che voi avete creato. Abbiamo dato loro una ragione di esistere. Erano rimasti solo i vecchi ad Ardesia. Vecchi e soli”.
“Perché stai sparendo?”.
“Non lo so, sta solo succedendo. Magari non servo più. Oppure è giunta la mia ora”.
“E mia madre?”.
“Ha bisogno di te, adesso. Sei cambiato, ora anche tu sei vecchio, però presto non le rimarrà niente altro. Verrai, allora? Devi fare in fretta”.
Avevo mille domande, ma le risposte non mi avrebbero aiutato. Ricordai mia madre, quand’ero partito per andare all’università. Non avevo mai fatto ritorno. Completamente diversa dalla donna che sentivo ogni tanto per telefono. La nostalgia mi colse a tradimento.
Tutto ciò che avevo creato nella mia vita in quell’istante mi parve irrilevante.
“Aspetta, sto arrivando”, mormorai. “Cerca di resistere. Resta ancora un po’”.