L'isola
Inviato: lunedì 21 gennaio 2019, 23:35
di Gabriele Cavallini
"Vieni a fumare?!" gli urlò Massimo. Si trovava dietro il bancone e aveva appena ingurgitato l'ennesimo shot della serata.
"E'?!". Davide non aveva capito niente in mezzo a quel casino. Massimo superò il bancone con un salto e un pò barcollante gli si avvicinò all'orecchio.
"A fumare vieni?" disse biascicando.
"Vado a pisciare"
"Ti aspetto fuori"
Davide lo guardò allontanarsi, poi proseguì dalla parte opposta passando in mezzo alla pista. Improvvisò una specie di ballo mentre camminava fra la gente, portandosi di tanto in tanto la cannuccia alla bocca per bere. La musica altissima e le luci troppo luminose lo rintontivano. O più probabilmente era il quarto negroni, o il quinto non ricordava. Il bagno stava in fondo ad una scala molto ripida; di solito procedeva con cautela appoggiando le mani ad entrambi i corrimano. Poi uno stretto corridoio con lavandini e specchi ed infine una porta rossa al di la del quale stava il gabinetto. Quando Davide arrivò non c'era nessuno. Aprì la porta rossa e questa si richiuse con violenza dietro di lui, senza che l'avesse minimamente sfiorata. La luce nel bagno funzionava a intermittenza, come se ci fossero state continue interruzioni di corrente. Appoggiò la bevuta sulla cassetta e si liberò la vescica, socchiudendo gli occhi. Quando li riaprì la luce stava funzionando normalmente: riprese il suo drink ed uscì dalla porta rossa. Passò lungo il corridoio ancora vuoto e dopo un attimo di incertezza decise di non lavarsi le mani perche non aveva voglia. Mentre saliva la scala tirò fuori il pacchetto di sigarette, ne estrasse una e se la portò alle labbra. Terminata la scala svoltò a destra costeggiando la pista da ballo. Era vuota. The rhythm of the night risuonava fortissima, ma non c'era nessuno. Uscì fuori dal locale e lo accolse la totale desolazione. Sparsi per terra c'erano un centinaio di bicchieri di plastica rovesciati, il miscuglio di alcolici aveva un odore acre e fornivano una sensazione appiccicosa sotto le suole delle sue scarpe; i cubetti di ghiaccio disseminati come iceberg in un mare inquinato. Camminò in punta di piedi, cercando di scansarli come se avessero potuto ferirlo e si proiettò verso l'esterno del locale. Il parcheggio era pieno di macchine. Ce n'era addirittura una con lo sportello aperto e la luce accesa, un'altra più lontana in moto. Ma non c'era traccia di anima viva. Proseguì fuori, verso la strada provinciale, camminando al centro della carreggiata, con ancora il bicchiere in mano. Quando se ne accorse lo guardò come un oggetto estraneo e lo lanciò lontano, urlando contro la notte. Continuò a camminare per diversi minuti, barcollante e confuso, in mezzo a quel nulla, che fino a poco prima per lui era tutto. Era inverno e non faceva molto freddo, ma in quel momento di sentì congelare, come se una tempesta si fosse abbattuta sull'isola, portandosi via tutto, compreso il calore e tutti quelli che conosceva.
Quando finalmente arrivò a casa si gettò vestito sul letto. Pianse fino a farsi appiccicare il volto contro i lenzuoli e si addormentò.
Lo svegliò alle prime luci dell'alba il canto del gallo del suo vicino di casa. Aprì la finestra, respirando l'odore del mare e rimase a fissare per ore la strada, gli alberi e quella distesa di azzurri che si confondevano nell'orizzonte. Era rimasto solo.
"Vieni a fumare?!" gli urlò Massimo. Si trovava dietro il bancone e aveva appena ingurgitato l'ennesimo shot della serata.
"E'?!". Davide non aveva capito niente in mezzo a quel casino. Massimo superò il bancone con un salto e un pò barcollante gli si avvicinò all'orecchio.
"A fumare vieni?" disse biascicando.
"Vado a pisciare"
"Ti aspetto fuori"
Davide lo guardò allontanarsi, poi proseguì dalla parte opposta passando in mezzo alla pista. Improvvisò una specie di ballo mentre camminava fra la gente, portandosi di tanto in tanto la cannuccia alla bocca per bere. La musica altissima e le luci troppo luminose lo rintontivano. O più probabilmente era il quarto negroni, o il quinto non ricordava. Il bagno stava in fondo ad una scala molto ripida; di solito procedeva con cautela appoggiando le mani ad entrambi i corrimano. Poi uno stretto corridoio con lavandini e specchi ed infine una porta rossa al di la del quale stava il gabinetto. Quando Davide arrivò non c'era nessuno. Aprì la porta rossa e questa si richiuse con violenza dietro di lui, senza che l'avesse minimamente sfiorata. La luce nel bagno funzionava a intermittenza, come se ci fossero state continue interruzioni di corrente. Appoggiò la bevuta sulla cassetta e si liberò la vescica, socchiudendo gli occhi. Quando li riaprì la luce stava funzionando normalmente: riprese il suo drink ed uscì dalla porta rossa. Passò lungo il corridoio ancora vuoto e dopo un attimo di incertezza decise di non lavarsi le mani perche non aveva voglia. Mentre saliva la scala tirò fuori il pacchetto di sigarette, ne estrasse una e se la portò alle labbra. Terminata la scala svoltò a destra costeggiando la pista da ballo. Era vuota. The rhythm of the night risuonava fortissima, ma non c'era nessuno. Uscì fuori dal locale e lo accolse la totale desolazione. Sparsi per terra c'erano un centinaio di bicchieri di plastica rovesciati, il miscuglio di alcolici aveva un odore acre e fornivano una sensazione appiccicosa sotto le suole delle sue scarpe; i cubetti di ghiaccio disseminati come iceberg in un mare inquinato. Camminò in punta di piedi, cercando di scansarli come se avessero potuto ferirlo e si proiettò verso l'esterno del locale. Il parcheggio era pieno di macchine. Ce n'era addirittura una con lo sportello aperto e la luce accesa, un'altra più lontana in moto. Ma non c'era traccia di anima viva. Proseguì fuori, verso la strada provinciale, camminando al centro della carreggiata, con ancora il bicchiere in mano. Quando se ne accorse lo guardò come un oggetto estraneo e lo lanciò lontano, urlando contro la notte. Continuò a camminare per diversi minuti, barcollante e confuso, in mezzo a quel nulla, che fino a poco prima per lui era tutto. Era inverno e non faceva molto freddo, ma in quel momento di sentì congelare, come se una tempesta si fosse abbattuta sull'isola, portandosi via tutto, compreso il calore e tutti quelli che conosceva.
Quando finalmente arrivò a casa si gettò vestito sul letto. Pianse fino a farsi appiccicare il volto contro i lenzuoli e si addormentò.
Lo svegliò alle prime luci dell'alba il canto del gallo del suo vicino di casa. Aprì la finestra, respirando l'odore del mare e rimase a fissare per ore la strada, gli alberi e quella distesa di azzurri che si confondevano nell'orizzonte. Era rimasto solo.